giovedì 11 febbraio 2010

Il sistema Arzignano e le coperture occulte

«Quanto è emerso dalle indagini è solo una stortura di questo mondo. L’evasione è il sistema operativo solo di un manipolo di avventurieri. Qui ci sono imprenditori che con impegno hanno costruito, per decenni, il boom della pelle». A parlare così su Il Giornale di Vicenza di oggi è Giorgio Gentilin, sindaco del Pdl di Arzignano, grosso comune dell'ovest Vicentino. Il primo cittadino definisce il maxi scandalo della concia come l'opera di un manipolo di avventurieri; per carità gli spetta il ruolo scomodo di difensore d'ufficio della sua città, ma il capo dell'esecutivo municipale non può tacere scientemente i crudi dati. Le inchieste della magistratura hanno rivelato che ad Arzigano l'illegalità è di casa. Su 500 imprese legate alla concia ben il 30% risultano sotto procedimento penale per reati collegati all'evasione fiscale. Se a questo si aggiungono altri reati, più le procedure amministrative di accertamento erariale si può tranquillamente estrapolare che ad Arzignano, alla meglio, una impresa su due lavora in un ambito di forte opacità rispetto alle leggi.

Di più, un sistema del genere non può tirare a campare per così tanto tempo senza la presenza di coperture istituzionali di altissimo livello. Che molte imprese della concia, e parlo degli ultimi trent'anni, abbiano avuto con le norme (in primis quelle ambientali) un attegiamento discutibile è da anni sulla bocca di tutti, in paese come nel capoluogo. La gestione del ciclo dei reflui del comparto di Trissino Arzignano Chiampo Zermeghedo è entrata nel ciclone dei media e della magistratura diverse volte. Gli inquinanti derivati dalla lavorazione delle pelli e finiti nel canale-fiume Fratta Gorzone in provincia di Verona hanno riempito le pagine delle cronache politiche, talvolta giudiziarie. La mancanza di trasparenza sulle incidenze tumorali nel comprensorio aggrava ulteriormente lo scenario.

Tra le piccole cose che del sistema Arzignano destano curiosità ce n'è una che mi ha lasciato perplesso. Uno dei grandi accusati, il consulente fiscale Marcello Sedda, aveva il suo studio nello stesso stabile della locale agenzia delle entrate. È illuminante in questo senso leggere il brano di un articolo pubblicato da Il Corriere del Veneto il 6 febbraio del 2010: «Sedda, nel corso degli interrogatori secretati dove ha spiegato il ruolo di società estere come Lgl, Gpl, Boissonot e diverse altre dai nomi in codice, finite sotto i riflettori del pm e della Guardia di Finanza di Vicenza con una pesante accusa: riciclaggio di denaro proveniente da delitti tributari. Società usate cioè come salvadanai privati dove far confluire le somme sottratte al fisco, attraverso la fabbrica delle cartiere. Incrociando i suoi interrogatori con quelli di altri indagati e di una decina di imprenditori coinvolti, ne esce un quadro sorprendente: sembra che quasi un intero distretto produttivo fosse complice dell’evasione, coinvolgendo un po' tutti gli uffici finanziari anche se, naturalmente, non tutti i dipendenti, anzi. Poche tasse significa molta liquidità, molta ricchezza. Ristoranti, centri estetici, concessionari di fuoristrada, pure i fioristi registravano crescite a doppia cifra. Sull'evasione è fiorita un’economia legale dell’indotto che ora, un po’ per la crisi, un po' per l’inchiesta, un po’ per le imposte che bisogna pagare, segna il passo...».

Quando Luigi De Magistris, parlamentare europeo dell'IDV, fece visita al presidio No Dal Molin alla fine dell'ottobre 2009, ascoltò in silenzio il mio breve intervento. Intervento nel quale io decisi di mettere in rilievo alcuni collegamenti sconvenienti tra mondo imprenditoriale vicentino, mondo politico, mondo economico, magistratura e istituzioni. De Magistris non ebbe remore a definire il sistema di relazioni da me tratteggiato alle brevi come «borghesia mafiosa». Un sistema nel quale big della politica, delle istituzioni e degli affari possono siglare accordi più o meno taciti protetti da coperture le più varie. In questo quadro tanti denari raccolti illecitamente sono finiti nel mattone creando un altro danno. In momenti di magra come questi infatti una valida risposta alla crisi può venire da un turismo sano che trova la sua collocazione grazie ad un territorio pregiato. Ma se lo stesso territorio, da decenni, viene devastato da operazioni edilizie invasive quando non al limite della legalità quali turisti possiamo attirare? Il sindaco di Arzignano quindi ha poco da minimizzare. Io non so se tra gli atti segretati in queste settimane dalla procura appaiano per la priva volta i nomi dei veri big della concia arzignanese. Si tratta di personaggi influenti, legati a doppio filo col potere locale e a logge più o meno occulte. Fare la difesa d'ufficio di chi potrebbe essere colpito in futuro da un accertamento non è una gran cosa. Va detto inoltre che la precedenti amministrazioni arzignanesi (per anni in quota al centrosinistra) non hanno mai sollevato il problema in modo deciso. Assai più saggio sarebbe quindi interrogarci sulle ragioni profonde che hanno portato un pezzo del Vicentino a questa situazione. Un Vicentino in cui per anni i controlli e la illegalità diffusa sono stati placidamente tollerati dalla stragrande maggioranza delle forze politiche, da molti ambineti sindacali e da un bel pezzo dell'opinione pubblica. E non solo nella concia, basti pensare all'edilizia o alle cave. Ma siamo sicuri che potremo permetterci tutto ciò ancora a lungo?

Marco Milioni
link originario: http://www.lasberla.net/2010/02/il-sistema-arzignano-e-le-coperture-occulte/

L'Ascom berica contro l'outlet di Grisignano

«È davvero paradossale che il sindaco di Grisignano di Zocco dia il via libera, anche se solo, a quanto pare, come atto d’indirizzo, ad un outlet di 160 mila metri quadri pensando solo ai vantaggi particolari per il suo comune, sempre che ce ne siano, senza avere la benché minima idea dei risvolti di una simile scelta per un intero comprensorio». Il presidente della Confcommercio di Vicenza Sergio Rebecca non usa giri di parole per esprimere il proprio disappunto sulla notizia che il consiglio comunale di Grisignano ha approvato un così detto “atto di indirizzo” per la realizzazione di un outlet, di oltre cento negozi e su una superficie, almeno secondo quanto apparso sulla stampa, di 160mila metri quadri.

Le voci di un progetto in questo senso erano giunte fin dall’agosto scorso all’Ascom, che con due distinte lettere (il 7 agosto, il 16 settembre) aveva chiesto all’amministrazione un incontro per verificare la notizia. Successivamente, il primo ottobre, venuta a conoscenza dell’esame del progetto nel corso del consiglio comunale, l’associazione di via Faccio aveva richiesto di ricevere copia della relativa documentazione. Per tutta risposta il sindaco Mirco Bolis e la sua giunta, invece di aprire un dialogo con gli operatori commerciali dell’area, sono andati dritti per la loro strada senza alcun confronto e senza fornire alcuna spiegazione o informazione. «Non si capisce il perché di tutto questo mistero, anche se personalmente non sono di quelli che amano il proverbio “a pensar male ci si indovina”. Ritengo invece importante sottolineare che questo modo di agire non rispetta un principio guida che dovrebbe ispirare tutta l’azione politico-amministrativa, vale a dire quello della trasparenza. E ciò è ancor più grave se consideriamo che l’impatto di una struttura delle dimensioni e con caratteristiche di cui, ancora, si sente parlare solo per “sentito dire”, sarebbe dirompente sia sulla rete distributiva esistente, sia sulla viabilità e, non ultimo, sul contesto urbano del paese e dei comuni contermini... Leggo - prosegue Rebecca - che in cambio dell’outlet il sindaco Mirco Bolis intende ricevere dalla società costruttrice un bel centro anziani, strade e piste ciclabili. Mi rallegro con i cittadini di Grisignano di Zocco per la lungimiranza del loro primo cittadino, ma mi chiedo se tutto questo basterà per compensare gli ovvi disagi, da un punto di vista ambientale, viabilistico ed in sostanza di qualità della vita, per l’arrivo, si dice, in un paese di 4mila abitanti, di ben un milione di visitatori».

Al di là del problema locale, è chiaro infatti che un outlet come quello prospettato dovrebbe influenzare i comportamenti di acquisto di un numero assai vasto di consumatori, in tutta la provincia e probabilmente anche del Padovano. Sulle conseguenze per il settore commerciale di questa scelta, però, non si ravvisa, nel comportamento del sindaco di Grisignano, la benché minima riflessione: «Ogni pubblico amministratore – conclude il presidente della Confcommercio - dovrebbe basare le proprie decisioni anche su di un forte raccordo con il territorio in cui vive, che non è solo il campanile del proprio comune. Da anni la nostra associazione dialoga con le istituzioni locali ragionando su un concetto basilare per lo sviluppo armonico del nostro territorio, che è l’ottica dell’area vasta. In questo progetto di Grisignano l’unica vastità da me ravvisata è data dall’ambizione di certi amministratori in scadenza di mandato, che vogliono evidentemente congedarsi dai loro concittadini con il “botto” e che invece rischiano, questa volta veramente, di far fare un brutto “botto” ad un intero territorio e ad un intero sistema economico. E ciò alla faccia del confronto costruttivo da tutti sempre virtuosamente invocato. Come Confcommercio provinciale non possiamo quindi che avere una sola certezza: che attueremo ogni possibile iniziativa giuridica e sindacale in linea con la politica di equilibrato sviluppo della rete distributiva sempre coerentemente da noi perseguita».

da: www.ascom.vi.it
link originario: http://www.ascom.vi.it/a_675_IT_8455_1.html

mercoledì 3 febbraio 2010

Per non dimenticare il caso Unipol-Bnl

«Follow the money»: segui i soldi, dice un adagio del giornalismo anglosassone. È un detto che spiega alla perfezione come funziona la macchina della politica “democratica”: non solo, come comunemente si pensa, oliata da industrie, banche, lobby; ma intrecciata ad esse in una commistione che, se fatta emergere dall’ombra in cui viene sapientemente tenuta, fa apparire i partiti quali comitati d’affari mascherati.

Uno scampolo di questa realtà ancora misconosciuta è l’intervista a Giovanni Consorte, l’ex numero uno di Unipol, apparsa sul Corriere dell’altro giorno («Consorte: sacrificato da D’Alema e Veltroni», Corriere della Sera, 30 gennaio 2010). Consorte è l’uomo della finanza rossa che aveva tentato la scalata alla Bnl in accordo con l’ex presidente di Bankitalia, Antonio Fazio, ammucchiandosi alla banda dei furbetti del quartierino. Assieme a costoro è imputato di aggiotaggio. Eppure opinioneggia come fosse un leader politico. Sentite qua cosa dice della situazione a Bologna: «Serve un candidato di qualità. Con una base culturale e professionale di rilievo. Che abbia gestito aziende, situazioni complesse, non chiacchiere. Deve essere conosciuto e stimato, e magari andare bene a parte dell’opposizione».

Sul Pd, il suo partito, ha le idee chiare e le espone da azionista forte dell’azienda guidata, almeno ufficialmente, da Bersani: «Il Pd è un partito non coeso, che non esprime un indirizzo chiaro. Gli effetti si vedono purtroppo anche a Bologna. E tutto questo ha una data d’inizio... La guerra contro la scalata a Bnl. Il Pd non era ancora nato, ma la sua mancanza di una linea e di una azione politica precisa ha origine da quella vicenda». Immancabile, ecco l’ex amministratore delegato di una compagnia assicurativa che si erge a intellettuale: «Sta per uscire un libro, curato dal professor Paolo Pombeni e da me, che individua l’anomalia italiana nell’assenza di un partito riformista, laico, socialista, garantista di tradizione europea».

Naturalmente non gli passa neanche per l’anticamera del cervello che l’anomalia possa consistere nel fatto che ricorda lui stesso, e cioè che contro l’operazione di conquista della Bnl «si scatenò la reazione delle forze economiche e politiche», ovvero i «vertici del Pd alla sua nascita», svelando il legame di ferro fra piani finanziari e strategie politiche. Un j’accuse in piena regola contro i compagni: «Si trattava in realtà di una bella operazione industriale. Ma la componente cattolica del futuro Pd posso capirla, temeva un eccessivo potere degli ex Ds. Le dinamiche delle attuali difficoltà del Pd erano già presenti. Veltroni, Fassino, D’Alema: mi hanno abbandonato. Sacrificato sull’altare del primato della politica. C’era da far nascere il Pd, e a marzo 2006 c’erano le elezioni». Il primato della politica? Questo signore vorrebbe farci credere che gente della pasta di Veltroni, Fassino e D’Alema, cresciuti alle Frattocchie e a Botteghe Oscure, fra collateralismi cooperativi, lottizzazioni televisive e consociativismi di ogni genere, non solo facessero il tifo, ma non fossero d’accordo con lui nell’assalto al chiuso mondo finanziario italiano? Invece è proprio così. Consorte sostiene, con serietà, la barzelletta secondo cui «quei due (Fassino eD'Alema, ndr) non sapevano nulla dell’operazione. Facevano il tifo, ma questo è un altro discorso». E l’ormai celebre frase di Fassino, «abbiamo una banca»? «La sentirete al processo, quella telefonata, nella sua interezza. Era entusiasmo, non complicità. Quando esplose il sisma, non ho avuto una chiamata, una parola. Ma adesso ho chiesto che vengano in aula a motivare il loro comportamento successivo al lancio dell’Opa». Ha il dente avvelenato, Consorte.

E allora, alla fine, il succo della verità lo distilla come veleno per i sepolcri imbiancati che cianciano di indipendenza fra politica e affari: «Parliamoci chiaro: potere economico e politico non sono mai disgiunti. Senza il secondo non si va da nessuna parte, come dimostra il fallimento dell’operazione Unipol-Bnl... Saremmo diventati un braccio finanziario a sostegno del governo, e mancava poco alle elezioni del 2006 vinte dal centrosinistra». Più chiaro di così.

Alessio Mannino
link di riferimento
per gentile concessione de www.ilribelle.com; 2 febbraio 2009