martedì 28 aprile 2020

La libertà di espressione è sotto attacco, non da oggi però

(m.m.) Da diversi gironi sui media e sui social network si dibatte molto, alle volte in maniera seria, alle volte in modo sguiaiato e sdraiato, di libertà di espressione e di libertà di stampa. Queste libertà promanano direttamente dall'articolo 21 della Costituzione. Sono in molti i quali sostengono che le limitazioni alla stessa libertà di espressione vadano ricercate proprio nella seconda parte di quell'articolo. Io credo però che chi sostenga questa tesi affronti la materia senza il dovuto approfondimento: per una serie di ragioni di ordine giuridico (che mi interessano sino a un certo punto) nonché di ordine etico.

La seconda parte dell'articolo 21 infatti non parla dei paletti identificabili per comprimere la libertà di espressione bensì esplica che i prodotti editoriali possano essere sottoposti a sequestro il che non annovera per forza la punibilità penale di un dato comportamento. Il concetto della diffamazione non è nemmeno compendiato per di più. Ora quando si parla di diffamazione (che peraltro è una nozione giuridica prevista dalla legge ordinaria ossia col codice penale non dalla Costituzione) e di conseguenza si parla della possibilità di comprimere, in taluni casi, la libertà di esprimersi ci sono due scuole di pensiero in campo.

La prima si basa sull'assunto che una democrazia debba gioco forza sorreggersi anche su un equilibro di diritti e doveri o meglio su un equilibro di libertà per il famoso principio per cui la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri. Si tratta di un approccio «liberale ed empirico» al problema che venne in qualche modo estrinsecato appunto da questa frase famosa di Martin Luther King, frase che pur non risolvendo bene la questione sul piano giuridico od etico, viene comunque usata spesso da coloro che ritengono in qualche misura auspicabile che sia prevista in taluni casi la limitazione della libertà di espressione. C'è poi un altro approccio al problema che è quello «massimalista» secondo il quale in una democrazia ci sono alcuni diritti incomprimibili e non negoziabili (sono esplicito, io sottoscrivo questo orientamento meno conservatore e più innovativo), tra cui quello alla libertà di espressione. In questo senso se la forma democratica è assunta come la forma del nostro vivere, chi fa parte di questa comunità accetta gioco forza la debolezza intrinseca della medesima democrazia (garantendo di fatto la libertà d'invettiva o di insulto in relazione alla nozione che la menzogna si batte solo con la verità e non con le sanzioni) la quale se per esistere o assicurare talune libertà comprime quelle incomprimibili allora non è più tale.

Gli Stai uniti per esempio garantiscono questo diritto col primo emendamento alla loro carta costituzionale: il quale però viene da sempre facilmente aggirato grazie ad un utilizzo distorto del codice civile (basti pensare alle cause di risarcimento danni per i giornalisti, cosa che avviene anche in Italia). Purtroppo il diritto alla libertà di espressione viene continuamente coccolato un po' da tutti: salvo invocare  punizioni quando l'invettiva di tizio o di caio ci riguarda direttamente o riguarda un gruppo al quale ci sentiamo vicini. C'è poi un aspetto secondario, ma nemmeno tanto, che pertiene a chi come me svolge la professione giornalistica.

In Italia non esiste una norma che tuteli il diritto di cronaca (che è se si vuole un sottoinsieme della libertà di stampa che a sua volta è un sottoinsieme della libertà di espressione). Colui che esercita il diritto di cronaca quando incappa in una vicenda di diffamazione a mezzo stampa infatti se lede l'altrui onorabilità, anche raccontando fatti veri, è sempre punibile. È sempre punibile a meno che non rispetti il cosiddetto decalogo della Cassazione penale in materia di diffamazione: se ne ricava che l'esercizio di un diritto fondamentale per una democrazia non è è esplicitato in maniera positiva bensì è enunciato per sottrazione (il che la dice lunga sulla opinione reale del legislatore su questo tema). Ossia non è disciplinato da un articolo di legge bensì da un pronunciamento a sezioni riunite della Cassazione penale: pronunciamento ormai datato e espresso in modo così farraginoso nonché poco chiaro da rendere la punibilità del reato assai discrezionale da parte della magistratura.

Negli anni i cascami di una situazione del genere hanno avuto effetti deleteri creando giornalisti di serie A (tutelati o vicini al potere) e di serie B (non tutelati e senza mezzi): ma soprattutto si è venuta a creare una situazione insostenibile (lo denuncia l'Osservatorio ossigeno) per cui sistematicamente i giornalisti, specie quelli delle piccole testate, vengono zittiti con querele temerarie o con liti temerarie dacché o i giornalisti stessi o i loro editori non hanno i mezzi per difendersi sul piano economico-legale.

Ne è seguito uno svilimento della libertà dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica (a tutto vantaggio delle élite e delle lobby che gestiscono il potere) che colloca l'Italia in una posizione poco invidiabile in merito alla libertà di stampa. Se a questo aggiungiamo la odiosità delle sanzioni previste dal codice penale per il giornalista o per altri che rivelino documentazione coperta dal segreto di Stato (quando caso mai dovrebbe essere punito solo il pubblico ufficiale che lo fa), capiamo bene quanto già ora la libertà di espressione sia compressa. Se poi vogliamo considerare che gioco forza chiunque scriva un post sui social media finisca poi per essere assoggettato alla disciplina della diffamazione a mezzo stampa, allora si capirà quanto già ora, già adesso, la nostra libertà sia non solo compressa ma addirittura compromessa.

martedì 14 aprile 2020

Lockdown depotenziato: come volevasi dimostrare

(m.m.) Il primo che dice che l'Italia è ferma lo riduco a brandelli... Questo servizio di Huffington post Italia dice tutto o quasi... Le fabbriche sono tutte aperte o quasi. Sono chiusi i locali pubblici, sono chiuse le scuole, i luoghi di culto e le persone nelle loro abitazioni: come detto più volte il «lockdown» è stato un bluff. Il decreto, scritto apposta con le deroghe innervate, ha permesso ai furbetti di riaprire presto di riaprire tutto nel nome dell'appeasement più vieto tra organizzazioni datoriali, regioni, prefetture e governo. I quali facevano finta di scannarsi ma sotto sotto... Viva il progresso e viva la produzione. Adesso però lorsignori della classe dirigente (non solo i politici sia chiaro) dovranno spiegare perché chi ha avuto in casa un ferito o un morto non abbia il diritto di farsi giustizia da sé... E se il contagio ritornasse a schizzare alle stelle?

sabato 11 aprile 2020

Zaia e il coronavirus nell'uovo di Pasqua


(m.m.) Stando alle dichiarazioni, confuse come al solito peraltro, oggi Luca Zaia dal basso della sua pagina Facebook ha sentenziato: «il lockdown è finito» detto in altri termini le fabbriche venete ritornano a lavorare. Schei battono salute due a zero e il trofeo coronavirus finirà nell'uovo di Pasqua di ogni veneto. Dopo gli appelli a TgR unificati dei gran visir della concia affinché "la produssion' riparti ca' ghemo e fabriche che xe' gioelinnnnnnnnnni", quella zona industriale omnispalmata che è il Veneto, dopo non essersi mai fermata a suon di deroghe inderogabili, ora riapre de pi'. Manca solo l'editto pasquale che se firmato domani, Zaia farà recapitare assieme alla scacciasputi d'ordinanza (leggi mascherina griffata LeondeSamarco.veneto.schei) in ogni villetta geometrile del veneto da un "rane" di "Daiverù" con tanto di sticker promozionale . «È difficile spiegare - dice il governatore dopo essersi sistemato con la gelatino-feresi i capelli -  che apre Fincantieri e non lo possono fare che so Rosso o Benetton». Non sia mai ai Benetton sfugga la possibilità di comprarsi un'altra autostrada in cui non rifare un ponte che deve essere rifatto da chi la compra.

Peccato che la scienza e la legge spiegano bene perché certe fabbriche dovrebbero stare chiuse ma sottoZeta ha fretta, la sua giunta freme, i suoi stakeholder pure. A giorni aspettiamoci quindi una pioggia abbondante. A giorni infatti pioveranno sulle tv venete più improbabili le immagini dei controlli dello Spisal in fabbriche acchittate alla bisogna con segretarie agghindate in stile sagra del fitness e operai alabardati con pettinature keratin style dei più grandi coiffeur di Brogliano e di Altivole, che indossano mascherine high-tech "tenniche".

Poi fioccheranno i titoli in televisione e nelle settimane income dei sub-inserti dei quotidiani confindustriali. Squillin le trombe s'ungano i dildo "nel Veneto di Zaia le fabbriche lavorano rispettando gli standard"... penetrometrici. Nel frattempo si ingigantisce il rischio che i deceduti, anche quelli trendy, mandino in sovraccarico le celle mortuarie che nel farattempo saranno sostituite da capannoni dismessi, più vicini al sentiment dei diversamente vivi che le occuperanno dopo che della logistica si sarà occupata qualche coop in odore di criminalità organizzata. Sempre poi che non arrivi qualche mafioso che per risolvere il problema del sovraffollamento dei capannoni mortuari, anzi "mortuori", non dia fuoco alle salme, tanto è ignoto e non si sarà mai chi è. La tecnica nel Veronese, nell'Ovest vicentino e nel resto della regione è nota.

Il re del prosecco se fosse più avveduto dovrebbe sé stesso di avere avuto quel mix di strizza e buon senso per avere ascoltato il primario di infettivologia dell'ospedale dell'ospedale patavino (si parla del professore Andrea Cristanti che sfidando il ras della sanità veneta Domenico Mantoan, che per ragioni incoffessabili remava contro) ha deciso, per quanto possibile di mettere in piedi uno screening basato sui tamponi che ha salvato le chiappe al Veneto, almeno per il caso di Vo' Euganeo. Frattanto l'unica cosa che Zaia non spiega però è come mai possano riaprire i Rosso, i Benetton o una conceria di risulta in un capannone semisequestrato di Zermeghedo o di Montorso, mentre un povero disgraziato che vive in una casa in affitto e che magari gestisce un bar in affitto rimanga chiuso. Ci avviamo ad un nuovo rinascimento al baccalà dove ai veneti, non a tutti, sarà consentito uscire per andare a lavorare, non importa se si ammalino: ma non sarà consentito scendere in piazza per protestare contro questo putsch al prosecco che trasformerà il Veneto (e non solo il Veneto) in un lager in cui le morti (da coronavirus o per altri morbi industriali) non saranno altro che scarti del ciclo di lavorazione. Rimane solo una speranza: che quello che ha detto oggi Zaia a social network unificati non sia null'altro che un ennesimo scherzo di Eracleonte da Gela

venerdì 10 aprile 2020

L'emergenza economica? La sostenga chi è a reddito fisso: l'enigma Boldrin e i riferimenti alla concia

(m.m.) L'economista patavino Michele Boldrin, uno dei più entusiasti alfieri del neo-liberismo (il docente si definisce un pragmatico per vero), su Il Giornale di Vicenza di oggi 10 aprile in pagina 9, sostiene che per fronteggiare la crisi occorrerà temporaneamente dirottare una quota di reddito da chi lo percepisce in maniera fissa (quindi anche impiegati, operai, dipendenti privati e pubblici) a beneficio di chi invece non ha entrate sicure: nessun accenno invece (tranne ad uno sulla negatività di una eventuale patrimoniale) viene fatto in merito alla possibilità di stangare la grande rendita finanziaria. Allo stesso modo Boldrin dice e non dice in merito alla possibilità di una monetizzazione del debito che è prevista da un approccio keynesiano al problema che il mondo sta affrontando oggi. Ora rimane da capire una cosa: l'uscita di Boldrin è un messaggio trasversale? Il punto è che al suo pensiero viene dato spazio non su un quotidiano qualsiasi ma su uno della Confindustria, quella vicentina nello specifico. Il che potrebbe dirla lunga sulle ricette che in certi ambienti qualcuno sta provando a mettere in circolo. Se poi si vuole conoscere nel dettaglio la proposta di Boldrin può essere utile dare una scorsa sul suo blog, in particolare ad un suo intervento del 7 aprile: nel quale, non si capisce bene perché, viene citata una categoria economica meritevole di una, chiamiamola così, tutela, quella della industria conciaria. Parafrasando Corrado Guzzanti, tu sai com'è, tu sai perché, tu sai quant'è...

Covid-19 e il possibile accordo sul Mes: la stangata di Varoufakis

(m.m.) Yanis Varoufakis, già ministro delle finanze di Grecia, ha commentato molto negativamente l'intesa che l'Italia e gli altri Paesi della Ue avrebbero raggiunto in materia di stimolo economico per contrastare la crisi scaturita dall'emergenza coronavirus. Lo riporta la testata romana «L'Antidiplomatico» in un servizio pubblicato ieri. Sempre ieri la testata Fanpage.it affronta invece il tema del maxi contributo pari a 160 milioni di euro che l'Ue sta perfezionando a beneficio dell'industria militare del Vecchio continente. Sebbene già pianificato da tempo, il finanziamento, che cade in piena emergenza da Covid-19, ha fatto storcere il naso a Gloria Bagnariol, l'autrice del servizio, la quale scrive che «l'annuncio dei finanziamenti alle industrie militari arriva in un momento molto difficile per l’Unione europea che fa fatica a proteggere la sua immagine». Ad ogni modo le voci sull'accordo attorno al Mes sta mandando in fibrillazione il M5S. Il senatore Mario Michele Giarrusso sulla sua bacheca Facebook ha attaccato la possibile intesa. Il giorno 6 aprile l'analista Lidia Undiemi sempre su L'Antidiplomatico ha avuto parole di fuoco sul Mes e sulle clausole segrete che questo prevederebbe se fosse sottoscritto.

giovedì 9 aprile 2020

Travaglio fa a pezzi la Confindustria, uno dei veri padroni dell'Italia

(m.m.) In un editoriale pubblicato in prima pagina oggi su Il Fatto, Marco Travaglio fa a brandelli le gaffe, le ipocrisie, l'ignoranza e la cupidigia della Confindustria con particolare riferimento alle associazioni di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna... Nel suo editoriale Travaglio mette alla berlina i fautori della ripartenza subito nonostante i rischi ancora attuali della pandemia da Covid-19. Lo stesso articolo è anche, seppur indirettamente, una riposta alle elucubrazioni di Alessandro Baricco che su Repubblica, guarda caso, aveva cercato di occultare l'afflato confindustriale con un po' di storytelling di renziana, pardon, baricchiana memoria...

LEGGI L'EDITORIALE DI MARCO TRAVAGLIO SU IL FATTO

martedì 7 aprile 2020

Svt-Vicenza, due dipendenti positivi al Covid-19

Nelle scorse ore due dipendenti di Svt, la società del trasporto pubblico posseduta da Comune e Provincia di Vicenza, hanno informato l'azienda di essere positivi al Covid-19. La conferma della positività è giunta a conclusione dei test effettuati immediatamente dopo la manifestazione dei primi sintomi. È quanto riporta la testata TiViweb in un servizio pubblicato ieri. Nello stesso servizio si legge che la «Società vicentina trasporti esprime solidarietà al personale e vicinanza alle loro famiglie e ringrazia i due dipendenti per il profondo senso di responsabilità dimostrato nell’informare l'azienda delle loro condizioni di salute».

domenica 5 aprile 2020

I nostri cugini nordeuropei al tempo del coronavirus, la riflessione di Celotto

Francesco Celotto, consulente finanziario di Bassano del Grappa che da tempo vive a Barcellona in Spagna, stamani ha diramato una lettera aperta in cui ragiona a lungo sul momento che sta vivendo l'Europa al tempo del coronavirus. Dai silenzi sulle politiche monetarie della Bce, alla condotta dei governi del Nordeuropa, Celotto parla della drammaticità che sta vivendo il Vecchio continente e spiega che se nel volgere di poche settimane l'Europa non compie una inversione a 180 gradi sarà, de facto, spacciata.

LEGGI LA LETTERA APERTA DI FRANCESCO CELOTTO

sabato 4 aprile 2020

Le anime candide della libertà double face

(m.m.) E mentre la discussione in tema di Covid-19 si avvita su sé stessa ancora una volta il parlamento italiano ha una scusa per non depenalizzare l'articolo 595 del codice penale e per non  cancellare dal codice civile le disposizioni in forza delle quali si permette di citare per danni colui al quale viene addebitata una condotta diffamatoria.

La nozione per cui la libertà di espressione del pensiero in una democrazia deve essere gioco forza «legibus solutua» non sfiora nemmeno chi con l'avallo di una legge vergognosa usa la stessa per limitare l'altrui pensiero, l'altrui libertà sempre che questi o le persone che li praticano, non siano addirittura minacciati. Adesso, forse, arriveranno anche le disposizioni liberticide annunciate da tale Andrea Martella (un Orbàn in saòr di Portogruaro)... e poi la greppia dell'oscurantismo sarà ben ricolma per lorsignori. Alle volte questa ipocrisia fa tenerezza. Mentre le anime belle se la prendono, giustamente peraltro, contro i provvedimenti del premier ungherese Viktor Orbàn (il manichino magiaro nelle mani dei tedeschi e soprattutto degli americani), le stesse anime belle lo seguono in scia per limitare, comprimere, addomesticare le opinioni che circolano sul web.

Il problema è che una democrazia deve lasciarti dire ogni cosa anche quando questa è abominevole... Ma il concetto è scomodo da manipolare. E quindi si indigia nel caleidoscopio dei distinguo in modo da distorcere libertà di espressione e onorabilità della altrui dignità a seconda delle convenienze... In parlamento destra e sinistra, sopra e sotto, nord e sud ovviamente tacciono, ben letargizzati nei loro otri mentali, ben consci che...

mercoledì 1 aprile 2020

Il caso Burioni Messora

(m.m.) Alcuni giorni fa il blogger Claudio Messora ha fatto sapere che «l'Associazione patto trasversale per la scienza» ha indirizzato un esposto ad alcune procure della repubblica nel quale, tra le altre, chiede la rimozione di alcuni contenuti video prodotti dallo stesso blog di Messora. La cosa ha dato vita ad un vivace dibattito che però troppo spesso ha lasciato distante il cuore della discussione. Anzitutto l'associazione non ha querelato, come hanno sostenuto alcuni, ma ha indirizzato un esposto. Secondo una eventuale chiusura bonaria auspicata da più parti non è possibile perché il reato ipotizzato (articolo 656 del codice penale, ossia la diffusione di notizie false e tendenziose, reato che peraltro dovrebbe essere abolito peraltro) è un reato che si persegue d'ufficio.

Quindi quell'esposto ha avviato un procedimento che potrà interrompersi solo con una archiviazione o eventualmente con un rinvio a giudizio. Io ritengo che Messora abbia ragione da vendere, ma in questo momento sta sbagliando nella scelta del terreno dello scontro. Lo scontro in questo momento è in primis sul piano giuridico perché è nella contestazione sul piano giuridico che poi si smonta sul piano mediatico, assai agevolmente, l'assunto della associazione notoriamente vicina al professor Roberto Burioni.

E quindi Messora, glielo dico simpaticamente perché fa un lavoro prezioso, dovrebbe lasciare da parte la sua abituale eccessiva bonomìa e denunciare gli autori dell'esposto per calunnia ai sensi dell'articolo 368 del codice penale che recita: «Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni». Nella denuncia Messora dovrebbe chiaramente dichiararsi parte offesa e facendo affidamento sulla potenza di fuoco del suo blog non solo dovrebbe dare notizia della denuncia, ma dovrebbe dare notizia di come la procura della repubblica competente persegue o non persegue gli eventuali responsabili. A quel punto poi vediamo se al Patto della scienza verrà ancora la voglia di pisciare fuori dal vaso.