Se fossi un piccolo imprenditore vicentino, invece di battere le mani a comando a tutto ciò che esce dalla bocca di Emma Marcegaglia, mi preoccuperei di qualcosa di più pressante: la propria sopravvivenza. Ad attestare la minaccia di una vera estinzione del “padroncino” è stata l’autorevole voce di un esponente dell’establishment non sospettabile di preconcetto anti-industrialismo, il presidente della Camera di Commercio berica Vittorio Mincato. Così parlò il supermanager alla Giornata dell’economia 2011 dell’altro giorno: «Le imprese più piccole stanno sparendo. Non facciamoci ingannare dalle nuove iscrizioni al registro delle imprese. Si tratta spesso di realtà individuali o effimere, ad esempio operai disoccupati che non hanno altro modo di lavorare e creano una ditta individuale in modo che i datori di lavoro non debbano pagare i contributi» (Corriere del Veneto, 7 maggio). Sul Giornale di Vicenza, di proprietà della locale Confindustria, nessun cenno a questo passo della relazione di Mincato. Gli industriali hanno un brutto difetto: amano nascondere sotto il tappeto le proprie magagne, salvo lagnarsi ogni santo giorno delle colpevoli mancanze della politica e aureolarsi di gloria come se fossero loro gli unici a faticare e fare sacrifici. Che è esattamente quanto ha sostenuto con soverchia arroganza la Marcegaglia all’assise confindustriale di sabato (macchiata, per giunta, da un’ovazione semplicemente disgustosa all’amministratore delegato di Thyssen Krupp, che ha sulla coscienza 7 lavoratori arsi vivi).
Pochi imprenditori sono capaci di autocritica. Qualcuno, vivaddio, c’è. Come Mario Carraro, ex leader degli industriali veneti, che sempre sul Corriere del Veneto ha detto le cose come stanno, punto per punto. Sulla deriva oligarchica dell’associazione: «Il male non sta solo a Roma, ma nei modelli che tendono ad assomigliarle, anche nelle periferie, con momenti associativi pletorici uniti ad ambizioni personali, tese a contare politicamente attraverso nomine in questo o quell’ente» (devono essere fischiate le orecchie a quel bel tomo che risponde al nome di Massimo “Prorogatio” Calearo, il neo-consigliori del premier). Riguardo la spocchia di essere i soli a tenere in piedi l’Italia, al contrario bisognerebbe «abbandonare quell’idea che [Confindustria] ha di se stessa come di un soggetto salvifico dell’economia anche perché ne rappresenta solo una parte». Esistono anche i “collaboratori”, come ipocritamente i padroni del vapore amano chiamare i loro dipendenti. Per inciso, sono quelli che hanno sempre pagato il prezzo più salato delle ricorrenti crisi su cui fonda il sistema economico delle bolle finanziarie. E poi, lo spinosissimo tema dell’evasione fiscale, troppo spesso liquidato con un atteggiamento autoassolutorio, anche qui con sovrano disprezzo per chi le imposte le paga fino all’ultimo centesimo con la trattenuta alla fonte. Carraro fa una proposta che riecheggia analoghe campagne legalitarie in terre dominate dalla mafia: «Emarginare le aziende che non pagano le tasse. Sanno benissimo chi sono, non penso sia difficile scoprirlo. L’associazione farebbe bene a estromettere gli evasori, non fosse altro che per i rischi di concorrenza sleale fra i propri stessi iscritti».
Questo è un salutare parlar chiaro. Si può discutere sul merito, naturalmente. Ad esempio: che fra Irap e studi di settore, fra Visco e Tremonti, la partita Iva sia vessata, taglieggiata e spremuta a sangue è un fatto. Come è un fatto che non considerando l’abnorme squilibrio fra tassazione e servizi erogati dallo Stato, una pur giusta condanna degli evasori risulta monca e francamente ingiusta. Stare dalla parte dei piccoli, di quelli che si fanno ancora il mazzo alla vecchia maniera senza speculazioni borsistiche, non significa né gonfiare il petto né cospargersi il capo di cenere. Bensì denunciare limiti e storture della categoria e, nel cercare di sradicarli, proporre una visione della società a misura di quella che essa è realmente. In soldoni: l’Italia, oggi più che mai, si regge sulle piccole e medie imprese, e questa piccola dimensione, che per mentalità e interessi dovrebbe unire il capitano d’industria al suo dipendente, va tutelata in tutti i modi. Non solo dai governi e dal fisco, ma anche dai potentati che condizionano i governi e il fisco più di quanto si sa e si dice: la grande industria assistita e ingrassata con lo statalismo e il monopolio degli appalti, e le grandi banche che di fatto controllano la politica monetaria tramite la banca centrale europea e le sue succursali nazionali. Questa commistione è il vero cancro della democrazia, oltre che dell’economia. Pensateci, imprenditori vicentini: un patto fra voi, che il successo ve lo sudate, e i lavoratori precari che come esseri umani non meritano di essere trattati come merce. Entrambi siete produttori. Gli altri, le multinazionali, i raider finanziari, i “prenditori” che fanno profitti grazie a commesse e incentivi, i sindacati padronali, le caste scroccone, sono i parassiti. Volete rompere davvero gli schemi? Proposta: abbandonate i totem della lotta di classe marxista, e alleatevi contro globalizzazione, precarizzazione e speculazione. Produttori contro parassiti: una possibile formula per il futuro.
Alessio Mannino
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