venerdì 29 gennaio 2010

Vicenza, il dramma del lavoro

I dati del 2009 sulla situazione del lavoro nella nostra provincia evidenziano una situazione realmente drammatica. Da gennaio a dicembre 2009, in provincia di Vicenza sono 3.134 i lavoratori coinvolti in aperture di crisi (205 ditte); 9.138 quelli coinvolti in procedure concluse di crisi aziendali (233 ditte). Ci sono state 10.556.051 ore di cassa integrazione ordinaria le quali corrispondono a circa 5.737 posti di lavoro; vi sono state ben 10.582.436 ore di cassa integrazione straordinaria le quali corrispondono a circa 5.751 posti di lavoro [1]. Il numero totale delle ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria [2] della provincia di Vicenza è il più alto tra tutte le province venete. Nella provincia di Vicenza, le aziende con trattamenti di cassa integrazione straordinaria, la cosiddetta C.I.G.S., sono 105 di cui 85 per crisi aziendale. Il tutto è calcolato su un totale regionale di 307 aziende. Le ore richieste per la cassa integrazione in deroga sono state 9.581.845. Il numero dei lavoratori interessati alla cassa integrazione in deroga a dicembre è pari a 11.839. La previsione la fa Veneto Lavoro. La mobilità ha colpito 2.283 lavoratori di imprese oltre i 15 dipendenti e 4.237 lavoratori delle piccole imprese per un totale di 6.520 lavoratori in mobilità.

Si possono fare varie considerazioni sulle cause, sulla scarsa tenuta del modello di sviluppo nel Nord-Est e di quello vicentino in particolare. Si possono fare grandi dibattiti, interpretare anche i dati in maniera positiva, per esempio rilevando il dato dell’uso massiccio di cassa integrazione come ammortizzatore sociale a garanzia per i lavoratori. Un fatto comunque è da considerare: quella freddamente descritta dai numeri è la realtà. Una realtà drammatica, tragica, che getta in situazioni di estremo disagio migliaia di famiglie. I numeri evidenziano una profonda crisi. La progressiva crescita dei licenziamenti, della mobilità, del ricorso agli ammortizzatori sociali fotografano l'incapacità di chi governa il Paese di reagire, di proporre concrete soluzioni. Se poi si considera che a questi numeri si dovrebbero sommare i licenziamenti individuali, quelli dei lavoratori precari, i lavoratori non garantiti da forme di garanzia e da ammortizzatori sociali che escono silenziosamente dal mondo del lavoro, il vasto popolo delle partite Iva costretto a tentare di lavorare in proprio ma che, di fatto, lavora in totale subalternità, la situazione diventa ancora più drammatica.

Ma quelli sopra riportati non sono solo freddi numeri. Quei numeri sono lavoratori, persone, famiglie. Sono disperazione e progressiva mancanza di speranza nel futuro. Chi ci dice che la ripresa è iniziata mente. O probabilmente, pensa a una ripresa che favorisca solamente i capitalisti, gli speculatori, chi delocalizza e sfrutta il lavoro altrui. Noi riteniamo che di ripresa si possa parlare solamente quando l’occupazione crescerà. Quando ci sarà più lavoro. Un lavoro a tempo indeterminato, sicuro, stabile, con una retribuzione giusta. Il lavoro prima di tutto. Il lavoro come primo diritto costituzionale. Il lavoro come dovere costituzionale.

Riteniamo che sia indispensabile mettere al centro della politica della sinistra soprattutto la difesa del posto di lavoro e lo sviluppo del lavoro e che questo debba avvenire anche grazie ad azioni decise da parte delle istituzioni di una Repubblica che è fondata sul lavoro. Il vero problema è il lavoro e le istituzioni non possono fare finta di nulla né possono rispondere unicamente finanziando gli ammortizzatori sociali. L’articolo 4 della Costituzione stabilisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» e che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Non sono parole prive di senso come può ritenere il ministro Renato Brunetta. Sono, invece, princìpi fondamentali del vivere democratico. Non si può restare indifferenti né ci si può chiudere in una torre d’avorio in attesa di miracolose soluzioni, isolandosi dalla realtà e dai veri drammi della società. Bisogna agire. Noi vogliamo fare un appello a tutta la sinistra, alle forze sindacali (alla CGIL in particolare che sta svolgendo un congresso che dovrebbe avere il lavoro e lo sviluppo come centro della propria lotta), alle associazioni, ai singoli cittadini che hanno a cuore il bene dei diseredati, di chi lavora, di chi è pensionato, di chi le tasse le paga.

Un appello di invito a non cedere e continuare a lottare. Una lotta che parte da quello che siamo, dalla forza che abbiamo e che rimetta al centro della politica italiana la questione del lavoro. L’obiettivo primario deve essere avere maggiori possibilità di lavoro. Un lavoro garantito, sicuro e a tempo indeterminato, con una retribuzione giusta e sufficiente a vivere nella sicurezza.

La nostra lotta deve avere al centro questi diritti inalienabili. La cassa integrazione, la mobilità e gli altri ammortizzatori sociali sono utili a risolvere situazioni contingenti, ma non sono la cura, sono solo un dramma forse meno grave del licenziamento. Il nostro ambiente cade a pezzi, le nostre città sono invase da costosissime case vuote, le nostre fabbriche chiudono, ai lavoratori viene impedito di lavorare. Come nel 1949 c’è bisogno, oggi in Italia e anche a Vicenza (che fino a poco tempo fa si considerava un’isola felice), di un nuovo “Piano del Lavoro” che (ri)metta il problema dell’occupazione al centro della lotta politica. I capitalisti, in particolare quelli italiani, stanno dimostrando la loro incapacità di indicare una via d’uscita dalla crisi che non sia legata all’aumento dei privilegi della casta della quale fanno parte. Non si può continuare a elargire incentivi e finanziamenti pubblici a chi espelle migliaia di persone dal lavoro. È necessario un programma di progresso che indichi nei lavoratori la vera classe dirigente del paese e che ponga all’attenzione dei cittadini anche una domanda che non si fa più da troppo tempo: di chi deve essere la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione? Insieme possiamo tentare di costruire un programma realmente di progresso e imporlo all’attenzione di tutta la sinistra. Pensiamo che lottare per una società diversa dall’attuale, così come faceva Di Vittorio, una società dove chi lavora abbia la proprietà del proprio futuro senza, per questo, dover chinare la testa, sia una scelta per la quale vale la pena vivere.

Giorgio Langella
Federazione della Sinistra - coordinamento PdCI - PRC Vicenza

[1] Il numero di posti di lavoro “perduti” è calcolato considerando una media potenziale di circa 1840 ore di lavoro per l’annata
[2] Nel periodo gennaio-dicembre 2009 le ore di cassa integrazione totali (C.I.G. + C.I.G.S.) sono: ITALIA, 918.146.733 (pari a circa 498.992 posti di lavoro); VENETO, 81.792.392 (pari a circa 44.452 posti di lavoro); VICENZA, 21.138.487 (pari a circa 11.488 posti di lavoro)

da www.lasberla.net
link originario: http://www.lasberla.net/2010/01/vicenza-il-dramma-del-lavoro/

Nessun commento:

Posta un commento