domenica 13 giugno 2021

Alcune riflessioni dopo la deflagrazione del caso Fis

(m.m.) Io credo che la vicenda narrata dalla Rai non più tardi dell'8 giugno, vicenda che nei giorni scorsi ha avuto la sua bella eco in Commissione ecomafie come raccontato su Vicenzatoday.it il 20 maggio, abbia molto da insegnare. In questo momento, stante la normativa, Arpav si è mossa nella giusta direzione. Il punto è un altro però. E riguarda la norma nel suo complesso.

In tutto il mondo la produzione di sostanze chimiche viene autorizzata tout-court. Non succede come per i farmaci (anche in questo caso ci sarebbe da discutere peraltro) che prima si studiano gli effetti e poi si ne autorizza la produzione in una coi relativi scarichi. Le imprese respingono questo approccio perchè lo ritengono inconciliabile sul piano delle tempistiche industriali e sul piano della tutela della proprietà intellettuale delle formulazioni chimiche. Ma si tratta di un ragionamento che ha un bug, neanche tanto occulto. Perché quando una sostanza chimica impatta con l'ambiente, che è un ambito pubblico per eccellenza, il privato dovrebbe retrocedere il rango delle sue pretese. E soprattutto dovrebbe essere la legge ad imporglielo.

Questo non accade per i motivi che sono ben noti. A partire dal meccanismo della globalizzazione. Si può vietare una produzione in un determinato Paese ma non in uno compiacente: il dumping industriale che ne deriva per i paesi che vorrebbero applicare la linea del rigore è evidente. Ma si tratta ad ogni modo d'un aspetto superficiale perché comunque le produzioni invasive comportano costi occulti (salute, ambiente, cattiva coesione sociale) inevitabilmente scaricati sulla collettività. Quando a scavalco degli anni '80 e '90 il Veneto visse il cosiddetto secondo boom, nessuno nella classe dirigente (industriali, banchieri, politici, sindacalisti) si preoccupò davvero di disegnare un orizzonte alternativo.

Il surplus economico di quella ricchissima stagione è stato disperso in fondi esteri, edilizia forsennata (basti vedere Arzignano, quanto sia ricca e quanto urbanisticamente sia un water scrostato), auto di lusso, evasione fiscale e amenità consimili. Quel fiume di denaro non investì minimamente una ricerca mirata, una ricerca di sistema. L'unico vagito è stato il Progetto Giada, la cui portata è minuscola anche perché non ha scandagliato ogni anfratto ambientale e sanitario del comprensorio.

Parafrasando Aristotele, se la ricchezza diventa un fine e non viene considerata un mezzo, l'uomo travia la sua natura. Purtroppo l'arricchimento tout-court è stato la cifra che ha avvolto ogni cosa nell'Ovest vicentino (non che le cose siano andate troppo diversamente in altri luoghi). E di questa deriva uno dei maggiori responsabili è il sindacato che ha deposto le armi evitando lo scontro per pretendere un modello diverso.

In parte, dico in parte, una cosa del genere capitò alla fine degli anni Settanta quando il mondo del lavoro mise sul tavolo questi obiettivi. Venne centrato quello di togliere le concerie dai centri storici. Venne centrato, in parte quello di una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro. Si ottenne qualche miglioramento con la depurazione centralizzata, scaricando però a valle il problema. Non si fece alcunché per il modello di sviluppo. Il che nell'Ovest vicentino ha generato un altro problema. La monocultura conciario-chimica (che sul piano tecnologico rappresenta una industria di bassissima levatura come ricordò piú volte lo scrittore Roberto Vacca intervistato dal Gazzettino sull'apparente miracolo del Nordest degli anni '90) ha distratto risorse e intelligenze rispetto a settori come quello della meccanica avanzata e della meccatronica che giá si profilavano all'orizzonte.

Una crescita industriale qualificata e pianificata con coscienza, sarebbe stata, in un rapporto non univoco ma biunivoco, un momento di crescita anche sociale e umana del comprensorio. Questo non è avvenuto per una sostanziale miopia delle classi dirigenti, ma pure della gente. Non importa se tra dieci, cinquanta o duecento anni: comunque la pagheremo cara. Le leggi della politica e dell'economia sono mutevoli, inesatte, spesso arbitrarie. Quelle della biologia e quelle della fisica no. Nessuna lobby può mutarle. Nessun conciatore può pagare una tangente all'universo per cambiare la seconda legge della termodinamica.

2 commenti:

  1. Eccellenti frasi, che di sicuro gli ignorantissimi imprenditori veneti e loro associazioni di categoria deprecabili in tutti gli aspetti, come i sindacati, NON leggeranno o se ne fregheranno altamente, come sempre.
    Nessuno infatti in Veneto è finito in galera per disastro ambientale e relativo avvelenamento, nell'ultimo mezzo secolo.
    L'unica cosa che ai "prenditori" interessa sono la Quantità di soldi fatti; tipico di persone mediamente molto ignoranti e spesso problematiche sociali.
    Ben lontani i tempi dei vicentini Rossi, del 1° Marzotto e di Adriano Olivetti, dove si pensava al Futuro solo dal punto di vista sociale, e dove il denaro non era un nuovo Dio, ma il Mezzo per ottenere Benefici per tutti !!

    Povero Veneto
    Adesso in Veneto abbiamo solo Macerie :
    Acque avvelenate x 4 milioni di abitanti
    Aria spesso pessima
    Salari da fame
    Strutture pubblico-sociali chiuse o poco funzionanti
    Politicanti a mazzetta
    Grandi opere inutili e piene di tangenti . . .

    RispondiElimina
  2. Ottima analisi. Resta da verificare se un danno ambientale gravissimo come quello che continua a verificarsi nel bacino irriguo del Fratta Gorzone, debba essere valutato dal punto di vista formale e cioè dalla presunta attinenza degli inquinatori alle norme previste dalla Regione o dal punto di vista oggettivo, cioè dell'entità del danno determinato dagli scarichi A.Ri.C.A. Se il danno si è verificato negli anni malgrado il rispetto delle norme previste è segno che tali norme non erano sufficienti a prevenirlo. Pertanto, poiché il processo del degrado ambientale è stato nel tempo lungo e progressivo, ciò significa che chi avrebbe dovuto tutelare l'ambiente ed emanare norme più idonee e restrittive agli industriali, non lo ha fatto, pur essendo al corrente, costantemente, dalle evidenze del fenomeno inquinante grazie ai rapporti dell'ARPAV. Ritengo pertanto che l'omissione di misure idonee per tutelare l'ambiente da parte di chi ha questo compito debba essere valutata. La mancata attuazione dei cronoprogrammi previsti dal Patto Stato Regione del decennio 2005-2015 e di quelli riproposti nel rinnovato patto Stato Regione del 2017 - 2027 è la causa certa del disastro ambientale per cui non certo il fato è responsabilità della distruzione di uno dei bacini più importanti della nostra regione ma una omissione voluta di un progetto pattuito tra lo Stato, la Regione Veneto e gli industriali. Se un paziente cui sono state prescritte delle cure muore perché chi aveva il compito di praticarle ha omesso di farlo non siamo di fronte a una morte accidentale ma ad un omicidio. Sarebbe ora che qualcuno cominciasse a chiedere i danni, a tutti i responsabili dell'ecocidio tanto per cominciare. Che ne dici?

    RispondiElimina