L'affaire Libia connection, sul quale indaga la magistratura napoletana, non solo ha investito il Copasir, ma da qualche giorno è sbarcato anche su alcuni media internazionali come China.org e Thedailybeastcom: una girandola di intrighi dalla quale spunta pure una propaggine veneta mentre a fare da contorno rimane un traffico d'armi che avrebbe avuto in Iran uno dei punti della triangolazione. Per quanto riguarda il Copasir da giorni diverse forze politiche chiedono al deputato M5S Angelo Tofalo, che siede appunto nel Copasir, ovvero l'organismo bicamerale di vigilanza sull'intelligence, di chiarire la sua posizione dopo, che il suo nome è stato tirato in ballo proprio in una storiaccia di traffico internazionali di armi.
La situazione nel Paese nordafricano è tesissima anche in ragione dei rilevanti interessi energetici e geostrategici di contorno.
L'Italia ha deciso da alcuni mesi di appoggiare un governo riconosciuto dall'Onu. Ma in realtà in quella che fu l'ex colonia italiana i governi autoproclamati sono almeno un paio in una nazione dominata ancora da divisioni di tipo tribale, riesplose dopo la morte del dittatore Mu'ammar Gheddafi. Ad interessare i media in modo particolare sono i contatti che Tofalo avrebbe avuto con l'ex premier libico l'ex premier libico Khalifa Ghwell, che ad inizio gennaio annunciò alla stampa locale una sorta di golpe soft del quale non si è ancora capita l'entità. Ed è in questo frangente che si cerca di capire quale sia stato il ruolo di Tofalo. Tra alcuni deputati del Copasir il timore, tutto ipotetico e tutto da provare, circola a mezza bocca; un timore per cui lo stesso Tofalo abbia potuto fungere da ufficiale di collegamento col crisma del parlamento, di un traffico d'armi da collocare in qualche modo in uno scacchiere più ampio, magari con la complicità di pezzi deviati degli apparati italiani. In questo caleidoscopio non vanno dimenticati tra l'altro i rimbrotti di Ghwell, che accusa l'Italia di interferire in modo inaccettabile nella politica interna libica. Accuse che riprendono paro paro gli addebiti di Khalifa Haftar, il generale a capo di una delle entità governative, quella di Bengasi, che al momento si dividono lo scacchiere libico.
Haftar non viene ben visto da una parte delle cancellerie europee perché avrebbe seguito una politica troppo filo russa e poco attenta ai desiderata della Nato, che con l'Europa ha uno stretto legame. Ma al contempo però da quegli stessi ambienti diplomatici viene riconosciuto ad Haftar un più convinto e sincero impegno contro l'Isis rispetto a quello messo in campo dal governo libico riconosciuto dall'Onu, ovvero quello capitanato da Fayez Sarraj.
Lo stesso generale fra l'altro intervistato dal Corsera spiega o da ad intendere di godere di ottime relazioni in seno alla diplomazia e alla intelligence occidentale, anche Italiana.
Ed è in questo gioco di specchi che riflettono all'infinito una situazione tanto fragile tanto mutevole che si inserisce la vicenda Tofalo. Il sodalizio che sarebbe stato vicino a Tofalo avrebbe agito per conto di chi? Per conto di qualche entità libica? Oppure avrebbe agito in proprio solo con fini di profitto legati alla vendita di armamenti? E chi in qualche modo avrebbe messo in collegamento Tofalo col sodalizio che è accusato dalla procura di Napoli di trafficare armi oltre il Mediterraneo?
Al momento il ginepraio pare inestricabile. Ma alcuni effetti si sarebbero già avvertiti: da ambienti vicini ai servizi sarebbe filtrato fino al Copasir un avvertimento preciso. Senza le dimissioni di Tofalo non ci saranno più notizie sensibili che arrivano sui banchi dello stesso Copasir per il timore che finiscano poi nelle mani sbagliate.
C'è poi un aspetto singolare da tenere in considerazione. L'inchiesta di Napoli è la prosecuzione diretta, così scrive Repubblica.it, di un altro filone sempre partito dal capluogo campano, che aveva indagato ambienti della Camorra che sarebbero stati interpellati da soggetti legati alla mafia veneta o mala del Brenta, proprio con lo scopo di fornire ai veneti il materiale per il traffico. Una parte di quella inchiesta era stata raccontata in un memorabile documetario di Report curato da Sigfrido Ranucci. Durante il quale erano emersi legami internazionali, transazioni finanziarie spericolate e rapporti con le imprese italiane dell'orbita governativa che si occupano di sicurezza. Uomo chiave di quel reportage (riandato in onda di recente quasi a furor di popolo) è Andrea Pardi. Quest'ultimo dopo le rivelazioni di Report è stato arrestato alla fine di gennaio dalla Guardia di finanza di Venezia su ordine della procura di Napoli proprio nell'ambito dell'inchiesta sul traffico internazionale di armi. La notizia dell'arresto di Pardi aveva fatto il giro dei media nazionali che parlano di affari con Iran e Libia.
Nessun commento:
Posta un commento