mercoledì 30 giugno 2010

Senza fine

In questi giorni nella casella di posta elettronica di molti ciechi sta giungendo un messaggio, contenente un appello alla sottoscrizione di una petizione, che vorrebbe ottenere dal presidente del Consiglio e dal ministro dei beni culturali un passo indietro circa il taglio dei finanziamenti pubblici all’ente Regina Margherita di Monza.

Infatti questo ente la funzione del quale è rendere accessibili ai minorati della vista libri e spartiti in formato digitale e non, in forza del decreto Legge che mette in atto l’ultima manovra finanziaria, rischia di subire un taglio di 2.650.000 euro su un totale di 4.000.000, che probabilmente porterà alla chiusura dello stesso. Questo perché se l’ente in oggetto già ora non riesce a soddisfare le richieste degli iscritti, figuriamoci poi come potrebbe operare con un taglio dei finanziamenti pubblici come quello sopra descritto.

Questa chiusura comporterebbe una quasi totale interruzione di questo genere di servizi, che provocherebbe un importantissimo deficit culturale. Infatti stiamo parlando della possibile chiusura dell’unico ente in Italia accreditato ed autorizzato e sistematicamente dedicato alla accessibilità della cultura ai ciechi ed ipovedenti, mediante la trasformazione di un testo o spartito, in formato digitale accessibile ai membri della Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (altri 50 euro di iscrizione).

Ricordando infatti che la quota di iscrizione alla libreria per ciechi Regina Margherita di Monza nell’ultimo anno è passata da 10 a 50 euro a causa di tagli già avvenuti, vorrei sottolineare l’inciviltà di un Paese che considera inutile un ente che, ad esempio, permette ai bambini e ragazzi deficitari della vista, di affrontare le scuole elementari e medie inferiori e superiori, utilizzando i libri che anche i loro compagni normalmente utilizzano.

Un ente che quindi mi sento di indicare come finalizzato alla realizzazione di uno dei principi fondamentali della nostra bellissima costituzione, ed in particolare del comma secondo dell’articolo terzo, che sancisce come sia «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando difatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Domandiamoci ora: questa rinuncia avviene in nome di cosa poi? Di una crisi che a detta di chi oggi governa era già finita sul nascere? Bugie su bugie come le motivazioni che vengono oggi addotte per giustificare la reale necessità di un’altra programmazione pluriennale delle finanze pubbliche, mediante l’ennesimo decreto legge. Decreto che accompagnato dai tre “Documenti di programmazione economica e finanziaria” annuali rispettivamente per il 2011 2012 e 2013, di circa dodici miliardi di Euro l’uno, dovrebbe permetterci di avvicinarci a quei parametri che, sin dal trattato di Maastricht del 1992, la UE ci impone di rispettare. Parametri questi divenuti poi obbiettivi fissati con un analogo Decreto Legge già nel 2008 ma mai raggiunti, così come emerge dal bilancio consuntivo dello Stato del 2009.

Infatti all’indomani dell’insediamento dell’attuale esecutivo, i ministri dell’economia, dello sviluppo economico, della semplificazione (ed altri “insigni giuseconomisti”) ebbero a redigere il primo dei numerosissimi decreti legge emanati da questo Governo, che aveva le medesime finalità della manovra correttiva emanata la settimana scorsa per Decreto appunto . Stiamo parlando del D.L. 112 del 25 giugno 2008, poi convertito in legge il 9 agosto dello stesso anno, in soli nove minuti nonostante la prolissità e la complessità del suo contenuto . Questa norma giuridica recante il titolo “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, recitava all’articolo uno: «Le disposizioni del presente decreto comprendono le misure necessarie e urgenti per attuare, a decorrere dalla seconda metà dell’esercizio finanziario in corso, un intervento organico diretto a conseguire, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel Documento di programmazione economica e finanziaria per il 2009... un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche che risulti pari al 2,5 percento del PIL nel 2008 e, conseguentemente, al 2 per cento nel 2009, all’1 per cento nel 2010 e allo 0,1 per cento nel 2011 nonché a mantenere il rapporto tra debito pubblico e PIL entro valori non superiori al 103,9 per cento nel 2008, al 102,7 per cento nel 2009, al 100,4 per cento nel 2010 ed al 97,2 per cento nel 2011».

A questo punto però mi chiedo quanto segue. Queste solenni affermazioni espresse da un ministro dell’economia che si affermava consapevole della crisi che in quei mesi andava a delinearsi come la peggiore dopo quella del '29, in una norma giuridica avente forza di legge datata 2008, come dovremmo interpretarle oggi, che possiamo certificare un debito pubblico italiano nel 2009 consolidatosi all’incirca al 115% del PIL del medesimo anno? Io non lo so. So però che il 102% nel rapporto debito pubblico PIL, obbiettivo del 2009 oggi è divenuto l’obbiettivo del 2013. So anche che gli strumenti formali (decreto legge di programmazione pluriennale) e sostanziali (tagli a danno dello stato sociale inteso in senso amplio) per raggiungere gli obbiettivi sono rimasti i medesimi.

Così un fattore che mi appare piuttosto palese al di là del fatto che i conti siano saltati per motivi più o meno nobili (un aumento della evasione fiscale, piuttosto che un calo del pil derivante dalla crescente ed inarrestabile disoccupazione, o dal doveroso incremento della spesa pubblica per la cassa integrazione) ci permette di dire che il decreto fratello di quello sopra citato che in questi giorni ci è stato presentato come manovra finanziaria in risposta allo sconquasso monetario e finanziario riconducibile alla crisi greca, trova nella stessa una motivazione fasulla.

Si perché i giornalisti ed analisti che incalzano da gennaio il ministro dell’economia con la domanda circa la necessità o meno di una manovra correttiva a maggio giugno non trova di certo origine in una “crisi Greca” manifestatasi solo poco fa, bensì in un fallito traguardo di bilancio pubblico, fissato appunto dal D.L. 112 sopra citato al dicembre 2009. A questo punto allora io mi chiedo ex ante: quale è il perché di tale mancato raggiungimento degli obbiettivi fissati ex lege? In secundis: dove dovrei trovare le motivazioni che mi facciano accettare il fatto che, in forza del nuovo taglio che il Ministro dei beni culturali si accinge a operare, io da cieco non potrò più utilizzare i libri di testo con i miei discenti (se mai ne avrò ancora l’anno prossimo visto e considerato che potrei essere uno di quei precari che il solito decreto 112 del 2008 ha tagliato mediante una riduzione di spesa pubblica di otto migliardi di euro nella scuola)?

Signori qui c’è gente che la crisi l’ha già vissuta e sa che nei prossimi anni continuerà a viverla ad esempio attraverso il blocco di aumenti di uno stipendio che, se mai continuerà ad esserci , è già oggi agli ultimi posti delle classifiche europee. La ricetta che però questo governo continua a proporre per arginare il disastro in corso, impostata su sacrifici in capo sempre ai soliti lavoratori subordinati, non la posso accettare in silenzio. Non riesco infatti a tacere ne sull’evasione fiscale (cresciuta nell’ultimo anno da 100 a 120 miliardi di euro mentre dalla lotta alla stessa se ne sono recuperati solamente nove) ne sulla corruzione /concussione, che secondo la Corte dei Conti nell’ultimo anno ci è costata 60 miliardi di euro.

Questioni queste che sommate offrirebbero un bacino di miliardi di euro, dal quale pescare le risorse per limitare una crisi che, imprenditori evasori e corrotti e politici concussi hanno enormemente contribuito a provocare. Allora parlo e dico: diamine, mettetele le mani nelle tasche degli italiani; ma nelle tasche di coloro che prima della crisi di fatto o di diritto risultavano agiati economicamente e che ora lo sono divenuti, in termini relativi od assoluti, ancora di più. Riportiamo così ad esempio la tracciabilità dei pagamenti a somme intorno ai 100 euro, portiamo le imposte sulle rendite finanziarie ad una soglia in linea con le medie europee, aumentiamo la pressione fiscale su redditi abnormi e simili, ma finiamola di accanirci sempre contro i soliti noti.

Sto parlando dei lavoratori subordinati che, oramai da troppi decenni, sopportano gran parte “dell’onere” del riempimento delle casse dello stato, che dovrebbero consentire un’esistenza dignitosa a tutti i cittadini. Anzi ciò di cui stiamo parlando non è un diritto solamente del cittadino, bensì dell’uomo che non riesco a non riconoscere leso nella sua dignità appunto, nel momento in cui si considera inutile la possibilità di accesso alla lettura per i ciechi, sinora garantita per quanto più possibile dalla libreria per ciechi Regina Margherita di Monza. Anche per questo motivo invito tutti a sottoscrivere la petizione (http://www.ipetitions.com/petition/prova/) per salvare un ente per nulla inutile.

Riccardo Melchiorre
link originario: http://www.lasberla.net/index.php/2010/06/senza-fine/

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