venerdì 22 luglio 2016

La Pedemontana di Zaia in formato Ladylike

Il Corriere del Veneto, il GdV in questi giorni si sono soffermati ostinatamente nel descrivere come «una impasse» la situazione di stallo che da mesi colpisce Sis, il colosso piemontese delle costruzioni che in regime di iniziativa privata, con tutto ciò che comporta la cosa in termini di rischio di impresa, ha il compito di realizzare la Pedemontana Veneta.

Corveneto e GdV, sposando acriticamente la tesi del governatore Luca Zaia, dell'assessore ai trasporti Patrizia De Berti e quella del capogruppo dem in regione Alessandra Moretti, che dovrebbe essere all'opposizione peraltro, riferiscono che la linea di credito da 1,6 miliardi che la banca d'affari americana Jp Morgan sarebbe pronta a fornire a Sis per completare la Spv, nota anche come Spresiano Montecchio, è bloccata dal niet di Cassa depositi e prestiti in ragione di una non ben precisata guerra tra banche. Si tratta di una ricostruzione stupida prima che non vera.

Il «placet», questo è il termine ambiguo che usa Marco Bonet sul Corveneto di oggi in pagina 3 è un eufemismo (e non ho capito se il bravo collega se ne renda conto) per nascondere l'espressione corretta e vera che andrebbe usata che è garante di ultima istanza. Detto in altre parole il placet di Cassa depositi e prestiti altro non è che la garanzia sancita per contratto che se Jp Morgan non avrà indietro i soldi prestati, sia in termine di capitale sia in termini di un mastodontico interesse all'8% giustificato dall'altissimo rischio che i pedaggi a causa di transiti esigui mai ripagheranno l'opera, sarà proprio la Cassa, che è di proprietà statale a rimetterci la differenza.

Il che pone due problemi: uno di ordine etico e politico, l'altro e conomico giuridico. In primis la Spv è stata sbandierata come l'opera che non sarebbe costata una lira allo Stato. Ad oggi il conto sulle spalle pubbliche è di almeno 600 milioni, il tutto in ossequio di una serie di interventi assai border line rispetto alla norma. In secundis l'operazione Cdp rischia di incappare nel divieto assoluto ad operazioni del genere sancito da un allegato al nuovo statuto votato nel 2011 il quale dice «no agli investimenti in società strategiche che si trovino in situazione di crisi economica e finanziaria o rischino di trasferire a Cdp degli oneri derivanti da processi di ristrutturazione in corso». E ancora, un eventuale prosecuzione nella direzione di un intervento seppur quale garante di ultima istanza, espone l'operazione alla forche caudine certe delle norme europee in tema di aiuti di Stato: «... sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza», questo è quanto sancisce l'articolo 107 comma 1 dei Trattati consolidati della Unione Europea, ovvero l'Abc per chi si occupa di grandi opere. In questo senso nemmeno il comma 3 c dello stesso articolo («gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche,  sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse») può fornire una adeguata scappatoia perché le condizioni in cui si materializzerebbe l'operazione perché portato finale sarebbe comunque quello della alterazione delle condizioni di concorrenza. E ancora, l'intervento di Cdp esporrebbe tra l'altro la convenzione in essere tra privati e pubblico al superamento dell'asticella in quanto mancata assunzione del rischio di impresa da parte dello stesso privato.

Ora la domanda da fare a Zaia, ma soprattutto a Moretti e a De Berti che sono pure due avvocati, è semplice: ma come mai l'asseverazione sul piano Jp Morgan non viene chiesta ad un'altra banca privata? La risposta è semplice. Nessun soggetto privato si assumerebbe quel rischio, che è considerato incompatibile con la profittabilità dell'investimento. A meno di una copertura pubblica. E così si ritorna da capo. Non è nemmeno corretto affermare, come fa Bonet, che la Spv è completata al 30%. Questi sono i dati forniti dalla struttura commissariale. Ma basta un giro in auto da Montecchio Maggiore nel Vicentino a Spresiano nel Trevigiano per constatare che le cose non stanno così. Ad ogni modo, a detta della grande stampa, la giunta regionale si dice certa che l'operazione si farà. Il che pone un dubbio inquietante. Zaia, De Berti, Moretti o il ministro alle infrastrutture Graziano del Rio hanno avuto assicurazioni che chi vigilerà in caso di contenzioso chiuderà un occhio addomesticando le norme a questioni d'opportunità? C'è poi un dato antropologico su Moretti che non va dimenticato. In queste ore l'ex deputata del Pd spara sul favore del governo rispetto alla Spv, cercando di mostrare una grande preparazione sull'argomento. I colleghi della stampa però non fanno rilevare che durante la campagna per le regionali del 2015 a Castelgomberto proprio la Moretti rimediò una delle sue tante figure barbine quando interrogata dai comitati che si battono contro la Spv ammise con imbarazzo di non sapere che l'esecutivo guidato da Matteo Renzi avesse prorogato la nomina del Commissario alla Spv Silvano Vernizzi. Si giustificò spiegando che non aveva potuto da vedere vicino gli atti. Peccato però che la cosa stesse scritta su tutti i giornali regionali. Non è che qualche giornalone più o meno confindustrialmente interessato ai destini di bottega sia direttamente interessato anche a quelli della Pedemontana tanto da cancellare le gesta passate di Ladylike Moretti e delle sue cerette a favore di un attivismo quasi sfrenato a favore di un'opera cara al suo ex nemico Zaia?

mercoledì 20 luglio 2016

Nozze di Cana, Luca Zaia in Moretti: officiante il Vescovi di Pedemontana

Le peggiori porcate, quelle per cui politica, finanza e alta burocrazia, camminano a braccetto, si fanno d'estate. Quando la gente è al mare. Con un mix di pelosa ipocrisia e faccia di bronzo d'ordinanza il governatore Pr del Veneto, il leghista doroteo Luca Zaia, convolando a nozze col suo alter ego in ceretta Alessandra Moretti, capogruppo regionale del Pd, officiati da sua eccellenza reverendissima legato di Confindustria Antonio Vescovi (numero uno dei costruttori vicentini), in un sinuosissimo menage a trois, hanno chiesto a mamma Stato, il tanto vituperato Stato, quello di Roma ladrona, cioè a Cassa depositi e prestiti, di farsi da garante per la emissione di bond, circa 1,6 miliardi di euro, affinché eventuali investitori privati siano pronti ad entrare nella partita Spv che per il privato in realtà ha un interesse quasi nullo...

Il motivo? Il costo della Pedemontana infatti, almeno per quella parte di investimento privato, si sarebbe dovuto finanziare coi pedaggi non si potrà reggere con le sole tariffe. Se ne ricava che evidentemente le stime circa le previsioni di transito che avevano comportato l'ok inizialmente dato dalla Regione, dal Commissario straordinario e dallo Stato nelle sue articolazioni erano davvero troppo balenghe.

Epperò quello che lorsignori, anche dei grandi giornaloni, non dicono è un'altra cosa. Se nei mesi nessun privato batterà alla porta, sarà la Cdp, cioè noi e i poveri pensionati coi loro libretti di risparmio, a caricarsi sul groppone i costi di una infrastruttura che realizzata in nome di sua maestà il Project financing. Sì proprio quel “progefinansin” alla veneta in cui fanno tutto i privati perché son più bravi, come Confindustria continua autisticamente a sostenere. Salvo poi andare a pietire i dané al ministro Graziano Del Rio, che se fosse davvero un ministro li sbatterebbe fuori dalla porta.

Frattanto in questa melmaia putrescente, dove greppia ed escrementi hanno sempre più il medesimo tanfo del malaffare, c'è anche un dato lessicale che per certi versi risulta ancor più insultante dell'ennesimo salasso cui saranno sottoposti i veneti. «... I lavori stanno procedendo e non sarebbe né comprensibile né giustificabile in alcun modo che subissero ritardi o sospensioni spensioni a causa delle lentezze procedurali da parte della politica e delle istituzioni». Così parlò Antonio Vescovi, numero uno della associazione dei costruttori berici sul giornale di famiglia, ovvero il GdV di oggi in pagina 8. Ma nessuno fa rilevare a mister Ance che i ritardi sono del privato che non caccia la grana o che non ha una lira? È come se un piromane dopo avere appiccato un incendio a mezza città si lamentasse della lentezza con cui i vigili del fuoco hanno spento le fiamme. Ma stiamo scherzando? Perché prendersela con la politica e le istituzioni quando in questo caso è sua eccellenza reverendissima il mercato a fallire miseramente? Un fallimento che sembra quello del bulletto alla Verdone che dopo aver attirato la squinzia di turno ostentando una equina gibbosità sotto la patta dei jeans si dimentica, al momento della calata, di togliere il calzino da sotto gli slip color bianco Upim. 

In realtà le istituzioni una colpa ce l'hanno. Quella di avere coltivato questa associazione a delinquere nella sua accezione etica con chi sin dai tempi del primo rigo tracciato sul tecnigrafo già sapeva che il privato i quattrini non li avrebbe tirati fuori. E che sarebbe dovuto intervenire Pantalone. Il tutto poi è aggravato da un'altra circostanza che suona come una beffa. Se a parità di progetto (lasciamo stare la versione saggia della Spv, quella costava troppo poco e quindi non aveva i requisiti etico-morali per concorrere) gli enti pubblici si fossero limitati a chiedere un mutuo in banca l'opera, la stessa opera, sarebbe costata dio solo sa quanto meno in termini di interessi. Per cui oggi Pantalone non solo paga lo scempio ecologico e progettuale, ma pure quello dell'usura aristotelicamente intesa. È il solito giochino in salsa Nozze di Cana in cui l'acqua dei debiti del privato, col quattrino pubblico, si trasforma in vino, ovvero in privatissimo profitto...

Per carità uno può anche obiettare che se la Regione l'avesse fatto oggi in pancia oltre al prestito da restituire si sarebbe trovata anche le azioni baciate di BpVi e Veneto Banca. Ma sarebbe bastato rivolgersi altrove. In Svizzera, dove di quattrini se ne intendono, il project financing lo hanno definito una cagata pazzesca. Ma il masochismo dei veneti questo è. Il fatto di avere ampiamente anticipato con articoli, post sui miei blog, due libri, quello che sarebbe stato il de profundis della Spv, oggi poco importa. Mi domando solo una cosa. Ma se domani prendessero il sopravvento i talebani (non l'Isis perché quello è un prodotto di scarto dei Sauditi, nonché di un pezzo della intelligence israeliana e americana) ai signorotti dell Spv farebbero ciò che una sana Shari'a prevede per i ladri? Qualche mano cadrebbe mozza su un letto di banconote da 500 euro? Qualche grassa testa rotolorebbe giù da una gru o magari sarebbe infilzata in qualche palo per lap dance?

La cosa simpatica, l'ultima spanna in un deretano così povero da non potersi nemmeno permettere la vaselina, dopo lo scempio bancario e quello dei project, è la legge regionale che l'aula si appresta a votare su richiesta del primo firmatario Luca Zaia. L'hanno battezzata la norma che blocca il consumo di suolo. In realtà è il passepartout per la soluzione finale in salsa cementizia, in un Veneto già numero uno per consumo di suolo. Il sogno proibito, anzi erotico, che Giancarlo Galan in Sartori aveva tanto agognato. E che invece sarà Zaia a portare a casa. Tanto poi la mancanza di suolo per coltivare, bere, vivere sarà colpa dei “singani” e dei “clandestini”. Mentre la magistratura rimarrà a guardia del bidone...

Gli strali di Ellero sui magistrati vicentini

Chi conosce il professor Renato Ellero, uno dei penalisti più noti del Veneto, sa che i mezzi termini non sono per lui. Che si parli di corruzione, di diplomazia o di politica, il vicentino di origini veneziane ama ripetere «di non curarsi più di tanto di ciò che pensano gli altri». E la cosa la si è notata, fra le tante, quando è finito su La7 per parlare del caso Expo-Maltauro. O quando dalle telecamere di Antenna Tre si scagliava contro l'allora premier Silvio Berlusconi e contro il sistema bancario. Fino alle analisi su Vicenzapiu.com in tema di BpVi. Ed è proprio sul versante delle banche venete che la situazione rimane tesa. Oggi a Treviso si tiene l'ennesima manifestazione di protesta. Venerdì a Vicenza è previsto l'arrivo del Guardasigilli Andrea Orlando del Pd, invocato da più parti dopo il j'accuse indirizzato dai risparmiatori truffati nei confronti degli uffici giudiziari berici. «La situazione è grave» spiega l'avvocato, il quale però nutre più di qualche dubbio sul fatto che l'autorità giudiziaria riesca a fare completamente chiarezza sull'affaire Popolare di Vicenza. 

Professore Ellero, recentemente ha avuto molto risalto sui media la presa di posizione del presidente della Anm il dottor Piercamillo Davigo il quale ha chiesto che il Csm aprisse un fascicolo rispetto a quanto è accaduto a Vicenza nei confronti della vicenda BpVi. Lei queste notizie come le ha accolte? 
«Per dire la verità, avrei preferito venissero da altra fonte, perché in fin dei conti Davigo è un collega, però si è sentito in dovere, di fronte a questa vicenda gravissima, di intervenire personalmente; mi domando a questo punto, però, dove siano i magistrati vicentini, dove siano gli organi di controllo sui magistrati vicentini. Mi domando anche dove sia il Consiglio dell'ordine degli avvocati, perché di fronte a quanto accaduto il Consiglio dell'ordine ha un dovere di intervento. Perché siamo arrivati ad un punto tale che a Vicenza, a palazzo di giustizia, l'avvocato che è uso frequentare certi corridoi riceve un trattamento: gli altri no. A questo punto sarebbe meglio che le cariche in seno all'Ordine degli avvocati fossero estratte a sorte. Così almeno certi interessi e certe manovre sparirebbero. Il fatto che certi consiglieri siano stati confermati mi offende come avvocato».

Da più parti si invocano interventi di vario genere. Le commissioni giustizia di Camera e Senato possono sollecitare alcuni accertamenti da parte del guardasigilli per esempio. Peraltro in commissione giustizia al palazzo Madama ci sono parecchi membri veneti: la senatrice Erika Stefani del Carroccio, la senatrice Rosanna Filippin del Pd, il senatore Enrico Cappelleti del M5S. Poi c'è il veneziano ex Pd Felice Casson. Le prime due sono avvocati vicentini. Cappelletti è vicentino d'adozione. Sono persone che dovrebbero conoscere il dramma banche. Lei che dice al riguardo? 
«Lei sa quanti avvocati ci sono in Italia? Il problema non è questo, il problema è se avere il titolo di avvocato, permetta di essere un avvocato con la “A” maiuscola. Quanto all'esponente dei Cinque stelle, che dovrebbe appartenere ad un movimento che si dice rivoluzionario, debbo dire che è stato morbido. Anzi moscio. Il che tra l'altro rende l'idea dello spessore culturale di molti elettori dei Cinque stelle. E lo dice uno che a Beppe Grillo ha sempre riconosciuto i suoi meriti. A Grillo più che pensare ad espellere chi si comporta in un certo modo o chi fa determinate cose consiglierei di espellere chi non fa niente. Ricordo a tutti che nel 2013 il M5S ha preso i voti per rovesciare i tavoli, non per mediare e moderare. Nel caso della BpVi avrebbero dovuto fare il diavolo a quattro. Anche coi magistrati».

Le istituzioni vicentine come si sono comportate?
«Lei sa che il sindaco di Vicenza, Achille Variati è del Pd. A Vicenza tutti ricordano le dichiarazioni entusiastiche degli anni passati di Variati nei confronti dell'ex presidente della Popolare vicentina Gianni Zonin. Dopodiché posso solo consigliare a Variati, se ha un po' di dignità di dimettersi».

E poi?
«C'è una questione di fondo. La gente dovrebbe essere più vivace: se vanno a protestare davanti casa di Zonin, vadano dentro allora, solo che se poi lo trovano dentro è un problema per entrambi; non le dico cosa farei io. Io posso dirle che la moglie di un grande industriale vicentino, parlando con un amico, di Zonin, ha detto: “Se lo trovo lo uccido”. Non so se rendo l'idea».

Recentemente sui media veneti l'ex procuratore berico Antonio Fojadelli e l'ex pm, suo sottoposto, Antonino De Silvestri se le sono dette di santa ragione. De Silverstri, sul GdV, ha affermato di avere lasciato la toga perché non aveva condiviso la richiesta di archiviazione per Zonin voluta da Fojadelli. Quest'ultimo sul Corveneto ha replicato che all'epoca dei fatti De Silvestri in modo anomalo si era de facto auto-assegnato il fascicolo. Quest'ultimo poi ha anche affermato, sempre su Il Giornale di Vicenza, che era stato avvicinato da un noto imprenditore affinché ammorbidisse l'inchiesta sulla Popolare. E che l'ex magistrato non lo denunciò, lo racconta proprio De Silvestri di sé stesso, solo perché erano amici di lunga data. Lei s'è fatto una idea di questa querelle a distanza?
«De Silvestri non racconti balle. Lui dalla magistratura è stato sbattuto fuori. E ancora. Sempre De Silvestri in quella intervista, si autoaccusa di un reato, sebbene prescritto. Nemmeno Fojadelli per vero la racconta tutta. E dovrebbe spiegare una cosa. Se è vero che De Silvestri tenne un comportamento anomalo, lui, che era il dirigente dell'ufficio che provvedimenti adottò? E perché Fojadelli non dice che fu Ennio Fortuna, ex procuratore generale presso la corte d'appelo di Venezia a dire di De Silvestri: “quello non lo voglio nella mia circoscrizione giudiziaria”. Devo andare avanti?».

Scusi professore ma lei li conosce i motivi per cui De Silvestri abbandonò la toga da magistrato?
«Io penso di conoscerli. Sempre che De Silvestri non mi rompa le scatole. Allora glieli tiro fuori subito. Chiaro? Andrebbe però aggiunta un'altra cosa più importante di questa scaramuccia a distanza tra due ex magistrati».

Quale?
«Di riffa o di raffa le condotte attribuite a Zonin sono state attribuite anche ad altri membri del cda della BpVi come l'ex dg Samuele Sorato, come l'ex presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto. Con loro ci sono gli ex top manager Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta, assieme all'ex componente il cda Giovanna Dossena. Ora se più persone hanno concordato quella condotta illecita, leggo sulla stampa di reati, tra gli altri, come truffa o ostacolo all'attività di vigilanza, io le dico che sono due attività dolose e, se più di tre persone si uniscono per commettere un reato, questa è associazione a delinquere: se uno studente all'esame di penale non lo sa lo si butta fuori. È possibile che io cittadino debba pagare 6000 euro al mese ad un procuratore della repubblica che fa di tutto per dare l'impressione che non lo sappia?».

Si riferisce al ritardo con cui la procura, sempre che lo abbia fatto, avrebbe constatato l'associazione per delinquere?
«Sì. Ma siamo fuori dal mondo? Ovviamente in questi casi può essere previsto anche l'arresto. Arresti però non ce ne sono stati. Sequestri nemmeno. Ne deduco che non si voglia arrivare sino in fondo. E che si voglia continuare a rigirare la minestra. Evidentemente anche i magistrati hanno degli interessi particolari».

Che sarebbero?
«Non lo so. Ma c'è il Csm no? Ecco, il Csm indaghi. Anche se mi viene da ridere al pensiero che uno dei membri del Csm sia l'ex senatore azzurro Pierantonio Zanettin».

Se pensa alla magistratura requirente vicentina che cosa le viene in mente?
«Se io fossi il procuratore capo Antonino Cappelleri un pensierino alle mie dimissioni lo farei». 

Lei, pur a riposo, è un docente universitario. Nel mondo accademico l'andazzo in BpVi era noto? 
«Certo che sì. In un periodo in cui ero il direttore del corso di operatore giuridico di impresa della facoltà di giurisprudenza di Padova-Rovigo insegnava una persona, della quale non posso rendere pubblico il nome per questioni di riservatezza professionale, che faceva il commercialista. Quest'ultimo era uno di quelli che per BpVi approntava i bilanci. Mi raccontò che era il presidente che diceva quali dovevano essere i risultati. E che alla fine i conti rispecchiavano tale volontà».

Se ne ricava che cosa?
«Ovvio che non ci volesse un genio. E che non ci volesse molto per per scovare il falso in bilancio in via Framarin. Sarebbe bastato che uno con le competenze giuste andasse a fare le pulci a quelle carte. Ma non accadde: il tutto a fronte di segnalazioni alla magistratura penale che vanno avanti da lustri».

Perché?
«Perché a Vicenza domina un certo tipo di mentalità rispetto al quale fin dalla base della piramide sociale si tende a pensare: “Meglio non toccar la banca. Che mi sistema il figlio, il cognato e a volte anche l'amante”. Come vede non ho remore a dire certe cose».

Le denunce sulla popolare berica portate avanti dalla associazione dei consumatori Adusbef affondano le radici addirittura nel 2001. Da questo punto di vista Vicenza e la sua provincia come hanno reagito sul piano della dignità e sul piano sociale?
«Devo rilevare l'assordante silenzio della opinione pubblica berica e quello della cosiddetta grande stampa nei confronti di quanto accaduto negli anni fra procura e alcuni effici Gip. Come diamine si fa quindi a parlare di dignità? I vicentini sono senza dignità».

Ma così non si fa di tutta l'erba un fascio?
«Ovvio che non bisogna banalizzare. Ma generalizzare si può di fronte ad una omertà sociale tanto diffusa. Comunque proviamo a fare alcuni distinguo. I soggetti che hanno perso venti, trenta o quaranta milioni di euro è giusto che li abbiano persi. È gente che ha tratto lucro dalla banca. Hanno investito massicciamente in azioni per avere un tornaconto economico per le loro aziende che mai avrebbero avuto a fronte di rapporti bancari seri. Questi professionisti del “mi faccio gli affari miei” sono quei signori che poi si sono opposti in modo vergognoso alla azione di responsabilità contro il management della vecchia gestione. Ed è chiaro che il vecchio establishment non sia stato attaccato perché questi imprenditori hanno avuto soldi sotto banco».

Però ci sono i piccoli che ci hanno rimesso tutto. O no?
«Certamente sì. Ci sono stati alcuni suicidi o tentati suicidi. E le assicuro che ce ne sono altri due in ballo. Ovvero ci sono altre due persone pronte a togliersi la vita. La diocesi vicentina è al corrente di questa situazione. Tanto che io vorrei sapere dal vescovo Beniamino Pizziol che cosa abbia intenzione di dire o di fare sulla vicenda. I ragionamenti sulla fede e quelli astratti sulla degenerazione della finanza spettano al Papa. Il vescovo di Vicenza invece dovrebbe intervenire sul piano pratico; poi tra l'altro sono le sue “pecorelle” che si suicidano, e il suicidio, se non sbaglio, è un peccato. Ergo il vescovo che cosa sta facendo? E che cosa ha fatto sino ad ora? Con quanta veemenza ha denunciato i vecchi vertici di BpVi?».

Sui giornali si torna a parlare di una serie di vicende relative a procedimenti penali che sono stati o che dovrebbero essere in capo alla procura di Vicenza. E che hanno dato adito a svariate polemiche. Molti parlano di strane lentezze: dalla inchiesta su Borgo Berga, a quella relativa ai Pfas, c'è ovviamente la BpVi per non parlare delle altre sull'urbanistica o su Aim. Molte sembrano avviate alla prescrizione. Sembra che di fronte a certi santuari si faccia fatica a fare luce. Lei che pensa al riguardo?
«Se si creasse un pool di indagine ad hoc sulle cose accadute in procura e al tribunale di Vicenza qualche magistrato si dimetterebbe. Se quel pool lo guidassi io se ne dimetterebbero molti di più».

Secondo lei il consiglio superiore della magistratura, ma anche gli ispettori del ministero, avrebbero il potere per legge per fare queste cose?
«In teoria sì. Alla fin fine però a condurre le ispezioni sui magistrati sono altri magistrati. Per cui che domande potrebbero fare? Domande del tipo “signor presidente del tribunale lei ha fatto qualche ispezione? Ha ispezionato i gabinetti? Erano puliti?” Rido per non piangere».

Rispetto alle vicende dei rovesci bancari, si può dire che c'è stata una differenza nel comportamento tra i correntisti e tra i soci veneti e vicentini da una parte e tra quelli toscani colpiti, per esempio dal caso Etruria?
«Ovviamente sì. Il centro Italia ha reagito ben più duramente: sono andati a Roma sotto le sedi governative e ministeriali. E se il ministro Maria Elena Boschi non fosse filato via a qualcuno sarebbe passato per la mente di andarla a prendere nei suoi uffici. Lo stesso è accaduto a Firenze con la Leopolda. I vicentini, i trevigiani e i veneti in generale, rispetto a due procure che poco hanno fatto sia per la BpVi sia per Veneto Banca, hanno posto in atto gli stessi comportamenti? No. E la cosa di commenta da sé».

In questi mesi si è parlato anche di responsabilità ai piani alti. Lei che pensa di Bankitalia?
«Non ne penso bene. Però faccio un esempio. Quando in Germania è scoppiato il dieselgate il numero uno di Volkswagen Martin Winterkorn si è dimesso alla velocità della luce. Ed è un uomo più potente di chi per anni si è alternato alla carica di governatore di Bankitalia. In via Nazionale tutti son rimasti al loro posto invece. Non aggiungo altro. Anche perché sulla banca centrale italiana ho già detto negli anni tutto il peggio che si potesse dire».

Marco Milioni