martedì 29 giugno 2021

Mezzo secolo e sono ancora inarrivabili


(m.m.) A fine giugno di cinquant'anni fa su input di John McLaughling, Billy Cobham, Jan Hammer e di altri musicisti straordinari prendeva corpo la «Mahavishnu orchestra». La band nel solco del jazz di Miles Devis decolló verso una elegante e inarrivabile sperimentazione mescolando jazz, rock, progressive rock, folk, musica classica, musica tradizionale indiana, flamenco assieme ai primi vagiti del nascente hard & heavy. La fusion che ne derivó oltre ad avere influenzato musicisti di ogni genere in ogni luogo del mondo (e forse dello spazio) rimane una delle piú vivide testimonianze del modo con cui non solo i linguaggi ma anche le culture possono dialogare virtuosamente senza perdere le proprie radici. Il notevole successo, anche commerciale, di cui godette il gruppo fino allo scioglimento nei primi '80, è la testimonianza di come anche nella industria musicale, spinta da un pubblico tanto vasto quanto qualificato, concetti come rigore, libertà compositiva, potenza espressiva, innovazione, capacità di comprensione del portato antropologico e sociale della musica, comprensione delle radici, fossero un unicum di cui tenere conto. Oggi il panorama è cambiato: e non in meglio. Tuttavia sotto le ceneri...

mercoledì 23 giugno 2021

Armageddon veneto: una dissolvenza in grigio cemento


(m.m.) I veneti non si rendono conto, forse, che stanno giocando col fuoco. Le nuove norme urbanistiche al vaglio del Consiglio regionale, scritte in quella maniera e con quel contenuto, rischiano di essere un invito a nozze per la criminalità organizzata. Cambi di destinazione d'uso à la carte, monetizzazione degli obblighi urbanistici, mancata previsione di controlli e di sanzioni draconiane per chi sgarra, sono il prodromo di un armageddon strisciante che cammina su due gambe: la prima, la cementificazione di quel poco che è rimasto; la seconda, la sua conseguente trasformazione delal cementificazione in fatturato mafioso. Viene da sé che un orizzonte di questo tipo sarà foriero di una realtà sociale plumbea: una dissolvenza in grigio che nei decenni a venire il Veneto rischia di pagare in modo salato e doloroso.

sabato 19 giugno 2021

I Tafazzi del bottale


(m.m.) Di recente uno dei Bignami globali della filiera della pelle (Nothing to hide) ha sparato nel web un' articolessa dal titolo non proprio accattivante: «Essay one: Hide and skin production around the world» che reso in Italiano suona più o meno «Assunto numero uno: produzione di cuoio e pelle su scala globale». Dai dati menzionati nell'articolo l'anonimo estensore arriva a sostenere che la concia è un processo industriale dalla imprescindibile valenza ambientale.

Il motivo? Dacché i dati mondiali dell'allevamento intensivo sono in crescita e poiché gli scarti della macellazione costituirebbero un importante rifiuto, ergo la concia, che quegli scarti trasforma in prodotto, finisce per avere una significativa incidenza sul piano della riduzione degli scarti. Ora per semplice pietà, lasciamo un attimo da parte il concetto che una pelle appena scuoiata da smaltire sia più inquinante del processo di lavorazione che si porta con sé tutto il suo fardello di cromi, solventi, energia per la concia, trasporti e altre amenità da feticisti dell'ambientalismo, rimane un fatto. Lorsignori dimenticano che proprio l'aumento smodato dell'allevamento, bovino in primis, ai fini alimentari è una delle cause della degenerazione climatica che tanto preoccupa gli scienziati? La bibbia tascabile della pelle al posto di dire produciamo meno carne e diamo così un po' di respiro a madre terra, dice: visto che si produce sempre più carne allora conciamo di più che così ci sbarazziamo della pelle in eccesso. Detto in altri termini l'industria della pelle cercando di auto-assolversi si chiama in correo con tutta filiera rispetto a una serie di guai che affliggono l'orbe terraqueo.

Sembra di assistere alla gag di Paolo Villaggio nei panni del ragionier Giandomenico nell'insuperato «Fracchia la belva umana», quando di fronte ad un  impareggiabile Gianni Agus, lo stesso Fracchia si fa «la spia da solo» ammettendo la sua indole lavativa: mentre il suo superiore per punizione lo obbliga a testare un cioccolatino di scarsa fattura, «il Sempiciotto». Una sorta di pralina a basso costo per solleticare i palati a buon mercato di una piccola borghesia «in formato Ferrero Rocher, in modesta ma inarrestabile ascesa sociale», come ebbe a dire lo scrittore Giorgio Bocca, sulla scorta delle gag di Mike Buongiorno e degli spot su Canale 5.

Tuttavia la cosa stellare in tutto questo cinepanettone conciario è che l'industria italiana, ossia arzignanese, dentro questa auto-trappola, ci si è buttata da sola  pure lei. Magari sperando di associare la traiettoria virtuosa descritta nell'articolo alla necessità di piazzare un inceneritore a Montorso? Magari sperando nell'aiutino di qualche associazione pseudo-ambinetalista abbindolata all'uopo? «Lavorare la pelle: un servizio ambientale fondamentale» titola a mo' di rombo tonante il magazine on line del «Distretto veneto della pelle». Nelle cinque pagine oracolate dagli Anfiarao della Valchiampo, si riprendono appunto step by step le tesi del portale anglosferico Nothing to hide. Il quale al posto di indicare una via di uscita per la concia, ne ha indicata una verso il patibolo. Parlando astrattamente si potrebbe dire «errare humanum est, perseverare autem diabolicum». Epperò la locuzione latina che forse più si attaglia a una certa miasmatica cocciutaggine di questi Tafazzi del bottale annidati in un preciso lembo dell'occipite vicentino è «de rustica progenie, semper villana fuit»... O magari deragliando nel tardo latino goliardico-maccheronico «de conciatoria progenie, semper villana fuit». Ad ogni modo è il tempismo del magazine arzignanese che colpisce. Un tempismo, sempre rimanendo a Fracchia la belva umana», che ricorda l'irruzione al ristorante introdotta dallo stornello Benvenuti a 'sti...

domenica 13 giugno 2021

Alcune riflessioni dopo la deflagrazione del caso Fis

(m.m.) Io credo che la vicenda narrata dalla Rai non più tardi dell'8 giugno, vicenda che nei giorni scorsi ha avuto la sua bella eco in Commissione ecomafie come raccontato su Vicenzatoday.it il 20 maggio, abbia molto da insegnare. In questo momento, stante la normativa, Arpav si è mossa nella giusta direzione. Il punto è un altro però. E riguarda la norma nel suo complesso.

In tutto il mondo la produzione di sostanze chimiche viene autorizzata tout-court. Non succede come per i farmaci (anche in questo caso ci sarebbe da discutere peraltro) che prima si studiano gli effetti e poi si ne autorizza la produzione in una coi relativi scarichi. Le imprese respingono questo approccio perchè lo ritengono inconciliabile sul piano delle tempistiche industriali e sul piano della tutela della proprietà intellettuale delle formulazioni chimiche. Ma si tratta di un ragionamento che ha un bug, neanche tanto occulto. Perché quando una sostanza chimica impatta con l'ambiente, che è un ambito pubblico per eccellenza, il privato dovrebbe retrocedere il rango delle sue pretese. E soprattutto dovrebbe essere la legge ad imporglielo.

Questo non accade per i motivi che sono ben noti. A partire dal meccanismo della globalizzazione. Si può vietare una produzione in un determinato Paese ma non in uno compiacente: il dumping industriale che ne deriva per i paesi che vorrebbero applicare la linea del rigore è evidente. Ma si tratta ad ogni modo d'un aspetto superficiale perché comunque le produzioni invasive comportano costi occulti (salute, ambiente, cattiva coesione sociale) inevitabilmente scaricati sulla collettività. Quando a scavalco degli anni '80 e '90 il Veneto visse il cosiddetto secondo boom, nessuno nella classe dirigente (industriali, banchieri, politici, sindacalisti) si preoccupò davvero di disegnare un orizzonte alternativo.

Il surplus economico di quella ricchissima stagione è stato disperso in fondi esteri, edilizia forsennata (basti vedere Arzignano, quanto sia ricca e quanto urbanisticamente sia un water scrostato), auto di lusso, evasione fiscale e amenità consimili. Quel fiume di denaro non investì minimamente una ricerca mirata, una ricerca di sistema. L'unico vagito è stato il Progetto Giada, la cui portata è minuscola anche perché non ha scandagliato ogni anfratto ambientale e sanitario del comprensorio.

Parafrasando Aristotele, se la ricchezza diventa un fine e non viene considerata un mezzo, l'uomo travia la sua natura. Purtroppo l'arricchimento tout-court è stato la cifra che ha avvolto ogni cosa nell'Ovest vicentino (non che le cose siano andate troppo diversamente in altri luoghi). E di questa deriva uno dei maggiori responsabili è il sindacato che ha deposto le armi evitando lo scontro per pretendere un modello diverso.

In parte, dico in parte, una cosa del genere capitò alla fine degli anni Settanta quando il mondo del lavoro mise sul tavolo questi obiettivi. Venne centrato quello di togliere le concerie dai centri storici. Venne centrato, in parte quello di una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro. Si ottenne qualche miglioramento con la depurazione centralizzata, scaricando però a valle il problema. Non si fece alcunché per il modello di sviluppo. Il che nell'Ovest vicentino ha generato un altro problema. La monocultura conciario-chimica (che sul piano tecnologico rappresenta una industria di bassissima levatura come ricordò piú volte lo scrittore Roberto Vacca intervistato dal Gazzettino sull'apparente miracolo del Nordest degli anni '90) ha distratto risorse e intelligenze rispetto a settori come quello della meccanica avanzata e della meccatronica che giá si profilavano all'orizzonte.

Una crescita industriale qualificata e pianificata con coscienza, sarebbe stata, in un rapporto non univoco ma biunivoco, un momento di crescita anche sociale e umana del comprensorio. Questo non è avvenuto per una sostanziale miopia delle classi dirigenti, ma pure della gente. Non importa se tra dieci, cinquanta o duecento anni: comunque la pagheremo cara. Le leggi della politica e dell'economia sono mutevoli, inesatte, spesso arbitrarie. Quelle della biologia e quelle della fisica no. Nessuna lobby può mutarle. Nessun conciatore può pagare una tangente all'universo per cambiare la seconda legge della termodinamica.