«Sì ma quello della concia è un sistema che gira in quel modo». Così parlò l'onorevole Max Calearo su "Repubblica del 27 agosto 2011 a pagina 21. Uno sobbalza e dice, ma caspita, chi parla non è Bepi del casolin. No è l'ex presidente dell'Assindustria Vicenza. Ma se sapeva, perché non ha parlato in passato? Perché non ha preso provvedimenti contro il collega che distorceva sua verginità la libera concorrenza? Uh, ma quando si discetta di sua santità conciaria Bruno Mastrotto la prudenza è come il botox al Billionaire di Briatore; è d'obbligo. E così nonostante il caso Arzignano deflagri su tutta la linea i «ma»e i «però» si fanno avanti pronti a tirar su la fabbrca, o meglio «el capanon», dell'omertà made in Vicenza.
E così vengono in soccorso i liberal di sinistra come Daniele Marini, Fondazione Nordest, che sempre su Repubblica non giustifica ma stempera e spiega: «Direi che non è proprio la norma. Anzi. Poi se vogliamo individuare delle spiegazioni, ma non delle giustificazioni, possiamo cercarle nella difficile competizione mondiale, negli alti livelli di tassazione e nella cultura delle piccole imprese a non aprirsi all'esterno». Eh, ma de che? Ma se hanno appena pizzicato un distretto intero che traffica ed evade. Ma di che sociologa il sociologo? Sociologo che “stranacaso” nel suo rapporto sintetico sul Nordest della Fondazione Nordest guidata da paron Tomat, alla voce criticità, ben si guarda dal puntare l'indice su aspetti come corruzione e altre corbezzole ambientalsanitarie che hanno allietato la Valchiampo.
E mentre la "sora Gramigna" della sociologia stempera e sopisce viene alla mente l'operato di un altro campione della Fondazione Nordest. Quel bravo, quando vuole o serve, Paolo Possamai che sulle pagine, guarda caso, proprio di Repubblica scriveva la sua agiografia mastrottesca: «Le note a margine di Bruno Mastrotto non sono quelle di uno dei tanti operatori del comparto concia, ma di chi da solo pesa l' 1% della produzione mondiale. Le parole trovano riflesso nei numeri della holding, che nel 2008 registrava ricavi consolidati per 253,5 milioni e un margine operativo lordo di 10,88 milioni, parametri passati nell' esercizio successivo rispettivamente a 217,5 e 15,09 milioni, e infine a 253,9 e a 10,95 milioni lo scorso anno, mantenendo sempre poco sotto l' 80% la quota delle esportazioni. Mastrotto è insieme specchio e anomalia, capostipite e anticipatore di tendenze nel settore conciario. Non è da tutti avere codificato 13mila colori, di cui 430 in pronta consegna e 70 disponibili in 48 ore. Non è da tutti avere attrezzato un laboratorio che oltre a monitorare costantemente le acque di scarico sui campioni di pelle lavorata realizza test di resistenza alla luce e alla trazione, allo scoppio e al calore, alla flessione e all' umidità. Non è da tutti destinare il 4% del fatturato alla voce ricerca e sviluppo, oppure avere nel portafoglio clienti sia big del comparto moda come Tod' s che dell' arredamento come Ikea. E poi, caso assolutamente sui generis, il gruppo può contare su sei stabilimenti nel distretto della valle del Chiampo (Vicenza) e poi su impianti produttivi in Brasile e Indonesia. Nella valle del Chiampo, un dipendente ogni 10 tra tutte le industrie conciarie riceve lo stipendio dai fratelli Mastrotto. Le attività di Bruno e Santo avviate in Brasile nel 2000 e Indonesia nel 2005 generano ricavi per oltre un centinaio di milioni, che non sono consolidati dal gruppo ma da Mastrotto International, in cui rientrano anche altri investimenti della famiglia (tra cui anche Midac, produttore di batterie per autotrazione che vale un fatturato di 108 milioni di euro). Fatte un po' di somme, mettendo assieme concia, immobiliare e batterie, il giro d' affari complessivo sfiora il mezzo miliardo. Che non è poca cosa, ricordando che Bruno e Santo sono nati contadini e che mezzo secolo fa, quando hanno avviato la loro prima bottega, per lavorare le pelli dovevano spostare il tavolo della cucina».
Possamai cita addirittura i «430 colori» in pronta consegna ("sti cazzi" diranno gli ingegneri, i chimici o gli informatici di Bosch, Google, Oracle o Basf"). Ma non sia mai che Possamai si ricordi che Brunone è indagato per corruzione. Sì perché il suo articolonzo è datato 4 aprile 2011; non primo aprile 1950 quando i conciari della prima ora epicamente scendevano dalle montagne del sapone per far la pelle alla Valchiampo al grido di "scheeeei diocan". Chissà quanto sarà sobbalzato "sora Grifagna" Possamai quando su Repubblica del 27 agosto ha letto un vero articolo coi controcoglioni scritto da Roberto Mania.
E dopo "sora Gramigna" e "sora Grifagna", sempre pasolinianamente danzando, è il turno del terzo del club. Sentite che cosa scriveva la "sora Micragna" del Corsera Dario Di Vico, uno che viene dalla Uil e che quindi conosce bene il mondo delle «signorine grandi firme» come dice Vauro.
Di Vico pontifica: «... l' onore della città era squassato dalla scoperta di una mega-frode dell' Iva per centinaia di milioni di euro messa in opera da una cricca locale chiamata Dirty Leather, capeggiata da Andrea Ghiotto proprietario della locale squadra di calcetto candidata allo scudetto tricolore. La cricca usava come quartier generale un ristorante del centro, aveva come clienti piccoli e medi conciatori e aveva corrotto commercialisti, fiscalisti e dipendenti dell'Agenzia delle Entrate...». Insomma la corruzione dei grandi non c'è. È una faccenda di ghiottini, ghiottine e inghiottine. La devastazione ambientale men che meno. Il «tumorificio Valchiampo» denunciato dall'ex IdV Claudio Rizzotto non s'ha da citare.Eppure nel settembre 2010 mezza Italia aveva visto e sentito su "Presa Diretta" a Rai Tre le gesta del signore delle pelli Bruno Mastrotto. Ma Di Vico, che vichianamente crede nei cicli della storia, aveva già passato il giro.
Se poi qualche pazzo si prendesse la briga di andare a digitare LaSberla.net (mi secca autocitarmi, ma mala tempora currunt) scoprirebbe che il 21 maggio 2010 scrivevo: «... Mi sono bastate un paio di visite agli archivi della camera di commercio di Vicenza per sapere che il grosso del Gruppo Mastrotto spa (cito il nome della nave ammiraglia del settore perché è il più noto) in realtà appartiene alla holding Mastrotto International spa. Quest’ultima a sua volta è posseduta in gran parte da una società di diritto lussemburghese che si chiama Texcoco Holding SA. Piccole quote della Mastrotto International sono poi detenute da altri due società lussemburghesi, la S.P.I.C. SA e la CORIUM SA. Come mai si ricorre a questo giochino di scatole cinesi finanziarie? Chi sono i veri proprietari delle compagnie di diritto lussemburghese che dominano la piramide societaria del Gruppo Mastrotto?... Sarebbe bello sapere quindi se le imprese del distretto della concia (ma non solo loro) usano le holding nei paradisi fiscali solo per ragioni di efficienza tributaria (chiamiamola così) o se invece sotto c’è dell’altro. Magari la volontà di sottrarre imponibile al fisco italiano...».
Un anno dopo scoppia lo scandalo nazionale che coinvolge i fratelli Bruno e Santo Mastrotto. Certo Marini e Di Vico non hanno avuto il tempo di leggere queste quattro righe scribacchiate su un blog di provincia. Possamai invece qualche opportunità ce l'aveva visto che il figliolo è una delle promesse del Pd a Vicenza. Ma forse junior, che mai ho sentito sparare sulle cricche della concia, era impegnato tra un festival del lecca lecca antileghista e un vernissage dell'Iphone democratico. Sui Mastrotto meglio minimizzare. La pelle è denaro, la pelle è fashion. Meglio coprire, meglio lenire, meglio gioire. E domani? E Bruno Mastrotto? Santo subito. Ovviamente.
Marco Milioni
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