La notizia dell'arresto dell'ex ministro dell'ambiente Clini diffusa dall'Ansa nel primo mattino è clamorosa. E probabilmente passerà in secondo piano a causa della presenza contemporanea del risultato delle elezioni europee. Il larghissimo consenso ottenuto da premier democratico Matteo Renzi si dovrà misurare anche con le tematiche ambientali, terreno insidioso per molti aspetti. A poche ore dalla chiusura delle urne però non si può non abbozzare una analisi. Matteo Renzi stravince. Beppe Grillo rimedia uno schiaffo, ma non cade. La Lega tiene e cresce, centristi e centrodestra arrancano. Tsipras, ovvero Sel, spera di superare il barrage del 4%. Sulla stampa si leggono già i titoloni per supersuccesso di Matteo Renzi, che ha polverizzato la soglia del 40% inglobando tutta l'area di governo. Con lui c'è l'establishment finanziario e industriale del Paese, buona parte delle elite e dei ceti benestanti che hanno ampiamente goduto delle storture del sistema Italia. Per lui hanno votato, nel quadro di una astensione ormai al 50% degli aventi diritto, anche quei meno fortunati che non vogliono abbandonare la speranza.
Ma c'è poco da stare allegri. Il vento contro l'establishment europeo, finanziario, economico o politico che sia è forte. E tale rimarrà se l'approccio rigido del gotha continentale rimarrà immutato. Se Renzi non riuscirà a rinegoaziare profondamente alcuni moloch come il fiscal compact o come lo stesso trattato di Lisbona, in autunno dovrà vedersela con una finazniaria lacrime e sangue: sia che a Roma ci sia l'attuale parlamento sia che questo si rinnovi con percentuali simili a quelle uscite dalle europee. Detto in soldoni ci vuole pochissimo perché il credito di popolarità incassato oggi, si trasformi in debito d'ossigeno in Paese obbligato, in primis da Renzi, a seguire i diktat della finanza internazionale. Il che per il giovane premier toscano potrebbe significare dolori e problemi i più vari. La vetta altissima raggiunta in queste ore potrebbe trasformarsi nella pedana di partenza di uno schianto mortale se veramente in poco tempo il capo dell'esecutivo non sarà in grado di addrizzare storture e rendite di posizione facili da criticare, ma difficilissime da vincere. Anche perché un bel pezzo dello stesso sistema, per sopravvivere, è gattopardescamente già divenuto renziano.
Anche se non è caduto Beppe Gillo è uscito sconfitto. Perché? Semplicemente perché è stato poco grillino. Per una forza che si propone di destrutturare il corpo malato del Paese non basta metterla solo sulla caciara, spesso congegnata in modo brillante peraltro; ma bisogna andare a colpire l'avversario nelle sue casematte, sulla roba, fornendo contemporaneamente modelli alternativi credibili. Un esempio? Si guardi alla sostanziale mancanza di affondo sulla Pedemontana Veneta: uno scrigno di voti per la Lega che in Europa dice di battersi contro il sistema ma che a livello locale lo alimenta flirtando con i partiti che a Strasburgo a parole dice di combattere. Si guardi al silenzio pressoché totale sul Mose, sui project financing. Si pensi ancora al mancato utilizzo delle prerogative della commissione antimafia. In questo caso l'enorme potenziale che i parlamentari hanno in termini di sindacato ispettivo e di capacità di colpire sul territorio è rimasto inutilizzato e rischia di finire all'ammasso.
E ancora attorno al M5S, a livello locale come a livello nazionale, si era creato un anello di soggetti di grande spessore culturale incuiriosito dalle capacità di incidere sulla società di questo nuovo movimento. Alcune idee erano state messe sul tappeto. Fra queste una di Giulietto Chiesa. Grillo e soprattutto Gianroberto Casaleggio hanno preferito dare poco spago a chi magari non dice solo sì e ti bacchetta se serve, andandosi a legare mani e piedi ad un cerchio di fedelissimi che si è rivelato evanescente. Questa situazione è andata di pari passo con una seconda circostanza: il sistematico allontanamento non tanto o non solo dei dissidenti famosi, quelli finiti sui giornali. A fare riflettere è soprattutto l'allontanamento o il confinamento in ruoli marginali di quegli attivisti più preparati e con una personalità più spiccata: il tutto è stato spesso perfezionato con l'aiuto di referenti di zona fidati ma poco efficaci. O perché poco avvezzi a capire il quadro della situazione, o perché condizionati da timori reverenziali, o perché presi dentro in qualche interesse più o meno minuto. Un discorso analogo vale anche per i soggetti candidati o eletti nelle amministrazioni locali, che scontano inesperienza e spesso insipienza. L'onestà da sola non basta, occorrono le capacità e la predisposizione al combattimento, quello sui ring che contano.
Silvio Berlusconi è sul viale del tramonto. Ma cercherà ancora di far valere il suo peso in termini di condizionamento sul governo. Per valutare questo apsetto basterà vedere come Renzi affronterà alcuni temi importanti come la giustizia, l'introduzione dell'autoriciclaggio, la legge sulla concentrazione pubblicitaria e quella sulle infrastrutture telematiche dove Berlusconi e famiglia conservano diversi monopòli. Come dicono i giornalisti americani, "follow the money".
Marco Milioni
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