«La sentenza relativa al ricorso presentato dal coordinamento Mamme no Pfas e da Greenpeace avanti il Tar Veneto ha avuto un esito storico e dirimente». Alberto Peruffo è uno dei volti più noti della rete ambientalista in terra berica. E usa queste parole per commentare un recentissimo provvedimento della magistratura amministrativa che impone proprio alla Regione Veneto di rendere pubblici i dati sulla incidenza ambientale dei Pfas sulla catena agro-alimentare».
Peruffo, sul piano degli accadimenti degli ultimi anni come va inquadrata la decisione dei magistrati del Tar Veneto?
«È dal 2017 che i cittadini delle zone contaminate, a partire dal Veronese, dal Vicentino e dal Padovano, hanno sollevato la questione della matrice alimentare, presso le istituzioni».
Ricordate un episodio in particolare?
«Tanto per dirne una ricordiamo quando anni fa la dottoressa Francesca Russo, direttrice del settore prevenzione e sicurezza alimentare della Regione Veneto disse di avere in mano materiale preciso sulle geo-referenze, ossia le esatte coordinate geografiche delle analisi dei pozzi usati per abbeverare gli animali destinati all'uso alimentare. Si tratta di materiale mai consegnato nelle mani delle associazioni che chiedevano quelle carte. In questo senso occorre ricordare due fatti».
Quali?
«Uno, il 6 giugno 2017, alla presenza del consigliere regionale Cristina Guarda, eravamo a palazzo Balbi, sotto lo sguardo minaccioso dell'allora assessore della sanità Luca Coletto avvenne un episodio difficile da dimenticare. La stessa Russo trattenne a stento l'imbarazzo di fronte a noi spiegando a denti stretti come in relazione ai dati acquisiti dalla Regione Veneto in relazione alla presenza di Pfas nelle fonti alimentari, non fosse possibile darci alcuna indicazione precisa».
Fu una tattica temporeggiatrice?
«Sì. E la volontà di insistere in questo senso ci fu chiara quando alla conferenza di Minerbe sul caso Pfas del successivo novembre 2017 lo stesso Coletto, fiancheggiato dal nuovo claudicante commissario all'emergenza Pfas Nicola Dell'Acqua, tergiversò ancora in materia di alimenti. Scherzando senza convinzione sulla verbosità della Russo».
E quindi?
«La sentenza del Tar è una sentenza storica che dimostra la volontà politica di occultare, a scapito della popolazione, dati importantissimi. Un atteggiamento chiaramente concepito non solo a difesa del profitto malato delle industrie, ma che si riverbera gioco forza sulla salute di chi mangia certi alimenti. Ricordiamoci che la contaminazione viaggia non solo attraverso l'acqua acqua potabile, ma pure attraverso quello che mangiamo. E non avvertire la popolazione se quello che sta mangiando è contaminato oppure no, per noi è un atto politicamente criminale: a prescindere dalle conseguenze economiche che tale disvelamento possa avere. Dovevano pensarci prima lorsignori a non inquinare o a denunciare chi aveva inquinato».
Che cosa può cambiare in concreto adesso?
«Tutto. La Regione Veneto dovrà riformulare il suo piano di sorveglianza sanitario, che all'oggi è fondato solo sulle acque di captazione, sulla estensione del plume sotterraneo di di contaminazione e sulla relativa divisione del territorio veneto in fasce colorate in cui il rischio presunto è, un po' furbescamente, più o meno accentuato».
Tuttavia la suddivisione in fasce colorate da giallo all'arancio sino al rossa, con quest'ultima che indica il rischio maggiore, fu figlia della prima emergenza del 2013. Non si trattò di una scelta per certi aspetti obbligata almeno sulle prime?
«Diciamo che poteva avere un senso tra il 2013 e il 2014. Poi no».
Perché?
«C'è qualcosa che non ci ha mai convinto in questi colori imposti dalla Regione. Perché non considerare nel carico corporeo che accumula i Pfas, gli alimenti, i suoli, l'aria? L'aria che per anni è stata contaminata dai fumi densi di Pfas e di altre sostanze che uscivano dall'inceneritore della Miteni, la fabbrica di Trissino accusata di essere al centro dello scandalo Pfas: fumi che si spargevano a valle verso Montecchio e Arzignano, o a monte, verso l'abitato di Trissino e di Castelgomberto, quando il vento tirava verso nord o stazionava sopra la valle, qui apertissima. Cosa si depositava sui terreni e sulle colture, via aria? Che cosa finiva nei pozzi destinati alla irrigazione? Ecco alcuni di questi comuni come Trissino per esempio, sono stati strategicamente tenuti fuori dalle zone rosse».
Come mai? Avete il timore che l'averli esclusi dalla aree a rischio, aree in cui potrebbero essere previsti controlli a tappeto sulla popolazione, in qualche modo possa essere un modo per evitare controlli minuziosi su aria, acqua, terra, aria e catena alimentare di un porzione ben maggiore della Regione Veneto? E temete magari che eventuali screening sulla popolazione debbano di conseguenza effettuarsi su porzioni assai più ampie, geograficamente e anagraficamente, della Regione Veneto?
«Sì è così. Perché non estendere lo screening alla gran parte dei Veneti e del Veneto?».
A questo punto con la sentenza del Tar che diviene immediatamente esecutiva che cosa succede?
«La sentenza spazza via questa divisione. E rende il nostro movimento più forte e molto più credibile degli amministratori della Regione».
Come mai molti attivisti considerano quello della catena agroalimentare un tabù, se messo in relazione all'affaire Pfas?
«Semplice. Tutti hanno paura del terremoto. Quando la terra trema non guarda in faccia nessuno: attivista, parte passiva o parte lesa che sia. Soprattutto quanto il terremoto fa collassare nello stesso pentolone economia e salute di un territorio che si crede ricco, ricco forse solo di denari. Non certo ricco di amore e di vera solidarietà».
Allargando lo spettro della discussione che profilo hanno assunto secondo voli le associazioni di categoria del mondo agricolo?
«Ecco, appunto. Come mai Coldiretti e altre associazioni o corporazioni del comparto agroalimentare non si sono costituite come parti civili nel processo Pfas in corso al Tribunale di Vicenza? Perché queste associazioni, come molti altri amministratori veneti per vero, per anni hanno messo la testa sotto la sabbia come struzzi?».
Che risposta vi siete dati al riguardo?
«È pacifico che costoro speravano che tutto passasse sotto silenzio. Che i soliti noti avrebbero continuato a fare gli affari propri nel solito modo. Sperando, solo il cielo sa come, che tutti avremmo continuato a vivere felici, tra sagre e tumori, primi in tutto, come il governatore Luca Zaia ci ha insegnato».
E invece?
«Invece no. Ora tutto crolla. Crollano le loro certezze illusorie, o spannografiche come le chiamo io. E crolla pure la possibilità per costoro di essere risarciti per i danni da Pfas, visto che lorsignori, i ras dell'agricoltura, si sono messi dalla parte sbagliata della barricata. Ne terremo conto».
Peruffo da tempo si parla per esempio di indagine epidemiologica. La Regione Veneto l'ha promessa tante volte. E poi?
«Ecco in questo frangente i soloni di palazzo Balbi si sono messi sulla stessa lunghezza d'onda dei visir del comparto agricolo».
Cioè?
«Hanno ficcato la testa sotto la sabbia».
In che modo?
«Appunto. Domandatevi perché per i privati cittadini è pressoché impossibile o quanto meno sisificamente difficile farsi delle analisi del sangue, anche in un laboratorio privato, per verificare il livello di Pfas nel sangue. Domandatevi perché perché al posto di una vera e propria seria indagine epidemiologica i sapientoni di palazzo Balbi hanno messo in campo una discutibile sorveglianza sanitaria che suona quanto meno dilettantistica se non un pannicolo caldo? Serve altro per dimostrare di che pasta è fatta la classe dirigente alla quale siamo stati in mano? Serve un'altra sentenza del Tar? Serve un oracolo? Un esorcista? Che cosa diavolo deve servire ancora?».
E intanto?
«Intanto vediamo ciò che succede al processo Miteni. Vediamo se questa novità sarò valutata dalla magistratura penale nel giusto conto, aprendo magari qualche fascicolo in carico a qualche alto papavero. Per di più, in termini più generali c'è un'altra considerazione da fare?».
Sarebbe?
«Chi non è responsabile, non si nasconde. A meno che non abbia il proprio tornaconto. Un dato è certo dopo questa sentenza del Tar: il nostro movimento, con la denuncia pubblica ha sempre agito correttamente. Ergo noi amiamo e teniamo alla cura del nostro Veneto molto di più di chi ha permesso, con questi mezzucci che hanno il puzzo dell'occultamento e del temporeggiare più vieto, il proliferare di questa tragedia sociale e ambientale. La sentenza è un premio al movimento: un premio amaro che nessuno vorrebbe tenere in mano».
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