Un giorno, in un paese di merda lontano lontano, morì il re. Ma non si poteva dire. La sua corte di servi, mignotte, papponi, ladri, stallieri, menestrelli, nani, avvocati, scribi e farisei, “Gianpi” propose alla Arcuri di concedersi in cambio di Sanremo, ma lei rifiutò. Decine di escort portate al Caimano dallo sfruttatore che otteneva appalti e puntava addirittura dipendeva in tutto e per tutto da lui e non era affatto certa che il successore continuasse a mantenerla. Così, a palazzo, si misero d’accordo per non far uscire la notizia. Il medico legale, chiamato a constatare il decesso del sovrano, fu murato vivo in un sottoscala col suo referto. La notizia trapelò presso qualche gazzetta del regno, ma gli editori erano tutti finanziati dal re o dalla corte e dunque fu agevole bloccare i necrologi.
Le televisioni, poi, erano tutte nelle sue mani (a parte una, controllata da un’opposizione sfigata e inetta) e cantavano le sue lodi a reti unificate. Un notiziario era diretto da un vecchio biscazziere divenuto mezzano in tarda età. Un altro, il più visto, aveva alla guida una cantatrice calva che parlava con la zeppola, nota più per le note spese che per le note politiche, e appestava il regno con “editoriali” che superavano in cortigianeria quelli del biscazziere-mezzano. Descriveva, la cantatrice, un paese fiabesco, un Regno di Saturno dove tutti erano felici, ricchi, opulenti e goderecci, e ogni sera pregavano il Cielo che il re non li abbandonasse mai. Fu così che la gente continuò a credere che il sovrano fosse ancora vivo. A corte, i fedelissimi passavano le giornate a imbellettarne e profumarne il cadaverino per mascherare i vermi e la puzza e allontanare insetti e animali necrofagi. La luce del suo studio restava accesa giorno e notte, e una controfigura della sua statura (niente di che) sedeva alla sua scrivania per mostrarlo curvo sui destini della Nazione 24 ore su 24.
I giornali continuavano a narrare le sue gesta, anche amatorie, descrivendolo come un simpatico e instancabile dongiovanni, in preda a una prorompente virilità: cantando con un misto di ammiccamenti e ammirazione le virtù delle sue favorite, comprese tra i 12 e i 18 anni, sorvolando sui supporti meccanici (argani, pompe idrauliche, carrucole, catapulte, elisir di cialis e ghisa in polvere) di cui si avvaleva negli ultimi mesi di vita. La sua seconda moglie aveva cercato di mettere sull’avviso il popolo e le istituzioni: “Mio marito è molto malato, va con le minorenni, aiutatelo”, ma fu subito silenziata come traditrice disfattista e rinchiusa in un castello periferico. Il re era solito abusare del suo immenso potere per corrompere giudici, testimoni, gendarmi, ufficiali del fisco, politici lealisti e persino qualche oppositore, per accaparrarsene i servigi. Ma anche per sistemare in posti di alta responsabilità, a spese dei sudditi, i complici delle sue malefatte per ricompensarli o silenziarli.
E ogni tanto i giudici lo chiamavano a risponderne in tribunale. Ma lui, essendo morto, non vi compariva mai: i suoi avvocati inventavano le scuse più fantasiose per giustificarne la latitanza, costretti persino a mandare per il mondo una controfigura delle stesse dimensioni, pittata e asfaltata di fresco, per mostrarlo vivo e vegeto. Fuori del palazzo stazionava ogni giorno una lunga fila di postulanti vocianti: tali Mora, Fede, Lavitola, Tarantini, seguiti da un’orda di procaci signorine che la stampa si ostinava a chiamare “escort”. Minacciavano rivelazioni sul sovrano. E i cortigiani, per evitare guai, s’affacciavano al balcone per rassicurarli che il re pensava sempre a loro ed elargire a ciascuno buste imbottite di denaro contante. La notizia del decesso giunse all’orecchio dei leader dell’opposizione, ma anch’essi, fatti due conti, preferirono avallare la versione ufficiale: per non prendersi la responsabilità di governare, fatica assolutamente impari alle loro possibilità, e per continuare a poltrire e a trafficare alla sua ombra, balbettando ogni tanto “il re si dovrebbe dimettere” (tant’è che si diffuse la voce che erano morti loro). Un giorno il Palazzo fu evacuato per una puzza improvvisa e irrespirabile. Qualcuno insinuò che fosse tanfo di cadavere. Ma il portavoce si affrettò a precisare: “Il re gode di ottima salute, infatti ha appena scoreggiato”.
Marco Travaglio
da Il Fatto Quotidiano del 16 settembre 2011; pagina prima
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