giovedì 29 aprile 2021

Bacialli, il difensore indifendibile


Poche ore fa Luigi Bacialli, direttore di Reteveneta, ha tentato una fantozziana difesa d'ufficio di Palazzo Balbi, dopo che la Regione Veneto e il suo approccio diversamente serio alla pandemia da Covid-19, era stato sonoramente sbertucciato da Report: che il giorno 26 aprile ha dedicato al tema una puntata da incorniciare. Purtroppo per Bacialli il linguaggio del corpo non mente tanto che le sciocchezze balbettate dal direttore in video si infrangevano ad ogni suo battito di ciglio contro l'espressione trita e contrita dell'ex direttore de Il Gazzettino. Ma come fa Luigi a dire che dopo il masso lanciato da Report nello stagno la magistratura è stata obbligata a d aprire un fascicolo quando è il Corriere veneto a spiegare che l'inchiesta era in corso da settimane ben prima che Report andasse in onda? La vaccata poi per cui siccome la Rai si finanzia col canone puntate come quella di Report non andrebbero bene è talmente puerile da risultare tenera. Dica Bacialli qualcosa sul filotto Irigem, Reteveneta, Regione Veneto denunciato più volte da Marco Spiandorello. Dica Bacialli quante inchieste ha realizzato Reteveneta sul tema dei fondi regionali della formazione. Dica Bacialli quante inchieste ha realizzato Reteveneta sulla Spv. Dica Bacialli, quando era direttore de Il Gazzettino, come venivano gestite le notizie che riguardavano l'ex dominus di BpVi Gianni Zonin... E tornando alla Rai dica quindi Bacialli dove Report ha detto il falso, dica perché è disdicevole l'uso delle telecamere nascoste nelle inchieste giornalistiche. Le uniche telecamere nascoste ammesse da Bacialli sono quelle nascoste alla sua coscienza? Chissà se il governatore Luca Zaia grado plato 75%, visto il pugile suonato di Reteveneta, avrà apprezzato la difesa d'ufficio più stentata della storia delle emittenti della Serenissima. Bacialli più che un difensore d'ufficio sembrava un difensore indifendibile. Per di più mettersi su traiettorie del genere porta una sfiga... Vi ricordate che fine fecero coloro che se la presero con Report quando la trasmissione si occupò di Verona e della galassia dell'ex sindaco Flavio Tosi? Ricorda Bacialli come andò a finire?

sabato 10 aprile 2021

Peruffo: la sentenza del Tar sulla trasparenza dei dati regionali sulla contaminazione da Pfas «rende giustizia al movimento ecologista»

«La sentenza relativa al ricorso presentato dal coordinamento Mamme no Pfas e da Greenpeace avanti il Tar Veneto ha avuto un esito storico e dirimente». Alberto Peruffo è uno dei volti più noti della rete ambientalista in terra berica. E usa queste parole per commentare un recentissimo provvedimento della magistratura amministrativa che impone proprio alla Regione Veneto di rendere pubblici i dati sulla incidenza ambientale dei Pfas sulla catena agro-alimentare».

Peruffo, sul piano degli accadimenti degli ultimi anni come va inquadrata la decisione dei magistrati del Tar Veneto?
«È dal 2017 che i cittadini delle zone contaminate, a partire dal Veronese, dal Vicentino e dal Padovano, hanno sollevato la questione della matrice alimentare, presso le istituzioni».

Ricordate un episodio in particolare?
«Tanto per dirne una ricordiamo quando anni fa la dottoressa Francesca Russo, direttrice del settore prevenzione e sicurezza alimentare della Regione Veneto disse di avere in mano materiale preciso sulle geo-referenze, ossia le esatte coordinate geografiche delle analisi dei pozzi usati per abbeverare gli animali destinati all'uso alimentare. Si tratta di materiale mai consegnato nelle mani delle associazioni che chiedevano quelle carte. In questo senso occorre ricordare due fatti».

Quali?
«Uno, il 6 giugno 2017, alla presenza del consigliere regionale Cristina Guarda, eravamo a palazzo Balbi, sotto lo sguardo minaccioso dell'allora assessore della sanità Luca Coletto avvenne un episodio difficile da dimenticare. La stessa Russo trattenne a stento l'imbarazzo di fronte a noi spiegando a denti stretti come in relazione ai dati acquisiti dalla Regione Veneto in relazione alla presenza di Pfas nelle fonti alimentari, non fosse possibile darci alcuna indicazione precisa».

Fu una tattica temporeggiatrice?
«Sì. E la volontà di insistere in questo senso ci fu chiara quando alla conferenza di Minerbe sul caso Pfas del successivo novembre 2017 lo stesso Coletto, fiancheggiato dal nuovo claudicante commissario all'emergenza Pfas Nicola Dell'Acqua, tergiversò ancora in materia di alimenti. Scherzando senza convinzione sulla verbosità della Russo».

E quindi?
«La sentenza del Tar è una sentenza storica che dimostra la volontà politica di occultare, a scapito della popolazione, dati importantissimi. Un atteggiamento chiaramente concepito non solo a difesa del profitto malato delle industrie, ma che si riverbera gioco forza sulla salute di chi mangia certi alimenti. Ricordiamoci che la contaminazione viaggia non solo attraverso l'acqua acqua potabile, ma pure attraverso quello che mangiamo. E non avvertire la popolazione se quello che sta mangiando è contaminato oppure no, per noi è un atto politicamente criminale: a prescindere dalle conseguenze economiche che tale disvelamento possa avere. Dovevano pensarci prima lorsignori a non inquinare o a denunciare chi aveva inquinato».

Che cosa può cambiare in concreto adesso?
«Tutto. La Regione Veneto dovrà riformulare il suo piano di sorveglianza sanitario, che all'oggi è fondato solo sulle acque di captazione, sulla estensione del plume sotterraneo di di contaminazione e sulla relativa divisione del territorio veneto in fasce colorate in cui il rischio presunto è, un po' furbescamente, più o meno accentuato».

Tuttavia la suddivisione in fasce colorate da giallo all'arancio sino al rossa, con quest'ultima che indica il rischio maggiore, fu figlia della prima emergenza del 2013. Non si trattò di una scelta per certi aspetti obbligata almeno sulle prime?
«Diciamo che poteva avere un senso tra il 2013 e il 2014. Poi no».

Perché?
«C'è qualcosa che non ci ha mai convinto in questi colori imposti dalla Regione. Perché non considerare nel carico corporeo che accumula i Pfas, gli alimenti, i suoli, l'aria? L'aria che per anni è stata contaminata dai fumi densi di Pfas e di altre sostanze che uscivano dall'inceneritore della Miteni, la fabbrica di Trissino accusata di essere al centro dello scandalo Pfas: fumi che si spargevano a valle verso Montecchio e Arzignano, o a monte, verso l'abitato di Trissino e di Castelgomberto, quando il vento tirava verso nord o stazionava sopra la valle, qui apertissima. Cosa si depositava sui terreni e sulle colture, via aria? Che cosa finiva nei pozzi destinati alla irrigazione? Ecco alcuni di questi comuni come Trissino per esempio, sono stati strategicamente tenuti fuori dalle zone rosse».

Come mai? Avete il timore che l'averli esclusi dalla aree a rischio, aree in cui potrebbero essere previsti controlli a tappeto sulla popolazione, in qualche modo possa essere un modo per evitare controlli minuziosi su aria, acqua, terra, aria e catena alimentare di un porzione ben maggiore della Regione Veneto? E temete magari che eventuali screening sulla popolazione debbano di conseguenza effettuarsi su porzioni assai più ampie, geograficamente e anagraficamente, della Regione Veneto?
«Sì è così. Perché non estendere lo screening alla gran parte dei Veneti e del Veneto?».

A questo punto con la sentenza del Tar che diviene immediatamente esecutiva che cosa succede?
«La sentenza spazza via questa divisione. E rende il nostro movimento più forte e molto più credibile degli amministratori della Regione».

Come mai molti attivisti considerano quello della catena agroalimentare un tabù, se messo in relazione all'affaire Pfas?
«Semplice. Tutti hanno paura del terremoto. Quando la terra trema non guarda in faccia nessuno: attivista, parte passiva o parte lesa che sia. Soprattutto quanto il terremoto fa collassare nello stesso pentolone economia e salute di un territorio che si crede ricco, ricco forse solo di denari. Non certo ricco di amore e di vera solidarietà».

Allargando lo spettro della discussione che profilo hanno assunto secondo voli le associazioni di categoria del mondo agricolo?
«Ecco, appunto. Come mai Coldiretti e altre associazioni o corporazioni del comparto agroalimentare non si sono costituite come parti civili nel processo Pfas in corso al Tribunale di Vicenza? Perché queste associazioni, come molti altri amministratori veneti per vero, per anni hanno messo la testa sotto la sabbia come struzzi?».

Che risposta vi siete dati al riguardo?
«È pacifico che costoro speravano che tutto passasse sotto silenzio. Che i soliti noti avrebbero continuato a fare gli affari propri nel solito modo. Sperando, solo il cielo sa come, che tutti avremmo continuato a vivere felici, tra sagre e tumori, primi in tutto, come il governatore Luca Zaia ci ha insegnato».

E invece?
«Invece no. Ora tutto crolla. Crollano le loro certezze illusorie, o spannografiche come le chiamo io. E crolla pure la possibilità per costoro di essere risarciti per i danni da Pfas, visto che lorsignori, i ras dell'agricoltura, si sono messi dalla parte sbagliata della barricata. Ne terremo conto».

Peruffo da tempo si parla per esempio di indagine epidemiologica. La Regione Veneto l'ha promessa tante volte. E poi?
«Ecco in questo frangente i soloni di palazzo Balbi si sono messi sulla stessa lunghezza d'onda dei visir del comparto agricolo».

Cioè?
«Hanno ficcato la testa sotto la sabbia».

In che modo?
«Appunto. Domandatevi perché per i privati cittadini è pressoché impossibile o quanto meno sisificamente difficile farsi delle analisi del sangue, anche in un laboratorio privato, per verificare il livello di Pfas nel sangue. Domandatevi perché perché al posto di una vera e propria seria indagine epidemiologica i sapientoni di palazzo Balbi hanno messo in campo una discutibile sorveglianza sanitaria che suona quanto meno dilettantistica se non un pannicolo caldo? Serve altro per dimostrare di che pasta è fatta la classe dirigente alla quale siamo stati in mano? Serve un'altra sentenza del Tar? Serve un oracolo? Un esorcista? Che cosa diavolo deve servire ancora?».

E intanto?
«Intanto vediamo ciò che succede al processo Miteni. Vediamo se questa novità sarò valutata dalla magistratura penale nel giusto conto, aprendo magari qualche fascicolo in carico a qualche alto papavero. Per di più, in termini più generali c'è un'altra considerazione da fare?».

Sarebbe?
«Chi non è responsabile, non si nasconde. A meno che non abbia il proprio tornaconto. Un dato è certo dopo questa sentenza del Tar: il nostro movimento, con la denuncia pubblica ha sempre agito correttamente. Ergo noi amiamo e teniamo alla cura del nostro Veneto molto di più di chi ha permesso, con questi mezzucci che hanno il puzzo dell'occultamento e del temporeggiare più vieto, il proliferare di questa tragedia sociale e ambientale. La sentenza è un premio al movimento: un premio amaro che nessuno vorrebbe tenere in mano».

giovedì 8 aprile 2021

Contaminazione da Pfas sulla catena alimentare, la Regione Veneto dovrà desecretare i dati: al Tar Greenpeace manda palazzo Balbi KO



La Regione Veneto dovrà rendere pubblici i dati secretati relativi alla incidenza dei Pfas sugli alimenti. Dati la cui ostensione era stata richiesta da Greenpeace. È questo il verdetto clamoroso contenuto in una sentenza del Tar Veneto pubblicata oggi 8 aprile. Si tratta dell'epilogo iniziato a metà del 2020 di un delicatissimo contenzioso giudiziario che vede contrapposta la nota associazione ambientalista Greenpeace, che sull'affaire Pfas sta conducendo una battaglia che dura anni e palazzo Balbi.

Gli uffici di palazzo Balbi infatti con due provvedimenti dirigenziali del 2020, il primo redatto in settembre, il secondo redatto in ottobre, avevano opposto il diniego ad una richiesta di accesso agli atti e di produzione di copia presentata giustappunto da Greenpeace. Richiesta in forza della quale si sollecitava l'amministrazione affinché rendesse pubblico uno studio nel quale era stato valutato l'impatto dei temibili derivati del fluoro, i Pfas, sulla catena alimentare veneta. Più nel dettaglio la Regione aveva opposto il diniego sostenendo che la propalazione di quei dati avrebbe violato la privacy dei soggetti osservati e che avrebbe potuto ostacolare le inchieste giudiziarie in corso proprio in relazione al maxi caso di inquinamento da Pfas ascritto alla industria chimica Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino (in foto).

Il diniego della Regione aveva scatenato la reazione veemente del mondo ambientalista principalmente per due motivi. Uno, perché la scelta di palazzo Balbi veniva vista come una violazione palese della disciplina europea che obbliga la pubblicità dei dati ambientali. Due, perché il diniego veniva visto come un artificio burocratico senza fondamento giuridico buono solo per occultare una «verità scomoda» non solo per la politica regionale ma anche per gli operatori economici del settore alimentare che temono ricadute sul business a fronte di eventuali notizie preoccupanti.

Il collegio giudicante presieduto da Alberto Pasi ha demolito l'impianto difensivo costruito dai legali della Regione (si tratta di Franco Botteon, Luisa Londei, Francesco Zanlucchi) con due argomentazioni di fondo. La prima, la opposizione caldeggiata a palazzo Balbi non è sostanziata perché la mera esistenza di uno o più procedimentI penali non è un motivo ostativo sufficiente alla mancata ostensione di un atto pubblico. Mancata ostensione che può essere richiamata solo quando la pubblicazione della documentazione in questione possa effettivamente pregiudicare le indagini da parte degli inquirenti. La seconda, invocare la privacy non ha alcun fondamento proprio perché la ratio della norma italiana, che a sua volta recepisce la relativa direttiva europea, impone per le questioni ambientali la massima trasparenza. Di più, il collegio presieduto dal dottor Pasi corrobora la sua decisione citando a piene mani il Consiglio di Stato.

La sentenza, che potrebbe essere impugnata, adesso è immediatamente esecutiva. La documentazione secretata dovrà gioco forza essere consegnata in modo integrale e senza omissis. Per la Regione Veneto peraltro si potrebbe trattare di una doppia batosta perché un ricorso analogo al Tar veneto era stato presentato anche dal coordinamento delle «Mamme no Pfas».

Marco Milioni

mercoledì 7 aprile 2021

La debacle del Mose raccontata da l'Espresso: il commento di Ellero

(m.m.) La debacle del Mose raccontata su l'Espresso alcuni giorni fa, in terra veneta, è divenuta oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori e non solo: dall'inchiesta firmata da Alberto Vitucci esce un quadro drammatico che conferma le previsioni già distillate in passati. L'opera viene definita marcia e le grane all'orizzonte sembrano insormontabili. Chi scrive ha raggiunto il professor Renato Ellero (già docente di diritto penale all'università di Padova) che di Mose aveva parlato più volte. Il professor Ellero nel suo breve intervento non fa sconti e bacchetta in più occasioni anche l'attuale governatore veneto, il leghista Luca Zaia, nonché la magistratura veneziana.