Siccome mettono i bastoni tra le ruote ai piani del governo Berlusconi e delle lobby industriali, c’è un silenzio di tomba sui tre referendum che si terranno il 12 e 13 giugno. Sul campo i sostenitori, partiti, movimenti e associazioni, si danno da fare come possono per sensibilizzare una popolazione ipnotizzata dalla sporca guerra alla Libia. Il regime mediatico ce la mette tutta, dal canto suo, per censurare l’appuntamento: da una parte la televisione quasi tutta in mano al Cavaliere, dall’altra la grande stampa che prende ordini dai padroni del vapore interessati ai business minacciati dalle consultazioni popolari. Nei prossimi mesi, tuttavia, pur tenendo l’encefalogramma del dibattito al livello più basso possibile, i manipolatori di professione dei tg e dei giornali dovranno occuparsene. Per il momento non voglio entrare nel merito tecnico dei tre quesiti, che bene o male verrà ampiamente sviscerato. Mi limito a fornire per ciascun tema il perché al mio sì a tutti e tre.
Dopo più di venti anni dal no che affossò il nucleare in un’Italia scioccata da Chernobyl, la carcassa fumante di radiazioni dei reattori di Fukushima congelerà anche questa volta la corsa all’atomo italiano. Credo che su questo punto così caldo i referendari vinceranno a mani basse, le immagini del Giappone devastato sono troppo vicine per far passare la paura. Ma al di là dell’umano fatto emotivo e delle varie e ottime ragioni contro l’uso della tecnologia nucleare (costi, scorie, ecc), personalmente sono contrarissimo per due motivi. Uno: non si vede perché mai si debbano regalare a costruttori, multinazionali energetiche e crimine organizzato (mercato nero dell’uranio) montagne di miliardi pubblici con cui ingrassarsi più di quanto non siano già grassi alla faccia della gente che fatica a campare. Il lobbismo che macina affari nello squallido retrobottega della politica è il cancro della sedicente democrazia. Secondo: se la prospettiva per salvare l’unico mondo che abbiamo è invertire la marcia suicida della crescita illimitata, pensare di continuare con questi ritmi di vita e di produzione e anzi di alimentarli perché si estendano di volume e vadano ancora più veloci, significa peggiorare le cose. Io, di questa follia, non intendo essere complice.
Sull’entrata a gamba tesa dei privati nella gestione dell’acqua, che è già avvenuta in alcune parti d’Italia, non c’è solo una questione di principio, e cioè che l’acqua è un bene pubblico e dall’alba dei tempi a nessuno è stato mai negato un sorso, ovvero, fuor di metafora, la disponibilità a fruirne liberamente. Già questo basterebbe. Ma anche ammesso che le amministrazioni pubbliche non riescano a sostenere le spese per mantenere un servizio d’erogazione efficiente, allora mi si deve spiegare a cosa serve ancora il pubblico. Se non garantisce più nemmeno l’acqua, tanto vale che vengano privatizzate pure la polizia, l’esercito, la magistratura e via di questo passo. Ormai non c’è nessuna remora alla logica del profitto. Invece bisogna affermare chiaro e forte che un limite esiste. Ci tolgono tutto, bisognerà pure ricominciare a dire no.
E veniamo al referendum più assurdo: l’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, il lodo Alfano salva-premier. Dico assurdo perché se diventa necessario ricorrere al popolo per ripristinare il principio cardine su cui dovrebbe reggersi una democrazia, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, vuol dire che il parlamento è composto da una manica di sovversivi cialtroni. Sovvertono lo stesso ordinamento da cui traggono la legittimazione per il loro potere, e lo fanno nella più indecente incoscienza, pensando che l’interesse particolare del cittadino Silvio Berlusconi coincida con quello dell’Italia. Naturalmente, nell’armata di avvocati-parlamentari berlusconiani la malafede abbonda. Ma quello che fa torcere le budella è il fatto che nello scardinare le istituzioni e piegare la legge ai propri scopi non si rendono conto di fare carne di porco del residuo senso civico degli italiani. Segano il ramo su cui sono seduti. Quasi quasi verrebbe voglia di lasciarli fare e attendere il redde rationem, perché verrà il tempo della rivolta e allora non ci sarà Costituzione o codice a difenderli. Ma il senso di profonda ingiustizia che suscitano leggi ad personam con il lodo Alfano è più forte di qualsiasi fiducia in una ipotetica resa dei conti, perciò io voto sì.
In un sistema in balìa di oligarchie politiche ed economiche com’è il nostro, i tre referendum di giugno rappresentano l’occasione per mandare un segnale agli oligarchi. Devo dire che comincio a essere un po’ stufo di inviare solo messaggi, col misero strumento di una scheda individuale. Ma almeno questo facciamolo, per far sapere che noi non abbiamo subìto.
Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del 25 marzo 2011
link di riferimento
Nessun commento:
Posta un commento