sabato 21 maggio 2011

Lega, qualcosa s'è rotto



Ha ragione il leghista trevigiano Muraro: la Lega Nord si è imborghesita. Io, nel mio cantuccio di osservatore, lo vado dicendo da due anni almeno. Oggi, su Repubblica, lo dice persino il leghistissimo Gentilini. E prima di lui lo aveva detto il vicentino Lovat, cacciato per aver alzato la testa (il cui errore a posteriori è stato forse quello di non aver aspettato la disfatta delle recenti amministrative: ora sarebbe in buona compagnia, nel criticare dall’interno un Carroccio romanizzato e berlusconizzato). E prima ancora, qui a Vicenza, lo aveva gridato con una raffica di esposti la pasionaria Equizi.

L’anima popolare e verace della Lega ribolle di sdegno e di rabbia contro l’altra, governativa e ufficiale. La base furibonda intasa i centralini di Radio Padania accusando il proprio partito di pagare un prezzo troppo alto all’alleanza con Berluskaz (copyright: Bossi, quand’era Bossi). E adesso, dopo il calo elettorale, lo scontento è palese, sale in superficie, non può più essere nascosto. Così, per esorcizzarlo, i ras locali più vicini agli umori profondi del popolo in camicia verde se ne fanno portavoce.

L’Umberto magno sa perfettamente che tutta la partita si giocherà a Milano, e sa altrettanto bene che potrebbe essere perduta. A quel punto avrà in mano il pretesto per ridefinire i rapporti con il Pdl, onde evitare di lasciarsi “andare a fondo” con esso. Di qui il suo mettere le mani avanti fin da ora, con la richiesta di un “nuovo progetto”. Insomma, farà quel che ha sempre fatto: tirerà o mollerà la corda, rispolverando o accantonando formule e slogan a seconda della convenienza.

Perché la Lega, molto italianamente, non è stata altro che una fazione che ha avuto come unica bussola il proprio particulare: quando era vantaggioso allearsi si è alleata, quando lo era di più rompere ha rotto, se portava più voti (e poltrone) fare gli esagitati secessionisti si esagitava, se invece era meglio mostrarsi moderati si moderava. Tatticismi, calcolo, conquista del potere: come un normale, squallido partito qualsiasi. Peggior servizio non poteva arrecare all’idea sacrosanta da cui era partita: l’autonomia locale, l’unica reale controspinta alla globalizzazione, il male radicale del nostro tempo. Altro che quella patacca di pseudo-federalismo che ci stanno rifilando con l’abbraccio mortale a Berlusconi. Altro che il Trota assiso ai vertici perché figlio del monarca. Altro che le sciagurate guerre imperialiste in Libia. Altro che la deriva affaristica e corrotta, a cominciare dalle periferie (il concia-gate, il caso Cis). Altro che le correnti e le cupole oligarchiche (da Maroni contro Calderoli giù in basso fino alle trame della Dal Lago). Leghisti, ora che vi siete dati una svegliata, ribellatevi.

Alessio Mannino
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giovedì 19 maggio 2011

Cisputtanati

Se i papaveri della Lega si stanno rincoglionendo sono affari loro. Ma che in questo processo di degenerazione neuronale vogliano trascinare chi invece in questi anni ha mantenuto il cervello sveglio è francamente seccante. Stamani il Corriere del Veneto pubblica un articolo che contiene una serie di dichiarazioni deliranti dell'onorevole Manuela Dal Lago. Ma come diavolo si fa ad ammettere candidamente un interessamento per alcuni terreni utili per la famiglia Filippi nel comparto Cis, quando il Cis stesso durante la gestione Dal Lago era alla ricerca disperata dei terreni utili per arrivare a quella quota di 500.000 metri quadri necessari al Cis prima versione? È come dire che sto cercando un terreno per far su casa per poi lamentarmi che me ne hanno venduto solo una parte perché l'altra l'ha acquistata un altro tizio, al quale io ho segnalato la possibilità di comprare il terreno che serve a me. È la prova provata della cammellata studiata a tavolino. È la prova provata che l'affaire Cis è nato come mera operazione immobiliare in vista di una colossale speculazione edilizia. Anche se il verbo studiare non si addice per i politici che per anni ci hanno inebriato con la religione del fare. Fare sì, ma gli affaracci loro per poi ammetterlo candidamente. Come a dire, ti ho mentito sì, ma per il mio bene. Ora in questo quadro di miserie umane prima che politiche c'è un presidente della provincia, tal Attilio Schneck della Lega, che sulla vicenda Cis è sempre rimasto in silenzio o quando ha parlato ha detto delle idiozie. Possibile che non sapesse nulla? Possibile che non sapesse nulla l'attuale assessore all'ambiente Toni Mondardo, all'epoca gran ciambellano presso il Cis della "Manuelona"? Se io fossi un consigliere d'opposizione chiederei a Titti Schneck due cose tanto per cominciare: "Sapevi qualcosa de 'sta storia? Se sì perché sei rimasto in silenzio? Perché non hai presentato esposti in procura? Se invece non sapevi nulla perché non ti dimetti visto che conti meno del due di coppe con gli ori a briscola?". Poi gli chiederei: "Caccia tira fuori immediatamente le carte sulla convenzione del febbraio 2008". In queste ore l'opposizione può far vedere di che pasta è fatta. C'è poi un'altra valutazione da fare. Dov'è finito il comune di Vicenza il quale è socio di Cis? È possibile che il decisionista Achille Variati, energico primo cittadino berico di fede Pd, sempre pronto ad andare sulla stampa alla minima cazzata, rimanga invece col nodo in gola? Certo è che Vicenza ha rimediato l'ennesima figura di merda. Lorsignori ci sputtanano e si sputtanano alla grande. Finché dura...

Marco Milioni
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Dal Lago risponde sul caso Cis-Filippi: «Sì, fui io a parlargli dell’acquisizione»

«Sì, sono stata io a parlare con il senatore Filippi della possibilità di acquisire i terreni Cis. Il motivo è semplice: cercava 50mila metri quadrati dove mettere la propria azienda» . La leghista Manuela Dal Lago, deputata del Carroccio ed ex presidente provinciale, conferma il collegamento fatto nei giorni scorsi sulla stampa) sul coinvolgimento a metà anni 2000 del senatore della Lega Nord Alberto Filippi, per l'acquisizione di parte dell'area del Cis di Montebello. Dal Lago è stata chiamata in causa dal consigliere provinciale del Pd Matteo Quero, con una domanda di attualità. Del progetto, comunque, si parlerà oggi in Provincia con una seduta monotematica. Non solo: nei giorni scorsi sono state approvate le modifiche al Ptcp che dovrebbero bloccare possibili sviluppi commerciali nell'area Cis e così Filippi ha nuovamente ventilato l'intenzione di portare lì -dove la sua famiglia con la società Af99 possiede circa 225mila metri quadrati di terreni sui circa 500mila totali -l'azienda di famiglia Unichimica, oggi a Torri di Quartesolo. Quero, nella sua domanda d'attualità, riporta come sulla stampa «il senatore affermi la volontà di non seguire più nelle sue scelte aziendali imprecisati desiderata istituzionali» , richieste che fino ad oggi lo avrebbero trattenuto dallo spostare Unichimica. Il consigliere provinciale chiede spiegazioni, anche in merito ad un coinvolgimento della Dal Lago. «Non ci sono segreti -commenta la parlamentare -il senatore cercava 50mila metri quadrati per metterci la propria azienda, che doveva spostare da Torri. Tramite un avvocato gli ho detto che al Cis si poteva pensare ad un'ipotesi di questo tipo. Ha preso contatto con me, questo è vero, perché gli serviva spazio» . La leghista parla anche di elezioni, sulla possibilità di una sua candidatura per le prossime provinciali e comunali: «Posso assicurare che non mi vedrete mai candidata alla presidenza della Provincia: al di là del fatto che c'è un presidente uscente che potrebbe ancora ricandidarsi, per quanto mi riguarda, il ciclo è chiuso. Del resto, in questo momento sono presidente della commissione Attività Produttive: un impegno importante, io quando lavoro su una cosa non sono abituata a pensare ad altro».

da Il Corriere del Veneto del 19 maggio 2011, edizione di Vicenza; pagina 11

martedì 10 maggio 2011

Produttori contro parassiti

Se fossi un piccolo imprenditore vicentino, invece di battere le mani a comando a tutto ciò che esce dalla bocca di Emma Marcegaglia, mi preoccuperei di qualcosa di più pressante: la propria sopravvivenza. Ad attestare la minaccia di una vera estinzione del “padroncino” è stata l’autorevole voce di un esponente dell’establishment non sospettabile di preconcetto anti-industrialismo, il presidente della Camera di Commercio berica Vittorio Mincato. Così parlò il supermanager alla Giornata dell’economia 2011 dell’altro giorno: «Le imprese più piccole stanno sparendo. Non facciamoci ingannare dalle nuove iscrizioni al registro delle imprese. Si tratta spesso di realtà individuali o effimere, ad esempio operai disoccupati che non hanno altro modo di lavorare e creano una ditta individuale in modo che i datori di lavoro non debbano pagare i contributi» (Corriere del Veneto, 7 maggio). Sul Giornale di Vicenza, di proprietà della locale Confindustria, nessun cenno a questo passo della relazione di Mincato. Gli industriali hanno un brutto difetto: amano nascondere sotto il tappeto le proprie magagne, salvo lagnarsi ogni santo giorno delle colpevoli mancanze della politica e aureolarsi di gloria come se fossero loro gli unici a faticare e fare sacrifici. Che è esattamente quanto ha sostenuto con soverchia arroganza la Marcegaglia all’assise confindustriale di sabato (macchiata, per giunta, da un’ovazione semplicemente disgustosa all’amministratore delegato di Thyssen Krupp, che ha sulla coscienza 7 lavoratori arsi vivi).

Pochi imprenditori sono capaci di autocritica. Qualcuno, vivaddio, c’è. Come Mario Carraro, ex leader degli industriali veneti, che sempre sul Corriere del Veneto ha detto le cose come stanno, punto per punto. Sulla deriva oligarchica dell’associazione: «Il male non sta solo a Roma, ma nei modelli che tendono ad assomigliarle, anche nelle periferie, con momenti associativi pletorici uniti ad ambizioni personali, tese a contare politicamente attraverso nomine in questo o quell’ente» (devono essere fischiate le orecchie a quel bel tomo che risponde al nome di Massimo “Prorogatio” Calearo, il neo-consigliori del premier). Riguardo la spocchia di essere i soli a tenere in piedi l’Italia, al contrario bisognerebbe «abbandonare quell’idea che [Confindustria] ha di se stessa come di un soggetto salvifico dell’economia anche perché ne rappresenta solo una parte». Esistono anche i “collaboratori”, come ipocritamente i padroni del vapore amano chiamare i loro dipendenti. Per inciso, sono quelli che hanno sempre pagato il prezzo più salato delle ricorrenti crisi su cui fonda il sistema economico delle bolle finanziarie. E poi, lo spinosissimo tema dell’evasione fiscale, troppo spesso liquidato con un atteggiamento autoassolutorio, anche qui con sovrano disprezzo per chi le imposte le paga fino all’ultimo centesimo con la trattenuta alla fonte. Carraro fa una proposta che riecheggia analoghe campagne legalitarie in terre dominate dalla mafia: «Emarginare le aziende che non pagano le tasse. Sanno benissimo chi sono, non penso sia difficile scoprirlo. L’associazione farebbe bene a estromettere gli evasori, non fosse altro che per i rischi di concorrenza sleale fra i propri stessi iscritti».

Questo è un salutare parlar chiaro. Si può discutere sul merito, naturalmente. Ad esempio: che fra Irap e studi di settore, fra Visco e Tremonti, la partita Iva sia vessata, taglieggiata e spremuta a sangue è un fatto. Come è un fatto che non considerando l’abnorme squilibrio fra tassazione e servizi erogati dallo Stato, una pur giusta condanna degli evasori risulta monca e francamente ingiusta. Stare dalla parte dei piccoli, di quelli che si fanno ancora il mazzo alla vecchia maniera senza speculazioni borsistiche, non significa né gonfiare il petto né cospargersi il capo di cenere. Bensì denunciare limiti e storture della categoria e, nel cercare di sradicarli, proporre una visione della società a misura di quella che essa è realmente. In soldoni: l’Italia, oggi più che mai, si regge sulle piccole e medie imprese, e questa piccola dimensione, che per mentalità e interessi dovrebbe unire il capitano d’industria al suo dipendente, va tutelata in tutti i modi. Non solo dai governi e dal fisco, ma anche dai potentati che condizionano i governi e il fisco più di quanto si sa e si dice: la grande industria assistita e ingrassata con lo statalismo e il monopolio degli appalti, e le grandi banche che di fatto controllano la politica monetaria tramite la banca centrale europea e le sue succursali nazionali. Questa commistione è il vero cancro della democrazia, oltre che dell’economia. Pensateci, imprenditori vicentini: un patto fra voi, che il successo ve lo sudate, e i lavoratori precari che come esseri umani non meritano di essere trattati come merce. Entrambi siete produttori. Gli altri, le multinazionali, i raider finanziari, i “prenditori” che fanno profitti grazie a commesse e incentivi, i sindacati padronali, le caste scroccone, sono i parassiti. Volete rompere davvero gli schemi? Proposta: abbandonate i totem della lotta di classe marxista, e alleatevi contro globalizzazione, precarizzazione e speculazione. Produttori contro parassiti: una possibile formula per il futuro.

Alessio Mannino
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Produttori contro parassiti

Se fossi un piccolo imprenditore vicentino, invece di battere le mani a comando a tutto ciò che esce dalla bocca di Emma Marcegaglia, mi preoccuperei di qualcosa di più pressante: la propria sopravvivenza. Ad attestare la minaccia di una vera estinzione del “padroncino” è stata l’autorevole voce di un esponente dell’establishment non sospettabile di preconcetto anti-industrialismo, il presidente della Camera di Commercio berica Vittorio Mincato. Così parlò il supermanager alla Giornata dell’economia 2011 dell’altro giorno: «Le imprese più piccole stanno sparendo. Non facciamoci ingannare dalle nuove iscrizioni al registro delle imprese. Si tratta spesso di realtà individuali o effimere, ad esempio operai disoccupati che non hanno altro modo di lavorare e creano una ditta individuale in modo che i datori di lavoro non debbano pagare i contributi» (Corriere del Veneto, 7 maggio). Sul Giornale di Vicenza, di proprietà della locale Confindustria, nessun cenno a questo passo della relazione di Mincato. Gli industriali hanno un brutto difetto: amano nascondere sotto il tappeto le proprie magagne, salvo lagnarsi ogni santo giorno delle colpevoli mancanze della politica e aureolarsi di gloria come se fossero loro gli unici a faticare e fare sacrifici. Che è esattamente quanto ha sostenuto con soverchia arroganza la Marcegaglia all’assise confindustriale di sabato (macchiata, per giunta, da un’ovazione semplicemente disgustosa all’amministratore delegato di Thyssen Krupp, che ha sulla coscienza 7 lavoratori arsi vivi).

Pochi imprenditori sono capaci di autocritica. Qualcuno, vivaddio, c’è. Come Mario Carraro, ex leader degli industriali veneti, che sempre sul Corriere del Veneto ha detto le cose come stanno, punto per punto. Sulla deriva oligarchica dell’associazione: «Il male non sta solo a Roma, ma nei modelli che tendono ad assomigliarle, anche nelle periferie, con momenti associativi pletorici uniti ad ambizioni personali, tese a contare politicamente attraverso nomine in questo o quell’ente» (devono essere fischiate le orecchie a quel bel tomo che risponde al nome di Massimo “Prorogatio” Calearo, il neo-consigliori del premier). Riguardo la spocchia di essere i soli a tenere in piedi l’Italia, al contrario bisognerebbe «abbandonare quell’idea che [Confindustria] ha di se stessa come di un soggetto salvifico dell’economia anche perché ne rappresenta solo una parte». Esistono anche i “collaboratori”, come ipocritamente i padroni del vapore amano chiamare i loro dipendenti. Per inciso, sono quelli che hanno sempre pagato il prezzo più salato delle ricorrenti crisi su cui fonda il sistema economico delle bolle finanziarie. E poi, lo spinosissimo tema dell’evasione fiscale, troppo spesso liquidato con un atteggiamento autoassolutorio, anche qui con sovrano disprezzo per chi le imposte le paga fino all’ultimo centesimo con la trattenuta alla fonte. Carraro fa una proposta che riecheggia analoghe campagne legalitarie in terre dominate dalla mafia: «Emarginare le aziende che non pagano le tasse. Sanno benissimo chi sono, non penso sia difficile scoprirlo. L’associazione farebbe bene a estromettere gli evasori, non fosse altro che per i rischi di concorrenza sleale fra i propri stessi iscritti».

Questo è un salutare parlar chiaro. Si può discutere sul merito, naturalmente. Ad esempio: che fra Irap e studi di settore, fra Visco e Tremonti, la partita Iva sia vessata, taglieggiata e spremuta a sangue è un fatto. Come è un fatto che non considerando l’abnorme squilibrio fra tassazione e servizi erogati dallo Stato, una pur giusta condanna degli evasori risulta monca e francamente ingiusta. Stare dalla parte dei piccoli, di quelli che si fanno ancora il mazzo alla vecchia maniera senza speculazioni borsistiche, non significa né gonfiare il petto né cospargersi il capo di cenere. Bensì denunciare limiti e storture della categoria e, nel cercare di sradicarli, proporre una visione della società a misura di quella che essa è realmente. In soldoni: l’Italia, oggi più che mai, si regge sulle piccole e medie imprese, e questa piccola dimensione, che per mentalità e interessi dovrebbe unire il capitano d’industria al suo dipendente, va tutelata in tutti i modi. Non solo dai governi e dal fisco, ma anche dai potentati che condizionano i governi e il fisco più di quanto si sa e si dice: la grande industria assistita e ingrassata con lo statalismo e il monopolio degli appalti, e le grandi banche che di fatto controllano la politica monetaria tramite la banca centrale europea e le sue succursali nazionali. Questa commistione è il vero cancro della democrazia, oltre che dell’economia. Pensateci, imprenditori vicentini: un patto fra voi, che il successo ve lo sudate, e i lavoratori precari che come esseri umani non meritano di essere trattati come merce. Entrambi siete produttori. Gli altri, le multinazionali, i raider finanziari, i “prenditori” che fanno profitti grazie a commesse e incentivi, i sindacati padronali, le caste scroccone, sono i parassiti. Volete rompere davvero gli schemi? Proposta: abbandonate i totem della lotta di classe marxista, e alleatevi contro globalizzazione, precarizzazione e speculazione. Produttori contro parassiti: una possibile formula per il futuro.

Alessio Mannino
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lunedì 9 maggio 2011

Spinea, sulla discarica è Lega contro Lega

A sfidare la Regione del governatore leghista Luca Zaia, contro la riapertura della discarica di via Prati a Fornase, non sono solo i Comuni di Spinea e Mira che hanno presentato un ricorso al Tar ma anche la Provincia dell’altrettanto leghista Francesca Zaccariotto: la giunta di Cà Corner, pur con qualche mal di pancia interno, ha approvato l’altro ieri l’informativa che annuncia il proprio intervento ‘ad adiuvandum’ al fianco delle due amministrazioni comunali interessate dalla riapertura del sito. Contro la delibera regionale contestata dai comitati cittadini e dai sindaci di Mira e Spinea, si muove dunque anche l’ente provinciale su proposta dell’assessore all’ambiente Paolo Dalla Vecchia che ha avuto il pieno appoggio della presidente.

Il fronte, a Cà Corner, non era però compatto: da parte dell’assessore Claudio Tessari, ex sindaco di Spinea, e del vice presidente Mario Dalla Tor sono state avanzate perplessità nei confronti dell’informativa che si esprime contro la scelta della Regione. Il documento è stato tuttavia licenziato e l’incarico di procedere è stato affidato all’avvocatura di Cà Corner che dunque si costituirà in giudizio in appoggio dei due Comuni; il ricorso, presentato in extremis allo scadere dei 60 giorni di tempo per impugnare la delibera di Palazzo Balbi, chiede in sostanza ai giudici del Tribunale amministrativo regionale di rivedere gli aspetti procedurali che hanno portato ad autorizzare la riapertura dell’impianto (caldeggiato dalla vicentina Maltauro spa, nde); secondo i sindaci dei due territori, con l’appoggio di Dalla Vecchia, sarebbe stato preso in considerazione soltanto il criterio economico e non quello della salute: il fronte del no motiva il ricorso rivendicando il principio di precauzione, segnalando l’approccio tenuto della Commissione di valutazione di impatto ambientale che non avrebbe considerato la possibilità di mettere in sicurezza il sito senza riaprirlo; i ricorrenti denunciano inoltre il mancato coinvolgimento del Consorzio di bonifica nelle fasi di approfondimento del progetto licenziato in Regione.

Per Cà Corner una presa di posizione netta nei confronti del provvedimento che ha portato più volte i comitati alla protesta di piazza, prima con un sit in davanti a Palazzo Balbi, poi con una fiaccolata notturna che ha radunato centinaia di cittadini. L’intervento ‘ad adiuvandum’ della Provincia andrà così a rafforzare il ricorso dei comuni di Mira e Spinea, dopo che già la giunta di Francesca Zaccariotto aveva nei mesi scorsi licenziato una delibera contraria alla riapertura dell’impianto, confermata in fase successiva dal voto del Consiglio provinciale.

da Il Gazzettino del 6 maggio 2011, edizione di Venezia; pagina XIII

giovedì 5 maggio 2011

Giovani, cioè vecchi

I giovani, quando ci si mettono, sanno essere più patetici dei vecchi. Meritano un’attenzione speciale, perchè, anche se è banale dirlo, saranno gli adulti di domani, e quelli fra loro impegnati in politica i politici del futuro.

Nella gara alle cretinate, le nuove leve vicentine si danno senza risparmio. L’ultimo spettacolo più grottesco ce l’ha offerto la Giovane Italia. Dovrebbe essere, da statuto, l’associazione juniores del Popolo delle Libertà. Un partito liberale alla Berlusconi, cioè all’amatriciana, ma pur sempre, almeno di nome, ispirato all’Occidente liberal-democratico, filo-americano e anti-totalitario. La realtà è che al suo interno pullulano i cultori del Duce e del folclore fascio. Chiariamo: questi non sono veri nostalgici neofascisti, come li ha definiti con strumentale allarmismo il sindaco Variati. Questi sono solo fighetti che si trastullano infantilmente con il mito del fascismo e di un’Italia che non c’è più e che non può più tornare.

Un fascista degno di questo nome non avrebbe mai fatto quello che hanno fatto Benigno e company: inscenare il siparietto fotografico del saluto romano con bandiera della Rsi in occasione del 25 aprile, per poi ritirare in fretta e furia la foto, facendosela sotto, e sostenere che si trattava di una goliardata. Sui fascistoni di un tempo, i missini, si può dire tutto il male possibile, ma se uno fra loro si fosse sognato di far passare una provocazione simile per una ragazzata innocente lo avrebbero preso e gli avrebbero dato una solenne lezione. Non ci sono neanche più i fasci di una volta (benchè a farci dubitare della cosa ci sia in circolazione un soggetto come l’assessore Donazzan). Un applauso, dunque, a Luca Zanon che pur avendo partecipato alla pagliacciata ha avuto il buon gusto di dimettersi dal suo incarico istituzionale di presidente della consulta studentesca.

Ma è un segno dei tempi che i ragazzi di oggi corrano ancora dietro, dopo quasi settant’anni, agli odi e alle dispute dei loro padri e dei loro nonni. Vuol dire che sono incapaci di fare quel che hanno sempre fatto i giovani di tutte le epoche da che mondo è mondo: fare una sana tabula rasa del vecchiume e delle arteriosclerosi ideologiche dei matusa, per pensare, come fisiologia vuole, al qui e ora. L’avvenire non si costruisce restando attaccati a ciò che andava bene un secolo prima, bisogna avere la capacità e la volontà di andare oltre. Il guaio del nostro presente è che i venti-trentenni non possiedono nè l’una nè l’altra, e si scannano su fascismo e comunismo come autentici idioti. Giovani fuori, vecchi bacucchi dentro. Fanno pena.

Per dire: che bisogno c’è, caro Giovanni Diamanti, di riesumare i morti dalle tombe con la gratuita e grottesca ossessione per le targhe da intestare ora a Ramelli e domani, che so, a un martire dell’altra parte? I problemi sono altri e ben più gravi e pressanti: la precarietà esistenziale, la disoccupazione lavorativa, l’incultura dilagante (i cervelli portati all’ammasso dal becerume televisivo), il vuoto di valori forti che poi genera quel rifiuto schifato della politica attiva di cui tutti si lamentano. Piantiamola con questa trovate catacombali, che possono giusto dare brividi di piacere a uno come Poletto.

Io penso che i giovani abbiano il diritto e il dovere di mettere una pietra sopra a ciò che è stato. Non nel senso di dimenticare o di rinnegare, che sarebbe ingiusto e sbagliato. Ma smettiamola una buona volta di fare politica a colpi di cadaveri e col passatismo di maniera. I fascisti e antifascisti in servizio permanente effettivo, a 66 anni fatti e finiti dalla fine della guerra civile, sono soltanto conservatori, anzi reazionari. Da un anziano partigiano o un repubblichino si può capire e, volendo, accettare. Da uno di venti o trent’anni, no.

Alessio Mannino
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