sabato 17 settembre 2011

Siamo tutti islandesi

«L’arrivo dell’Fmi in Islanda come è noto fu accolto in maniera estremamente fredda da gran parte della popolazione, convinta che il Fmi avrebbe chiuso l’Islanda in uno stato di permanente debito». Con questa premessa la premier islandese Johanna Siguroardottir ha annunciato l’uscita del suo paese dal Fondo Monetario Internazionale. Parole pacate per spiegare una scelta dura e coraggiosa: liberarsi dalla morsa dei pelosi “aiuti”, dei rapinosi “piani di aggiustamento” e delle intrusive “raccomandazioni” con cui il centro di potere sovranazionale ricatta ed espropria le economie, e di conseguenza la vita, di interi popoli. A nulla sono valsi gli spauracchi di bancarotta e le minacce di sanzioni: la piccola e fiera Islanda, dopo aver rispedito al mittente tre anni di aut aut e aver messo alla sbarra i politici e i banchieri colpevoli del crac, mentre sta riscrivendo la sua Costituzione, è entrata nella Storia compiendo un passo finora impensabile, inconcepibile per le classi dirigenti mondiali. Da ora in avanti riconquistare la propria sovranità nazionale non è più un tabù.

Per arrivare allo sganciamento finale è stato fatto un determinato percorso economico e politico: proteste e nuove elezioni che hanno portato al governo ritenuto responsabile, nazionalizzate le maggiori banche, chiesto prestiti alla Russia e all’Argentina, indetto ben due referendum che hanno decretato il ripudio del debito con le banche estere e un rifiuto di massa a politiche di tagli e privatizzazioni, varata un’Assemblea Costituente. In più bisogna mettere in conto le peculiari condizioni di partenza: l’isola non fa parte del sistema monetario europeo (ha una moneta nazionale, la corona) e le dimensioni della sua economia sono, nel contesto del mercato globale, modeste.

Tuttavia gli islandesi, dalla sollevazione furibonda ma pacifica dell’ottobre 2008 a oggi, hanno maturato una ferrea volontà politica di disfarsi di istituzioni e meccanismi dati generalmente per intoccabili e ineluttabili. Una vera e propria rivoluzione copernicana rispetto al pensiero unico propagandato in Occidente secondo cui fuori dalla supervisione coercitiva degli organismi internazionali non c’è salvezza ma solo il fallimento. L’Islanda ha capito che dietro la facciata tecnicamente asettica dei funzionari dell’Fmi (o del Wto, o in Europa della Bce) ci sono i lucrosi interessi dei banksters privati, che usano come leva di ricatto morale il risparmio della gente da loro gestito per strozzare altre genti e privarle del diritto di autogovernarsi. L’Italia si trova in una situazione molto diversa: con le mani legate dalla gabbia dell’euro, con un ceto politico prostrato ai piedi dei dittatoriali “mercati”, con un’opinione pubblica che si scanna sulla pagliuzza di chi governa a Palazzo Chigi mentre è insensibile alla trave di chi manovra dall’estero il nostro bilancio pubblico. Ma le innegabili differenze non devono offuscare il valore di esempio, quanto meno etico e civile, che viene dai ribelli della libera Islanda. Da oggi, tornare a respirare libertà si può. Siamo - vorremmo essere - tutti islandesi.

Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del 14 settembre 2011

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