giovedì 21 marzo 2019

Affaire Pfas: nubi nere su Regione, Arpav e Provincia di Vicenza

Gli sviluppi delle ultime ore del caso Pfas rendono ancora più cupa la vicenda di uno dei casi di contaminazione tra i più discussi nel Belpaese. Da una parte ci sono le rivelazioni contenute in una relazione al vetriolo inviata dal Noe alla procura berica, di cui parla diffusamente Greenpeace, la quale in passato aveva attaccato gli enti territoriali veneti. E poi ci sono gli elementi che emergono dalla lettura in filigrana del verbale con cui, sempre i carabinieri del Noe, hanno recentemente multato Miteni, la spa trissinese ritenuta al centro del caso Pfas, oggi fallita per giunta, per un importo di 400mila euro.

IL PROLOGO
Ai primi di marzo sui media veneti ha fatto molto scalpore la notizia della sanzione amministrativa da 400mila euro che i Carabinieri del Noe di Treviso avevano inflitto alla Miteni di Trissino, fabbrica del Vicentino da anni al centro dell’affaire Pfas. La sanzione è stata elevata perché l’azienda non avrebbe comunicato agli enti competenti il contenuto di alcune analisi in suo possesso dalle quali si evinceva la presenza di due temibili sostanze chimiche che sarebbero finite in falda: ovvero l’arcinoto GenX e il meno noto C6O4. Due sostanze “sorelle” dei Pfas (una famiglia di componenti chimici assai mal visti dal mondo ambientalista). La vicenda della sanzione da 400mila euro ai primi del mese aveva fatto discutere anche la politica regionale, ma quest’ultima, a partire dalla giunta veneta, guidata dal governatore leghista Luca Zaia, fino ad oggi si è ben guardata dallo sviscerare gli elementi che emergono da quella stessa vicenda, anche in ragione del fatto che copia del verbale della sanzione era stata inviata all’«Area tutela e sviluppo del territorio» della Regione Veneto con una missiva del Noe datata 26 febbraio 2018. Missiva che per la prima volta viene pubblicata da chi scrive in forma pressoché integrale.   

TRA LE PIEGHE DEL PROVVEDIMENTO
Per agevolare la lettura delle carte nonché delle tabelle accluse e soprattutto per provare a imbastire una analisi della documentazione è necessario ricordare «GenX» è un nome commerciale, mentre la sigla che identifica la molecola è HFPO-DA. Ora, nella colonna di destra della tabella acclusa a pagina 11 si dà conto dei tempi in ragione dei quali Arpav stima si sarebbe propagata la contaminazione. Ragionando a spanne si può argomentare che il GenX per allontanarsi di sette kilometri dalla Miteni avrebbe impiegato tre anni e mezzo. Il C6O4 per allontanarsi di 13 kilometri avrebbe impiegato più o meno nove anni. Ora assumendo che l'inquinamento da GenX e C6O4 è stato scovato quanto meno dall'estate 2018, è assai probabile che l'inquinamento da GenX sia iniziato tre anni e mezzo fa e quello da C6O4 sia iniziato ben nove anni orsono: il tutto senza soluzione di continuità. Se poi si considera che, in embrione, la bonifica del sito della spa trissinese ha avuto inizio nell'estate 2013, vuol dire che una buona parte dell'inquinamento da GenX ed una buona parte dell'inquinamento da C6O4 sarebbero avvenuti mentre Arpav coi suoi uomini era nello stabilimento trissinese. Possibile che non si siano accorti di nulla? E tale interrogativo vale sia per la catena gerarchica interna alla agenzia ambientale o vale anche quando gli investigatori di Arpav agivano, sempre tra le mura della Miteni, all’interno della catena gerarchica della indagine penale ovvero quali ufficiali di polizia giudiziaria agli ordini della procura berica?

Sintetizzando per le spicce se quello che dicono le carte è vero che mentre Arpav cercava solo i vecchi fattori della contaminazione, la falda ha continuato ad essere contaminata da sostanze "più moderne" mentre i vertici apicali di Arpav, come se fosse vittima di un incantesimo o di un paraocchi invisibile, si è limitata a cercare solo i Pfas di vecchia generazione? Tanto che a questo punto c'è una domanda che sorge spontanea. Ci sono per caso dentro e sotto la Miteni sostanze, non necessariamente Pfas, che hanno contaminato l'ambiente e che non sono mai state cercate?

RILETTURA APPROFONDITA
Provando poi a rileggere gli eventi alla luce della missiva giunta all'«Area tutela e sviluppo del territorio» si potrebbe intuire che quello che hanno scoperto i Carabinieri del Noe sul GenX è quello che invece per contro avrebbe dovuto scoprire Arpav durante gli accertamenti quando quest’ultima era nello stabilimento. Detto in ancora in altri termini Arpav avrebbe dovuto o potuto procedere con due mosse. Uno, chiedere al laboratorio interno della Miteni se aveva mai analizzato prima del giugno 2018 i GenX e il C6O4. Due, chiedere al laboratorio Chelab se le analisi presentate dalla Miteni nel 2018, dalle quali emergeva inquinamento da GenX (quest'ultimo peraltro lo aveva già riscontrato Arpav) e C6O4, fossero tutte o se vi fossero altre analisi antecedenti non trasmesse agli enti pubblici: mancata trasmissione che poi è alla base della sanzione amministrativa elevata dal Noe alla Miteni.

Se ne ricava che poiché nel luglio 2013 è iniziato in embrione il procedimento di bonifica del sito Miteni, Arpav avrebbe dovuto accorgersi che oltre all'inquinamento da Pfas, vi era anche un inquinamento da GenX e C604. Peraltro il GenX e il C6O4 sono sostanze che appartengono comunque alla famiglia dei Pfas e il fatto che rientrassero nella lista dei componenti in lavorazione presso lo stabilimento trissinese era cosa nota, quanto meno agli addetti ai lavori. Significa quindi che Arpav si è limitata a ricercare solo quello che aveva scoperto il Cnr nel 2013 quando deflagrò l’affaire Pfas?

IL J'ACCUSE DI GREENPEACE
La questione riveste però un aspetto ancor più cruciale se la si mette in correlazione con il j’accuse di Greenpeace che in queste ore pubblica una breve nota corredata da un paper molto articolato in cui prende di mira le responsabilità della Provincia di Vicenza, dell’Arpav e di conseguenza della Regione Veneto proprio nella genesi del caso Pfas. Accuse che traggono fondamento, secondo l’associazione ambientalista, dal fascicolo d’inchiesta sul caso Miteni e più segnatamente dalla relazione conclusiva che i Carabinieri del Noe hanno inviato alla procura della repubblica di Vicenza che da anni indaga su uno dei più noti casi contaminazione di tutto il Paese.

LO SCENARIO
Una relazione che in alcune parti peraltro poche ore fa era stata anticipata in un lungo approfondimento curato da Corrado Zunino su Repubblica.it. Un articolo in cui si fa il nome di un alto funzionario di Arpav che sarebbe stato messo a parte della situazione di grave contaminazione in atto presso Miteni da un professionista che lavorava per conto di quest’ultima. Tanto che Greenpeace, così racconta La Repubblica, si è spinta a porsi domande assai precise: «L'Arpav ha avviato un'indagine interna? La sua dirigenza ha informato i vertici regionali?» Domande che sempre in base al racconto di Repubblica ne fanno nascere un’altra. Ovvero questo stato di cose ha finito per «ritardare le indagini e la bonifica?». Si tratta di quesiti che pesano come macigni soprattutto se si considera il fatto che quest’estate anche l’operato della procura berica è stato pesantemente criticato in un esposto indirizzato al Csm dai deputati veneti Francesca Businarolo e Sara Cunial.

Ma le cose stanno davvero così? Le nubi che si stagliano, in primis su Regione e Arpav, sono così nere e così dense? Chi scrive ha chiesto una replica alla direzione generale dell’Area tutela e sviluppo del territorio della Regione Veneto nonché alla direzione regionale di Arpav Veneto senza però, almeno per il momento, ottenere risposta alcuna.

Sullo sfondo poi rimane una domanda di non poco conto. Se l'affaire Miteni sfocerà in un processo che giunge a sentenza incomberà o no la prescrizione? Buon senso, logica, giustizia e diritto indurrebbero a pensare di no. Tuttavia diverse sentenze e soprattutto alcune considerazioni filtrate in passato dalla procura berica farebbero pensare in modo diverso. La questione di fondo è che quanto accaduto col caso Miteni induce senza dubbio a pensare che se si avrà a che fare, anche, con una accusa di disastro, questa non potrebbe o non dovrebbe incappare nella tagliola della prescrizione giacché ci si troverebbe di fronte a quello che i giuristi più acuti chiamano «reato eventualmente permanente» che è poi quello in cui una condotta lesiva, nel caso Pfas lesiva per l'ambiente, viene ripetuta continuamente poiché non vengono mai meno i presupposti del continuo nocumento ambientale: aspetti che in qualche misura vengono richiamati da due pronunciamenti della Cassazione. Il primo, afferente alla prima sezione, risale al 17 dicembre del 1992, il secondo, recentissimo ed afferente alla terza sezione, è datato 28 febbraio. I magistrati vicentini conoscono queste sentenze? Rimane poi da capire quale sia la situazione nel Veneto centrale rispetto ad alcuni composti usati in chimica farmaceutica ma non solo (in primis l'acido trifluoroacetico e trifluorofenilacetico). Da anni rispetto a queste due sostanze si parla di presenza di contaminati in misura rilevante nei dintorni della Fis di Montecchio Maggiore, una industria nata nell'Ovest vicentino e molto attiva nella chimica di base. 

Marco Milioni

2 commenti:

  1. Sarebbe ora di dimostrare che la Giustizia è ancora esistente in questo Paese. Chi ha sbagliato si difenda ma se risulta colpevole paghi senza se e senza ma!
    Grazie Marco!

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