sabato 26 novembre 2016

Magnar, bevar e far de conto

«La lingua veneta non è secondaria rispetto alla lingua italiana. Rappresenta un'eredità della nostra storia ma, come lingua viva e ancora largamente parlata, ha anche funzioni sociali importanti, tra cui l'individuazione più immediata e diretta di luoghi, realtà urbanistiche e paesaggistiche. Anche la toponomastica, dando spazio agli usi linguistici locali, contribuisce quindi a rafforzare il concetto di identità veneta». Così parlò l'assessore alla identità veneta Cristiano Corazzari alla fine di ottobre.

E l'uomo, descrivendo l'iter che a breve dovrebbe consentire ai cartelli stradali di fregiarsi della toponomastica bilingue come in Friuli, riesce a dire cose condivisibili pur avendo torto. L'assessore usa una espressione precisa: «eredità della nostra storia», ma da assessore alla identità veneta dovrebbe sapere che questa eredità, se come tale la si vuole salvaguardare, deve essere un unicum: col paesaggio, con i borghi, con le aste fluviali, con le campagne, con le contrade rurali. Per un semplice motivo: la vulgata tradizionale dovrebbe essere il tessuto connettivo di quella agognata trinità «terra, popolo e lingua», rispetto alla quale quest'ultima costituisce uno dei principali portati storici e non solo storici, di un qualcosa di ancora più profondo che si chiama cultura. Termine che in quel passaggio, non a caso Corazzari non adopera. Tuttavia quando si fa riferimento a quei luoghi della terra veneta ci si rende conto che ormai appartengono all'immaginario.

Sono seppelliti sotto una interminabile e asfissiante seborrea di capannoni diversamente sfitti o diversamente leciti, di tangenziali, di complanari, di orbitali, di sedimi sudici fra autostrade e rotatorie, di shopping centre al prolasso, di piani regolatori onnivori, di poli direzionali fastidiosi come un trombo emorroidario. Sarebbe questo il modo con cui i veneti e la loro classe dirigente negli anni hanno conservato la loro identità?

Nonostante questo il Veneto rimane una terra che ha pagato un prezzo carissimo alla modernità. Schiaffare su qualche cartello il doppio nome di un luogo, che magari nemmeno esiste più perché sepolto sotto la solita colata imprenditorile di turno ha poco senso. O forse ne ha. Soprattutto se hai la cattiva coscienza che ti porta a voler mascherare l'ennesimo scempio che l'amministrazione regionale di turno, ieri quella capitanata dall'azzurro Giancarlo Galan, oggi quella capitanata dal leghista Luca Zaia, domani chissà, vuole propinare a quella che fu la Serenissima. Come? Per esempio con un infausto corollario di deroghe in via di approvazione alla già iper-lasca norma sulle cave. Per non parlare poi della legge sulla limitazione del consumo di suolo, sempre in fase di discussione, che in realtà amplifica la possibilità di triturare quel po' di aree verdi che si sono salvate da decenni di autocolonialismo al bitume nel nome di santo Sbancamento, santa Lottizzazione, santa Discarica e santo Sversamento: tutti beatamente assisi nel contemplare il dio dei dei Schei.

Ma la sfiga non termina qui. Perché se anche si volesse procedere con una forzatura spingendo verso un non ben determinabile bilinguismo basterebbe poco per accorgersi che i veneti il Veneto non lo conoscono più. La bellezza e la sapidità delle svariate lingue vernacolari sono andate smarrite. Oggi i veneti, che spesso fanno fatica anche con l'Italiano, non parlano più il Veneto (per quanto difficile sia definirlo). Parlano, come dice lo scrittore Francesco Maino, «il grezzo». Un idioma tennico «paradialettale di consumo... privo di bellezza indigena... impreciso... involgarito dalla cantilena locale e da sillabe sincopate... buono solo per la sopravvivenza dei consumi di massa... senza anima... che serve unicamente, per volontà istituzionale, a risolvere problemi di carattere pratico: ordinare da magnar e da bevar, domandare el conto, riconoscersi tra grezzi, spiegare a gesti la voglia di orinare all'aperto e di condividere alle sagre l'orinata tra grezzi come unico piacere della vita legalmente concedibile».

martedì 18 ottobre 2016

Tav veneta, annunci referendari? Chi vivrà vedrà...

Oggi l'Arena di Verona in pagina 11 e Il Giornale di Vicenza in pagina 13 parlano di Tav, contro Tav e aeroporti vari. E raccontano di un pimpante ministro delle infrastrutture Graziano Delrio che le dà già per fatte. Peccato che le opere elencate, delle quali si può dire peste e corna peraltro, da tempo languono nel cassetto dei sogni di qualche industriale con l'acquolina alla bocca. Ma che cosa fanno dire al povero ministro democratico pur di aiutare la campagna referendaria per il sì alla riforma costituzionale? Ma non avevamo già avuto di recente un ministro che veniva mediaticamente imboccato da un dirigente ministeriale e che nonostante l'aiuto confondeva la Pedemontana con il potenziamento ferroviario del Brennero? Chi vivrà... riderà...

Marco Milioni

venerdì 7 ottobre 2016

I veneti di Roma e la galassia Confapri

Mentre gli assessori della giunta capitolina si confrontano, anche dialetticamente, sul futuro delle partecipate, sullo sfondo rimangono da chiarire alcune liason materializzatesi in seno e attorno all'esecutivo Cinque stelle capitanato dal sindaco Virginia Raggi. In una lunga intervista pubblicata ieri l'altro su Il Fatto (e commentata da Nextquotidiano.it) Stefano Vignaroli, vicepresidente della Commissione ecomafie, ammette il suo intervento nel percorso che ha portato il sindaco ad affidare alla rodigina Paola Muraro una contestata delega all'ambiente. Un nome, ribadisce Vignaroli sempre al Fatto che gli sarebbe stato suggerito dalla trevigiana Laura Puppato, componente della stessa commissione e notabile del Pd veneto.

E così, andando a ritroso lungo il tragitto che porta verso la Marca il M5S è riuscito a trovare la quadra sulla delicatissima delega alle partecipate, affidata all'imprenditore trevigiano Massimo Colomban. Quest'ultimo nel 2013, a scavalco con le elezioni politiche che porteranno in massa i grillini a palazzo Madama e a Montecitorio, crea Confapri: un pensatoio, un think-tank secondo la dizione anglosassone, che annovera Gianroberto Casaleggio, guru del M5S da poco scomparso. Il suo fedelissimo David Borrelli, oggi eurodeputato e Beppe Grillo in persona. Con loro tra i tanti ci sono Massimo Malvestio e Bruno Barel, due avvocati molto noti nella regione che fu della Serenissima e notoriamente vicini al governatore leghista Luca Zaia (della cosa i media nazionali si occupano per la prima volta nel 2013). Per vero questi elenchi sono inizialmente disponibili sul portale di Confapri, poi rimosso.

Tra coloro che non compaiono in quegli elenchi c'è Antonio Bertolotto (la cui appartenza a Confapri è però svelata da La Stampa) fondatore di Marcopolo Engineering. Una spa cuneese oggi sulla strada del concordato che sempre secondo La Stampa è partner strettissimo di una delle società di Manlio Cerroni, le cui attività romane da anni vengono avversate dal M5S. C'è di più perché è proprio il quotidiano torinese a raccontare della appartenza a Confapri : «Il legame era talmente stretto e strutturale che Marcopolo, che ha sede legale in provincia di Cuneo, a Roma risponde al medesimo indirizzo e numero civico (sulla via Ardeatina) e allo stesso numero di telefono dell'azienda di Cerroni. Altro particolare interessante, nell'elenco dei fondatori di Think Tank Group Bertolotto compare come presidente di una onlus, la Sosesi. Come se il rapporto tra quel network, così vicino ideologicamente e materialmente al neonato Movimento, e il business dei rifiuti non fosse proprio coincidente con la propaganda cinque stelle sui rifiuti zero e la raccolta differenziata al 90%».

Sulla Marcopolo c'è però un'ombra che arriva dalla Puglia. Perché come riferiscono La Repubblica e Traniviva l'impresa fondata Bertolotto è al centro di una inchiesta condotta dalla procura di Trani che indaga a vario titolo per i presunti reati di disastro ambientale aggravato, omissione in atti d'ufficio, gestione continuata di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione… emissioni in atmosfera non autorizzate, concorso in turbata libertà degli incanti e corruzione aggravata. E c'è anche un altro aspetto singolare che riguarda Marcopolo Engineering. Secondo i dati forniti dalla Camera di commercio di Cuneo nella girandola di cessioni e acquisizioni che negli anni interessano gli assetti societari della spa piemontese ce n'è uno tra gli altri che salta all'occhio, ovvero quello riguardante la Daneco. Ed è quello in ragione del quale in data 16 marzo 2005 viene depositato un atto di compravendita l'oggetto del quale non è specificato nella visura. Ma gli estremi del quale però sono rintracciabili al protocollo MI-2005-70793: stando al matricolare peraltro il deposito dovrebbe essere avvenuto presso la Camera di commercio di Milano.

Ma chi è la Daneco? Nel Veronese è al centro di un contenzioso incredibile per i danni che una discarica riferibile proprio alla Daneco avrebbe inflitto al comune di Pescantina e più in generale alla vicina Valpollicella, patria dell'Amarone. Il nome Daneco però compare anche sulle cronache nazionali nell'ambito di una inchiesta della procura antimafia di Milano.

Tuttavia su Confapri si può accendere però anche un altro fanale. Ed è quello che riguarda un altro suo componente. Si tratta di Antonio Fraga Sanchez. Secondo una inchiesta de Il Mondo, poi rilanciata da Dagospia e Qn nel 2007, quest'ultimo non è un semplice immobiliarista. Bensì è il dominus della valorizzazione in chiave turistica degli immobili della Chiesa: il tutto in una modalità di business che profuma di Opus dei. In questo senso l'inchiesta de Il Mondo, settimanale economico del Corsera oggi non più stampato, parla chiaro: «È per questo che sono bandite le aste mentre a dirigere la controllata cui fa capo il business religioso, la Re spa, è stato chiamato di recente l'erede di una delle famiglie che contano in Spagna, Antonio Fraga Sanchez. I primi acquirenti di beni della Curia sono proprio loro, il Santander e il Bilbao, da sempre a braccetto con il potentissimo Opus Dei».

Marco Milioni

venerdì 30 settembre 2016

Colomban, da Zaia a Raggi passando per il Mose, la Tav, le olimpiadi e la Spv

«Completamento infrastrutture: i grandi raccordi a nord dell'Allemagna e della Valdastico che và altresì raccordata a sud... L'alta velocità... fra Torino e Trieste... la Pedemontana Veneta... La Romea commerciale, ma direi una Romea che colleghi fino a Roma... il Veneto come un'area metropolitana fatta di centri e poli in rete... Venezia deve completare il Mose, senza più ritardi... finanziare le energie alternative con l'uso di biomasse... aumentare l’indice di edificabilità... Olimpiadi 2020, dovremmo comunque vada la scadenza, fare nel 2020 le Venetiadi, una scadenza ed un impegno per far decollare il Veneto...». Queste poche righe, in cui si parla anche della Romea commerciale nota anche come Orte Mestre, sembrerebbero uscire dalla bocca di qualche fan azzurro in piena era era Galan o dalla bocca di qualche supporter della democratica Alessandra Moretti, già deputata, già eurodeputata oggi capogruppo del Pd in Regione Veneto.

E invece no. Si tratta di un estratto dal programma elettorale di Massimo Colomban, imprenditore col cuore liberale e di centrodestra che nel 2010 si candidava (poi trombato) alle elezioni regionali assieme a quel centtrodestra fatto da azzurri e Lega che avrebbe portato allo scranno di governatore il leghista Luca Zaia (che da anni di Colomban è amico) e a quello di assessore ai trasporti quel Renato Chisso del Pdl poi finito nell'affaire Mose assieme all'ex governatore azzurro Giancarlo Galan. Ora magari sarà una quisquilia, ma la domanda, anzi battutaccia, che a mezza bocca già sta girando in provincia di Treviso suona più o meno così. “Colomban è in queste ore assessore in pectore alle partecipate al comune di Roma, la cui assemblea a maggioranza M5S ha appena bocciato sonoramente le olimpiadi. Il sindaco Virginia Raggi sa dei trascorsi filo decoubertiniani di Colomban? Per caso sfumate le olimpiadi Roma si consolerà con le Venetiadi del 2020? Magari organizzate a Torpignattara o nel vicino comune di Ladispoli?”

Battute a parte Colomban può intanto contare su un lusinghiero imprimatur nientepopodimeno che da parte del premier Matteo Renzi, così rivela Il Messaggero. Il quotidiano della famiglia Caltagirone che per motivi più che arcinoti, ben narrati da Il Fatto, in queste settimane coi grillini non è affatto tenero. Stranamente però Colomban sfugge dal radar della testata capitolina. C'entra qualcosa il buon feeling tra Colomban e le grandi opere? In realtà le liason tra un pezzo del M5S e la galassia Colomban (tra cui alcuni aficionados di Zaia), almeno ai più attenti, è cosa nota.

Nel 2013 alla fine di maggio si accendono per la prima i riflettori su Confapri, una delle creature di Colomban. Nel novembre dello stesso anno una pattuglia di Confapri incontra alcuni esponenti di punta del M5S veneto e la cosa fa venire il mal di pancia ad un pezzo della base. Anche perché Colomban da sempre è un fautore della Pedemontana Veneta, una infrastruttura che oggi rischia l'osso del collo, mentre i grillini, almeno in grandissima parte, la osteggiano duramente. E ancora nel 2013 le frizioni in seno al M5S Veneto a causa della ingombrante presenza di Colomban e del suo think tank deflagrano sui media nazionali. Rimane da capire se Beppe Grillo, fondatore dei Cinque stelle sia a conoscenza della cosa. C'è però un aspetto da tenere a mente.

La Stampa di oggi spiega come sia la Casaleggio associati a selezionare i curriculum per i posti chiave o per alcuni posti chiave in giunta. Ed è proprio in questa prospettiva che andrebbe letta la chiamata di Colomban. In seno alla Casaleggio infatti una delle vere eminenze grigie, specie per le questioni del Nordest, non è Davide Casaleggio, figlio del fondatore della società di consulenza Gianroberto, bensì Filippo Pittarello. Padovano, vicino al plenipotenziario del M5S nel Veneto, l'eurodeputato David Borrelli, Pittarello è stato ribattezzato su Il Corriere del Veneto «il terzo occhio di Grillo». Proprio Il Corriere del Veneto definisce la sua famiglia di vecchie simpatie berlusconiane: un antico amore per il centrodestra veneto che accomuna i Pittarello e Colomban. C'è poi una ultima curiosità in salsa veneta. Negli elenchi degli appartenenti al think tank Confapri c'è un nome, quello dell'avvocato Massimo Malvestio, amico e consigliori giuridico proprio di Zaia; ma anche legale di fiducia di Vicnenzo Consoli, l'ex ad e poi dg di Veneto Banca finito nel gorgo dello scandalo delle popolari Venete.

Marco Milioni

Pfas, al Via i controlli su uva e altri frutti

«Sono 183 i campioni di uva, pere e mele che saranno analizzati nel corso dell'indagine disposta dalla Regione, in particolare dalla direzione "Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria", in accordo con l'Istituto superiore di sanità, per verificare la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche». Così racconta il GdV di ieri. Nel servizio pubblicato a pagina 18 si legge tra l'altro che «... la Regione ha inviato in proposito una comunicazione alle Ulss interessate: i territori... sono quelli delle Ulss 5 Ovest Vicentino, 6 Vicenza, 17 Este- Monselice, 20 Verona, 21 Legnago. Scendendo nel dettaglio... i campionamenti per l'uva da vino, che potranno riguardare tanto i grappoli già vendemmiati, quanto i frutti ancora appesi alle viti, saranno effettuati, per quanto riguarda il Vicentino, in aziende agricole di Alonte Brendola, Lonigo, e Sarego; altri comuni interessati sono Albaredo d'Adige, Arcole, Cologna Veneta, Legnago, Montagnana, Pressana, Roveredo, Terrazzo e Zimella». 

LEGGI L'INTERO SERVIZI DEL GDV

mercoledì 28 settembre 2016

Obbligo di denunciare i pozzi e di pagare le analisi per i Pfas

Il Comune di Montagnana ribadisce l'ordine e fissa la data ultima del 17 ottobre per adempiere Già trovata la sostanza in due prelievi nel sottosuolo.

Le analisi costano da 90 a 150 euro Acqua contaminata da Pfas, spuntano i primi casi di limiti sforati e il Comune rilancia la necessità di censire i pozzi cittadini e di provvedere alle analisi. I Pfas e le analisi. Dal 2013 è stata riscontrata la presenza sostanze perfluoro alchiliche (i Pfas) in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili di buona parte del Basso Veneto. Si tratta di sostanze inquinanti derivanti dall'attività conciaria del Chiampo, che possono essere dannose per gli esseri umani. Per questo i principali enti di tutela e di governo (Cnr, Ministero, Istituto superiore di sanità e Regione) hanno attivato un piano di monitoraggio del territorio per valutare l'effettiva presenza e incidenza di questi inquinanti.

Nell'aprile 2014, in particolare, la Regione ha invitato i Comuni a dotarsi di un'ordinanza per imporre ai cittadini di denunciare la presenza di pozzi e di effettuare negli stessi delle analisi specifiche. Il Comune di Montagnana ha emesso l'ordinanza il 6 febbraio 2015, destinata a chi utilizza pozzi per attingere acqua a scopo alimentare o irriguo. I risultati. Mentre nei giorni scorsi altri sindaci del Montagnanese hanno reso noti alcuni risultati di analisi che segnalavano l'assenza di Pfas nei pozzi monitorati, il vicesindaco di Montagnana Beniamino Veronese ha lanciato l'allarme per il proprio Comune: «Dall'ordinanza del febbraio 2015 solo due pozzi sono stati censiti e i valori Pfas per entrambi risultano superiori ai limiti previsti come obiettivo dall'Istituto superiore della sanità». I dati non sono stati resi noti ma si parla di valori tre volte oltre il limite. Per questo il Comune ha rilanciato l'esigenza di monitorare la situazione, pubblicando un nuovo avviso nella homepage del sito istituzionale: il sindaco Loredana Borghesan, nel documento, chiede ai cittadini che utilizzano pozzi a fini alimentari e irrigui di denunciarne l'esistenza entro il 17 ottobre. Nel sito è pubblicato anche un apposito modulo.

In questo nuovo avviso non viene sottolineata la necessità di compiere anche analisi, che tuttavia è implicita nell'ordinanza emesso un anno e mezzo fa. I costi. A scoraggiare il censimento e l'obbligo di analisi c'è sicuramente il costo. Ogni cittadino, in linea teorica, dovrebbe provvedere autonomamente alla spesa della pratica. Se segnalare il pozzo al Comune non costa nulla, provvedere a una seria analisi dell'acqua può costare anche 150 euro (il prezzo è variabile a seconda delle dotazioni dei singoli laboratori privati).

I clienti dei Comuni gestiti dal Centro Veneto servizi possono in realtà chiedere le analisi delle acque emunte dai propri pozzi privati a un costo calmierato. Compilando un modulo reperibile anche su www.centrovenetoservizi.it sarà possibile recarsi presso uno sportello Cvs (a Montagnana si trova in via Papa Giovanni XXIII) per ritirare istruzioni e flacone per il prelievo. Il costo del servizio ammonta a 90 euro più Iva. Il servizio è invece svolto gratuitamente, con costo a carico di Cvs, per i richiedenti residenti in aree non raggiunte dall'acquedotto.

Nicola Cesaro
da Il Mattino di Padova del 28 settembre 2016; pagina 35

domenica 25 settembre 2016

Bizzarrie pedemontane

Quando alcuni giorni fa si è diffusa la notizia «della molotov ritrovata ad Altivole» in un cantiere della Pedemontana Veneta Spv i commenti sull'episodio si sono moltiplicati. Tra coloro che hanno stigmatizzato l'episodio ci sono gli attivisti del Covepa che da anni osteggiano l'opera. «Il nostro coordinamento - ha precisato a più riprese il portavoce Massimo Follesa - respinge e condanna ogni provocazione poiché pratica e lotta con metodi non violenti, promuove e sostiene ricorsi e azioni legali utilizzando gli strumenti istituzionali». Sui social media però la notizia continua a far discutere anche perché cade in un momento particolare giacché i privati incaricati di realizzare l'infrastruttura, sono alla disperata ricerca del miliardo e mezzo necessario per finanziare i lavori.

Follesa il vostro comitato ha immediatamente condannato l'episodio. Avete anche parlato di metodi mafiosi, come mai?
«Anzitutto spero che questa azione non sia stata concepita da qualche mente malata che spera di generare consenso per un'opera che il territorio avversa sempre più e che ha di fronte a sé un orizzonte nero sul piano finanziario».

Sì, ma voi siete andati oltre e avete usato l'espressione «metodo mafioso». Perché?
«Il disperato che si vuole vendicare di un torto subito non ti dà un avvertimento. Ti brucia un mezzo o te lo spacca. Il soggetto invece che non viene pagato o che è incazzato perché non gli paghi il pizzo o che magari è contiguo a certi ambienti l'avvertimento te lo dà e come».

Frattanto però da molti mesi si moltiplicano le voci relative a diverse maestranze della Sis o di imprese che lavorano in subappalto o come subfornitori. Imprese in cui lavorerebbero o avrebbero lavorato alcuni soggetti con la fedina penale lunga, in alcuni casi anche per reati di mafia. Girano voci che polizia e carabinieri ne siano al corrente. Voi che dite? Lo sapevate?
«La cosa non ci stupirebbe affatto».

Si però lungo l'asta della Spv si parla da tempo di soggetti che hanno assunto e starebbero tuttora assumendo informazioni precise su terreni da edificare, modalità nel rilascio dei permessi a costruire, dinamiche economiche e politiche dei territori. V'è arrivato all'orecchio qualche cosa in questo senso?
«Posso solo dire che ogni nostro timore è stato comunicato alle autorità preposte. Sia per le vie ufficiali che informalmente. Questi timori, quelli di una eventuale colonizzazione in corso da parte di ambienti del crimine organizzato, li abbiamo espressi pubblicamente più volte. Se c'è qualcosa di davvero significativo spetterà alle autorità competenti fare chiarezza. Ad ogni modo in questa vicenda qualche stranezza c'è?».

Quale?
«Ci sono due cose singolari. La prima riguarda i tempi con cui la notizia è giunta ai media. La cosiddetta molotov, che poi è un bussolotto in vetro per la conserva del pomodoro con un accendino dentro unitamente ad un po' di infiammabile, viene rinvenuta lunedì 19 settembre, mentre la notizia stessa è finita ai giornali guarda caso quasi in contemporanea con l'incontro romano di venerdì 23 durante il quale Regione e Commissario alla Spv consegnavano a Cassa depositi e prestiti il nuovo piano economico finanziario che Sis ha in mente per risollevare le sorti della Pedemontana. Il cielo non voglia che qualcuno abbia concepito una intimidazione farlocca per mascherare la ennesima fumata nera rispetto al sì di Cassa depositi e prestiti al piano di Sis per la Pedemontana. La seconda riguarda l'intervento del corpo scientifico dei Carabinieri, il Ris per cercare qualche impronta o qualche traccia biologica sull'ordigno fai da te».

Sarebbe a dire?
«Bisognava scomodare proprio il Ris? Delle due l'una. O siamo di fronte a una boutade da gettare in pasto all'opinione pubblica strumentalizzata da qualcuno in un momento difficile per l'opera. Oppure si teme qualcosa di davvero grave. In ultimo è assai bizzarro poi, se quello che raccontano i quotidiani è vero, che le maestranze visto il cosiddetto ordigno lo avrebbero portato dai Carabinieri, manipolando una prova. Strano, molto strano, per non dire sospetto. Comunque a me viene un po' da ridere. Con un pedaggio che, se l'opera sarà completata costerà la bellezza di 0,14 euro al kilometro per le vetture e l'assurdo di 0,22 euro a kilometro per i mezzi pesanti, io direi che quello è il vero ordigno. Mi si passi l'amara ironia».

Marco Milioni

giovedì 22 settembre 2016

Il caso "panino" visto dall'assessore vicentino Nicolai

Continua a far discutere la questione "pranzo da casa o servizio mensa?" e dopo aver ascoltato il parere delle mamme vicentine con una video intervista, abbiamo sentito la posizione dell'assessore alla formazione Umberto Nicolai. Cosa ne pensa della questione esplosa a Torino sul pranzo dei bambini nelle scuole?  Le versioni sono due: quella del giudice e quella dell'Ulss. Sono d'accordo con il giudice quando dice che il così detto "tempo mensa" è davvero importante per i bambini e va trascorso a scuola. Però la sentenza dà anche il permesso alle mamme di far portare a scuola e consumare, quindi, durante il tempo mensa il pranzo preparato da casa. 
D'altro canto quindi bisogna tener conto delle norme dell'Ulss che sostiene che il pranzo da consumare in mensa debba essere preconfezionato per le norme igieniche. Senza tener conto poi delle ditte di ristorazione che non vorranno rispondere di eventuali danni: mettiamo ad esempio che un bambino arrivi con il pasticcio preparato a casa e lo faccia assaggiare ad un bambino che sta usufruendo del cibo della ditta della mensa. Chi ne risponderebbe? E coloro che preparano la mensa, le tovagliette, le posate...dovrebbero preparare la tavola anche per coloro che non pagano il servizio mensa? Sono costi irrisori, certo, ma tutti gli aspetti vanno valutati. 

Da dove nasce la questione secondo lei?
«È tutta una questione economica, assolutamente. I genitori per risparmiare, giustamente, cercano delle soluzioni. Noi abbiamo creato delle fasce diverse di pagamento del servizio mensa in base all'Isee dando la possibilità di avere delle riduzioni. Il problema però è che oggi giorno le situazioni economiche sono molto più variegate ed è difficile andare incontro a tutte. Pensi ai alla situazione della Banca Popolare di Vicenza: nel giro di 5 minuti la situazione economica di una famiglia può cambiare».

Nella realtà vicentina le famiglie interessate, che potrebbero decidere di far consumare il pranzo da casa nel tempo mensa, risultano essere davvero poche. Perché lo definisce quindi un problema? 
«Ad oggi le famiglie che portano a casa i propri figli anziché far consumare il pranzo in mensa, parlando del tempo prolungato saranno  una trentina indicativamente. E' vero sono poche. Ma io volo più in alto, penso al futuro. Se un domani tutte queste famiglie vorranno far consumare il pranzo preparato a casa in mensa insieme agli altri bambini? Io mi aspetto che la situazione, prima che diventi reale anche a Vicenza, venga regolamentata al meglio. Mi aspetto una soluzione univoca per tutti e una cosa spero: che i bambini frequentino il tempo mensa, e lo facciano insieme con le stesse regole e non con un panino al volo perché non è educativo.

Se il giudice dovesse dire, per assurdo, che tutti i bambini si devono portare la pastasciutta da casa?
«Mi andrebbe bene, basta che la consumino insieme a scuola. Che non è solo scuola fine a se stessa ma anche uno stralcio di vita e società. Ripongo una grande fiducia nell'onorevole Daniela Sbrollini che si sta occupando della questione affinchè le dia rilievo anche a Roma affinché si trovi una soluzione unica e chiara per il bene dei bambini, perché possano vivere il tempo mensa bene e insieme».

da Vicenzapiu.com del 21settembre 2016
fonte: http://www.vicenzapiu.com/leggi/pranzo-da-casa-o-servizio-mensa-umberto-nicolai-ora-a-vicenza-il-problema-e-piccolo-ma-io-guardo-al-futuro

venerdì 9 settembre 2016

Nuovi assetti nella galassia A4 holding

Dopo l'arrivo degli spagnoli di Abertis al comando del gruppo della società Brescia Padova, cambia la composizione dei consigli di amministrazione della capogruppo A4 holding e di alcune controllate. Lo riferisce lo stesso gruppo con una nota ripresa ieri dal quotidiano Vicenzapiu.com. Per quanto concerne la capofila A4 holding il cda è così composto:  Carlos Del Río (Presidente); Francisco Reynes; Daniel Ventín; José Luis Viejo; Steven Fernandez; Sergi Loughney; Costantino Toniolo; Massimo Ottelli; Giampaolo Chiarotto. Diversa invece la composizione del cda di Autostrada Brescia Padova, la società che raccoglie il core business della holding già lombardo-veneto-trentina: Flavio Tosi (Presidente); Carlos Del Río; Daniel Ventín; Carlos Garcia; Maurizio Pagani. Il consiglio di Infracom Italia è invece così formato: Attilio Schneck (Presidente); Carlos Del Río; Daniel Ventín; Carlos Garcia; Maurizio Pagani; Bruno Chiari; Simone Scaccia.

giovedì 8 settembre 2016

Accuse, colpi bassi, ricorsi: alta tensione M5S Borrelli: «Fatti alcuni errori, ora si cambia»

Resta alta la tensione nel Movimento Cinque Stelle, dove sono ormai irrimediabilmente interrotti i rapporti tra il gruppo regionale (con l’eccezione della consigliera polesana Patrizia Bartelle) e i 150 «ribelli» che domenica si sono riuniti a Marcon, nel Veneziano, chiedendo la testa del capogruppo a Palazzo Ferro Fini Simone Scarabel e della sua vice Erika Baldin. Il motivo è noto: i due, in un primo tempo, non hanno rinunciato all’assegno di fine mandato, nonostante l’impegno preso in campagna elettorale in linea con le battaglie del Movimento sul contenimento dei costi della politica, acconsentendo a fare un passo indietro solo dopo uno stillicidio di attacchi sui giornali. Scarabel e Baldin, ovviamente, non hanno alcuna intenzione di dare le dimissioni e la strategia decisa d’intesa con lo «Staff» è di non alimentare lo scontro, evitando l’apertura di un nuovo «fronte veneto» che andrebbe ad aggiungersi a quello (certo ben più importante) di Roma, ma anche di Napoli, della Toscana e della Sicilia. Consegna del silenzio e si spera che la rivolta vada scemando, motivo per cui al momento non verranno chiesti né presi provvedimenti disciplinari nei confronti dei frondisti, tra i quali vi sono alcuni assessori e consiglieri comunali.

I «150» comunque non mollano la presa e dopo aver accusato domenica i consiglieri regionali (sempre con l’eccezione di Bartelle) d’aver preso una «deriva anarchica», essersi chiusi in un «cerchio magico» e perfino di voler costruire una struttura parallela al Movimento, restano parecchio attivi dietro le quinte. Intanto nell’altra metà del mondo pentastellato cresce il sospetto che tra quanti prendono parte a queste riunioni (la prossima sarà a Rovigo il 16 ottobre) in buona fede, seppur con qualche eccesso di ortodossia, ve ne siano altri che invece stanno tentando una scalata ben pianificata al Movimento, longa manus in Veneto del sindaco di Parma Federico Pizzarotti. E a ingarbugliare ancor di più il quadro c’è il ricorso, che a giorni sarà deciso dal Consiglio di Stato, presentato dal dem bellunese Franco Roccon, escluso dal consiglio regionale un anno fa, che non si è ancora arreso. Se mai i giudici dovessero dargli ragioni, ripartirebbe il domino nei collegi elettorali e Bartelle potrebbe perdere il suo scranno.

Nel mezzo di questa bufera, c’è l’eurodeputato David Borrelli, chiamato sostanzialmente a far da commissario in Veneto: «Su alcuni aspetti hanno ragione gli attivisti - spiega - l’atteggiamento dei consiglieri non è stato corretto in senso generale e nei confronti degli elettori. Ma si tratta di errori in buona fede, è un problema di comunicazione e confusione, ma l’approccio è sbagliato e va cambiato. Abbiamo tutta la volontà di risolvere il disagio, vorrei dare a tutti il tempo di imparare dai propri errori. Le cose cambieranno». Una promessa, certo, che però potrebbe pure suonare come una minaccia.

da Il Corriere del Veneto, edizione di Venezia, del giorno 8 settembre 2016; pagina 9

Mondani su Fb punzecchia la Raggi

«Gli stessi che hanno fatto fuori un fuoriclasse come Minenna hanno coperto e difeso la Muraro». Questo scrive ieri sulla sua bacheca Facebook Paolo Mondani, noto inviato di Report, tra i più attenti al retrobottega della politica romana. Il noto giornalista chiude poi il suo breve intervento in questo modo: «Si difenderanno evocando altri complotti o spiegheranno pubblicamente il perché di tutto questo? Chi scrive peraltro ha fatto il contropelo alle giunte Rutelli, Veltroni e Alemanno ricevendo equanimi querele tutte respinte al mittente; qui l'evocazione taumaturgica dei poteri forti non funziona».

Fonte, bacheca Facebook di Paolo Mondani del giorno 7 settembre 2016

domenica 21 agosto 2016

Messa in magazzino don Floriano ci riprova

Non si arrende don Floriano Abrahamowicz: costretto a smantellare il box costruito nel suo giardino e trasformato in una piccola cappella, episodio finito davanti al giudice per abuso edilizio, ha pensato di ricreare lo stesso ambiente a pochi metri di distanza, in un piccolo magazzino di via Levade a Paese. Don Floriano, passato alla cronaca per il requiem celebrato nel 2013 in memoria del criminale nazista Erich Priebke e per alcune considerazioni sull'olocausto che hanno sollevato non poco scalpore, non è un tipo che demorde facilmente. Sacerdote lefebvriano, difende strenuamente il suo culto anche a costo d'inventarsi situazioni sempre diverse pur di celebrare le messe seguite, ogni domenica, da qualche decina di persone.

Adesso la sua cappella privata è diventata quel magazzino di via Levade. E, ovviamente, il via vai non è passato inosservato. I residenti però non sono insorti per questo, ma per il fatto che don Abrahamowicz abbia deciso di creare un luogo di culto in un magazzino, apparentemente, senza alcun permesso. E qualcuno ha pensato bene di segnalare la cosa in Comune, anche perché il cambio di destinazione d'uso per piccole strutture analoghe alla cappella da poco realizzata, è stato praticamente sempre negato a tutti.

Una lettera è già stata spedita in Comune sottolineando anche i pericoli per la sicurezza, ma ancora senza alcuna risposta. «Non solo ha messo delle panche per i fedeli - dicono i residenti ma ha anche rivestito quel magazzino con dei pannelli in legno. Fino a pochi mesi fa invece era tutto completamente ricoperto di lamiere. Sinceramente non troviamo giusto che lui abbia potuto fare quello che ha voluto senza che nessuno gli abbia detto niente. Un magazzino di certo non ha la destinazione d'uso per diventare luogo di culto. E là dentro ci celebra anche messe cui partecipano una ventina di persone. La gente ci va come se fosse una parrocchia qualsiasi». La via, insomma, è in rivolta. La patata bollente adesso è tra le mani del sindaco Francesco Pietrobon: come minimo i residenti si aspettano un'ispezione da parte della polizia locale per capire come stanno le cose.

Paolo Calia
da Il Gazzettino edizione di Treviso; 15 agosto 2016 pagina V
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venerdì 5 agosto 2016

Roma, scenari e discariche

Cos'ha a che fare, direttamente o indirettamente, Manlio Cerroni, «il re dei monnezzari», e il suo business sui rifiuti, con il mondo del Movimento cinque stelle, le sue idee e poi le sue pratiche? Anche su questo c’è una storia che va raccontata. La domanda che qualunque militante sincero dei cinque stelle si sta ponendo in queste ore per ricostruire il faticoso puzzle che è la verità a Roma, può trovare qualche traccia interessante in una storia illuminante di questi anni, che siamo in grado di svelare.

Negli anni a cavallo tra il 2012 e 2013 Gianroberto Casaleggio, in parallelo con la costruzione del Movimento cinque stelle - le avvisaglie del «boom», che in tanti non avevano sentito, c’erano già state nelle amministrative del 2012, e ovviamente in tutto l’autunno e inverno dello Tsunami Tour - fondò assieme ad alcuni suoi amici un network parallelo al Movimento, chiamato Think Tank Group. C’erano fin dalla fondazione alcuni imprenditori, professionisti, e in seguito anche parlamentari del M5S di strettissima fiducia della Casaleggio (David Borrelli, che oggi è europarlamentare e è forse l’uomo più fidato di Davide Casaleggio, e Vito Crimi) e della Lega. Ma soprattutto, assieme a Casaleggio e a Grillo - i cui nomi in un secondo momento furono tolti dalla schermata del Think Tank Group - fondatore del gruppo fu Antonio Bertolotto, presidente della Marcopolo engineering. Marcopolo è l’azienda leader italiana di rigassificatori, anche se ha chiesto da poco il concordato preventivo. Si occupa da trent’anni della «messa in sicurezza della discarica attraverso la captazione, la depurazione e distruzione del biogas che viene valorizzato come combustibile per produrre energia verde».

Possiede più di quaranta impianti, e alcuni anche nell’area di Roma. In particolare ad Albano. In pratica Bertolotto ha lanciato il business (pionieristico, trent’anni fa) degli impianti che trasformano in biogas i gas delle discariche e del processo di compostaggio dei rifiuti. Un’azienda green, cos’ha a che fare con Manlio Cerroni? Ad Albano la Marcopolo ha, in modo del tutto legittimo, operato in stretta partnership con la Pontina Ambiente, assieme alla Colari una delle società di compostaggio di Cerroni. Cerroni smaltisce i rifiuti, e Bertolotto ci estrae biogas. Il legame era talmente stretto e strutturale che Marcopolo, che ha sede legale in provincia di Cuneo, a Roma risponde al medesimo indirizzo e numero civico (sulla via Ardeatina) e allo stesso numero di telefono dell’azienda di Cerroni. Altro particolare interessante, nell’elenco dei fondatori di Think Tank Group Bertolotto compare come presidente di una onlus, la Sosesi. Come se il rapporto tra quel network - così vicino ideologicamente e materialmente al neonato Movimento - e il business dei rifiuti non fosse proprio coincidente con la propaganda cinque stelle sui rifiuti zero e la raccolta differenziata al 90%. Non c'è nulla di male naturalmente a lavorare con Cerroni (che è indagato, ma per l’impianto di trattamento meccanico di Rocca Cencia, quello che la neo assessora Paola Muraro chiese a Daniele Fortini di utilizzare, ottenendone un sacrosanto, legalitario rifiuto).

Ma il cortocircuito è incredibile: il M5S, che ha fatto tutta la propaganda pubblica e l’ascesa politica con le campagna sul blog (della Casaleggio) sui rifiuti zero e la differenziata, ha nel suo network (tra i fondatori) l’imprenditore big dei rigassificatori, amico storico di Gianroberto Casaleggio, con cui cofondò il Group. Una volta scoperchiato, il vaso di Pandora degli intrecci tra partito e aziende, e dei conflitti d’interessi potenziali o attuali, non smette di spargere l’odore della politica che cela il mondo degli affari.

Jacopo Iacoboni
fonte La Stampa del 4 agosto 2016
url: http://www.lastampa.it/2016/08/04/italia/politica/quel-legame-che-risale-da-cerroni-al-network-di-casaleggio-orexINgeO1eIX7sgRlOGFK/pagina.html

venerdì 22 luglio 2016

La Pedemontana di Zaia in formato Ladylike

Il Corriere del Veneto, il GdV in questi giorni si sono soffermati ostinatamente nel descrivere come «una impasse» la situazione di stallo che da mesi colpisce Sis, il colosso piemontese delle costruzioni che in regime di iniziativa privata, con tutto ciò che comporta la cosa in termini di rischio di impresa, ha il compito di realizzare la Pedemontana Veneta.

Corveneto e GdV, sposando acriticamente la tesi del governatore Luca Zaia, dell'assessore ai trasporti Patrizia De Berti e quella del capogruppo dem in regione Alessandra Moretti, che dovrebbe essere all'opposizione peraltro, riferiscono che la linea di credito da 1,6 miliardi che la banca d'affari americana Jp Morgan sarebbe pronta a fornire a Sis per completare la Spv, nota anche come Spresiano Montecchio, è bloccata dal niet di Cassa depositi e prestiti in ragione di una non ben precisata guerra tra banche. Si tratta di una ricostruzione stupida prima che non vera.

Il «placet», questo è il termine ambiguo che usa Marco Bonet sul Corveneto di oggi in pagina 3 è un eufemismo (e non ho capito se il bravo collega se ne renda conto) per nascondere l'espressione corretta e vera che andrebbe usata che è garante di ultima istanza. Detto in altre parole il placet di Cassa depositi e prestiti altro non è che la garanzia sancita per contratto che se Jp Morgan non avrà indietro i soldi prestati, sia in termine di capitale sia in termini di un mastodontico interesse all'8% giustificato dall'altissimo rischio che i pedaggi a causa di transiti esigui mai ripagheranno l'opera, sarà proprio la Cassa, che è di proprietà statale a rimetterci la differenza.

Il che pone due problemi: uno di ordine etico e politico, l'altro e conomico giuridico. In primis la Spv è stata sbandierata come l'opera che non sarebbe costata una lira allo Stato. Ad oggi il conto sulle spalle pubbliche è di almeno 600 milioni, il tutto in ossequio di una serie di interventi assai border line rispetto alla norma. In secundis l'operazione Cdp rischia di incappare nel divieto assoluto ad operazioni del genere sancito da un allegato al nuovo statuto votato nel 2011 il quale dice «no agli investimenti in società strategiche che si trovino in situazione di crisi economica e finanziaria o rischino di trasferire a Cdp degli oneri derivanti da processi di ristrutturazione in corso». E ancora, un eventuale prosecuzione nella direzione di un intervento seppur quale garante di ultima istanza, espone l'operazione alla forche caudine certe delle norme europee in tema di aiuti di Stato: «... sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza», questo è quanto sancisce l'articolo 107 comma 1 dei Trattati consolidati della Unione Europea, ovvero l'Abc per chi si occupa di grandi opere. In questo senso nemmeno il comma 3 c dello stesso articolo («gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche,  sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse») può fornire una adeguata scappatoia perché le condizioni in cui si materializzerebbe l'operazione perché portato finale sarebbe comunque quello della alterazione delle condizioni di concorrenza. E ancora, l'intervento di Cdp esporrebbe tra l'altro la convenzione in essere tra privati e pubblico al superamento dell'asticella in quanto mancata assunzione del rischio di impresa da parte dello stesso privato.

Ora la domanda da fare a Zaia, ma soprattutto a Moretti e a De Berti che sono pure due avvocati, è semplice: ma come mai l'asseverazione sul piano Jp Morgan non viene chiesta ad un'altra banca privata? La risposta è semplice. Nessun soggetto privato si assumerebbe quel rischio, che è considerato incompatibile con la profittabilità dell'investimento. A meno di una copertura pubblica. E così si ritorna da capo. Non è nemmeno corretto affermare, come fa Bonet, che la Spv è completata al 30%. Questi sono i dati forniti dalla struttura commissariale. Ma basta un giro in auto da Montecchio Maggiore nel Vicentino a Spresiano nel Trevigiano per constatare che le cose non stanno così. Ad ogni modo, a detta della grande stampa, la giunta regionale si dice certa che l'operazione si farà. Il che pone un dubbio inquietante. Zaia, De Berti, Moretti o il ministro alle infrastrutture Graziano del Rio hanno avuto assicurazioni che chi vigilerà in caso di contenzioso chiuderà un occhio addomesticando le norme a questioni d'opportunità? C'è poi un dato antropologico su Moretti che non va dimenticato. In queste ore l'ex deputata del Pd spara sul favore del governo rispetto alla Spv, cercando di mostrare una grande preparazione sull'argomento. I colleghi della stampa però non fanno rilevare che durante la campagna per le regionali del 2015 a Castelgomberto proprio la Moretti rimediò una delle sue tante figure barbine quando interrogata dai comitati che si battono contro la Spv ammise con imbarazzo di non sapere che l'esecutivo guidato da Matteo Renzi avesse prorogato la nomina del Commissario alla Spv Silvano Vernizzi. Si giustificò spiegando che non aveva potuto da vedere vicino gli atti. Peccato però che la cosa stesse scritta su tutti i giornali regionali. Non è che qualche giornalone più o meno confindustrialmente interessato ai destini di bottega sia direttamente interessato anche a quelli della Pedemontana tanto da cancellare le gesta passate di Ladylike Moretti e delle sue cerette a favore di un attivismo quasi sfrenato a favore di un'opera cara al suo ex nemico Zaia?

mercoledì 20 luglio 2016

Nozze di Cana, Luca Zaia in Moretti: officiante il Vescovi di Pedemontana

Le peggiori porcate, quelle per cui politica, finanza e alta burocrazia, camminano a braccetto, si fanno d'estate. Quando la gente è al mare. Con un mix di pelosa ipocrisia e faccia di bronzo d'ordinanza il governatore Pr del Veneto, il leghista doroteo Luca Zaia, convolando a nozze col suo alter ego in ceretta Alessandra Moretti, capogruppo regionale del Pd, officiati da sua eccellenza reverendissima legato di Confindustria Antonio Vescovi (numero uno dei costruttori vicentini), in un sinuosissimo menage a trois, hanno chiesto a mamma Stato, il tanto vituperato Stato, quello di Roma ladrona, cioè a Cassa depositi e prestiti, di farsi da garante per la emissione di bond, circa 1,6 miliardi di euro, affinché eventuali investitori privati siano pronti ad entrare nella partita Spv che per il privato in realtà ha un interesse quasi nullo...

Il motivo? Il costo della Pedemontana infatti, almeno per quella parte di investimento privato, si sarebbe dovuto finanziare coi pedaggi non si potrà reggere con le sole tariffe. Se ne ricava che evidentemente le stime circa le previsioni di transito che avevano comportato l'ok inizialmente dato dalla Regione, dal Commissario straordinario e dallo Stato nelle sue articolazioni erano davvero troppo balenghe.

Epperò quello che lorsignori, anche dei grandi giornaloni, non dicono è un'altra cosa. Se nei mesi nessun privato batterà alla porta, sarà la Cdp, cioè noi e i poveri pensionati coi loro libretti di risparmio, a caricarsi sul groppone i costi di una infrastruttura che realizzata in nome di sua maestà il Project financing. Sì proprio quel “progefinansin” alla veneta in cui fanno tutto i privati perché son più bravi, come Confindustria continua autisticamente a sostenere. Salvo poi andare a pietire i dané al ministro Graziano Del Rio, che se fosse davvero un ministro li sbatterebbe fuori dalla porta.

Frattanto in questa melmaia putrescente, dove greppia ed escrementi hanno sempre più il medesimo tanfo del malaffare, c'è anche un dato lessicale che per certi versi risulta ancor più insultante dell'ennesimo salasso cui saranno sottoposti i veneti. «... I lavori stanno procedendo e non sarebbe né comprensibile né giustificabile in alcun modo che subissero ritardi o sospensioni spensioni a causa delle lentezze procedurali da parte della politica e delle istituzioni». Così parlò Antonio Vescovi, numero uno della associazione dei costruttori berici sul giornale di famiglia, ovvero il GdV di oggi in pagina 8. Ma nessuno fa rilevare a mister Ance che i ritardi sono del privato che non caccia la grana o che non ha una lira? È come se un piromane dopo avere appiccato un incendio a mezza città si lamentasse della lentezza con cui i vigili del fuoco hanno spento le fiamme. Ma stiamo scherzando? Perché prendersela con la politica e le istituzioni quando in questo caso è sua eccellenza reverendissima il mercato a fallire miseramente? Un fallimento che sembra quello del bulletto alla Verdone che dopo aver attirato la squinzia di turno ostentando una equina gibbosità sotto la patta dei jeans si dimentica, al momento della calata, di togliere il calzino da sotto gli slip color bianco Upim. 

In realtà le istituzioni una colpa ce l'hanno. Quella di avere coltivato questa associazione a delinquere nella sua accezione etica con chi sin dai tempi del primo rigo tracciato sul tecnigrafo già sapeva che il privato i quattrini non li avrebbe tirati fuori. E che sarebbe dovuto intervenire Pantalone. Il tutto poi è aggravato da un'altra circostanza che suona come una beffa. Se a parità di progetto (lasciamo stare la versione saggia della Spv, quella costava troppo poco e quindi non aveva i requisiti etico-morali per concorrere) gli enti pubblici si fossero limitati a chiedere un mutuo in banca l'opera, la stessa opera, sarebbe costata dio solo sa quanto meno in termini di interessi. Per cui oggi Pantalone non solo paga lo scempio ecologico e progettuale, ma pure quello dell'usura aristotelicamente intesa. È il solito giochino in salsa Nozze di Cana in cui l'acqua dei debiti del privato, col quattrino pubblico, si trasforma in vino, ovvero in privatissimo profitto...

Per carità uno può anche obiettare che se la Regione l'avesse fatto oggi in pancia oltre al prestito da restituire si sarebbe trovata anche le azioni baciate di BpVi e Veneto Banca. Ma sarebbe bastato rivolgersi altrove. In Svizzera, dove di quattrini se ne intendono, il project financing lo hanno definito una cagata pazzesca. Ma il masochismo dei veneti questo è. Il fatto di avere ampiamente anticipato con articoli, post sui miei blog, due libri, quello che sarebbe stato il de profundis della Spv, oggi poco importa. Mi domando solo una cosa. Ma se domani prendessero il sopravvento i talebani (non l'Isis perché quello è un prodotto di scarto dei Sauditi, nonché di un pezzo della intelligence israeliana e americana) ai signorotti dell Spv farebbero ciò che una sana Shari'a prevede per i ladri? Qualche mano cadrebbe mozza su un letto di banconote da 500 euro? Qualche grassa testa rotolorebbe giù da una gru o magari sarebbe infilzata in qualche palo per lap dance?

La cosa simpatica, l'ultima spanna in un deretano così povero da non potersi nemmeno permettere la vaselina, dopo lo scempio bancario e quello dei project, è la legge regionale che l'aula si appresta a votare su richiesta del primo firmatario Luca Zaia. L'hanno battezzata la norma che blocca il consumo di suolo. In realtà è il passepartout per la soluzione finale in salsa cementizia, in un Veneto già numero uno per consumo di suolo. Il sogno proibito, anzi erotico, che Giancarlo Galan in Sartori aveva tanto agognato. E che invece sarà Zaia a portare a casa. Tanto poi la mancanza di suolo per coltivare, bere, vivere sarà colpa dei “singani” e dei “clandestini”. Mentre la magistratura rimarrà a guardia del bidone...

Gli strali di Ellero sui magistrati vicentini

Chi conosce il professor Renato Ellero, uno dei penalisti più noti del Veneto, sa che i mezzi termini non sono per lui. Che si parli di corruzione, di diplomazia o di politica, il vicentino di origini veneziane ama ripetere «di non curarsi più di tanto di ciò che pensano gli altri». E la cosa la si è notata, fra le tante, quando è finito su La7 per parlare del caso Expo-Maltauro. O quando dalle telecamere di Antenna Tre si scagliava contro l'allora premier Silvio Berlusconi e contro il sistema bancario. Fino alle analisi su Vicenzapiu.com in tema di BpVi. Ed è proprio sul versante delle banche venete che la situazione rimane tesa. Oggi a Treviso si tiene l'ennesima manifestazione di protesta. Venerdì a Vicenza è previsto l'arrivo del Guardasigilli Andrea Orlando del Pd, invocato da più parti dopo il j'accuse indirizzato dai risparmiatori truffati nei confronti degli uffici giudiziari berici. «La situazione è grave» spiega l'avvocato, il quale però nutre più di qualche dubbio sul fatto che l'autorità giudiziaria riesca a fare completamente chiarezza sull'affaire Popolare di Vicenza. 

Professore Ellero, recentemente ha avuto molto risalto sui media la presa di posizione del presidente della Anm il dottor Piercamillo Davigo il quale ha chiesto che il Csm aprisse un fascicolo rispetto a quanto è accaduto a Vicenza nei confronti della vicenda BpVi. Lei queste notizie come le ha accolte? 
«Per dire la verità, avrei preferito venissero da altra fonte, perché in fin dei conti Davigo è un collega, però si è sentito in dovere, di fronte a questa vicenda gravissima, di intervenire personalmente; mi domando a questo punto, però, dove siano i magistrati vicentini, dove siano gli organi di controllo sui magistrati vicentini. Mi domando anche dove sia il Consiglio dell'ordine degli avvocati, perché di fronte a quanto accaduto il Consiglio dell'ordine ha un dovere di intervento. Perché siamo arrivati ad un punto tale che a Vicenza, a palazzo di giustizia, l'avvocato che è uso frequentare certi corridoi riceve un trattamento: gli altri no. A questo punto sarebbe meglio che le cariche in seno all'Ordine degli avvocati fossero estratte a sorte. Così almeno certi interessi e certe manovre sparirebbero. Il fatto che certi consiglieri siano stati confermati mi offende come avvocato».

Da più parti si invocano interventi di vario genere. Le commissioni giustizia di Camera e Senato possono sollecitare alcuni accertamenti da parte del guardasigilli per esempio. Peraltro in commissione giustizia al palazzo Madama ci sono parecchi membri veneti: la senatrice Erika Stefani del Carroccio, la senatrice Rosanna Filippin del Pd, il senatore Enrico Cappelleti del M5S. Poi c'è il veneziano ex Pd Felice Casson. Le prime due sono avvocati vicentini. Cappelletti è vicentino d'adozione. Sono persone che dovrebbero conoscere il dramma banche. Lei che dice al riguardo? 
«Lei sa quanti avvocati ci sono in Italia? Il problema non è questo, il problema è se avere il titolo di avvocato, permetta di essere un avvocato con la “A” maiuscola. Quanto all'esponente dei Cinque stelle, che dovrebbe appartenere ad un movimento che si dice rivoluzionario, debbo dire che è stato morbido. Anzi moscio. Il che tra l'altro rende l'idea dello spessore culturale di molti elettori dei Cinque stelle. E lo dice uno che a Beppe Grillo ha sempre riconosciuto i suoi meriti. A Grillo più che pensare ad espellere chi si comporta in un certo modo o chi fa determinate cose consiglierei di espellere chi non fa niente. Ricordo a tutti che nel 2013 il M5S ha preso i voti per rovesciare i tavoli, non per mediare e moderare. Nel caso della BpVi avrebbero dovuto fare il diavolo a quattro. Anche coi magistrati».

Le istituzioni vicentine come si sono comportate?
«Lei sa che il sindaco di Vicenza, Achille Variati è del Pd. A Vicenza tutti ricordano le dichiarazioni entusiastiche degli anni passati di Variati nei confronti dell'ex presidente della Popolare vicentina Gianni Zonin. Dopodiché posso solo consigliare a Variati, se ha un po' di dignità di dimettersi».

E poi?
«C'è una questione di fondo. La gente dovrebbe essere più vivace: se vanno a protestare davanti casa di Zonin, vadano dentro allora, solo che se poi lo trovano dentro è un problema per entrambi; non le dico cosa farei io. Io posso dirle che la moglie di un grande industriale vicentino, parlando con un amico, di Zonin, ha detto: “Se lo trovo lo uccido”. Non so se rendo l'idea».

Recentemente sui media veneti l'ex procuratore berico Antonio Fojadelli e l'ex pm, suo sottoposto, Antonino De Silvestri se le sono dette di santa ragione. De Silverstri, sul GdV, ha affermato di avere lasciato la toga perché non aveva condiviso la richiesta di archiviazione per Zonin voluta da Fojadelli. Quest'ultimo sul Corveneto ha replicato che all'epoca dei fatti De Silvestri in modo anomalo si era de facto auto-assegnato il fascicolo. Quest'ultimo poi ha anche affermato, sempre su Il Giornale di Vicenza, che era stato avvicinato da un noto imprenditore affinché ammorbidisse l'inchiesta sulla Popolare. E che l'ex magistrato non lo denunciò, lo racconta proprio De Silvestri di sé stesso, solo perché erano amici di lunga data. Lei s'è fatto una idea di questa querelle a distanza?
«De Silvestri non racconti balle. Lui dalla magistratura è stato sbattuto fuori. E ancora. Sempre De Silvestri in quella intervista, si autoaccusa di un reato, sebbene prescritto. Nemmeno Fojadelli per vero la racconta tutta. E dovrebbe spiegare una cosa. Se è vero che De Silvestri tenne un comportamento anomalo, lui, che era il dirigente dell'ufficio che provvedimenti adottò? E perché Fojadelli non dice che fu Ennio Fortuna, ex procuratore generale presso la corte d'appelo di Venezia a dire di De Silvestri: “quello non lo voglio nella mia circoscrizione giudiziaria”. Devo andare avanti?».

Scusi professore ma lei li conosce i motivi per cui De Silvestri abbandonò la toga da magistrato?
«Io penso di conoscerli. Sempre che De Silvestri non mi rompa le scatole. Allora glieli tiro fuori subito. Chiaro? Andrebbe però aggiunta un'altra cosa più importante di questa scaramuccia a distanza tra due ex magistrati».

Quale?
«Di riffa o di raffa le condotte attribuite a Zonin sono state attribuite anche ad altri membri del cda della BpVi come l'ex dg Samuele Sorato, come l'ex presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto. Con loro ci sono gli ex top manager Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta, assieme all'ex componente il cda Giovanna Dossena. Ora se più persone hanno concordato quella condotta illecita, leggo sulla stampa di reati, tra gli altri, come truffa o ostacolo all'attività di vigilanza, io le dico che sono due attività dolose e, se più di tre persone si uniscono per commettere un reato, questa è associazione a delinquere: se uno studente all'esame di penale non lo sa lo si butta fuori. È possibile che io cittadino debba pagare 6000 euro al mese ad un procuratore della repubblica che fa di tutto per dare l'impressione che non lo sappia?».

Si riferisce al ritardo con cui la procura, sempre che lo abbia fatto, avrebbe constatato l'associazione per delinquere?
«Sì. Ma siamo fuori dal mondo? Ovviamente in questi casi può essere previsto anche l'arresto. Arresti però non ce ne sono stati. Sequestri nemmeno. Ne deduco che non si voglia arrivare sino in fondo. E che si voglia continuare a rigirare la minestra. Evidentemente anche i magistrati hanno degli interessi particolari».

Che sarebbero?
«Non lo so. Ma c'è il Csm no? Ecco, il Csm indaghi. Anche se mi viene da ridere al pensiero che uno dei membri del Csm sia l'ex senatore azzurro Pierantonio Zanettin».

Se pensa alla magistratura requirente vicentina che cosa le viene in mente?
«Se io fossi il procuratore capo Antonino Cappelleri un pensierino alle mie dimissioni lo farei». 

Lei, pur a riposo, è un docente universitario. Nel mondo accademico l'andazzo in BpVi era noto? 
«Certo che sì. In un periodo in cui ero il direttore del corso di operatore giuridico di impresa della facoltà di giurisprudenza di Padova-Rovigo insegnava una persona, della quale non posso rendere pubblico il nome per questioni di riservatezza professionale, che faceva il commercialista. Quest'ultimo era uno di quelli che per BpVi approntava i bilanci. Mi raccontò che era il presidente che diceva quali dovevano essere i risultati. E che alla fine i conti rispecchiavano tale volontà».

Se ne ricava che cosa?
«Ovvio che non ci volesse un genio. E che non ci volesse molto per per scovare il falso in bilancio in via Framarin. Sarebbe bastato che uno con le competenze giuste andasse a fare le pulci a quelle carte. Ma non accadde: il tutto a fronte di segnalazioni alla magistratura penale che vanno avanti da lustri».

Perché?
«Perché a Vicenza domina un certo tipo di mentalità rispetto al quale fin dalla base della piramide sociale si tende a pensare: “Meglio non toccar la banca. Che mi sistema il figlio, il cognato e a volte anche l'amante”. Come vede non ho remore a dire certe cose».

Le denunce sulla popolare berica portate avanti dalla associazione dei consumatori Adusbef affondano le radici addirittura nel 2001. Da questo punto di vista Vicenza e la sua provincia come hanno reagito sul piano della dignità e sul piano sociale?
«Devo rilevare l'assordante silenzio della opinione pubblica berica e quello della cosiddetta grande stampa nei confronti di quanto accaduto negli anni fra procura e alcuni effici Gip. Come diamine si fa quindi a parlare di dignità? I vicentini sono senza dignità».

Ma così non si fa di tutta l'erba un fascio?
«Ovvio che non bisogna banalizzare. Ma generalizzare si può di fronte ad una omertà sociale tanto diffusa. Comunque proviamo a fare alcuni distinguo. I soggetti che hanno perso venti, trenta o quaranta milioni di euro è giusto che li abbiano persi. È gente che ha tratto lucro dalla banca. Hanno investito massicciamente in azioni per avere un tornaconto economico per le loro aziende che mai avrebbero avuto a fronte di rapporti bancari seri. Questi professionisti del “mi faccio gli affari miei” sono quei signori che poi si sono opposti in modo vergognoso alla azione di responsabilità contro il management della vecchia gestione. Ed è chiaro che il vecchio establishment non sia stato attaccato perché questi imprenditori hanno avuto soldi sotto banco».

Però ci sono i piccoli che ci hanno rimesso tutto. O no?
«Certamente sì. Ci sono stati alcuni suicidi o tentati suicidi. E le assicuro che ce ne sono altri due in ballo. Ovvero ci sono altre due persone pronte a togliersi la vita. La diocesi vicentina è al corrente di questa situazione. Tanto che io vorrei sapere dal vescovo Beniamino Pizziol che cosa abbia intenzione di dire o di fare sulla vicenda. I ragionamenti sulla fede e quelli astratti sulla degenerazione della finanza spettano al Papa. Il vescovo di Vicenza invece dovrebbe intervenire sul piano pratico; poi tra l'altro sono le sue “pecorelle” che si suicidano, e il suicidio, se non sbaglio, è un peccato. Ergo il vescovo che cosa sta facendo? E che cosa ha fatto sino ad ora? Con quanta veemenza ha denunciato i vecchi vertici di BpVi?».

Sui giornali si torna a parlare di una serie di vicende relative a procedimenti penali che sono stati o che dovrebbero essere in capo alla procura di Vicenza. E che hanno dato adito a svariate polemiche. Molti parlano di strane lentezze: dalla inchiesta su Borgo Berga, a quella relativa ai Pfas, c'è ovviamente la BpVi per non parlare delle altre sull'urbanistica o su Aim. Molte sembrano avviate alla prescrizione. Sembra che di fronte a certi santuari si faccia fatica a fare luce. Lei che pensa al riguardo?
«Se si creasse un pool di indagine ad hoc sulle cose accadute in procura e al tribunale di Vicenza qualche magistrato si dimetterebbe. Se quel pool lo guidassi io se ne dimetterebbero molti di più».

Secondo lei il consiglio superiore della magistratura, ma anche gli ispettori del ministero, avrebbero il potere per legge per fare queste cose?
«In teoria sì. Alla fin fine però a condurre le ispezioni sui magistrati sono altri magistrati. Per cui che domande potrebbero fare? Domande del tipo “signor presidente del tribunale lei ha fatto qualche ispezione? Ha ispezionato i gabinetti? Erano puliti?” Rido per non piangere».

Rispetto alle vicende dei rovesci bancari, si può dire che c'è stata una differenza nel comportamento tra i correntisti e tra i soci veneti e vicentini da una parte e tra quelli toscani colpiti, per esempio dal caso Etruria?
«Ovviamente sì. Il centro Italia ha reagito ben più duramente: sono andati a Roma sotto le sedi governative e ministeriali. E se il ministro Maria Elena Boschi non fosse filato via a qualcuno sarebbe passato per la mente di andarla a prendere nei suoi uffici. Lo stesso è accaduto a Firenze con la Leopolda. I vicentini, i trevigiani e i veneti in generale, rispetto a due procure che poco hanno fatto sia per la BpVi sia per Veneto Banca, hanno posto in atto gli stessi comportamenti? No. E la cosa di commenta da sé».

In questi mesi si è parlato anche di responsabilità ai piani alti. Lei che pensa di Bankitalia?
«Non ne penso bene. Però faccio un esempio. Quando in Germania è scoppiato il dieselgate il numero uno di Volkswagen Martin Winterkorn si è dimesso alla velocità della luce. Ed è un uomo più potente di chi per anni si è alternato alla carica di governatore di Bankitalia. In via Nazionale tutti son rimasti al loro posto invece. Non aggiungo altro. Anche perché sulla banca centrale italiana ho già detto negli anni tutto il peggio che si potesse dire».

Marco Milioni

mercoledì 11 maggio 2016

Pfas, Val Chiampo denuncia Miteni: «Ripari il danno»

«Chi ha inquinato, paghi le spese per ripulire il territorio». È quanto chiede il consiglio di bacino Valle del Chiampo con un esposto presentato ieri in procura nel quale si punta il dito, sul fronte della vicenda Pfas, contro l'azienda Miteni di Trissino. L'impresa che opera nel settore chimico rispedisce però al mittente le accuse, spiegando di aver sempre rispettato, nelle procedure di scarico dei reflui, proprio i valori sui Pfas stabiliti dallo stesso consiglio di bacino e di non essersi mai sottratta al confronto con l'ente. La vicenda dell'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche si arricchisce dunque di un nuovo capitolo, con il botta e risposta tra l'organo di tutela delle acque e lo stabilimento chimico trissinese.

LE ACCUSE. Il consiglio di bacino ha affidato ad un professionista uno studio per accertare le responsabilità dell'inquinamento del territorio con i Pfos e i Pfoa, considerati tra le sostanze più tossiche e persistenti tra i perfluori. I due composti non sono più prodotti da Miteni fin dal 2011. Come si legge nell'esposto indirizzato alla procura della Repubblica di Vicenza, secondo la consulenza tecnica redatta da Andrea Sottani, «il sito Miteni costituisce ancora oggi una sorgente attiva dell'inquinamento e pertanto una sicura fonte emissiva permanente delle sostanze perfluoro alchiliche, oltre che di altri contaminanti, nella falda; il deterioramento della risorsa ambientale costituisce un danno effettivo, concreto e continuo, quindi permanente». Il consiglio di bacino non si è fermato qui, commissionando anche una valutazione chimico tossicologica sugli effetti indotti sull'uomo dalle sostanze perfluoro alchiliche. Lo studio di Raffaella Butera, sempre come riportato nel documento, spiega: «Dette sostanze appaiono inequivocabilmente fonte certa di determinati effetti tossici non cancerogeni e fonte possibile, ma da verificare, di effetti tossici cancerogeni». Sul fronte della riparazione dei danni ambientali provocati dai perfluori, l'ente di tutela delle risorse idriche fa riferimento all'attuale normativa in tema di ambiente, la quale «pone il ripristino e il recupero ambientale come obiettivi imprescindibili». In particolare, le misure, soprattutto per quanto riguarda le acque, devono portare «all'obiettivo del completo ripristino della risorsa e dei suoi "servizi" nelle condizioni antecedenti il danno o, in alternativa, nell'adozione di misure compensative alternative». «A fronte - si continua a leggere nel testo presentato in procura -, dell'evidente consapevolezza che la fonte emissiva e di danno alla falda coincideva col proprio sito (è la stessa società ad ammetterlo nella propria nota del 24.7.2013), Miteni non ha intrapreso l'azione di ripristino». E conclude, più avanti, nel documento: «Non è dubitabile che Miteni (e verosimilmente le sue controllanti) sia destinataria dell'obbligo di ripristino».

IL COMMENTO. «Vista la mancanza di dialogo che la Miteni ha dimostrato con Acque del Chiampo - ha commentato il presidente del Consiglio di bacino Valle del Chiampo Giorgio Gentilin -, ho ritenuto di dare ulteriori strumenti investigativi alla Procura della Repubblica. Il nostro fine è quello di avere il ripristino della risorsa idrica e un aiuto da parte dell'azienda nell'affrontare questa vicenda. Questa è una valle che in passato si è presa le sue responsabilità sulla tematica ambientale e che ha saputo lavorare per imprimere una svolta sostanziale al riguardo».

L'AZIENDA. La risposta della Miteni non si è fatta attendere. «Innanzitutto l'azienda è seguita da Alto Vicentino servizi, per quanto riguarda gli scarichi - precisano fonti aziendali -. Ci sono stati, poi, dei carteggi con il consiglio di bacino per discutere in merito ai costi legati alla depurazione. Un appuntamento era stato fissato con Acque del Chiampo per il 5 aprile, ma loro stessi l'hanno disdetto il giorno prima. Miteni aveva poi confermato un incontro con l'amministratore Alberto Serafin per il 28 aprile, ma la mattina stessa il gestore del servizio idrico ha annullato l'appuntamento. Non si può certo dire, quindi, che l'azienda si sia sottratta al confronto: sono stati loro a non aver voluto incontrarci. Era stato proprio il Consiglio di bacino, poi, a darci i limiti relativi a queste sostanze da rispettare nelle acque di scarico. Noi abbiamo sempre rispettato questi valori».

da Il Giornale di Vicenza dell'11 maggio 2016; pagina 14

martedì 10 maggio 2016

«Sbloccare 20 milioni dai fondi per la concia»

Agganciare gli interventi per i Pfas all'accordo di programma Fratta Gorzone. È quanto ipotizzato ieri dal sottosegretario all'Ambiente Barbara Degani nel vertice sull'inquinamento da Pfas. Alla riunione, voluta dal presidente della Provincia Achille Variati, erano presenti anche l'assessore regionale all'ambiente Gianpaolo Bottacin, i presidenti delle Province di Verona e Padova, i sindaci dei Comuni interessati dall'inquinamento e i vertici dei consorzi di bonifica, delle società di gestione dei servizi idrici e delle categorie economiche.

Il sottosegretario Degani ha fatto riferimento all'accordo di programma stipulato nel 2005 da 22 soggetti, tra cui  ministero, Regione, province e comuni per il riequilibrio idrico del distretto della concia e del risanamento del bacino idrografico del Fratta Gorzone. «Si può usare l'accordo, agganciandovi la parte di programmazione sui Pfas - ha spiegato Degani -. L'intesa comprende, dopo la rimodulazione, 20 milioni di euro».

La cifra potrà dunque essere investita per l'emergenza Pfas? «Secondo me sì - risponde Degani -, però ci sono delle esigenze territoriali. Dipenderà da cosa chiederà la Regione. Siamo comunque disponibili a tenere quei fondi agganciati al territorio». La questione sarà discussa domani a Venezia nella riunione del comitato di sorveglianza del protocollo. «Porterò una proposta di rimodulazione dell'accordo - ha specificato il direttore generale del ministero dell'Ambiente Gaia Checcucci -. Quell'intesa prevedeva degli obiettivi che non sono stati raggiunti. Sono rimasti dei fondi inutilizzati. In questo accordo si potrebbero inserire gli interventi per l'inizio della risoluzione del problema dei Pfas». «Trattandosi di piani differenti, che intervengono su leggi differenti, è meglio tenere separati l'argomento concia da quello dei Pfas», ha suggerito l'amministratore unico di Acque del Chiampo Alberto Serafin. «Oltre a questi fondi - puntualizza il presidente della Provincia Achille Variati -, servono altri fondi per realizzare condutture che, partendo da pozzi sani, vadano ad innestarsi negli acquedotti che pescano l'acqua dalle falde inquinate».

da Il Giornale di Vicenza del 10 maggio 2016; pagina 12

lunedì 9 maggio 2016

Fiori nelle aiuole per dire no ai pfas

I manifestanti che piantano un centinaio di fiori nelle aiuole antistanti i cancelli della Miteni chiedendo ai dirigenti dell'azienda di innaffiarli con l'acqua di scarico dei cicli dello stabilimento; le maestranze che replicano accogliendo le mamme in bici distribuendo fiori e volantini con scritto «La nostra acqua pulita per le vostre piante, questa fabbrica da cinquant'anni ci dà di che vivere, in salute». 

Giornata dalle due facce, ma senza tensioni, quella di ieri: al centro i Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche trovare in falda e per le quali il principale imputato, hanno rimarcato gli organizzatori, «è lo stabilimento di Trissino». La manifestazione, messa in piedi da mamme e cittadini di Montecchio, Brendola, Sovizzo, Altavilla e altri comuni coinvolti dai Pfas è iniziata in piazza Marconi a Montecchio, da dove sono partite circa 500 biciclette per raggiungere il vialone antistante la Miteni a Trissino. Il serpentone nel percorrere i 5 chilometri lungo la provinciale 246 è stato scortato da carabinieri e polizia locale «Dei Castelli»: inevitabile qualche disagio al traffico. A Trissino in segno di solidarietà è sfilato anche un nutrito gruppo di motociclisti.

Mamme e papà con i figli nei seggiolini, soprattutto gente comune, tanti con la pettorina di Legambiente, nel mucchio anche una bandiera No Dal Molin anche se era stata raccomandata l'assenza di simboli. L'altro momento clou della giornata è stato il momento degli interventi. Ad alternarsi al microfono Dario Muraro di Brendola, Piergiorgio Boscagin di Legambiente e portavoce di Acqua Bene Comune e Libera dai Pfas, il coordinamento che raggruppa numerose associazioni, Vincenzo Cordiano, presidente provinciale dell'Associazione Medici per l'ambiente-Isde Italia onlus, e l'avvocato Edoardo Bortolotto che per Medicina Democratica e M5S ha presentato sulla questione Pfas due ricorsi al Tar ed un esposto. Due le richieste che arrivano da Acqua Bene Comune, che ha avviato altrettante petizioni che «in due mesi hanno raggiunto quota 10.000». La prima riguarda una legge ambientale che fissi limiti molto bassi per i Pfas nelle falde ed è rivolta ai Ministeri dell'ambiente e della salute. La seconda, indirizzata alla Regione, è finalizzata ad ottenere che gli acquedotti contaminati siano allacciati a fonti prive di sostanze inquinanti.

da Il Giornale di Vicenza di lunedì 9 maggio 2016; pagina 17

venerdì 6 maggio 2016

Pfas, boom di decessi In 30 anni: morti in 1.300

Sono quarantatré morti in più all'anno: 1.300 decessi in più in 30 anni rispetto a quelli avvenuti nelle zone vicine alle aree interessate dai Pfas. E si tratta di morti riconducibili a malattie cerebro-vascolari, cardio-vascolari, diabete e tumore del rene, favorite dall'inquinamento da Pfas delle acque di falda e superficiali. Si tratta di un 10 per cento in più della media che si registra nelle aree vicine.

Ad affermarlo è uno studio dall'Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e l'energia e l'Isde, l'Associazione medici per l'ambiente. I risultati dell'indagine sono stati presentati ieri a Roma in un convegno nel quale si indagava il ruolo della salute in rapporto coi «sistemi produttivi». «Questa ricerca ha verificato che esiste un grave problema per la salute pubblica», afferma Umberto Bai, medico dell'Isde che con i suoi colleghi Vincenzo Cordiano e Paolo Crosignani e con i ricercatori dell'Enea Marina Mastrantonio, Raffaella Uccelli ed Augusto Screpanti ha realizzato la ricerca, «considerato che gli unici studi svolti sinora riguardavano l'esposizione delle persone, è stato ad esempio il biomonitoraggio condotto dalla Regione che ha dimostrato la presenza dei Pfas nel sangue di persone residenti nell'area inquinata, volevamo capire se nel territorio vittima della contaminazione si sono verificate situazioni particolari in merito all'insorgere delle patologie che, secondo la letteratura, possono essere correlate alle sostanze perfluoro-alchiliche».

Sono stati presi in esame solo i dati relativi alla mortalità registrati dall'Istat. «Abbiamo ripercorso i trent'anni precedenti al 2011 indagando i numeri e le cause dei decessi registrati tra i 144mila cittadini residenti nell'area composta dai 24 Comuni del Veronese, Vicentino e Padovano in cui è stata verificata la maggiore contaminazione», precisa il medico dell'Isde. «Abbiamo confrontato i dati con quelli relativi a quasi 645 mila persone residenti nei territori confinanti e vicini di buona parte delle provincie venete».

E i risultati sono a dir poco inquietanti: «Sulla base delle pubblicazioni esistenti, abbiamo scelto a priori di verificare l'incidenza delle morti dovute a una decina di malattie collegabili ai Pfas e il risultato che già avevamo ipotizzato nella prima fase dello studio, che era stata limitata a pochi Comuni, è stato purtroppo decisamente negativo». Stando ai dati contenuti nella ricerca presentata ieri, in trent'anni sono morte almeno 43 persone all'anno in più rispetto a quelle che ci si sarebbe potuto attendere, compiendo un paragone con i dati relativi ai territori non inquinati. Quasi 1.300 morti in più all'anno.

Una situazione che, per quanto riguarda il Veronese, è stata verificata per la popolazione di Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Cologna, Legnago, Minerbe, Pressana, Roveredo, Terrazzo, Veronella e Zimella, ma che riguarda anche il Padovano e dieci municipi del Vicentino. Ovvero, tutti i paesi nei quali, prima dell'adozione di misure volte ad abbattere la presenza degli inquinanti, è stata distribuita acqua con valori di Pfas superiori a quei limiti che sono diventati ufficiali in regione ma ancora non sono stati fissati con una legge valida sul territorio nazionale.

da L'Arena di Verona del 6 maggio 2016 (servizio di Luca Fiorin); pagina 25

domenica 1 maggio 2016

Casco salvavita grazie a un gel di acqua e mais

Un fluido creato con acqua e amido di mais, in futuro, potrà salvare una vita. Lo hanno provato gli studenti della 2C1 dell'Itis "Marzotto" di Valdagno che hanno ricevuto il primo premio alla Fiera della scienza di Padova denominata "Sperimentando 2016". A farli salire sul primo gradino del podio, con una scoperta innovativa, è stata una prova legata al mondo dello sport, come richiesto dal regolamento del concorso.Gli studenti della scuola presieduta da Afra Gecele, guidati dalla docente Carla Crestani, hanno ricreato uno scenario legato allo skateboard, sfruttando le proprietà dei cosiddetti "fluidi non newtoniani".

Questi fluidi si possono sfruttare grazie alla loro viscosità, che muta a seconda della forza che viene impressa. Se vengono colpiti da una forza impulsiva, cioè da un colpo secco, diventano molto duri, comportandosi come un solido. Se invece vengono colpiti da una forza poco intensa, si comportano come un liquido.Ma è la prima delle due opzioni, quella che è alla base del progetto-esperimento con al centro un uovo che ha rappresentato l'ipotetica testa di uno sportivo, colpita da un oggetto. Gli studenti hanno costruito un piccolo casco fluido utilizzando acqua e farina di maizena e l'hanno utilizzato a mo' di cappellino per proteggere l'uovo che, per sua natura, è estremamente fragile. Poi, utilizzando un peso, sono stati portati a termine tre tentativi di colpire l'uovo.

Nel primo, il bersaglio ha ricevuto "in testa" il peso perpendicolarmente protetto dal casco innovativo creato con il fluido: nessun danno e un impatto assorbito nel migliore dei modi. Nel secondo tentativo l'uovo è stato protetto con un casco tradizionale in plastica e anche in questo caso l'uovo è rimasto intatto anche se ha risentito di più del trauma a causa delle vibrazioni. Da ultimo, l'uovo ha ricevuto il peso perpendicolarmente senza protezioni, rompendosi.La giuria del concorso, dopo la valutazione di tutti gli esperimenti in gara, che erano divisi secondo le categorie degli elementi naturali (terra, aria, acqua, fuoco) più la categoria "Rotola, rotola", ha deciso di premiare il "Marzotto" per «l'efficacia dell'esperimento che risulta di semplice realizzazione e per l'uso di materiali innovativi. Si apprezza anche l'attenzione al tema della sicurezza che deve essere sempre garantita nella pratica sportiva". L'esposizione, che è aperta nel padiglione 6 della fiera di Padova fino all'8 maggio, ha ospitato 57 scuole che hanno presentato un centinaio di esperimenti.

Ogni anno, sono circa 10 mila le persone che animano gli stand. Il dirigente scolastico Gecele commenta: «È una grande soddisfazione, dopo quella del posto dello scorso anno. Complimenti ai nostri studenti, ma anche alla professoressa che li guida con tanta passione e competenza. Non sono giochi, ma esperimenti che possono avere una ricaduta anche dal punto produttivo, come già accaduto, per esempio, con il progetto "Stenduino"».

lunedì 25 aprile 2016

«Diluire l'acqua grazie al canale Leb»

«La Regione ci dia la possibilità di lavorare a pieno regime: così potremo risolvere il problema dei Pfas». È quanto sostiene il presidente del consorzio Leb Luciano Zampicinini, che propone di utilizzare il sistema di irrigazione per risolvere il problema dell'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche.

Grazie al canale Leb, è la tesi del presidente, si potrebbe portare l'acqua pulita, prelevata dal fiume Adige, lungo gli scoli irrigui del territorio vicentino, ma anche nel Veronese e nel Veneziano: in tal modo l'acqua inquinata verrebbe diluita e le concentrazioni di Pfas diminuite. Per fare ciò, però, serve più acqua di quanta ne venga utilizzata attualmente dal sistema. «Possiamo operare sulle acque di superficie, ma non su quelle di falda - precisa innanzitutto Zampicinini -. Non vogliamo soldi, abbiamo solo bisogno di poter derivare la massima quantità possibile di acqua dall'Adige. Abbiamo la possibilità di portare 50 metri cubi di acqua al secondo, mentre attualmente nel canale ne stanno scorrendo 21. In sostanza, l'opera è utilizzata al 40 per cento delle sue possibilità. Per questo chiediamo alla Regione di sfruttarci, se vuole avere soluzioni veloci: abbiamo bisogno di più acqua, in quanto più riusciamo a diluire il terreno e maggiori saranno i risultati anche sul fronte del contrasto all'inquinamento da Pfas».

Il canale Leb parte da Belfiore, nel Veronese, trasportando l'acqua dell'Adige attraverso la pianura; a Cologna, confluisce nel torrente Guà dal quale, poi, l'acqua prosegue con un nuovo collettore fino a Cervarese Santa Croce, nel Veneziano. Il sistema serve gli scoli dei consorzi Alta pianura veneta, Bacchiglione ed Euganeo: un territorio di 85 mila ettari che va dalla Bassa Veronese al Basso Vicentino, fino ad una parte della provincia di Venezia. Il consorzio ha già eseguito le analisi dell'acqua portata dal proprio canale. «Spediremo una lettera con i risultati ai sindaci dei 102 Comuni attraversati dal canale - continua il presidente Zampicinini -, affinché possano notare come i parametri relativi all'acqua del Leb siano molto più bassi di quelli stabiliti dalla Regione. Tanto più che le analisi sono state effettuate in un momento in cui stavamo immettendo 6 metri cubi al secondo; oggi ne stiamo immettendo 15, a maggio saremo a 20, quindi i valori scenderanno ulteriormente. L'acqua del Guà, infine, in estate è destinata a calare, mentre noi continueremo ad immettere nel torrente acqua pulita proveniente dall'Adige». Un aiuto ulteriore potrebbe arrivare dall'estensione del periodo operativo del canale, oggi funzionante nella stagione irrigua, dal 15 marzo al 15 ottobre. «La soluzione - continua Zampicinini -, potrebbe arrivare anche facendo scorrere l'acqua per tutto l'anno e non solo per 7 mesi».

da Il Giornale di Vicenza del 25 aprile 2016; pagina 9

La consigliera esposta: «Ma bevo da bottiglia»

Da otto anni non tocca un bicchiere di acqua del rubinetto: «A casa beviamo solo dalle bottiglie. Usiamo la rete idrica per l'igiene personale e per cucinare. Del resto, con i segnali che arrivavano già una decina di anni fa, abbiamo deciso una soluzione drastica». Un rimedio estremo che, a quanto pare, non ha tenuto immune Cristina Guarda, leonicena eletta in consiglio regionale con la lista Moretti, dalle contaminazioni da Pfas. Nei giorni scorsi Guarda, 26 anni, si è sottoposta alle analisi, come centinaia di altri vicentini: «Per i dati ufficiali - precisa - bisognerà attendere. I risultati ufficiosi dicono che la concentrazione di Pfos (molecole della "famiglia" perfluoro-alchilica) è nella norma. I Pfoa, invece, hanno superato la soglia dei 54 nanogrammi per grammo di sangue».

L'emergenza scatta a 70, la media per le zone non contaminate è di 1.39 nanogrammi. «I numeri si commentano da soli - prosegue la giovane consigliera regionale - e significano nuove analisi tra poco più di sei mesi. va detto che concentrazioni alte di Pfas possono dipendere anche dall'uso in cucina di materiali che li contengono, ma la preoccupazione per la condizione della falde resta». Per cui, il percorso di Guarda sul fronte istituzionale prevede la collaborazione con il ministero dell'Ambiente per ridurre le concentrazioni nell'area contaminata e, s e necessario, trovare nuove fonti di approvvigionamento idrico.Nel frattempo, a palazzo Ferro Fini, Pd e M5s vanno all'attacco. «È inaccettabile - dichiara il democratico Stefano Fracasso - che la Miteni giochi allo scaricabarile dicendo che non immette più Pfas nel sistema di depurazione. I dati sulla contaminazione mostrano che l'inquinamento ha riguardato le acque di falda. Allo stesso modo, coinvolgere il distretto della concia è fuorviante, visto che i sistemi depurativi dell'Ovest vicentino hanno il loro scarico oltre venti chilometri a ovest dalla zona di massima concentrazione dei Pfas. Ci aspettiamo dall'azienda la disponibilità a contribuire alla soluzione del problema».

Concorde l'eco-dem trevigiano Andrea Zanoni: «I risultati dei monitoraggi evidenziano il fallimento delle misure di prevenzione. In una situazione in cui interrogativi e dubbi si accavallano, è evidente solo una cosa: il danno patito dai cittadini, con relativo diritto a farsi valere». Critico anche l'ex candidato governatore dei Cinque Stelle, Jacopo Berti: «Meno di un mese fa, le nostre argomentazioni erano state oggetto di critiche in aula. Oggi abbiamo 250 mila persone a rischio. Di conseguenza non è il caso di perdersi in dispetti di palazzo, ma di mettersi a lavorare a tutela dei cittadini. Se l'assessore Bottacin vuole darci una mano, siamo in trincea». Un appello al monitoraggio arriva anche da Legambiente. «La situazione è critica - dicono i vertici dell'associazione - e servono misure straordinarie».

da Il Giornale di Vicenza del 23 aprile 2016; pagina 15

Virna Nordio

Com’era ampiamente prevedibile, l’elezione di Piercamillo Davigo al vertice dell’Anm ha subito fatto saltare i nervi alla classe politica, specie di quella governativa. Il prestigio che deriva dalla sua storia, il linguaggio franco e tagliente, la capacità di sintetizzare i disastri della politica giudiziaria dei governi con battute comprensibili a tutti senza paraculaggini, sono peccati mortali nel Paese di Tartuffe. Chi lo ascolta e lo confronta coi balbettii dei minus habentes autonominatisi eletti dal popolo capisce subito chi ha ragione. Del resto ciò che Davigo dice da anni e ripete ora lo sanno tutti: i politici rubano più di prima, ma hanno smesso di vergognarsi, anzi rivendicano ciò che prima facevano di nascosto, quindi si guardano bene dal varare riforme efficaci per scoperchiare e combattere il malaffare.

E non passa giorno senza che un’indagine lo dimostri. Ma sentirglielo dire con tanta chiarezza, tra tanti suoi colleghi che impiegano un quarto d’ora e duemila parole solo per dire “buonasera”, ha lo stesso effetto dell’urlo “il re è nudo!” del bimbo nella fiaba di Andersen. Siccome i politici parlano male perché pensano e agiscono malissimo, il solo sentir parlare Davigo li manda in bestia. Riecco dunque il vecchio refrain “i giudici parlino con le sentenze” (copyright Craxi&B.) in bocca al responsabile Giustizia (si fa per dire) del Pd David Ermini, molto applaudito da Ncd e da FI.

Sognano un bel bavaglio, oltreché per i giornali, anche per Davigo: come se il rappresentante di 9 mila magistrati non avesse il diritto di dire la sua sulla materia di cui si occupa da 40 anni. L’apparenza però non deve ingannare: di Davigo non spaventano le parole, ma i fatti che potrebbero scaturirne: l’effetto galvanizzante e rivitalizzante su una magistratura sempre più tremebonda, conformista e “genuflessa” al potere. Il rischio (per lorsignori) e la speranza (per noi) è che molti magistrati ritrovino le ragioni della propria missione e perdano i timori reverenziali verso il potere nel momento cruciale in cui devono decidere se indagare o archiviare, se prosciogliere o processare, se assolvere o condannare un colletto bianco. “Non ci attaccano per quello che diciamo – disse Davigo ai tempi di Mani Pulite –, ma per quello che facciamo”. La controprova si chiama Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia. Anche lui è prodigo di interviste e, diversamente da Davigo, di articoli sui giornali. Scrive sul Messaggero di Caltagirone. E non fa mai mancare l’appoggio alle controriforme del governo di turno.

Ora è molto eccitato per l’attacco di Renzi a “25 anni di barbarie giustizialista” e per il bavaglio sulle intercettazioni, anche se gli pare “troppo timido”: lui non si contenta di proibire ai giornali di pubblicarle (“una porcheria indegna di un paese civile”); lui vuole proprio abolirle come “fonti di prova” e lasciarle “nel cassetto del giudice”. Al posto suo, eviteremmo di evocare cassetti: nel 2004 Bruno Vespa scoprì che nel suo giaceva dal 1998 il famoso fascicolo sulle presunte tangenti rosse di D’Alema e Occhetto: avrebbe dovuto essere trasmesso 6 anni prima alla Procura di Roma, ma Nordio se l’era scordato. Quando arrivò, era tutto prescritto. In compenso due anni fa fu proprio Nordio a far arrestare 35 persone a Venezia per il Mose, dal sindaco Orsoni al deputato Galan: li aveva visti coi suoi occhi scambiarsi mazzette?

No, orrore: li aveva intercettati. E le conversazioni, anziché nasconderle nel cassetto, le aveva usate come fonti di prova, allegandole orribilmente agli atti, così il gip le usò per arrestarne 35 e i giornali le pubblicarono. Lui però non denunciò la “porcheria indegna” nelle sue copiose interviste sull’inchiesta. E nessuno si sognò di intimargli di parlare solo con i suoi atti. Come nessuno ora gli domanda a che titolo un pm trinci giudizi politici sul Messaggero: Michele Emiliano ha avuto un’“infelicissima uscita” sul referendum, mentre l’amato Renzi fa benissimo ad “affondare la lama” contro i pm e non deve “intimidirsi” per i cattivoni del M5S e di quel che resta della libera stampa (“le anime belle del giacobinismo forcaiolo”) che osano opporsi al bavaglio. Quanto al centrodestra, deve “applaudire il premier” e “incoraggiarlo”, anziché appoggiare il referendum No Triv con gli orrendi “grillini” e l’“estrema sinistra”. Il finale è strepitoso: “La libertà personale è vulnerata dall’eccesso di custodia cautelare”.

Fanno eccezione i suoi 35 arresti per il Mose, s’intende. Ma anche il caso di un pm veneziano che, nel 2000, sequestrò l’auto al cliente di una prostituta anche se non aveva commesso alcun reato: A.P, 25 anni, sorpreso dai carabinieri con una moldava, fu denunciato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (delitto previsto per i papponi, non per i clienti) e si vide sequestrare l’auto. Il pm convalidò e il giovane, pochi minuti dopo, si suicidò. Il pm spiegò che “nell’immediatezza del fatto l’operato dei carabinieri si presentava formalmente legittimo”, ma “il cliente non si può assolutamente perseguire in base alla legge”. Perciò dissequestrò l’auto, a funerali avvenuti. Il pm era Nordio: lo stesso che oggi, all’unisono con Renzi & C., strilla contro “la dignità calpestata dalle intercettazioni generalizzate e diffuse”.

Marco Travaglio
da Il Fatto quotidiano del 23 aprile 2016; pagina prima