Che le vicende recenti della Popolare di Vicenza portassero con sé molti lati oscuri lo avevano presagito in tanti. Oggi però le ombre del passato continuano ad addensarsi ad libitum. E continuano a dispiegare i loro effetti sui passaggi più delicati e controversi della vita dell'istituto, quasi fossero non tanto un mix di mala gestio, contingenze economiche e reati su cui indagano le toghe, ma piuttosto il frutto d'una stregoneria ancestrale. Un quadro a tinte fosche che fa assomigliare Vicenza più alla Derry di Steven King, dominata dal demone "It", che alla città di Andrea Palladio la quale l'agiografia padana descrive devota a Dio e al lavoro.
L'ultimo di questi passaggi delicati è andato in scena venerdì scorso quando in circostanze ancora tutte da chiarire l'assemblea dei soci, che il 5 marzo aveva invocato trasparenza e una azione di responsabilità contro gli ex amministratori «colpevoli di avere ridotto» la banca nello stato in cui versa adesso, è riuscita a rimangiarsi la parola. Bloccando con un clamoroso niet la proposta di quegli azionisti che si erano detti favorevoli ad agire in sede civile contro l'ex board.
Ne è nato l'ennesimo caso nazionale. Addirittura Radio 24 ieri ci ha costruito un approfondimento speciale durante Focus Economia. Uno speciale durante il quale perfino un osservatore tanto attento quanto navigato come il conduttore Sebastiano Barisoni ha dovuto spostare il grosso del suo ragionamento sul contesto poco trasparente dentro al quale si sarebbe consumato l'ennesimo strappo a danno dei risparmiatori. Non mancano chiaramente gli analisti che hanno puntato l'indice sui soci di peso della banca. I quali in una situazione di incertezza dovuta addirittura ai dubbi sulla reale volontà di Unicredit di mantenere gli impegni per garantire l'acquisto delle azioni di BpVi che il mercato borsistico non volesse accettare (inoptato), avrebbero preferito non far tremare le fondamenta dell'istituto. Ma le cose stanno davvero così? Oppure alcuni tra i grandi soci hanno il nervo scoperto rispetto ad operazioni poco vantaggiose per la banca che il vecchio board avrebbe comunque garantito per ragioni di sistema o politiche? O addirittura esiste una partita in corso per scaricare sul risparmio i pesi dovuti alla vecchia gestione per poi farla tornare in sella, magari sotto mentite spoglie, dal momento che ancora influenza i vertici della banca?
Sarà il tempo, forse, a far chiarezza. Ma le cronache intanto fotografano una situazione che rimane piena di incognite e che rischia di mandare all'aria i buoni propositi che si erano comunque manifestati il 5 marzo, giorno della assemblea che sancì la trasformazione della popolare in società per azioni. Una metamorfosi che sul piano amministrativo ha avuto pieno compimento in questi giorni con la trascrizione del libro dei soci presso i registri della Camera di commercio berica.
Questi registri dicono anzitutto una cosa. Fatto cento il monte delle azioni di BpVi (che dovrebbe sbarcare in borsa anche se non si sa quando) ben il 62,45% appartiene alla stessa Banca ed è pari a 62milioni 818mila 340 azioni. Una cifra monstre. Azioni che dovrebbero finire sul mercato, ma che comunque costituiscono una anomalia de facto che il codice civile in molti casi proibisce (Vvox.it pochi minuti fa ha dedicato una analisi al tema; nella quale si spiega comunque che il dato reale delle quote azionarie sarà comunque estrapolabile solo quando saranno visionabili i bilanci ufficiali). E che potrebbe essere oggetto di un'altra guerra di carte bollate. Va poi aggiunto che il soggetto che controlla quel pacchetto di maggioranza assoluta avrebbe potuto, quanto meno in termini di moral suasion, sbarrare la strada proprio all'azione civile. Il condizionale è d'obbligo perché al momento nomi e cognomi dei soci che realmente hanno detto no all'azione di responsabilità sono schermati dal vincolo di riservatezza che incombe sul verbale della seduta. Ma non è detto che questo schermo duri per sempre. Magari potrebbe essere infranto per l'azione della magistratura o per l'azione in sede civile di qualche azionista.
Altrettanto ingarbugliato rimane poi il quadro di coloro che al momento si contendono la hit parade dei soci di BpVi al netto del gigantesco ed anomalo 62,5% detenuto dalla banca stessa. A far data dal 29 marzo 2016 il primo azionista (secondo se si conta la Popolare) di via Framarin risulta la Cattolica Assicurazioni con 894.674 azioni pari allo 0,89% del totale. Segue l'imprenditore Silvano Ravazzolo che col suo 0,82% si piazza terzo. Ma se quest'ultimo somma le sue azioni a quelle del fratello Giancarlo (0,65%) i due sorpassano addirittura Cattolica: con un segno rosso da fare sul diario di bordo della vicenda. Perché proprio i Ravazzolo, che non sono certo dei big dell'economia veneta, sono al centro di una querelle (ben descritta da Mario Gerevini sul Corsera) che li vede tra coloro che sarebbero stati pesantemente finanziati da BpVi per l'acquisto delle stesse azioni di BpVi. Una pratica non consona che sarebbe tra le cause delle disgrazie dell'istituto berico.
Al quarto posto si piazza addirittura una società in liquidazione, la Elan srl di Carré nel Vicentino, con lo 0,66% delle azioni. Della quinta posizione di Giancarlo Ravazzolo è già stato riferito, mentre il sesto è appannaggio del noto imprenditore Luigi Morato con lo 0,56%. Appresso c'è la Lujan (0,52%) un nome che in un lungo servizio de l'Espresso compare legato a filo doppio all'imprenditore romano Alfio Marchini. All'ottavo posto c'è invece la fondazione Roi alle cui vicende Vvox ha dedicato un approfondimento del direttore Alessio Mannino che porta la data del 4 marzo.
E le sorprese non cessano dal momento in cui in nona posizione si colloca un misterioso Gamma Fund, probabilmente straniero, del quale la Camera di commercio nemmeno indica un codice fiscale. In decima posizione fa poi capolino Generali financial holdings (nessuna nazionalità indicata, nessun codice fiscale). A scendere non mancano altri nomi di spicco come Antonella Amenduni Gresele della omonima casata degli acciaieri vicentini. E poi la Nomura bank international, la reggiana Effe Energy (a sua volta controllata da una società lussemburghese), la Folco finanziaria, le Assicurazioni Generali, ancora altri rampolli Amenduni, la Allianz, i Dalla Rovere, i Caovilla, una misconosciuta signora Bertilla Xillo fino ad arrivare alla Soges. Su questa spa che detiene ben 234.457 azioni va fatta una considerazione a parte. Nell'azionariato di Soges c'è Antonino Faranda, imprenditore siculo-laziale nel ramo alimentare, nonché re dei discount della capitale. Della sua galassia, che ruota attorno al marchio Tuo, fa parte anche il brand Doreca che nel 2013 il gruppo BpVi finanzia indirettamente acquisendone un 13%. L'operazione è documentata dalla stessa banca berica che in un pomposo dispaccio stampa sempre del 2013 tesse le lodi dell'operazione.
Ma c'è un ma. Assieme ad un altro imprenditore Faranda nel settembre 2015 finisce invischiato nel gorgo dell'inchiesta Sberlati, una storiaccia sarda di malversazioni a danno dello Stato. Lo stesso Faranda a Roma vanta relazioni di primissimo livello. A partire da quelle con uno degli uomini più chiacchierati e potenti d'Italia, il cosiddetto metamassone Giancarlo Elia Valori. Per le sue liason alto di gamma Faranda finisce anche in uno speciale de Il Foglio redatto lo scorso anno da Stefano Cingolani. Tuttavia il nome di Valori torna ad avvicinarsi a quello della Banca Popolare di Vicenza. Come? Il giorno 8 luglio 2015 Emiliano Fittipaldi su l'Espresso, uno dei più attenti osservatori delle trame e dei villi intestinali della città eterna (è l'autore di Avarizia), scoperchia la pignatta maleodorante dell'affaire Consap. L'ente governativo capitanato da Mauro Masi si sarebbe infatti accollato il peso di un rottame, il fondo immobilare Sansovino, ormai ingestibile dal precedente proprietario, la Sgr Serenissima che vede tra gli uomini chiave proprio Valori. E che vede tra i soci diretti o indiretti la famiglia Amenduni, ma pure l'istituto berico, fino a poco fa capitanato dal rex vini Gianni Zonin. Le partecipazioni della BpVi peraltro erano state al centro proprio di una analisi pubblicata da Vvox poco prima della fine dell'anno. Se ne ricavano alcune domande precise. Chi c'è veramente dietro l'azionariato di peso di BpVi? Quali finalità hanno queste persone? Per quanta parte il futuro della banca sarà il frutto di ragionamenti su base imprenditoriale e quanto invece di accordi o manovre di corridoio, magari in salsa massonica? Quanto hanno pesato gli input giunti dai servizi segreti del Belpaese e magari dai loro referenti d'Oltreoceano, quando BpVi decise di creare d'emblée la controllata Banca Nuova in terra di Trinacria? Quanto contano i buoni rapporti tra Gianni Zonin e Nicolò Pollari ex dominus del Sismi? A qualche politico di rango è mai venuto in mente che Banca Nuova, con tutto ciò che comporta in tema di rapporti con BpVi, sia stata in realtà una centrale occulta incistata in una banca, de facto nelle mani di pezzi degli apparati? E se questo è accaduto quali sono state le coperture a livello di governo? E tra gli alleati d'Oltreoceano?
Marco Milioni
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