venerdì 30 luglio 2010

Regione, sì ai maxidirigenti. Ma il mandato è dimezzato

Con voti differenziati da candidato a candidato, e con presidente Zaia e assessori inchiodati ai banchi a costo di non partecipare ad altri appuntamenti annunciati, il Consiglio regionale ieri mattina ha approvato la nomina dei direttori generali decisi dalla Giunta.

LE VOTAZIONI. Il neo-segretario generale della programmazione è Tiziano Baggio, il manager da sempre vicino a Zaia che lo vuole nel ruolo di direttore generale della Regione: ha avuto i 35 voti della maggioranza, con 4 contrari e 18 astenuti. Via libera anche all’altro “esterno”, il vicentino Domenico Mantoan che guiderà il settore servizi alla persona (sanità e sociale): per lui 33 sì, due in meno di Baggio, con 7 astenuti e 17 contrari. Più largo il voto per gli altri cinque, dirigenti interni: oltre 40 i sì per Mauro Trapani (bilancio-economia), Angelo Tabaro (cultura-turismo), Silvano Vernizzi (territorio-infrastrutture), Sergio Trevisanato (lavoro-istruzione-personale), Mariano Carraro (ambiente-lavori pubblici). All’unanimità è stato votato il segretario generale del Consiglio veneto Roberto Zanon. Più risicato il via libera al segretario del Consiglio per gli affari generali-giuridici Stefano Amadi (33 sì).

IL DIBATTITO. Il voto è stato caratterizzato da un lungo dibattito. L’opposizione ha contestato l’annuncio di risparmi, sostenendo che poi seguirà anche la nomina di un numero imprecisato di commissari straordinari per settori specifici per cui i costi complessivi della dirigenza regionale potrebbero risultare superiori a quelli attuali. In particolare il vicentino Raffaele Grazia (Udc) ha contestato a Zaia che si possa parlare di “direttore generale” perché la legge regionale prevede ben altro ruolo per il segretario della programmazione. Ha sottolineato che nella delibera di nomina di Mantoan si parla solo di “sanità” e non di sociale (arriverà un commissario?), e ha sostenuto che la sua indicazione nasce «da un patto scellerato tra una parte della Lega e una parte del Pdl (il riferimento è a Tosi e Sartori)» che «vuole continuare a gestire la sanità veneta con attenzione al business della costruzione di nuovi ospedali con i project financing più che ai servizi di cura dei malati». Anche il vicepresidente Franco Bonfante (Pd) ha chiamato in causa l’ombra di Flavio Tosi, sindaco di Verona, come ispiratore delle scelte per la sanità.

IL MANDATO RIDOTTO A METÀ. Da parte sua il vicepresidente Marino Zorzato ha confermato la linea dei risparmi e della riorganizzazione: «Non appena avremo il nuovo statuto rivedremo insieme la pianta organica e l'organizzazione della Regione perseguendo l'obiettivo di contrarre la fascia dei dirigenti. Per questo motivo oltre a ridurre gli stipendi dei massimi dirigenti regionali abbiamo proposto anche il nuovo limite a 30 mesi dei loro incarichi». L’altra sorpresa di ieri infatti è stata che, con un largo voto di 42 sì, è passato un emendamento della maggioranza che riduce il mandato dei segretari regionali di Giunta e Consiglio a metà: 30 mesi.

CANDIDATURE AGLI ENTI. Proposta dal vicentino Costantino Toniolo (Pdl), assieme a Lega e Pd, è passata ieri anche la deroga che dà ai consiglieri regionali un paio di mesi di tempo per proporre candidature per le nomine di rappresentanti della Regione nelle società partecipate e negli enti di interesse regionale. In ballo ci sono 26 nomine per società Rocca di Monselice, Veneto Nanotech, l’Arena di Verona, aziende speciali come Verona Innovazione, Vicenza Qualità, Treviso Tecnologia, PromoTreviso, Padova Promex e altre.

da Il Giornale di Vicenza del 29 luglio 2010; pagina 7

mercoledì 28 luglio 2010

Il Verso del Nord? Il raglio ovviamente

Perché si fa un gran parlare attorno al manifesto Verso Nord? Come mai quello che dovrebbe essere un semplice documento d'intenti nell'ottica di un rilancio dell'Italia settentrionale è diventato un caso politico, soprattutto nel Veneto? La cosa è molto semplice.

Il dominio dell'ex governatore azzurro Giancarlo Galan sulle terre che furono già della Serenissima è finito. Dopo le elezioni di primavera a un vecchio sistema di potere, che aveva i suoi referenti politici più accreditati in Galan e Lia Sartori (eurodeputato del Pdl) è venuto meno. La vittoria a mani basse del Carroccio, che pure è alleato del Pdl, ha messo in discussione vecchie rendite di posizione, a partire dalla sanità. Non che io abbia preferenze per una o per l'altra visto che sempre di voraci oligarchie si tratta, ma comunque la giostra questa è. Se a questo si aggiunge che il Pd quando va bene è un ectoplasma e quando va male allunga le mani sulla res publica al pari della destra, si capisce ancor meglio la natura di Verso Nord: una sorta di area politica virtuale pensata per spaventare un po' il Carroccio.

Come a dire “caro neogovernatore leghista Luca Zaia, se non sganci qualcosa io mi alleo col mio ex peggior nemico”. Che poi 'sto nemico possa essere temibile ho più di qualche dubbio visto che solo i gonzi democratici sperano di far saltare il banco con la scusa di Verso Nord, quando invece sanno bene che nel breve termine otterranno solo le briciole, se va bene. Del resto a che pro l'ex aspirante governatore veneto Massimo Cacciari (che in un faccia a faccia da Bruno Vespa sulla Rai aveva definito «falso e bugiardo» Galan) ora flirta con i fedelissimi del Galan ministro del Pdl? Del resto non si può rimanere sorpresi se uno come Variati abbia immediatamente sottoscritto il documento fondativo di Verso Nord, visto che a Vicenza non è il Pd che governa ma una lobby ogm in cui ci sono maggior enti e potentati da sempre vicini al Pdl ma con un sindaco democratico. Verso Nord non è una invenzione di Cacciari. Cacciari l'ha copiata al sindaco berico Achille Variati.

Se invece si guarda al medio e lungo periodo Verso Nord non ha altro che la funzione di grande calderone nel quale fondere, dopo averne cancellato alla meglio le origini, pezzi di centrodestra e centrosinistra, in modo da avere pronta una nuova forza politica che possa continuare a intrallazzare quando il gran capo Silvio Berlusconi sarà buttato giù dai lobbisti internazionali e dai suoi pari lobbisti nazionali che fino a ieri lo hanno spalleggiato, proprio per quella sindrome del servo infedele che in passato colpì dei tipini del calibro di Benito Mussolini e Saddam Hussein.

Ma in questo contesto come replica il Carroccio sul piano culturale? Davide Lovat, che nella Lega vicentina è la lucerna historiae, ovvero «queo studià», sul GdV del 26 luglio lascia una perla della sua abituale saggezza: «Verso Nord ovvero verso nulla... Il leghismo, forma italiana del pensiero comunitarista identitario europeo è una corrente di pensiero (pensiero!?, ndr) nuova che provoca le menti sconvolgendo gli schemi abituali... ». Il problema rispetto alla tesi di Lovat è duplice. Il primo è che Lovat, poverino, a quello che dice ci crede veramente. In secundis Lovat ha ragione quando afferma che il leghismo è la forma italiana del peniero comunitarista europeo. Sì proprio italiana, nel senso peggiore del termine, ovvero cafona, cialtrona e come dimostrano l'affaire Arzignano e lo scandalo Lombardia anche mafiosa. Lovat infatti non direbbe ciò che ha detto sul GdV del 26 luglio nella pagina delle lettere, se avesse letto il Corsera di sabato che affibbia al Vicentino la maglia nera tra le province del nord in termini di case non dichiarate al fisco. E chi se non il Carroccio ha dominato in questi ultimi lustri sulla provincia berica? Basti vedere poi come la Lega in parlamento è ligia nel finanziare le missioni di guerra italiane all'estero tanto care ai lobbisti atlantici fustigati da Lovat. La Lega purtroppo ha un valore di forza antagonista del pensiero unico alla stessa stregua delle forze di opposizione in “1984” di George Orwell: ricordate? Si trattava di opposizioni finte, create dal sistema, buone solo per dare a qualcuno l'illusione di opporsi al sistema medesimo e contemporaneamente buone per pizzicare i potenziali ribelli. Ma allora dopo il manifesto di Cacciari, dopo le reprimende leghiste, quale è il vero verso del Nord? Il raglio ovviamente... ma un raglio del Nord.

Marco Milioni
link originario: http://www.lasberla.net/index.php/2010/07/il-verso-del-nord-il-raglio/

venerdì 16 luglio 2010

Politica serva delle lobby



Le cronache giudiziarie stanno ridisegnando l’Italia come una piramide di comitati d’affari, con vetta a Roma ma poi estesa ovunque, in una specie di federalismo dell’arte di arrangiarsi. La cosiddetta P3 ne è l’ultima immagine, dove riemerge perfino Flavio Carboni, vecchio piduista che ebbe il suo momento ai tempi dell’assassinio del banchiere Roberto Calvi, trent’anni fa. Ma l’elenco è lungo: la cricca di Anemone e gli appalti del G8; gli impuniti della ricostruzione dell’Aquila; le speculazioni ospedaliere in Lombardia dove pure la spesa sanitaria rispetto al Pil è la metà di quella della Campania bassoliniana. Proseguire sarebbe stucchevole. Meglio chiedersi come mai ritorni la corruzione, ingigantita e non di rado bipartisan, mentre l’opinione pubblica sembra indignarsi sempre meno.

La corruzione è ancora legata alla spesa pubblica: alle commesse opache, al mercato del diritto, agli incentivi furbeschi, che ora esplodono nell’eolico, domani chissà, ai pagamenti a piè di lista, per cui si operano i pazienti anche quando non serve. Ma rispetto agli anni pre-Mani Pulite c’è un cambiamento. Allora, l’industria parastatale e la pubblica amministrazione erano piegate al finanziamento dei partiti e dei loro dirigenti, spesso associati all’industria privata. Oggi, sono i faccendieri e le lobby che, materialmente o culturalmente, comprano i governanti, asservendoli.

È l’inversione di una storia antica che ha nell’indebolirsi della politica la sua radice. Negli anni '90, i partiti della Seconda Repubblica si gettarono alle spalle tessere, correnti, congressi e con essi l’idea che la leadership fosse da riconquistare ogni giorno, collegio per collegio. Le privatizzazioni furono sentite come l’alba della meritocrazia, dopo la corruzione. Con il tempo si è visto un nuovo tramonto: Parmalat, Popolare di Lodi, Telecom, Fastweb, Unipol, Rai, i traffici sul gas russo, i veleni su Finmeccanica. Un altro elenco lungo e stucchevole. Del quale, tuttavia, non si può tacere il finale: il crac del capitalismo finanziario anglosassone, fonte di ispirazione del riformismo italiano, su entrambi i lati dello schieramento politico.

L’idea che la mera privatizzazione dell’economia potesse restituirci un’etica pubblica si è consumata nel falò delle vanità dei fondi che speculano senza costrutto e dei soliti noti che tosano le grandi imprese, nelle paghe smodate dei top manager, banchieri e non, mentre le disuguaglianze aumentano e l’ascensore sociale si ferma. Rimane la privatizzazione della politica. Che va oltre i conflitti d’interesse e contagia il sistema dei partiti dove i leader, o chi ha le chiavi della cassa, sono i padroni. Padroni blindati dalla legge elettorale che costringe i cittadini a votare i loro prescelti, sulla base di un’adesione ideologica in tempi senza ideologie. Come stupirsi se i prescelti, anonimi e miracolati a Roma quanto in provincia, subiscano la tentazione di mettersi al servizio di chi prometta la mancia?

P.S. Che cosa aspettano il sottosegretario Nicola Cosentino e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, a dare le dimissioni o Silvio Berlusconi a pretenderle? O il Pdl a farsi sentire?


Massimo Mucchetti
da Il Corriere della Sera del 14 luglio 2010; pagina prima