lunedì 13 dicembre 2010

Calearo un, due, tre

Ebbene sì: nel suk parlamentare, a svettare è lui, il deputato eletto col Pd, poi passato all’Api (per chi non lo sapesse: il micro-partito di Rutelli) e ora nel gruppo misto, Massimo Calearo Ciman. Un raro esempio di coerenza, onestà e bassezza morale. Com’è possibile? Possibilissimo. L’industriale vicentino, ex presidente di Federmeccanica ai tempi della Confindustria di Montezemolo, ha il pregio di non nascondere dietro ipocrite conversioni dell’ultima ora le motivazioni che lo trattengono in politica e che lo hanno portato via via in braccio al blocco berlusconiano: nessuna idea, solo fedeltà di casta. Quella confindustriale.


C’è la fiducia al cosiddetto governo, martedì 14 dicembre. Fra i banchi del parlamento si è scatenato il calciomercato. Pare che con 500 mila euro si possa fare l’affare e portarsi a casa un onorevole o un senatore. Antonio Razzi dell’Italia dei Valori, «con sofferta decisione» esce dal partito di Di Pietro e voterà a favore di Berlusconi, odiato come il male assoluto fino al giorno prima. Sentiamo Calearo, bocca della verità: «A me personalmente nessuno ha mai prospettato niente, del resto non ne avrei bisogno. Ad ogni modo non ho problemi a dire che umanamente non condanno uno che, prendendo un certo stipendio ed avendo certi impegni economici, ora che non esistono più le ideologie fisse accetta una ricandidatura ed un aiutino. In certe condizioni è difficile dire di no, soprattutto se dalla tua parte ti hanno fatto capire che non ti ricandideranno». Ricco di suo, effettivamente mezzo milione di euro, che pure non gli farà certo schifo, non deve essere la svolta della vita. Ma il punto, signora mia, è che non ci sono più i valori di una volta: le “ideologie fisse”, come le chiama Massimo il pragmatico.

E allora l’unico metro di misura per un pover’uomo che, metti caso, si sia progettato un futuro grazie alla politica diventa l’incubo della ricandidatura: mi ricandideranno o no? Se la risposta è negativa o incerta, nulla di male a saltare il fosso. Con una buona uscita nell’ordine di centinaia di migliaia di euro, poi, sarebbe da fessi rifiutare - fa intendere neanche troppo velatamente il realista Calearo.
Però anche lui: transitare da un partito all’altro come si cambia il tram… Non si fa. Il padroncino del Nordest, lo diciamo a ragion veduta perché abbiamo avuto l’occasione di conoscerlo, ragiona da padroncino del Nordest: logica lineare con solidi e neri paraocchi che gli rendono la vista impermeabile alle critiche, e che tuttavia gli fanno cogliere la realtà secondo una visuale inattaccabile: esiste solo il suo punto di vista, il resto non conta.

Lo spiega bene lui stesso: «Negli ultimi due anni si è verificato un completo ribaltone. Il Pd guardava a Obama e adesso vede Vendola. Il Pdl ora si trova spaccato da Futuro e Libertà. Quando cambiano così radicalmente le condizioni, non puoi accusare nessuno di essere una bandiera al vento. Prendiamo proprio il mio caso. Una sera vengo invitato da Veltroni ad addormentarmi con il sogno di un partito di governo che combatte la lotta di classe e la mattina dopo mi sveglio con Bersani che ci porta a Cuba e alimenta l’odio di classe». Capito? Lui in testa si era fatto il film di una forza all’americana, un remake italiano di Obama, e Veltroni per lui ne era il regista, produttore e garante. Non importa che sapesse benissimo già allora, nel 2008, che nel Pd c’erano anche D’Alema e il suo ventriloquo Bersani, con quel che resta dell’apparato saldamente nelle loro mani. Non importa che Veltroni non c’entrasse un fico secco con Obama, se non per il gusto di Walter per il buonismo generico che scalda i cuori e prepara la vaselina (è molto più Obama un Vendola, col suo millenarismo parolaio).

E non importa che di Bersani tutto si possa dire tranne che si porti nel sangue tracce di veterocomunismo alla cubana (ché poi anche nell’isola di Castro il castrismo sta scolorendo anno dopo anno, ma Calearo evidentemente legge solo la politica interna e l’economia, sempre che legga i giornali).
 E arriviamo al dunque: il problema è che «si continua a guardare alle ideologie, invece che alla situazione economica del Paese. E le colpe non le ha Berlusconi, ma l’opposizione che non c’è». Le ideologie, queste maledette finzioni che non aiutano le imprese. Perché la bussola di Calearo è regolata solo da loro, dagli imprenditori, da quelli come lui. Il resto della popolazione? Non pervenuta. «Passerò anch’io per il centro della politica, dove porterò con me i suggerimenti dei tanti industriali metalmeccanici che mi fanno sempre sentire a casa, dovunque li trovi. Sono loro i miei consiglieri, non certo i politici. I parlamentari sono colleghi miei a tempo, gli imprenditori sono miei colleghi a vita».

Questo è parlar chiaro. Lo diciamo senza sarcasmo: Calearo dice pane al pane e vino al vino. Per lui la politica è solo la continuazione degli affari con altri mezzi. E tutto ciò che ostacola questa visione, gretta e corporativa ma sincera, è “ideologia”. I “suggerimenti” di cui si farà portatore li immaginiamo già: lobby, lobby e ancora lobby per applicare i diktat indiscutibili del mercato e dei suoi padroni (e dei padroncini come lui, che invece di separare l’interesse delle piccole e medie aziende da quello della grande industria assistita e grassatrice, come sarebbe giusto, la adula e se ne mette a rimorchio). Bravo Calearo: almeno non ti atteggi a uomo che ha un’idea. Non ne hai una che sia una. Ammetterlo con candore ti fa tristemente onore.

Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del giorno 10 dicembre 2010
riportato su lasberla.net del giorno 11 dicembre 2010
Tutti i virgolettati sono ripresi dall’intervista apparsa sul Corriere del Veneto, «Sognavo Barack Obama ora sto con Berlusconi. Non lo sfiducio», 8 dicembre 2010.

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