«Chi ha inquinato, paghi le spese per ripulire il territorio». È quanto chiede il consiglio di bacino Valle del Chiampo con un esposto presentato ieri in procura nel quale si punta il dito, sul fronte della vicenda Pfas, contro l'azienda Miteni di Trissino. L'impresa che opera nel settore chimico rispedisce però al mittente le accuse, spiegando di aver sempre rispettato, nelle procedure di scarico dei reflui, proprio i valori sui Pfas stabiliti dallo stesso consiglio di bacino e di non essersi mai sottratta al confronto con l'ente. La vicenda dell'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche si arricchisce dunque di un nuovo capitolo, con il botta e risposta tra l'organo di tutela delle acque e lo stabilimento chimico trissinese.
LE ACCUSE. Il consiglio di bacino ha affidato ad un professionista uno studio per accertare le responsabilità dell'inquinamento del territorio con i Pfos e i Pfoa, considerati tra le sostanze più tossiche e persistenti tra i perfluori. I due composti non sono più prodotti da Miteni fin dal 2011. Come si legge nell'esposto indirizzato alla procura della Repubblica di Vicenza, secondo la consulenza tecnica redatta da Andrea Sottani, «il sito Miteni costituisce ancora oggi una sorgente attiva dell'inquinamento e pertanto una sicura fonte emissiva permanente delle sostanze perfluoro alchiliche, oltre che di altri contaminanti, nella falda; il deterioramento della risorsa ambientale costituisce un danno effettivo, concreto e continuo, quindi permanente». Il consiglio di bacino non si è fermato qui, commissionando anche una valutazione chimico tossicologica sugli effetti indotti sull'uomo dalle sostanze perfluoro alchiliche. Lo studio di Raffaella Butera, sempre come riportato nel documento, spiega: «Dette sostanze appaiono inequivocabilmente fonte certa di determinati effetti tossici non cancerogeni e fonte possibile, ma da verificare, di effetti tossici cancerogeni». Sul fronte della riparazione dei danni ambientali provocati dai perfluori, l'ente di tutela delle risorse idriche fa riferimento all'attuale normativa in tema di ambiente, la quale «pone il ripristino e il recupero ambientale come obiettivi imprescindibili». In particolare, le misure, soprattutto per quanto riguarda le acque, devono portare «all'obiettivo del completo ripristino della risorsa e dei suoi "servizi" nelle condizioni antecedenti il danno o, in alternativa, nell'adozione di misure compensative alternative». «A fronte - si continua a leggere nel testo presentato in procura -, dell'evidente consapevolezza che la fonte emissiva e di danno alla falda coincideva col proprio sito (è la stessa società ad ammetterlo nella propria nota del 24.7.2013), Miteni non ha intrapreso l'azione di ripristino». E conclude, più avanti, nel documento: «Non è dubitabile che Miteni (e verosimilmente le sue controllanti) sia destinataria dell'obbligo di ripristino».
IL COMMENTO. «Vista la mancanza di dialogo che la Miteni ha dimostrato con Acque del Chiampo - ha commentato il presidente del Consiglio di bacino Valle del Chiampo Giorgio Gentilin -, ho ritenuto di dare ulteriori strumenti investigativi alla Procura della Repubblica. Il nostro fine è quello di avere il ripristino della risorsa idrica e un aiuto da parte dell'azienda nell'affrontare questa vicenda. Questa è una valle che in passato si è presa le sue responsabilità sulla tematica ambientale e che ha saputo lavorare per imprimere una svolta sostanziale al riguardo».
L'AZIENDA. La risposta della Miteni non si è fatta attendere. «Innanzitutto l'azienda è seguita da Alto Vicentino servizi, per quanto riguarda gli scarichi - precisano fonti aziendali -. Ci sono stati, poi, dei carteggi con il consiglio di bacino per discutere in merito ai costi legati alla depurazione. Un appuntamento era stato fissato con Acque del Chiampo per il 5 aprile, ma loro stessi l'hanno disdetto il giorno prima. Miteni aveva poi confermato un incontro con l'amministratore Alberto Serafin per il 28 aprile, ma la mattina stessa il gestore del servizio idrico ha annullato l'appuntamento. Non si può certo dire, quindi, che l'azienda si sia sottratta al confronto: sono stati loro a non aver voluto incontrarci. Era stato proprio il Consiglio di bacino, poi, a darci i limiti relativi a queste sostanze da rispettare nelle acque di scarico. Noi abbiamo sempre rispettato questi valori».
da Il Giornale di Vicenza dell'11 maggio 2016; pagina 14
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