domenica 2 agosto 2015

Il Galan che è in Zaia

Non che la cosa fosse ignota. Ma alla fine Luca Zaia ha dovuto mostrare la sua vera natura. Quella di erede del sistema di potere messo in piedi da Galan e soci. Basta una scorsa veloce al progetto di legge regionale sulla revisione dei project financing per capire quale sia l'intenzione reale del governatore veneto. «Per la copertura di oneri che sono previsti a carico della Regione - si legge all'articolo 4 comma 5 del disegno di legge 15 del 29 giugno 2015, primo firmatario Zaia - per la realizzazione di singole opere non oggetto di provvedimenti di revoca e che non sono ancora finanziati, la giunta regionale è autorizzata a ricorrere alla concessione di mutui da parte della Cassa Depositi e Prestiti o da parte di altri Istituti di credito e comunque a contrarre ad altre forme di indebitamento consentite dalla legislazione vigente per un importo complessivo non superiore a Euro centocinquanta milioni di euro».

Questo potrebbe essere il costo per l'uscita in bonis dalla partita dei project financing. La cosa grave è che Zaia non spiega esattamente quali siano gli oneri per la regione. Segno evidente che non ci sono. O, a meno che non siano stati occultati in qualche incoffessabile accordo mai venuto alla luce, se ci sono, sono più che altro immaginari, perché il richiamo all'articolo «21 quinquies della legge 7 agosto 1990 numero 241» in ragione del quale lo Stato prevede un ristoro a favore del privato è campato per aria. Il ristoro infatti è previsto dalla norma solo a fronte di circostanze specifiche, per esempio un contratto valido, magari di convenzione, già stipulato tra le parti. L'avvio di un semplice iter non costituisce alcun titolo di pretesa da parte dei privati. Zaia, o meglio i legulei che gli hanno scritto il disegno di legge, lo sanno; tanto che per impiccare la regione all'albero di futuri pagamenti verso terzi, all'oggi non si capisce perché dovuti, è necessario che sia proprio la deibera allo studio del consiglio a disegnare il diritto acquisito per il privato.

E come lo fa? Stabilendo che se le mutate condizioni di mercato non rendono più sostenibile il progetto di finanza proposto dal privato è l'ente regionale a indennizzare il privato stesso. Incredibile ma vero. È tutto nero su bianco, basta leggere l'articolo 4 comma 4 del disegno di legge al vaglio del consiglio regionale: «Nel caso in cui, nell’ambito della procedura di revisione, la Giunta accerti l’attuale insussistenza di condizioni di fattibilità dell’iniziativa per il venir meno delle condizioni economico-finanziarie a supporto della sostenibilità economico-finanziaria dell’intervento... l’Amministrazione procede all’adozione degli atti conseguenti... salva la possibilità di addivenire ad una revisione del piano economico finanziario nel caso che le condizioni di fattibilità siano variate per cause imputabili alla Regione o per sopravvenute modifiche normative». Come si sa il diavolo si nasconde nei dettagli.

Per di più  nel disegno di legge in itinere per rendere ancora più praticabili le possibili richieste risarcitorie dei privati, che altrimenti poco avrebbero da pretendere, si compie un'altra forzatura. Quale? Alla base del project financing sta la nozione che il rischio d'impresa non se lo cucca Pantalone, ovvero il pubblico, ma il privato. Di converso se si leggono le carte si scopre il distillato di un'altra astuzia: astuzia da quattro soldi, per chi ha dimestichezza con la materia, difficile a scovarsi se non la si mastica un pochino. Mister Zaia infatti per circoscrivere e rendere ancor più cogente l'ambito di eventuali ristori non usa il termine, come sarebbe da aspettarsi, «contratti» in essere o convenzioni, bensì quello di «procedimenti». Di regola io pubblico al limite ti posso riconoscere un danno se vengo meno ad un impegno sottoscritto mediante contratto. Non se il mercato ha cambiato orientamento e punisce la tua iniziativa d'imprenditore. Per questo motivo l'avere utilizzato all'articolo 4 comma 6 il temine procedimenti («per le ipotesi di revoca di procedimenti di finanza di progetto...») e non contratti o convenzioni o concessioni, dilata in modo spaventoso l'opzione per il privato di batter cassa a palazzo Ferro Fini. E non è un caso che già comincino a levarsi le prime doglianze. In pratica basta avere avviato una procedura che abbia passato il vaglio della dichiarazione di interesse pubblico (e l'indagine sul Mose ci ricorda come Galan, Chisso e Minutillo procedessero in tal senso), per potere andare accompagnati con l'avvocato a palazzo Balbi a chiedere milioni. Rimane da capire se la cosa sia frutto della ignoranza del governatore in materia di diritto amministrativo, o se qualche manina abbia inserito, in una legge che in prima battuta può pure avere un impianto condivisibile, quei due tre commi famelici i quali potrebbero trasformarsi in manna dal cielo per i soliti amici degli amici scottati da un mercato del quale in realtà non affrontano mai le asperità, e che ha fatto naufragare un modello di business, quello di lorsignori, già ampiamente ossigenato dall'ente pubblico.

Ora per capire chi siano lorsignori basta un controllo incrociato con i documenti ufficiali che alcuni preoccupati funzionari dell'assessorato alle infrastrutture hanno fornito alle commissioni bilancio e trasporti, i due organismi che hanno accompagnato la gestazione della legge verso l'aula che dovrebbe cominciare a visionare la delibera già il 4 agosto. Da quelle poche ma significative carte si capisce quali siano le forze in gioco. E si capisce pure chi potrebbe avere interesse affinché il consiglio approvi una norma che salvi la banda del project, ovvero il club degli amici di Galan. La tabella in possesso della giunta parla chiaro: «Confederazione delle autostrade per la Nogara Mare; Pizzarotti, Mantovani e Maltauro per il Sistema tangenziali Veneto; Grandi Lavori Fincosit, Adria infrastrutture» e chi più ne ha più ne metta. Nei mesi passati Zaia, più o meno, è riuscito a far ingollare la balla che lui, anche se scarico da coinvolgimenti penali (per ora), dei project di Galan non sapesse nulla pur essendo stato numero due della giunta. Un altro mega rospo il leghista l'ha fatto inghiottire ai veneti quando il suo esecutivo ha approvato la delibera vergogna che modificava la convenzione della Pedemontana Veneta a favore del soggetto privato.

Oggi ci riprova addirittura con una legge che per volere dello stesso governatore deve essere approvata a tambur battente. Ma perché tanta fretta? Per caso oltre alla legge che farà brindare gli amici di Galan, che affranti dalla arsura della crisi dei loro progetti al gusto di asfalto e cemento, potrebbero trovare un po' di refrigerio nelle tasche del contribuente veneto, la cosiddetta norma blocca project serve pure ad apparecchiare uno stop alla Valsugana bis? Sì proprio quella Valsugana bis che sembra essere uno dei principali ostacoli ad un sì trentino alla Valdastico Nord, l'ennesima porcata riconcepita durante l'era dell'utilizzatore finale di Arcore, riproposta ai veneti da una accolita di politici e imprenditori pronta cassa trasversalmente devoti alla grande mammella pubblica?

Se Zaia vuole davvero bloccare i project, più che 150 milioni, ne metta da parte tre o quattro per un collegio legale veramente autonomo e con le palle. Ricorra alla magistratura penale e a quella amministrativa (contro la Spv il Tar ha già dato ragione a chi si oppone) e se del caso aizzi l'opinione pubblica contro la cricca del Mose con ferocia quintupla di quella con cui certi ambienti leghisti si sono scagliati contro l'ondata, vera o presunta, di clandestini e profughi. Allora Zaia dimostrerà davvero di essere un amico del Veneto (sui veneti stendiamo un velo pietoso perché molti si meritano quanto patito fino ad oggi, o perché culturalmente servi, o perché intrallazzati a loro volta col sistema). In caso contrario l'enologo di Treviso si mostrerà per quel che è. L'ennesimo doroteo attento solo alla gestione del potere e degli interessi ad esso retrostanti. Il che spiegherebbe tutto il finto distacco dimostrato verso l'era Galan. Un distacco messo in scena non per contrastare quei supremi interessi, ma per divenirne nuovo e più passabile maggiordomo. Per dirla come Pierino, alias Alvaro Vitali, (si passi la citazione forse troppo colta per la giunta regionale), «invertendo le chiappe il prodotto non cambia». Insomma detto alla grossa con questa norma la regione rischia di inventarsi un debito verso terzi, quando caso mai sono i privati della cricca del project che dovrebbero rendere il maltolto, anzi il malloppo, alla collettività delle Venezie. Quanto al Mose poi ci sarebbe un ultima cosa da dire.

Chi ha letto le carte della progettazione nonché i dubbi emersi in tantissimi ambienti scientifici sa una cosa. Tempo tre quattro anni alcuni nodi verranno al pettine. Uno di questi è il sistema di cerniere che tiene le paratie mobili ancorate al resto del sistema. Ruggine, salsedine, pressione faranno strame del sistema vanto del gruppo Mantovani alias famiglia Chiarotto. Il Mose, che dio solo sa quando sarà completato, diventerà allora anche una ferita non cicatrizzabile. Il che comporterà un esborso milionario costante per mantenerlo se non funzionante, perché probabilmente non lo sarà mai, ma almeno stentatamente integro. In questa faccenda la cosa simpatica sta però nel fatto però che eventuali malfunzionamenti, per legge, gravano sullo Stato e non su chi ha realizzato (scientemente o meno poco importa) i lavori alla viva il parroco. Un altro rubinetto infinito è stato aperto in ragione di un ordito premeditato molto tempo prima. Ora, i soloni di Confindustria che predicano un giorno sì e l'altro pure contro gli sprechi della spesa pubblica e a favore del rientro dello Stato dal suo debito, come mai non imprecano contro questa spesa malata che fa rima con grandi opere? E se mutatis mutandis questo meccanismo lo rivedremo anche nella Spv, allora significherebbe che le stesse menti, hanno dato vita allo stesso congegno infernale...

Marco Milioni
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