A svelare quale sarà l’esito finale dei posizionamenti nonché dei rimescolamenti fra correnti e gruppi personali nella Lega Nord vicentina, sarà solo il ballottaggio per il posto di segretario provinciale. Un ballottaggio fra Bobo Grande e Mary Busetti che è già in calendario per domenica 13 febbraio. Può sembrare banale ricordare quello che è un dato scontato in tutti i partiti democratici; ma non è affatto banale se si parla del Carroccio che democratico, al suo interno, non è mai stato. Non nell'accezione formalmente corretta della parola. Cioè osservando la regola di elezioni dal basso che giungano a scegliere i dirigenti fino al vertice più alto attraverso il voto. Lo scontro tra le sue fila, il partito padano, lo ha sempre inteso come una zuffa permanente, benché occultata, fra ras locali e bande al seguito. L'esistenza dei quali deve passare al vaglio della volontà divina del sommo Capo Umberto Bossi. Divergenze programmatiche o di natura ideologica? Nessuna. Soltanto feroci rivalità fra caporioni, che quando non sono dovute ad ambizioni puramente egoistiche, spesso riflettono interessi clientelari o di certi imprenditori amici.
La ribellione di Davide Lovat e di Grande ha costituito una novità positiva perchè per la prima volta, almeno a nostra memoria, ha messo in campo ragioni progettuali, idee insomma (ritorno al venetismo, riscoperta della questione sociale, no alla cementificazione commerciale). Va reso merito all’ideologo Lovat di aver attaccato la nomenclatura degli Stefani e delle Dal Lago con argomenti, invece di dare l’assalto alla segreteria non dicendo nulla di diverso dagli avversari, ripetendo così l’ennesima, sudicia lotta per il potere. C’è chi sostiene che i ribelli in realtà ne stiano cavalcando una uguale e contraria, ma sapendo abilmente contraffarla col richiamo al leghismo delle origini. E anche se fosse? Se vincesse Grande sarebbe comunque una conquista per la Lega. Nella quale invece di celebrare il solito congresso-farsa, in cui si alza un gran polverone che poi viene messo sotto coperta dando a ognuno dei soliti quattro capi-bastone una fetta della torta, la vittoria verrebbe assetgnata ad una parte che vivaddio si fa portavoce di istanze popolari.
Perché il punto centrale della contestazione di Lovat è sacrosanto: i leghisti vicentini da troppo tempo vanno appresso a signorotti che il leghismo lo intendono esclusivamente come una riserva elettorale su cui fare carriera e accumulare privilegi. Manu Dal Lago, ex liberale, con la testa è sempre alla sua lista civica da buttare nella mischia per diventare sindaco di Vicenza (con l’immancabile collaborazione del fido omologo di sinistra Ubaldo Alifuoco). Stefano Stefani, che con la sconfitta del suo Fongaro al primo turno congressuale si è preso una bella scoppola, passa da una poltrona romana all’altra. Dietro di lui, ma sempre più davanti a lui, si scalda la Bizzotto, per ora confinata a Strasburgo. Alberto Filippi vorrebbe farci credere di essere roso da dubbi amletici: vendere o non vendere l’area di sua proprietà a Montebello? Vorrebbe farci credere, l’imprenditore di Unichimica, che guadagnerebbe la bellezza di 40 milioni di euro solo dopo che siano state rilasciate le licenze per costruirvi, quando invece è ovvio che la plusvalenza è data dal cambio di destinazione d’uso da agricolo a commerciale a cui la giunta regionale di Zaia ha dato via libera di recente.
Dice: ma Paolo Franco, che gioca un gioco suo ma che molti danno come più vicino alla Dal Lago, favorirebbe Grande, suo vice nella segreteria in scadenza. Anche qui: embè? Ammesso (e non concesso) che sia così, quel terzo di votanti andato a Grande non può essere considerato un voto meramente manovrato. A meno di non ritenere proprio i leghisti più scontenti un branco di soldati cretini. Inoltre, è stata la Dal Lago a fare di tutto per far espellere Lovat e Grande, minaccia rientrata dopo la loro affermazione al primo voto del congresso. Infine, se dovessimo dar comunque credito all’ipotesi machiavellica di una Manuelona che nell’ombra spinge i ribelli ma che per coprirsi ne reclama l’espulsione, ora ci aspetteremmo che cercasse, non sarebbe la prima volta, del resto, l’accordo sottobanco con Stefani & Company per far fuori gli “utili idioti” e restare padrona del campo con una Busetti eletta plebiscitariamente ammassando i voti suoi e di tutte le altre fazioni, Filippi compreso (il più ostile a Lovat e ai suoi). Il che porterebbe i fronti ad una guerra totale fra vecchia oligarchia e nuova Lega di battaglia.
Come si vede, il fronte ribelle ha tutto da guadagnare nel perseguire con decisione la strada della contrapposizione netta ai feudatari di ogni risma, si chiamino Dal Lago, Stefani o Filippi. La ragione stessa dell’insurrezione sta infatti proprio nell’aver messo pubblicamente in discussione gli equilibri, le pastette e i personalismi di stampo democristiano del Carroccio berico. Durante questa settimana che manca al ballottaggio, siamo curiosi di vedere quali segnali manderanno, per capire se quella strada sarà battuta fino in fondo. Hasta la victoria siempre, rebeldes!
La ribellione di Davide Lovat e di Grande ha costituito una novità positiva perchè per la prima volta, almeno a nostra memoria, ha messo in campo ragioni progettuali, idee insomma (ritorno al venetismo, riscoperta della questione sociale, no alla cementificazione commerciale). Va reso merito all’ideologo Lovat di aver attaccato la nomenclatura degli Stefani e delle Dal Lago con argomenti, invece di dare l’assalto alla segreteria non dicendo nulla di diverso dagli avversari, ripetendo così l’ennesima, sudicia lotta per il potere. C’è chi sostiene che i ribelli in realtà ne stiano cavalcando una uguale e contraria, ma sapendo abilmente contraffarla col richiamo al leghismo delle origini. E anche se fosse? Se vincesse Grande sarebbe comunque una conquista per la Lega. Nella quale invece di celebrare il solito congresso-farsa, in cui si alza un gran polverone che poi viene messo sotto coperta dando a ognuno dei soliti quattro capi-bastone una fetta della torta, la vittoria verrebbe assetgnata ad una parte che vivaddio si fa portavoce di istanze popolari.
Perché il punto centrale della contestazione di Lovat è sacrosanto: i leghisti vicentini da troppo tempo vanno appresso a signorotti che il leghismo lo intendono esclusivamente come una riserva elettorale su cui fare carriera e accumulare privilegi. Manu Dal Lago, ex liberale, con la testa è sempre alla sua lista civica da buttare nella mischia per diventare sindaco di Vicenza (con l’immancabile collaborazione del fido omologo di sinistra Ubaldo Alifuoco). Stefano Stefani, che con la sconfitta del suo Fongaro al primo turno congressuale si è preso una bella scoppola, passa da una poltrona romana all’altra. Dietro di lui, ma sempre più davanti a lui, si scalda la Bizzotto, per ora confinata a Strasburgo. Alberto Filippi vorrebbe farci credere di essere roso da dubbi amletici: vendere o non vendere l’area di sua proprietà a Montebello? Vorrebbe farci credere, l’imprenditore di Unichimica, che guadagnerebbe la bellezza di 40 milioni di euro solo dopo che siano state rilasciate le licenze per costruirvi, quando invece è ovvio che la plusvalenza è data dal cambio di destinazione d’uso da agricolo a commerciale a cui la giunta regionale di Zaia ha dato via libera di recente.
Dice: ma Paolo Franco, che gioca un gioco suo ma che molti danno come più vicino alla Dal Lago, favorirebbe Grande, suo vice nella segreteria in scadenza. Anche qui: embè? Ammesso (e non concesso) che sia così, quel terzo di votanti andato a Grande non può essere considerato un voto meramente manovrato. A meno di non ritenere proprio i leghisti più scontenti un branco di soldati cretini. Inoltre, è stata la Dal Lago a fare di tutto per far espellere Lovat e Grande, minaccia rientrata dopo la loro affermazione al primo voto del congresso. Infine, se dovessimo dar comunque credito all’ipotesi machiavellica di una Manuelona che nell’ombra spinge i ribelli ma che per coprirsi ne reclama l’espulsione, ora ci aspetteremmo che cercasse, non sarebbe la prima volta, del resto, l’accordo sottobanco con Stefani & Company per far fuori gli “utili idioti” e restare padrona del campo con una Busetti eletta plebiscitariamente ammassando i voti suoi e di tutte le altre fazioni, Filippi compreso (il più ostile a Lovat e ai suoi). Il che porterebbe i fronti ad una guerra totale fra vecchia oligarchia e nuova Lega di battaglia.
Come si vede, il fronte ribelle ha tutto da guadagnare nel perseguire con decisione la strada della contrapposizione netta ai feudatari di ogni risma, si chiamino Dal Lago, Stefani o Filippi. La ragione stessa dell’insurrezione sta infatti proprio nell’aver messo pubblicamente in discussione gli equilibri, le pastette e i personalismi di stampo democristiano del Carroccio berico. Durante questa settimana che manca al ballottaggio, siamo curiosi di vedere quali segnali manderanno, per capire se quella strada sarà battuta fino in fondo. Hasta la victoria siempre, rebeldes!
Alessio Mannino
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