A due giorni dal ballottaggio che eleggerà il nuovo segretario provinciale della Lega Nord vicentina, i bookmakers danno per favorita la Busetti (appoggiata dal duo Finozzi-Dal Lago) sullo sfidante Grande, candidato dei ribelli di Lovat. E si capisce: la sindaco di Thiene è un’esponente della vecchia oligarchia, ha il doppio degli anni di Grande, rappresenta la continuità rispetto al correntismo senza idee. Con lei, insomma, anche gli sconfitti del primo turno, la Bizzotto e Stefani che avevano puntato su Fongaro, possono in teoria trovare un accordo per il dopo. Ma, come pare dalle voci di corridoio, i voti di Filippi erano già andati a lei e se quelli che fanno capo alla Bizzotto dovessero marcare visita al voto di domenica all’hotel Viest, se dovesse vincere la sua potrebbe essere una vittoria nient’affatto schiacciante. O potrebbe anche perdere.
L’esito dipenderà, in sostanza, da quanti saranno e da come voteranno i sostenitori dello scartato Fongaro. Il differenziale soppeserà il valore politico della rivolta Lovat-Grande, che in ogni caso hanno già conseguito un risultato importante: «sia che vinciamo, sia che perdiamo, la coscienza del movimento leghista è cresciuta», secondo le parole di Lovat sul Gazzettino di oggi. Tradotto: si è imposta all’attenzione del Carroccio, soffocato da una cronica mancanza di democrazia interna, la necessità di un ricambio. Basato non sulla pura e semplice sostituzione di una classe dirigente con un’altra uguale e contraria, ma sulle idee, passate via via in secondo piano per l’assalto alla caréghe e per una gestione del partito sprofondata in una permanente lotta fra ras locali. Una tara antica quanto la Lega stessa. E con un colpevole preciso: Umberto Bossi. Lo spiegava già il compianto Gianfranco Miglio in quell’aureo libretto che ha titolo “Io, Bossi e la Lega”: «Raramente [il Senatùr] ha avuto la mano felice nello scegliere i suoi collaboratori, sia al suo livello che sul territorio. E soprattutto non ha avuto la pazienza e l’energia necessarie che covavano o esplodevano nella periferia della Lega. Dovendo scegliere fra una persona integra ma scomoda, e un’altra più maneggevole perché dotata di una buona coda di paglia, ha quasi sempre optato per la seconda».
Questa sollevazione in piccolo, tutta vicentina, vincente o perdente che risulti sul piano dei numeri, dovrà dimostrare in futuro di voler mettere in discussione il peccato originale, l’obbedienza cieca e canina, indegna di uomini liberi, a un vertice romanizzato e poltronaro. Nel ventennale della fondazione della Lega Nord (l’unione delle varie leghe settentrionali) che si celebra proprio questo mese, i segni d’insofferenza per il giogo al carro del piduista e affarista Berlusconi nella pancia del partito si fanno sempre più forti. Tanto che ieri ne ha dato conto, parlando di una voglia di tornare alle origini, persino il Corriere della Sera, negli ultimi anni sdraiato come una sogliola ai piedi del verbo tremontiano-leghista interprete delle partite Iva e delle pmi. E’ fisiologico e giusto che il rinnovamento parta dal basso, ma sarebbe una grave colpa da addossare ai suoi animatori se non puntasse in alto. Chiaramente è comprensibile che per ragioni tattiche i ribelli rendano ossequio alla somma autorità di Bossi e dei suoi proconsoli veneti Zaia e Gobbo. Ma si rivelerebbero un bluff se non facessero almeno il tentativo di porre la questione generale che potremmo riassumere col detto secondo cui “il pesce comincia a puzzare dalla testa”. Gradualmente e con le armi della dialettica, con un Bossi avviato alla pensione e un berlusconismo agonizzante, la prova a cui sono chiamati potrebbe non finire con una cacciata per ordini superiori, come è accaduto a tutti coloro che in passato nella Lega hanno osato pensare col proprio cervello. Come per esempio è successo, per stare a Vicenza, alla leghistissima ma indipendente Franca Equizi. Insomma, quello di Lovat e soci potrebbe essere un primo passo perché il Carroccio torni ad essere una forza politica popolare e utile al paese. Non una centrale della partitocrazia, che ne costituiva il nemico iniziale (ricordate?) e che invece l’ha risucchiata e inglobata rendendola indistinguibile, nei suoi alti papaveri romani e locali, dagli altri partiti-mafie.
Alessio Mannino
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