Il
Veneto centrale è seduto sopra una ecobomba ad orologeria. Per
ricordarlo a politici, amministratori, burocrati e imprenditori il
giorno 8 ottobre a Lonigo,
importante centro agricolo e commerciale del basso Vicentino, hanno
sfilato in
oltre diecimila.
La cittadina, che affonda le sue radici nella preistoria, è divenuta
suo malgrado, il simbolo di una contaminazione da derivati del
fluoro. Sono i Pfas e sono prodotti dalla Miteni, una fabbrica che si
trova a Trissino, venticinque kilometri più a Nord sempre in
provincia di Vicenza. Nel 2013 l'affaire Pfas è diventato un
caso nazionale,
anzitutto per le sue proporzioni giacché la contaminazione secondo gli organizzatori i cui dati non sono stati mai smentiti dalla Regione «tocca un
bacino potenziale di utenti di 350mila persone residenti nelle
province di Vicenza, Padova e Verona lungo il bacino
dell'Agno-Guà-Fratta-Gorzone», un sistema fluviale che nasce sulle
piccole Dolomiti per giungere sino all'Adriatico.
Proprio
nel 2013 l'Agenzia ambientale della Regione Veneto, l'Arpav, a
seguito di uno studio sulla qualità delle acque potabili, di
superficie e di falda, condotto dal Cnr, aveva identificato nella Miteni la
sorgente di tale contaminazione. L'azienda inizialmente ha
disconosciuto gli addebiti; poi però le contestazioni, anche a
seguito di una serie di esposti molto circostanziati da parte di
alcune organizzazioni ambientaliste e da parte di alcuni attivisti
del M5S, sono sfociate in una inchiesta della procura della
repubblica che potrebbe avere esiti clamorosi. A quel punto sempre
l'azienda, col consigliere delegato Antonio Nardone, ha
chiamato in causa
quelli che fino al 2008 erano i precedenti proprietari della Miteni,
ovvero i giapponesi della Mitsubishi anche se il presidente Brian
Anthony McGlyn, dettaglio non da poco, rivestiva la stessa carica
sotto entrambe le prorpietà.
I giapponesi dal canto loro dopo un periodo di coabitazione
societaria con l’Eni, avevano precedentemente acquisito l'impianto
proprio dal colosso energetico italiano, il quale a sua volta l'aveva
acquistato dalla Marzotto, l'influente casata industriale veneta che
è originaria proprio di Trissino in valle dell'Agno.
L'UTILIZZO
E I RISCHI PER LA SALUTE
Ma
quale è il campo di utilizzo di queste sostanze? In realtà i Pfas
hanno un campo di utilizzo sterminato. Gergalmente sono noti come
tensioattivi che hanno la capacità di impermeabilizzare metalli,
tessuti, pellami. Vengono impiegati nell'industria dell'abbigliamento
(Goretex), in quella del pentolame (Teflon), ma anche in quella
navale,
aeronautica e militare.
Gli impianti che la producono nel mondo non sono tantissimi, ma
spesso i territori interessati da questo tipo di produzione sono
divenuti teatro di inchieste e contenziosi titanici. Basti pensare a
quello ventennale, raccontato sulle testate statunitensi più
blasonate,
nato sulle rive del fiume Ohio in West Virginia. Per una esposizione
a danno di 70mila persone, l'avvocato Robert Billot, che di recente
ha
fatto visita
ai luoghi veneti della contaminazione, ha trascinato il colosso
DuPont in tribunale costringendolo de facto ad un accordo transattivo
che ha raggiunto la
cifra monstre di 670 milioni di dollari:
una causa epocale che non solo ha fatto scuola sul piano del diritto,
ma che ha anche obbligato la multinazionale a finanziare un imponente
studio indipendente «che ha dimostrato» le conseguenze dei Pfas
sulla salute umana: si parla infatti di sostanze che causano
gravissimi disturbi ormonali e che in alcuni casi, potrebbero anche
essere cancerogene. In Italia, come nel resto del mondo, la politica
è intervenuta fissando limiti di performance (ovvero limiti guida)
che però a livello internazionale differiscono da Stato a Stato. Nel
2016 il
ministero dell'ambiente italiano
ha fissato alcune soglie specifiche scatenando una polemica durata settimne.
Va ricordato infatti i Pfas sono una famiglia di sostanze molto
diverse tra loro: più è lunga la catena atomica che li compone
maggiore è la tossicità della molecole e di conseguenza variano le
soglie. Miteni infatti dal 2011 non produce più i temuti composti a
catena lunga, ma nella comunità scientifica, come ha ricordato più
volte Marina
Lecis,
il consulente tecnico scientifico che ha contribuito alla stesura di
alcuni esposti penali, tali sostanze vengono riconosciute ugualmente
nocive se non di più.
Il punto però è che le mamme che l'8 ottobre avevano manifestato a Lonigo
sono preoccupate perché lungo i comuni del bacino interessato dalla
contaminazione (Lonigo è il luogo simbolo, ma destano preoccupazione
i dati ugualmente alti registrati negli acquedotti di Cologna,
Montagnana, Sarego e molti altri ancora) i valori riscontrati in
alcuni soggetti della popolazione, bambini inclusi sono comunque
alti. Più alti della soglia di 90 nanogrammi per litro introdotta
dalla Regione Veneto che ha identificato un limite più
stringente
di quello stabilito a Roma.
Tra
l'altro Vincenzo Cordiano, il medico vicentino che per primo ha
lanciato l'allarme Pfas nel Veneto, quando sente discutere di limiti,
sia che vengano posti dallo Stato che dalla Regione, parla senza
mezzi termini di «specchietti
per le allodole»
ribadendo che in accordo con la posizione assunta da Isde-Medici per
l'ambiente, di cui Cordiano tra l'altro è presidente per il
Vicentino, gli unici valori accettabili sono quelli pari a zero. Una
presa di posizione che ha dato forza al coordinamento «mamme no
Pfas» per chiedere che in attesa di nuove linee di
approvvigionamento l'acqua non contaminata sia portata nelle case con
le autobotti: un'operazione che potrebbe costare alla Regione sui 17
milioni di euro all'anno.
LE
IMPLICAZIONI GIUDIZIARIE
E le
preoccupazioni delle mamme di recente si sono moltiplicate quando tra
i comitati è maturato il convincimento che l'azienda, stretta tra le
difficoltà economiche e quelle dell'inchiesta, di punto in bianco
possa prendere la palla al balzo di una ipotetica richiesta di
risarcimenti per chiudere la fabbrica lasciando sul groppone della
collettività ogni onere di bonifica. E se tuttavia da una parte il
consigliere delegato Nardone sentito
da Repubblica.it
ha negato perentoriamente questa eventualità, dall'altra Alessandro
Gariglio, l'avvocato di Greenpeace che da mesi segue il dossier Pfas,
è altrettanto perentorio nell'affermare che «la drammatica
necessità di dotare l'azienda di risorse fresche sta scritta
nell'ultimo bilancio della Miteni quello del 2016». Lo stesso
avvocato tra l'altro fa sapere che non più tardi di lunedì scorso
ha depositato alla procura di Vicenza un
dettagliato dossier
commissionato da Greenpeace a Somo, l'osservatorio specializzato
nella ricerca sul comportamento delle multinazionali. «Abbiamo
fornito ai magistrati che seguono l'inchiesta - sottolinea ancora il
legale - un ulteriore strumento per fare luce sull'intricato dedalo
societario che sta dietro la Miteni. Ovviamente Greenpeace - spiega
Gariglio - non può disporre di rogatorie internazionali, ma la
magistratura, qualora il reale assetto della proprietà sia
necessario al lavoro degli inquirenti, anche grazie alla nostra
segnalazione, potrà agire con tutti gli strumenti che la legge le
mette a disposizione».
Tuttavia
durante il corteo dell'8 ottobre hanno fatto sentire la propria voce altri
due volti molto noti del fronte «no Pfas». Il primo è il vicentino
Edoardo Bortolotto, esperto di diritto penale dell'ambiente, è uno
degli avvocati che nel tempo ha redatto gli esposti contro la Miteni:
«Non vorrei mai che la questione dei limiti diventasse una foglia di
fico sul problema reale che riguarda i possibili danni alla salute e
all'ambiente. In tal senso l'orientamento della Cassazione è
costante: chi ha inquinato anche con sostanze la cui presenza
rispetta le soglie di legge va comunque perseguito e condannato
perché quei valori costituiscono solo un limite di allarme oltre il
quale l'autorità amministrativa è costretta ad un determinato
intervento».
Il
secondo invece è Giovanni Fazio, medico di Arzignano e volto di spicco della associazione ambientalista Cillsa: «Chiediamo che le autorità,
Regione e Ulss in primis, ci informino sullo stato della
contaminazione nel ciclo alimentare perché comunque agricoltura e
zootecnia hanno adoperato quell'acqua. E chiediamo che in caso di
inadempienze da codice penale la procura agisca di conseguenza».
ZAIA E
L'ALLARME IN COMMISSIONE
Il che
potrebbe suonare come una generica preoccupazione ma non è così.
Ai primi d'ottobre infatti incalzato durante una puntata de “Le iene” su Italia
1 il governatore veneto Luca Zaia (Lega) non è stato in grado di
dire nulla sui risultati della indagine che la Regione avrebbe
condotto proprio sulla contaminazione alimentare. Un silenzio che
diventa assordante se messo in relazione alle dichiarazioni esplosive
del sindaco di Lonigo Luca Restello (leghista pure lui) rese in
Commissione ecomafie: «... il problema - si legge nel verbale del
26 settembre 2017 da
poche ore reperibile on-line
sul sito della Camera - è quello riguardante l'agricoltura. Voi
sapete che l'acqua che viene emunta si trova in particolare in
provincia di Vicenza... Nel Veronese, infatti, con il canale irriguo
Leb si riesce a portare l'acqua, in pratica, in tutte le campagne,
mentre nel Vicentino questo non avviene e tutti gli agricoltori hanno
un pozzo privato, andando ad emungere direttamente dal sottosuolo
l'acqua necessaria all'irrigazione dei campi. Orbene, è necessario
che quest'utilizzo d'acqua sia impedito. Anche se non ci sono ancora
dati ufficiali, infatti, dalle indiscrezioni che ho avuto tutte le
produzioni agricole sono certissimamente contaminate da questi
inquinanti. È necessario uno stanziamento ulteriore di denaro per
ripristinare tutta la rete idrica superficiale irrigua nei campi e
potenziare le capacità del Leb di portare acqua anche in questa
parte non servita del vicentino». Parole pesantissime che raccontano
una realtà molto più cruda di quella descritta dallo stesso Zaia
sempre alle telecamere delle Iene.
NELLA
PANCIA DELLA MITENI
Il
discorso di Restello, al di là dell'allarme di vasta portata su
tutto il comparto agricolo, per di più pone alcuni quesiti
dirimenti. Se Miteni è responsabile dell'inquinamento in quanta
parte questo è ascrivibile alle sostanze nocive finite nel
depuratore di Trissino e quanto invece deriva da eventuali perdite
sotto il sedime di uno stabilimento adagiato su una superficie
vastissima che sormonta una zona di ricarica della falda? È vero che
durante i controlli ambientali all'interno della fabbrica i
carabinieri del Noe, incaricati dalla procura berica, avrebbero fatto
alcune scoperte molto significative sul piano del livello
dell'inquinamento? Ed è vero che fonti di contaminazione da Pfas
sarebbero state trovate anche fuori dal bacino dell'Agno-Guà-Fratta?
Al secondo quesito ha risposto ai primi del mese il
quotidiano l'Arena
che parla di quantitativi rilevanti rinvenuti a Soave nel Veronese
non troppo distante dall'area di servizio Scaligera, un autogrill
collocato proprio lungo l'autostrada Brescia-Padova tra le province
di Verona e Vicenza. Il tutto
mentre nel comprensorio trissinese si moltiplicano timori che anche
l’aria, quanto meno in passato, possa essere stata
significativamente contaminata dai Pfas.
Per
quanto riguarda poi la gravità della situazione che sarebbe stata
rilevata durante le ispezioni all'interno della fabbrica, sono
eloquenti le parole di Davide Faccio, sindaco leghista di Trissino
pure lui sentito dalla Commissione ecomafie: il verbale è ancora
quello del 27 settembre. Il primo cittadino parla della bonifica e
della caratterizzazione, ovvero il procedimento
tecnico-amministrativo teso a conoscere lo stato reale delle fonti
inquinanti e la loro gravità: «Il problema è che Miteni ha
un'estensione talmente grande che...» per assumere i campioni «...
e testarli ci vogliono capannoni interi» giusto per «riuscire a
custodire tutto questo materiale» per non parlare delle risorse
umane necessarie a svolgere un lavoro del genere, tanto che l'Arpav,
rivela sempre il sindaco, avrebbe contattato le agenzie cugine di
altre regioni «per avere supporto» in questo senso visto che «il
lavoro sulla caratterizzazione è notevole e sicuramente» non
porterà a risultati «nell'immediato».
I
LAVORATORI: VASI DI COCCIO TRA VASI DI FERRO
Tuttavia
in questa burrasca perenne i lavoratori della Miteni rischiano di
finire come i vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro. L'azienda
lamentando un difficile momento economico alcune settimane fa ha
disdetto «unilateralmente»
quelli che si chiamano gli accordi di secondo livello, ovvero quelle
migliorie sul piano della organizzazione del lavoro e sul piano
economico, di cui per anni le maestranze avevano beneficiato «anche
in ragione della delicatezza delle lavorazioni chimiche» per le
quali la fabbrica è classificata a rischio Seveso, il più alto
nella norma italiana. E c'è di più, perché oltre al profilarsi
all'orizzonte di una crisi aziendale, presunta o reale che sia, molti
tra gli operai registrano valori di Pfas nel sangue «migliaia di
volte superiori» a quelli più alti denunciati dai residenti del
bacino. «Noi operai - fa sapere Renato Volpiana, membro della
rappresentanza sindacale di fabbrica per Filctem-Cgil - ci stiamo
battendo senza sosta perché siano salvaguardate al meglio la salute
dei lavoratori e le condizioni di sicurezza dei 140 dipendenti
nell'impianto, ma ognuno deve fare la sua parte». Il riferimento è
al duro contenzioso in essere con l'azienda che è sfociato in una
serie di scioperi. Ma sul piano della salute come hanno intenzione di
regolarsi i lavoratori? «Per questioni di riservatezza - precisa
ancora Volpiana che l'8 di ottobre era anche lui a Lonigo - non posso parlare
al momento, ma se qualcuno pensa che staremo con le mani in mano si
sbaglia di grosso» conclude il sindacalista trissinese.
LO
SCENARIO
Sul
piano più generale rimane la questione della pressione ambientale
esercitata sul Veneto centrale non solo dalla Miteni, ma da tutta
l'industria chimica dell'Ovest Vicentino, a partire da quella
conciaria, che da quarant'anni è al centro di polemiche al vetriolo
giacché una parte del mondo ecologista accusa queste industrie di
avvelenare l'aria, le acque e i terreni in spregio delle norme
ambientali. In realtà la classe dirigente regionale non è mai
riuscita a fare i conti col passato e men che meno, è riuscita a
ripensare un modello di sviluppo che sul medio periodo fosse
compatibile con l'ambiente. Così i problemi si sono cronicizzati e
ora, dopo l'arrivo della crisi, questa mancanza di lungimiranza
rischia di essere pagata a caro prezzo. In realtà negli anni non
sono mancati i suggerimenti di chi come il professor Gianni Tamino,
già ordinario di biologia a Padova, uno dei massimi esperti italiani
del settore, aveva provato a proporre modelli produttivi meno
invasivi, ma la politica e la classe imprenditoriale per mille motivi
sono rimaste indietro o addirittura non hanno ascoltato il lamento
che giungeva dalle province di Padova e Verona, dove forte è la
vocazione agricola e zootecnica. Un mancato ascolto del quale il giorno 8 ottobre hanno parlato davanti alle telecamere di Telearena, pur con toni
diversi, anche il presidente della provincia di Vicenza, il
democratico Achille Variati e il suo pari grado veronese, ovvero
Antonio Pastorello che invece è espressione del centrodestra. Da
qualche giorno l’amministrazione
regionale sostiene,
almeno per quanto concerne l’acqua al rubinetto, di aver potenziato
gli impianti di filtraggio in modo da poter garantire acqua a zero
pfas. Ma c’è chi come il consigliere regionale veneto Andrea
Zanoni del Pd, si dice scettico.
Marco Milioni
a 3/4 km dai pozzi di prelievo dell'acqua di Almisano c'è la falda buona, che se estratta, sistemerebbe almeno il problema acquedotti, senza perdere tempo di avvelenamento. Questo con solo 2 milioni di euro e tempi in Somma Urgenza di 1 mese. Ma questo NON lo vogliono fare. Vedete Voi il perchè. Sarebbe già in funzione da 2 anni e si sarebbe già pagato, con la spesa dei filtri al carbone. Non è credibile scientificamente Pfas zero improvvisamente, stanno taroccando alla grande, come hanno sempre fatto. Per ulteriori precisazioni, siamo a disposizione
RispondiEliminaDa + di 1 mese si è insediata la Commissione Regionale Pfas : Essendo TUTTO già CHIARISSIMO, vorremmo sapere i risultati. Brusco parli e/o scriva qualcosa. Non c'è niente di segreto, anzi DEVE ESSERE TUTTO TRASPARENTE. Sono già ben oltre 40 anni che mezzo milione di abitanti si sorbiscono Veleni vari, oltre ai Pfas. Per i non Pfas sono esattamente + di 60 anni, quindi 60 anni di "coperture" di malapolitica, perchè già si sapeva nel 1955 e chi di competenza aveva scritto e/o avvisato
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