martedì 10 dicembre 2019

Deregulation: il sequel «olimpico» del caso Mose e del caso Spv sarà un altro horror

Non sono di poco conto gli interrogativi e le accuse messe nero su bianco ieri dal Covepa in materia di infrastrutture, soprattutto in relazione agli sviluppi che l'affaire Superstrada pedemontana veneta potrebbe avere in relazione a due grandi eventi come i mondiali invernali di Cortina, ma soprattutto i giochi giochi invernali noti come olimpiadi Milano Cortina. Ora non appena si è saputo che questi ultimi si sarebbero tenuti in Italia tra i soliti volti della politica c'è stato un florilegio di dichiarazioni: "non ricorreremo a scorciatoie, saranno usate le procedure ordinarie, basta commissari, saranno lavori ecosotenibili e light". Sta di fatto però che i big della politica veneta dopo l'approfondimento pubblicato ieri su queste colonne sono rimasti in silenzio.

Un silenzio innaturale, che fa venire il sospetto che una verve così «enviroment friendly» più che altro celi un imbarazzo. L'imbarazzo di chi tra poche settimane, specie in relazione alla necessità di realizzare le infrastrutture a supporto delle olimpiadi (leggi autostrade, superstrade, strade pedemontane o meno che siano), senza la minima memoria, senza la minima vergogna dirà: "Caspita non c'è tempo, servono le infrastrutture per i giochi: chiediamo soldi e soprattutto procedure semplificate con i commissari straordinari".

E così vedremo l'ennesimo sequel del Mose e della Spv. Due film dell'orrore in cui l'allentamento dei controlli dovuto alle procedure sprint si materializza in un cavallo di Troia nel cui ventre oscuro stanno già acquattati interessi più o meno confessabili, otri più o meno putrescenti di tangenti e di scempi tanto ambientali quanto finanziari. Ad ogni modo basterà attendere poco, entro metà febbraio, se la salivazione non si arresta, i big dei giochi invernali varcheranno il Rubicone chiedendo di allentare i controlli, di rimettere in pista i commissari, di fare come con l'Expo di Milano, le cui vicende performance giudiziarie sembrano finite in soffitta. E c'è da scommettere che nessuno fiaterà e che nessuno, tranne qualche mosca bianca dirà che si tratta di una iattura: perché la deroga sempiterna è il primo passo verso l'abisso. Basti pensare quanto «il modello Expo» fu sinonimo di tangenti, tanto per rimandare ad un caso relativamente recente.

Ai veneti il Mose avrebbe dovuto dire pur qualcosa. Li avrebbe dovuti mettere «un ninin in guardia». Sui pericoli che si nascondono dietro dietro il meccanismo della deroga infinita andrebbe imparata a memoria una analisi molto ficcante scritta da Laura D'Ambrosio, un magistrato della Corte dei conti che l'argomento lo padroneggia alla perfezione. «La vicenda legislativa è in sé peculiare. Il legislatore, infatti, è intervenuto sulla base di un’iniziativa privata, individuando opere e  finanziamenti: il Consorzio Venezia Nuova, all'epoca, chiedeva ed otteneva l'intervento di legge sulla base del progetto presentato dallo stesso Consorzio. La legge stabiliva che la realizzazione del progetto potesse essere affidata a trattativa privata ed in deroga a tutte le disposizioni vigenti a un soggetto ritenuto idoneo. Senza nessuna sorpresa, la procedura di affidamento vedrà poi vincitore lo stesso soggetto... il Consorzio... che aveva assunto l’iniziativa: un corto circuito politico e legislativo di cattura del regolatore, che aveva pesanti risvolti finanziari. Si può dire che lo scandalo del Mose sia cominciato da quella vicenda». Basterebbero queste poche parole ispirate in primis dal buon senso e poi dalla conoscenza delle norme, a consigliare ai «decision maker» di stare alla larga dalle scorciatoie, visto che l'unica accelerazione che producono è quella sulla strada del malaffare. Tuttavia anche le parole di D'Ambrosio, la sua riflessione è stata pubblicata su Diritto&conti.it non più tardi della fine di novembre, sono fino ad oggi rimaste in silenzio. E magari qualcuno le ripescherà tra qualche decennio quando l'opinione pubblica, più o meno ipocritamente, si starà stracciando le vesti per qualche altro scandalo.

Rimane da capire di quali peccati si sia macchiato il Veneto per meritare quello che dalla fine degli anni Settanta sta patendo sul piano ambientale, ma no solo ambientale. Più che leggi e controlli severi qui serve una benedizione, anzi un esorcismo.

Il caso Paese, un caso da strapaese

(m.m.) Le cronache di qualche settimana fa hanno riportato della condanna per abuso edilizio in Via delle Levade 9 a Paese piccolo comune a ridosso del capoluogo della Marca, nei confronti del collaboratore di don Floriano Abrahamowicz, quest'ultimo già espulso nel 2009 dalla Fraternità di Lefebvre e noto per le sue  pubbliche affermazioni controverse sull'utilizzo dei campi nazisti. Nel 2014 il religioso costruì un prefabbricato nel giardino di casa, adibendolo a chiesetta. A seguito delle rimostranze di alcuni vicini, il Comune di Paese, nel Trevigiano, intervenne e ordinò la rimozione del manufatto, denunciando l'abuso in procura. Dopo cinque anni anni, in primo grado, un uomo molto vicino a Don Floriano è stato condannato a un mese e a mille euro di ammenda nella sua veste di intestatario del bene immobile. 

L'allora giunta leghista (capitanata dal sindaco del tempo, ossia Francesco Pietrobon) fu informata di un ulteriore e curioso fatto che, nell'estate del 2016 è stato riportato da Il Gazzettino e successivamente approfondito dal quotidiano Vvox.it in più articoli. Il prete, sospeso a divinis dal Vaticano, che negli anni ha comunque visto ridurre drasticamente il suo seguito, così sostengono i suoi critici, assieme al suo prestanome non si sono dati per vinti e, subito dopo la demolizione della baracca hanno realizzato la chiesa a pochi metri, dentro il magazzino-deposito vicino alla ferrovia. 

Dal 2014 ad ora, quindi, le funzioni non hanno mai smesso di svolgersi in luoghi adibiti ad altro. La reiterazione della condotta è stata in qualche modo constatata dall'amministrazione Pietrobon, che, però, in questo secondo caso si è stranamente fermata. Pur essendo ancora più evidente il presunto abuso edilizio, perché il ripostiglio è stato visitato dalla polizia municipale, che ha trovato: altare, banchi, statue, arredi liturgici. Pressoché ogni domenica alle 10.30 la messa viene trasmessa in diretta sul canale YouTube dell'italo-austriaco Floriano e si vedono chiaramente la celebrazione, i chierichetti, i fedeli che tutti insieme «officiano la Comunione». 

A onor del vero, anche in questo caso, nel 2017, alcuni vicini avrebbero fatto presente al comune quella che veniva percepita come una anomali, soprattutto per un'amministrazione leghista, che ha sempre fatto di un cavallo di battaglia quello della corrispondenza tra i luoghi di culto e l'effettiva destinazione d'uso. E tant'è che a mezza bocca nella cittadina dell'hinterland trevigiano la vulgata che circola di bocca in bocca suona così: "parrebbe logico che quel che vale per quelle cellule islamiche dovrebbe valere per ogni confessione, anche quelle lefebvriane amiche dell' ex Capitano delle SS Erick Priebke". Ma l'allora giunta Pietrobon, a quel che emerso, non se la sentì di procedere con un'ulteriore denuncia in Procura e accettò per buono il «chiarimento» del lefebvriano espulso «perfino dai suoi superiori», che si giustificò dicendo che le persone possono pregare dove vogliono. 

Epperò le leggi vigenti non la vedrebbero propriamente come il pastore austro-italiano con un fratello che per anni è stato rettore della Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, perché non è consentito realizzare un luogo di culto aperto al pubblico, in un deposito-magazzino riadattato con legno e paramenti. Chissà se il nuovo sindaco Katia Uberti in una con la nuova giunta vorranno prendersi carico del caso, anche alla luce dell'interrogazione depositata in merito alla vicenda dal consigliere regionale veneto Andrea Zanoni (Pd), perché il principio di legalità vale per tutti e la reiterazione di certe condotte, in questo caso in materia di edilizia privata, sa tanto di presa in giro delle istituzioni democratiche: piaccia o non piaccia a don Floriano lo stato di diritto è una delle basi del vivere comune.

lunedì 9 dicembre 2019

Olimpiadi invernali, altri fondi per la Spv? Il Covepa: «Smascherati i giochetti»

(m.m.) «Io credo che settori sempre più ampi delle categorie produttive del Vicentino e del Trevigiano si stiano ricredendo sulla reale utilità della Spv. I mal di pancia di questa situazione ormai si percepiscono in nuce anche sui media più vicini al sentiment degli imprenditori». A parlare in questi termini è Massimo Follesa, portavoce del Covepa, una associazione che da anni si batte contro la Superstrada pedemontana veneta, la quale non più tardi di ieri sul proprio profilo Facebook ha pubblicato una nota molto puntuta. «La fine dell'anno si avvicina, l'anno venturo è dietro l'angolo. Secondo i palafrenieri della Spv - si legge - il 2020... dopo una serie infinita di rinvii a mezzo Zaia, l'opera avrebbe dovuto essere completata entro il 2020... E invece... la data si allontana ancora di più anche se qualcuno cerca di fare passare la cosa come un avvicinamento del traguardo...». Si tratta di parole precise che secondo il Covepa ben descrivono il clima di grande incertezza che si respira a palazzo Balbi e più in generale alla Regione Veneto, il concedente della Superstrada pedemontana veneta meglio nota come Spv. Tra gli argomenti con cui il Covepa attacca palazzo Balbi c'è anche la questione delle olimpiadi invernali tra Milano e Cortina, che secondo Follesa, «come previsto», potrebbero essere usate come scusa per finanziare quella parte dei lavori di Spv che ancora manca all'appello.

Dunque perché voi del Covepa ieri avete deciso di uscire con una nota tanto piccata?
«Non più tardi di due giorni fa il GdV ha pubblicato uno speciale in cui si fa presente che stando ai massimi dirigenti di palazzo Balbi l'opera sarebbe in dirittura d'arrivo anche se poi nel medesimo servizio si spiega che dovrebbe essere inaugurata, il condizionale è d'obbligo al 2021 o addirittura molto oltre».

E quindi?
«Beh, si tratta dell'ennesimo annuncio buono per indorare la pillola. Dopo l'ennesimo rinvio durante quest'anno i giannizzeri della Regione Veneto avevano spergiurato che sarebbe stata pronta nel 2019, poi nel 2020, ora nel 2021 se non assai più avanti. Mi viene da ridere. Chi si ricorda gli squilli di tromba che parlavano della prossima inaugurazione nel 2016?».

Ma che cosa significa Pedemontana pronta?
«Ecco questa è una bella domanda».

Perché?
«Perché la corte dei miracoli del governatore Luca Zaia continua a spiegare che per lorsignori per opera si intende il collegamento tra Spresiano nel Trevigiano e Montecchio Vicentino».

E invece?
«E invece per Spv inaugurata, pronta e tutta fungibile si deve intendere il collegamento più tutta la viabilità accessoria. Cioè le strade che servono a farci entrare le macchine in Spv. Ecco questo è realizzato solo in minima parte fermo restando il fatto che questo ultimo pacchetto come per incanto è stato scomputato al concessionario».

Cioè?
«I patti iniziali erano che il concessionario, ossia la Sis, vale a dire il soggetto che ha il compito di realizzare e gestire l'opera si occupasse di tutto. Poi in sede di progetto esecutivo è giunto il regalino della Regione. Un cotillon che vale qualche centinaio di milioni di euro. Sommetta che qualcuno dovrà prima o poi pagare».

Voi del Covepa pensate che sarà la collettività? Sul GdV di due giorni fa si parla di Spv come strada a servizio delle prossimi olimpiadi invernali quelle note come Cortina-Milano. Come stanno le cose? La cosa potrebbe avere risvolti strani come peraltro è già emerso?
«Ecco quel servizio è la riprova che qualcuno tra i cosiddetti stakeholder proverà a bussare alla porta di Pantalone Stato, alla faccia del liberismo di certi tycoon e dell'autonomismo tanto caro a Zaia e ai suoi aficionados al prosecco».

Quale è la questione di fondo?
«La questione di fondo è che questo trucchetto da mercato delle pulci, non solo da noi, era stato sgamato con molto anticipo. Conosciamo i nostri polli e le nostre pollastrelle fin troppo bene. Sono pavlovianamente prevedibili. Abbiamo già smascherato i loro giochetti».

Sì però Zaia sostiene che la maggior parte dei veneti sia a favore della Spv. O no?
«La maggior parte dei veneti pensa quello che i media mainstream per anni hanno scritto, dando spazio in modo acritico alle filastrocche dei poteri costituiti. Se a quattro anni credi a Babbo natale va bene, me se ci credi a quaranta allora c'è un problema nel contesto familiare. Ora, guardiamo a che cosa succede al GdV. Due giorni fa il quotidiano di Confindustria, la quale da sempre è per la Spv senza se e senza ma, pubblica uno speciale che è chiaramente stato pensato per arginare il dissenso nei confronti della stessa Spv. Dissenso che molto probabilmente è stato manifestato o durante un incontro al quale aveva partecipato Luca Romano o prima. Romano per inciso è il presidente di un think tank della valle dell'Agno molto vicino alle forze produttive. È lo stesso Luca, che in passato aveva peraltro professato il suo scetticismo su alcuni aspetti della Spv a far capire che l'opera ha da farsi, punto. Il giorno dopo sempre sul GdV è la di lui compagna, Franca Porto, dico compagna perché manco ricordo se siano sposati o meno, a incensare la Pedemontana. Ma è mai possibile?».

Come va valutato questo uno-due mediatico?
«Mi scompiscio dalle risate. Prima o poi vedremo i due incensare la Pedemontana in tv ad Affari di famiglia? Faccio presente che la Porto fu segretario veneto della Cisl, un sindacato che assieme alla Uil si è speso a favore della Spv in modo tanto acritico quanto mefiticamente vergognoso».

Ma come si giustificherebbe tanto attivismo mediatico allora?
«Mi tocca ripetermi. È chiaro che durante o prima l'evento conviviale di cui parla il GdV di due giorni fa qualche big più o meno di peso del mondo produttivo dell'Ovest vicentino deve aver fatto notare una cosa molto semplice».

Parliamo del tunnel tra Castelgomberto e Malo che non si quando finisce?
«Appunto. Non dimentichiamoci che pochi mesi fa fu l'allora ministro degli affari regionali, tale Erika Stefani della Lega, a decantare le meravigliose sorti progressive della Spv. Ora che il tunnel rimane, al momento, un miraggio e ora che di conseguenza la valle dell'Agno è tagliata fuori dalle cosiddette prospettive di sviluppo in connessione col resto dell'opera, prospettive le quali altro non sono che affari più o meno commendevoli, allora qualcuno giustamente deve aver sollevato delle obiezioni».

Che cosa potrebbe avere rimarcato questo ipotetico contestatore?
«Alla grossa qualcuno avrà detto: ma allora avevano ragione quei matti del Covepa i quali sostenevano come fosse meglio non includere la valle dell'Agno nel tracciato della Spv. avevano ragione quei matti, che assieme a pochi altri sostenevano che il collegamento già ci fosse e che era costituito dal tunnel Valdagno-Schio e che sarebbe stato sufficiente rimettere in ordine la attuale statale 246 dotandola di due corsie per ogni senso di marcia».

E più a est verso il Bassanese?
«Più a est al posto di scassare mezzo Veneto sarebbe stato sufficiente risistemare a dovere la Gasparona costruendo ex novo solo quando necessario, avendo cura di interfacciare il percorso con le ferrovie, cosa che lorsignori non hanno voluto prendere in considerazione non solo in funzione della loro voracità ma anche della loro ottusità nonché arretratezza mentale».

Morale della favola?
«La dico in dialetto veneto. In vale de l'Agno co' la merda salta in scagno o la fa spussa o la fa dano. Ecco questa è la classe sociale degli articolo quinto: chi ga' i schei, ma no el serveo, ga' vinto. E poi c'è un'ultima questione da tirare in ballo».

Quale?
«Mi sono rotto le palle di sentire che il casello Spv di Alte-Montecchio non si farà per chissà quali motivi».

Per motivi burocratici sostengono i fautori dell'opera a partire dal sindaco di Montecchio Maggiore il leghista Gianfranco Trapula. Vero o no?
«Non  è vero un cazzo. Smettiamola con questa stronzata. Il casello di Alte, che dio solo sa come verrà concepito, è stato tenuto fuori dal progetto esecutivo solo perché quest'ultimo doveva essere approvato in fretta e furia pena la perdita del contributo pubblico per la realizzazione della Spv. Chi sostiene la tesi dell'impiccio burocratico o è un demente o parla in mala fede. Queste persone vanno trascinate per le orecchie in piazza ed esposte al pubblico ludibrio: in castigo dietro la lavagna. Questi sono dei somari e la loro ignoranza è ancora più grave della loro malafede. Noi comunque siamo sempre disponibili al confronto pubblico».

Per esempio?
«Se qualcuno nel mondo produttivo ha in mente di sedersi su una sedia davanti a noi per un confronto pubblico, magari per capire se c'è qualche piccolo spiraglio per salvare il salvabile: a noi la parola non manca».

sabato 7 dicembre 2019

San Dalmazzo, tra eversione di destra e sequestri

Il 29 novembre, agenti della polizia italiana di Digos e Ucigos di Genova nonché di Enna in una con la polizia francese a Saint-Dalmas-de-Tende hanno completato un'operazione congiunta per la ricerca di armi e documentazione nelle case e nelle dipendenze afferenti di «Leon»: ossia dell'italiano Pasquale Nucera, un uomo già noto ai media italiani come pentito della mafia calabrese ovvero la 'ndrangheta. La polizia ha trovato una carta «custode del pax», un corpo della polizia d'oltralpe, con il nome Nucera stampigliato: un tesserino del Ministero degli Interni francese, direzione generale della polizia nazionale, col progressivo 2105606. Sono stati trovati anche diversi tra fucili e pistole.

La notizia da giorni sta riempendo le colonne delle cronache nazionali italiane. Molti giornali, tra cui La Stampa di Torino, si stanno occupando della vicenda. La testata investigativa Fanpage.it descrive Nucera come una persona collegata ai servizi segreti. Fonti del Ministero degli Interni di Roma riferiscono che nelle ultime ore sono proseguite le indagini su altre rotte.

Secondo un articolo di Sanremonews.it, le indagini hanno interessato le province di Imperia, Enna, Siracusa, Milano, Monza Brianza, Bergamo, Cremona, Genova, Imperia, Livorno, Messina, Torino, Cuneo, Padova, Verona, Vicenza e Nuoro . Particolare nella storia della scoperta del tesserino. Alcuni giornali parlano di un documento falso. Tuttavia, Imperiapost.it indica più o meno chiaramente,  che il documento potrebbe essere autentico, mentre il timbro potrebbe essere falso. Anche il Corriere della Sera, il più grande quotidiano italiano, ha dedicato molto spazio alla storia.

Saint-Dalmas-de-Tende, subversion de droite: des nouvelles fouilles et saisies d'armes

Le 29 novembre des officiers de la police italienne Digos et Ucigos de Genova (Gênes) et de Enna avec des policiers français à Saint-Dalmas-de-Tende ont terminé une opération conjointe pour chercher des armes et de la documentation dans les maisons et les dépendances «de Leon»: l'italien Pasquale Nucera, homme déjà connu par les médias italiens comme repentant de la mafia calabraise. Les policiers ont trouvé una carte de «guardien de la pax» avec le nom Nucera: une carte du  ministère français de l'intérieur, direction general de la police nationale, numéro «2105606», avec plusieurs fucils et pistolets. La nouvelle fait sensation depuis des jours en Italie. De nombreux journaux, dont La Stampa de Turin, traitent de l'affaire. Le journal d'investigation Fanpage.it décrit Nucera comme une personne liée aux services secrets. Des sources au sein du ministère de l'Intérieur à Rome rapportent qu'au cours des dernières heures, les enquêtes se seraient également poursuivies vers d'autres voies. Selon un article de Sanremonews.it, les enquêtes ont touché les provinces d'Imperia, Enna, Syracuse, Milan, Monza Brianza, Bergame, Crémone, Gênes, Imperia, Livourne, Messine, Turin, Cuneo, Padoue, Vérone, Vicence et Nuoro. Particulier dans l'histoire de la découverte de la carte. Certains journaux parlent d'un faux document. Cependant, Imperiapost.it indique plus ou moin clairement que le document pourrait être authentique, tandis que le cachet pourrait être faux. Même le Corriere della Sera, le plus grand journal italien, a consacré beaucoup d'espace à l'histoire.