sabato 30 dicembre 2017

Cattolici tradizionalisti, la parola al Circolo "Christus Rex"

Matteo Castagna è un volto molto noto nel capoluogo scaligero. Spiega di avere fortemente voluto, era il dicembre 2006, la fondazione del Circolo "Christus Rex" «per estendere per estendere la militanza cattolica fedele alla Tradizione da parte dei laici da una dimensione meramente veronese a tutto il Nord-Est. Sono passati dieci anni da quel momento e in casa del circolo, spiega ancora Castagna è tempo di bilanci. «Ne è passata di acqua sotto i ponti, sono state organizzate moltissime iniziative pubbliche di testimonianza della Fede cattolica di sempre, ci sono state delle evoluzioni, a partire dall'abbandono dei lefebvriani nel febbraio 2009 e dei successi insperati grazie al contributo determinante per la liberazione della chiesa di San Pietro Martire, co-patrono di Verona, dai luterani».

Del suo circolo Castagna dice: «siamo un piccolo gruppo a cui incredibilmente, viene riconosciuto pure dai nemici, riescono grandi cose. Il motivo è che lavora per la Maggior Gloria di Dio, in maniera completamente disinteressata». Ma soprattutto sottolinea ancora il fondatore il gruppo «ha una capacità di rigenerarsi e di rialzarsi dalle cadute che stupisce anche me. Da noi non c'è posto per l'ipocrisia e per l'affarismo, come altrove, purtroppo. Cerchiamo chiarezza e ci sforziamo di darla, anche a costo di andare controcorrente.

Il Natale ricorda la nascita di Colui che cambiò il corso della storia, del Dio che si fa uomo» sottolinea nuovamente il responsabile che si dice pronto a rinnovare il suo impegno anche per l’anno a venire. Fulcro di questa attività sono la piattaforma web di Agerecontra.it e la sede in cui «operiamo come soci del Gruppo sportivi veterani veronesi» per la parte inerente le conferenze pubbliche e la formazione cattolica.

Matteo tu recentemente hai firmato un articolo molto duro nei confronti di papa Bergoglio, come mai?
«Sì, ho scritto quel commento perché Bergoglio è il momentaneo punto d'arrivo del nuovo corso iniziato al Concilio Vaticano II, svoltosi dal 1962 al 1965, che ha creato una nuova religione, una nuova Chiesa, una nuova liturgia».

Sarebbe a dire?
«Proprio Bergoglio infatti corre sulla scia del modernismo dei predecessori sino a Roncalli, con uno stile che spaventa perfino i suoi. Di più, i Sacri Palazzi sono occupati da oltre cinquant’anni da personaggi che vestono abiti cattolici, ma che cattolici non sono».

E perché mai?
«Costoro hanno manipolato il nostro credo di sempre trasformandolo in una ideologia ecumenista, mondialista, assai terrena, la quale non ha nulla a che vedere col Vangelo e che ha distrutto la Tradizione. E trasformato la gerarchia in una sorta di consiglio d’amministrazione col suo presidente e il suo presidente emerito».

Ma l’emerito è per caso un riferimento a Ratzinger?
«Mi pare evidente. Anzi, è sempre stato Ratzinger il deus ex machina di questo stravolgimento del cattolicesimo».

E voi di fronte a questa situazione come vi ponete?
«Noi constatiamo la vacanza della sede apostolica e l’evidente riduzione della dimensione visibile della Chiesa cattolica. Per questo rimaniamo dalla parte del piccolo gregge rimasto fedele, sparso e disperso nel mondo, in unione spirituale e filiale coi pochi vescovi e sacerdoti rimasti integralmente cattolici. Rimaniamo col nostro Presepe in cui Gesù è la Seconda Persona della Santissima Trinità e non un profugo. Maria è la Vergine Immacolata e Corredentrice. E Giuseppe, suo castissimo sposo, è il patrono della Chiesa fondata da Cristo su San Pietro, il quale non dialogava con gli eretici per legittimarli, bensì li convertiva predicando la Verità per la salvezza delle anime. E ancora Pietro pasceva le sue pecorelle, non si immolava per lo ius soli né baciava le mani ai rabbini».

Voi portate avanti da tempo una attività dottrinale ben conosciuta in città. É solo questo l’ambito della vostra presenza?
«Assolumente no. Ci occupiamo anche di sociale, soprattutto in sinergia con i Veterani veronesi coi quali tra l’altro quest’anno abbiamo collaborato alla stesura del bollettino relativo al 95esimo della fondazione dello stesso gruppo dei Veterani, presso la sede storica di Verona».

C’è solo il sociale quindi?
«No. In termini generali, tutti noi siamo per la restaurazione della Regalità Sociale di «Nostro Signore Gesù Cristo». A titolo personale, alcuni di noi si interessano alla politica. Il sottoscritto, ad esempio, è tra i sostenitori della nuova amministrazione comunale scaligera, più nel dettaglio ha supportato e supporta l’avvocato Andrea Bacciga eletto in consiglio comunale nella lista civica del sindaco Federico Sboarina. Assieme a Bacciga e diversi altri il 18 gennaio presenterò una conferenza dal titolo “Quando eravamo femmine...c’era la famiglia” che vedrà come ospite la scrittrice Costanza Miriano. Il tema sarà quello della famiglia naturale, in linea col Catechismo e con le direttive previste dal programma e ribadite in Consiglio comunale dalla nuova maggioranza di Palazzo Barbieri. Altri, fra i nostri, hanno optato e optano per scelte politiche differenti ma non contrastanti con lo spirito cattolico del gruppo. Tanto che si lavora sempre in armonia e amicizia. Infine ci sono anche coloro che non hanno alcun interesse per la politica ma si impegnano nella militanza cattolica o sociale di "Christus Rex"».

Matteo una tua immagine è apparsa durante una recente puntata di Piazza pulita su La7. In quel fotogramma eri ritratto assieme a padre Florian Abrahamowicz, noto al pubblico come prete lefebvriano legato ad alcuni gruppi di estrema destra e ad ambienti del Carroccio. Ma eri proprio tu?
«Sì ero io nel corso di una conferenza tenuta a Verona, ma nel 2012, quindi un tantino datata. Fino all’ottobre del 2014 il sacerdote in questione era il riferimento ecclesiale del circolo "Christus Rex". Ma dopo il 23 gennaio 2015 la maggior parte del gruppo ha completamente tagliato i ponti ed ogni genere di frequentazione».

E perché mai?
«Possiamo dire che i motivi sono tanti e variegati».

Per esempio?
«Dopo attenta riflessione, ci pare una contraddizione dottrinale pubblica non da poco dichiararsi sia lefebvriani che sedevacantisti».

Puoi spiegare meglio?
«Senza nulla togliere ai meriti che dopo il Concilio ebbe monsignor Lefebvre quanto al mantenimento dei principi tradizionali e della Messa di sempre, ma lo stesso Lefebvre, salvo qualche sporadica dichiarazione, non giunse mai alla posizione sedevacantista, come la nostra o come quella dichiarata a Monaco nel 1982 da Mons. Thuc. La nostra posizione, perfettamente compatibile col diritto canonico del 1917 è quella secondo la quale l’attuale Soglio pontificio è vacante dal 1958, data della morte di Pio XII, in quanto i suoi successori aderirono ad eresie manifeste, poi espresse nel Concilio vaticano II, decadendo da ogni Autorità o non possedendola perché invalidamente ordinati. Don Floriano, quindi, sembra tirar per la tonaca monsignor Lefebvre verso una posizione pubblica che non ebbe mai, generando confusione».

E ci sono anche ragioni non strettamente dottrinali?
«Purtroppo sì. Ci siamo resi conto infatti di tutta una azione pastorale completamente fallimentare, di un sostanziale abbandono della cosiddetta cura delle anime per rincorrere chissà quali altri interessi di natura temporale, commerciale e personale. Il fuggi fuggi di molti, in questi anni, ne è la testimonianza. Così come è evidente che tra noi c’è una profonda differenza nell’intendere l’etica pubblica, su più argomenti».

Ti riferisci all’affaire Paese, ovvero ad una storia di presunti abusi edilizi che riguardano la sua sala di preghiera in provincia di Treviso?
«Anche se mi viene un pochino da ridere, ovviamente sì. Quella questione non può che lasciare perplessi se non addirittura inquieti. Siamo di fronte alla storia di una bifamiliare acquistata con una parte dei soldi di una eredità di un defunto zio calabrese ed intestata ad una persona che in quello stabile vive assieme a padre Abrahamowich. Quel convivente risulta per di più uno studente, privatista, di seminario dallo stesso Abrahamowicz. E ancora, la sala di preghiera risulta essere un ex pollaio riattato a luogo di culto aperto al pubblico non si sa bene con quali autorizzazioni comunali. Ma il 2014 ha segnato un altro evento traumatico».

Quale?
«Si tratta di una e-mail da me ricevuta proprio nel 2014 in data 24 ottobre alle 9 e 24».

Chi era il mittente?
«Don Floriano. In quella e-mail don Abrahamowicz mi chiedeva di intercedere presso una persona influente, che sapeva essere mia amica, al fine di "rallentare le manette" ad un politico calabrese, che già risultava pubblicamente, a livello nazionale, e il don lo sapeva, rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Inoltre, di fronte alle mie allarmate richieste di spiegazione, non ottenni da Don Floriano, nonostante molte sollecitazioni da parte mia, alcun genere di spiegazione né ci fu nei confronti del sottoscritto alcuna presa di distanza da eventuali collusioni con ambienti particolarmente torbidi. Prendo atto che col 2018 fanno quattro gli anni di totale omertà, da parte sua...».

E chi sarebbero queste persone?
«Mi spiace ma al momento non intendo rivelarne l’identità per evitare di contrastare eventuali indagini in corso da parte delle autorità preposte».

Ma come mai di questa vicenda parli solo ora?
«A dire il vero chi di dovere era già pienamente al corrente di tutto ciò».

sabato 16 dicembre 2017

C'è il rischio 'ndrangheta, chiusa pizzeria

Il prefetto ha fatto scattare la prima interdittiva antimafia del Vicentino. Contro il rischio di infiltrazioni mafiose da parte della criminalità organizzata, il rappresentante del governo ha informato una società di Trissino, titolare di una pizzeria, che è stata poi chiusa. Il motivo va ricercato nei precedenti del titolare, un calabrese che vanta numerose condanne per reati gravi commessi in Calabria...

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domenica 3 dicembre 2017

BpVi, la Cassazione striglia Cappelleri

«BpVi, la procura ha sbagliato a ricorrere». É questo il titolo scelto da Il Giornale di Vicenza di oggi, che in pagina 14 pubblica un lungo servizio di Diego Neri anticipato da un lancio in prima pagina che lascia poco spazio all'immaginazione: «La Cassazione striglia la procura». La vicenda è quella arcinota dell'aggressione al sequestro di una parte dei beni degli indagati per l'affaire Banca popolare di Vicenza. Il quotidiano berico riporta un passaggio preciso del pronunciamento della Suprema corte: Lo scrivono i giudici della quinta sezione penale della Cassazione: la corte, presieduta da Stefano Palla, il 30 ottobre scorso ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla procura berica contro il provvedimento del giudice che, in maggio, aveva disposto il sequestro di 106 milioni di euro nell'ambito dell'inchiesta sulla Banca popolare di Vicenza, si era al tempo stesso dichiarato incompetente per territorio, ordinando di trasmettere gli atti a Milano, dove ha sede la Consob. In gennaio, si legge ancora nell'approfondimento, la procura aveva chiesto il sequestro di 106 milioni di euro, in merito all'ipotesi di reato di ostacolo alla vigilanza di Consob, a carico della BpVi, dell'ex direttore generale Samuele Sorato e del suo vice Emanuele Giustini. Il giudice Barbara Maria Trenti, il 18 giugno, aveva depositato un provvedimento in cui concedeva il sequestro preventivo, non per equivalente, ordinando però la trasmissione degli atti a Milano perché ravvisava la competenza territoriale nel capoluogo lombardo, dove hanno sede alcuni uffici Consob. La procura non aveva eseguito il sequestro ritenendo il provvedimento abnorme. E aveva presentato ricorso. Una circostanza che aveva scatenato la furia e le ironie delle associazioni dei risparmiatori, ma soprattutto la stizza dell'Anm.

Nel rigettare il ricorso proposto dalla procura berica, che rifletteva il pensiero del procuratore capo Antonino Cappelleri, gli ermellini hanno dato torto alla procura di Vicenza. Il GdV spiega questo passaggio così: «I giudici romani hanno dichiarato inammissibile il ricorso poiché hanno sostenuto che il provvedimento del giudice non è abnorme. In una ventina di pagine hanno precisato le ragioni per le quali hanno considerato non corretto il ragionamento giuridico del procuratore: di fatto, hanno precisato che è possibile, contrariamente a quanto ipotizzato, disporre un sequestro e dichiararsi incompetenti per territorio. Perciò, la decisione del gip non è fuori dall'ordinamento».

Nel passaggio successivo, assai duro, vengono anche citati alcuni passaggi vergati direttamente dalla Suprema corte. A questo punto, «il pubblico ministero avrebbe dovuto porre in esecuzione la misura e, quindi, trasmettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente», ovvero Milano, «adeguandosi alla pronuncia... dando seguito al siologico sviluppo del procedimento e dando altresì modo, a seguito di eventuale impugnazione da parte dei soggetti interessati, al tribunale del Riesame, ed eventualmente alla Corte di Cassazione, di pronunciarsi». La procura era «tenuta ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice» e invece non lo ha fatto; sbagliando, per i giudici supremi. I quali, e questo è il passaggio che mette maggiormente in imbarazzo la magistratura vicentina, spiegano di non comprendere perché il pm abbia chiesto un sequestro e poi non lo abbia eseguito. Ad altri spettava, se del caso, impugnarlo.

Che cosa succederà a questo punto? Il Giornale di Vicenza tratteggia in questo senso uno scenario molto preciso. «Cosa accadrà ora? La settimana prossima è in programma un'altra udienza in Cassazione, per il ricorso presentato dal giudice di Milano, che una volta ricevuti gli atti si era detto a sua volta incompetente per territorio. La Suprema Corte dovrà decidere se il fascicolo per l'ostacolo alla vigilanza Consob ricada in Veneto o in Lombardia. Se tornasse a Vicenza, rientrerebbe probabilmente nel maxiprocesso che inizierà il 12 dicembre. In ogni caso, però, rimane il dubbio sui sequestri. Il provvedimento del giudice Maria Trenti, ora "riabilitato", è ancora valido? Deve essere rinnovato? E, adesso, cosa si può trovare in banca, dopo che il 25 giugno è stata posta in liquidazione coatta amministrativa da un decreto del governo?».

Marco Milioni

sabato 2 dicembre 2017

Fondo immobiliare comunale: Rucco Vs Variati

«Quella del fondo immobiliare... è un'operazione tardiva, imbastita a fine mandato da un sindaco che sa di non poter essere rieletto e quindi scarica sulla città la responsabilità dell'ennesima scelta sbagliata, invocando il consenso delle categorie economiche e dell'attuale maggioranza politica in Consiglio comunale». Sono questi passaggi fondamentali di una lunga presa di posizione del consigliere comunale di Vicenza Francesco Rucco, molto critico nei confronti della giunta di centrosinistra rispetto ad un progetto di valorizzazione immobiliare che vede coinvolta l'amministrazione e un gruppo privato. Della critica di Rucco dà ampio spazio oggi il quotidiano Vicenzapiu.com, il quale cita molti stralci della critica indirizzata dallo stesso Rucco alla giunta municipale di centrosinistra guidata dal sindaco democratico Achille Variati.

giovedì 30 novembre 2017

Risparmiatori BpVi, Ugone Vs Serracchiani

Luigi Ugone, il presidente della Associazione noi che credevamo nella Banca Popolare di Vicenza, domani sarà a Udine, per chiedere lumi sulla vigilanza che la presidenza della Regione Friuli ha condotto sul consorzio pubblico di promozione immobiliare dell'Aussa Corno, che come riferisce TgCom24 risulta esposto nei confronti della Popolare di Vicenza per diversi milioni di euro. Ugone ha comunicato l'intenzione di recarsi in Friuli una effervescente assemblea con i sostenitori della sua associazione ieri l'altro a Montegaldella in provincia di Vicenza. Durante la quale sono state indirizzate numerose bordate non solo alla politica, non solo al governo, non solo alle grosse società che hanno ottenuto crediti facili senza titolo, ma anche alle altre associazioni dei risparmiatori truffati che dallo stesso Ugone sono state aspramente criticate perché troppo accondiscendenti nei confronti della linea adottata dall'attuale governo in tema di salvataggi bancari e di legge salva risparmio, giudicata, quest'ultima, come semplice fumo negli occhi.

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mercoledì 29 novembre 2017

Question time, BpVi e derivati: il pomeriggio nero di Padoan

(m.m.) Conti cifrati dei servizi segreti presso il gruppo BpVi-Banca Nuova, consulenti infedeli del governo che accedono ad informazioni riservate per poi spifferarle a potenti gruppi privati, l'integrità del bilancio dello Stato messa in discussione da una operazione sui derivati che, almeno potenzialmente, potrebbe far patire in futuro all'Italia una debacle non troppo dissimile da quella patita anni fa in Grecia. Oggi pomeriggio alle tre il question time a Montecitorio è stato un vero e proprio inferno per il ministro dell'Economia Piercarlo Padoan durante il quale i veri protagonisti o sono stati veneti o hanno parlato di vicende anche Venete.

Il ministro infatti è stato incalzato dal deputato veneziano di Scelta civica Enrico Zanetti per il quale ha chiesto lumi sulla vicenda della«talpa di Ernst & Young» che anche un «è un big di Equitalia». Il nome del consulente finito invischiato in una clamorosa inchiesta della magistratura milanese è Susanna Masi. Il ministro, preso di mira da Zanetti, ha dovuto ammettere che la consulente non aveva comunicato al governo di essere sotto indagine penale.

Un'altra interrogazione dal peso specifico rilevantissimo è quella del deputato monzese Daniele Pesco, del M5S, il quale si è rivolto al governo dopo il clamore suscitato dall'affaire BpVi leaks. A fronte di domande precise, soprattutto quelle che riguardano fondi riservati dei servizi che sarebbero stati indirizzati a favore di soggetti riconducibili al Csm, il ministro ha detto di non essere in grado al momento di rivelare ulteriori dettagli, rinviando altri eventuali approfondimenti al Copasir, l'organo parlamentare di controllo sull'intelligence. Dal testo dell'interrogazione di Pesco, la cosa ha destato stupore presso gi addetti ai lvori, erano stati rimossi alcuni riferimenti propio ai collegamenti tra intelligence e il gruppo BpVi-Banca nuova. A detta del vicepresidente della Camera Roberto giachetti, che conduceva i lavori quale presidente pro tempore, si sarebbe trattato di un errore materiale, ma da questo pomeriggio in Transatlantico, gira la voce che non possa essere escluso a priori l'intervento di qualche manina interessata a depotenziare l'interrogazione.

Non meno duro è stato l'intervento di un altro veneziano, il deputato azzurro Renato Brunetta. Il quale ha incalzato per l'ennesima volta il ministro sul vincolo di riservatezza, che in modo incongruo sostiene il deputato e docente accademico, sarebbe calato su alcuni contratti tra lo stato ed alcuni soggetti finanziari di primaria importanza in materia di derivati. Questi ultimi sono strumenti finanziari molto complessi che sulla carta dovrebbero proteggere i prestiti contratti dall'amministrazione centrale. Se redatti male però, vuoi per incompetenza, vuoi per dolo possono alla lunga rilevarsi un micidiale strumento a doppio taglio per la finanza pubblica, soprattutto quando vengono inopinatamente usati per sottrarre dal conteggio del debito pubblico una parte del debito stesso.

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martedì 28 novembre 2017

Troppi dubbi, troppe ombre, troppi silenzi

Il cosiddetto «affaire BpVi leaks», nonostante i troppi silenzi, sta facendo discutere in modo per nulla banale quei pochi giornalisti o commentatori che hanno saputo e voluto cogliere la gravità della situazione. L'ultima analisi l'ha pubblicata oggi Contropiano.org. La testata cita ampiamente alcune considerazioni che sull'argomento ha vergato Ennio Remondino, per anni inviato di punta della Rai, uno, è bene ricordarlo ai più giovani, con un curriculum e una storia professionale all'estero e in Italia, così densa di avvenimenti, che servirebbe un tomo per raccontarli tutti. La storia del giornalismo, almeno quando i colleghi fanno davvero il loro mestiere, è piena di ingerenze da parte di poteri forti, da parte degli apparati. Funziona così da sempre se il tuo mestiere è anche quello di disvelare il lato oscuro, alle volte il lato B, del potere. Ci sta. Ciò che fa davvero la differenza sta nel come la categoria e l'opinione pubblica, reagiscono ai soprusi. Soprattutto quando tale reazione, specie da parte della gran parte dei colleghi lascia a desiderare. Soprattutto quando anche da parte dei colleghi pare si voglia archiviare la questione come un mero caso di cronaca, senza tener conto del quadro generale.

Marco Milioni

martedì 21 novembre 2017

Tav veneta, ne parlano Ponti e Venosi

(m.m.) Giovedì 23 novembre a Vicenza alle ore 17, 45 presso i Chiostri di Santa Corona in contrà Santa Corona 4,  si terrà un incontro con Marco Ponti ed Erasmo Venosi sul tema del passaggio della Tav tra Verona, Vicenza e Padova. I dettagli dell'evento nella locandina acclusa. Si preannuncia un incontro tutto pepe. La carne sul fuoco è tanta. Ma c'è un argomento che più degli altri potrebbe togliere il sonno ai big della Regione Veneto.

Come più volte è stato rilevato attingendo alle carte agli atti della Regione Veneto i progettisti della Superstrada pedemontana veneta sanno che uno dei punti più delicati è la cosiddetta interferenza tra il tracciato della Tav (tracciato che non è nemmeno in dirittura d'arrivo per vero) e quello della stessa Pedemontana o Spv come è nota. Questa cosiddetta interferenza riguarda il nuovo casello della Spv che ad Alte Ceccato (frazione di Montecchio Maggiore nel Vicentino)  dovrebbe connettere quest'ultima con la autostrada Brescia Padova.

Il concessionario della Spv, con una scelta considerata azzardata da molti detrattori dell'opera, ha scelto di non progettare il nuovo casello di interconnessione confidando che questo sarà realizzato dalla Brescia Padova. Ma sarà veramente così? Oppure, a causa della leggerezza del concedente della Spv (la Regione Veneto) che non ha stimolato a dovere il concessionario, si creerà un intoppo progettuale, magari dovuto alle traversie della Tav, tale da mettere in difficoltà il proseguo dei lavori? Allo stato si può dire che è possibile che il concessionario abbia fatto i conti senza l'oste. Cioè avrebbe spinto comunque l'acceleratore sulla progettazione e sull'inizio dei lavori.

È possibile che lo abbia fatto per sbloccare la partita finanziaria a sostegno dell'opera visto che è realizzata con lo strumento del project financing sostenuto dai privati affiancato da un sostanzioso contributo pubblico? Sarà il tempo a dire se la Regione Veneto si è comportata da sprovveduta (altre ipotesi riguardano la sfera penale e vanno considerate a parte) oppure no. Certo è che anche questo tema potrebbe essere toccato durante il convegno di Vicenza.   

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domenica 19 novembre 2017

BpVi, Banca Nuova, Veneto Banca: i conti dell'intelligence e l'affaire Etruria

È molto bizzarra o non lo è affatto, dipende dai punti di vista, la coltre di silenzio sul caso servizi segreti, BpVi, Banca Nuova, deflagrato a seguito di due servizi de La Verità e da Il Sole 24 ore. Una coltre squarciata da pochi articoli tra cui uno pubblicato ieri da Il Fatto in pagina 9.

Dallo stesso servizio si apprende che su ordine della procura di Roma vi sarebbero state perquisizioni nelle sedi de Il Sole con l'ipotesi di reato di rivelazione di documentazione coperta dal segreto di Stato. In questo contesto appare singolare la mancata levata di scudi da parte della categoria dei giornalisti: anzitutto alla luce del principio che il diritto all'informazione e alla libertà di espressione, sono due beni giuridicamente preminenti anche rispetto alla sicurezza dello Stato. Si tratta di una cosa ovvia, già ribadita più volte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo secondo la quale «la libertà di stampa in quanto essa assicura il doppio diritto a realizzare la libertà di espressione del reporter e quello della collettività di ricevere informazioni di interesse generale».

E rimanendo in tema di banche merita una lettura tutta d'un fiato un servizio pubblicato oggi a pagina 19 su La Nuova Venezia a firma di Renzo Mazzaro. Il quale nell'ambito dell'affaire Banca Etruria -Veneto Banca disvela un lungo fil rouge che va dell'ex ad di Veneto Banca Vincenzo Consoli fino all'ex legale di quest'ultimo, ovvero l'avvocato Massimo Malvestio, da tempo uno dei consigliori del governatore leghista del Veneto Luca Zaia. Tuttavia nel servizio di Mazzaro compaiono tra gli altri anche i nomi dell'ex presidente di VeBa Flavio Trinca, degli ex gemelli della finanza veneta Andrea De Vido ed Enrico Marchi, dell'imprenditore vicentino Claudio Biasia.

Più nel dettaglio Mazzaro focalizza la sua attenzione sul soccorso di alcuni imprenditori del Nordest sotto forma di acquisiti di azioni di Etruria in qualche modo garantiti da Veneto Banca. In un audit MEnzionato da Mazzaro si legge per di più che meno evidente appare la correlazione con l'operazione di acquisto da mezzo milione di euro perfezionata da Malvestio. Il quale alla Nuova spiega di avere usato soldi suoi. Sarebbe interessante capire se Magistratura e commissione di inchiesta parlamentare sulle banche vorranno accendere i loro riflettori sull'ennesimo cono d'ombra made in Veneto.

Marco Milioni

venerdì 17 novembre 2017

Servizi popolari

Alla luce delle recenti rivelazioni de La Verità e de Il Sole 24 ore sull'affaire BpVi-servizi segreti e alla luce di alcune considerazioni che ho espresso al riguardo in una intervista a Vicenzatoday.it, ci sarebbe ancora qualcosina, anzi molto da aggiungere al riguardo. Se da una parte è giornalisticamente interessante come fa La Verità, evidenziare il fil rouge che da BpVi porta sino alla Bnl, credo che sia anche utile ricordare che proprio la Bnl sui media italiani, erano i primi anni '90, fu protagonista di uno scandalo di portata mondiale.

Scandalo che interessò il finanziamento qualche anno precedente di una colossale partita di armi a favore dell'allora regime di Saddam Hussein, all'epoca dittatore iracheno assai vicino agli Usa. Alle spalle della maxi commessa militare c'erano appunto gli Stati uniti, che avrebbero architettato quel traffico per foraggiare i rifornimenti bellici di Saddam in chiave anti iraniana.

Nel servizio de Il Sole invece c'è un passaggio che nei prossimi giorni andrà riletto più e più volte. Anche in relazione al ginepraio che è diventata l'inchiesta penale su BpVi: «Insieme a schiere di anonimi sparsi in tutta Italia, tra i beneficiari dei versamenti ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno» a loro volta «inquadrati nel ruolo unico del contingente speciale della Presidenza del Consiglio dei ministri». E ancora «personale della Protezione civile e del Dipartimento Vigili del fuoco, funzionari del Consiglio superiore della Magistratura. Poi avvocati, dirigenti medico-ospedalieri, vertici di autorità portuali e di istituzioni musicali siciliane. Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali».

Da questo punto di vista è interessante leggere che cosa scrive L'Antidiplomatico al riguardo, il quale allude ad una centrale delle Fake news pilotata dall'alto. Tuttavia compulsando ancora Il Sole non è da sottovalutare ciò che viene descritto in tema di «vertici dell’intelligence italiana, dotati di poteri di firma sui conti, e alti funzionari territoriali dei Servizi e delle forze dell’ordine: ufficiali del Carabinieri con ruoli in sedi estere, ispettori della Polizia di Stato coinvolti nel processo dell’Utri del 2001, dirigenti dell’ex centro Sisde di Palermo già noti alle cronache per vicende seguite all’arresto di Totò Riina. C’è pure un anziano parente del “capo dei capi” di Cosa Nostra (o qualcuno con lo stesso nome). E ci sono impiegati di Banca Nuova. O, ripetiamo, loro omonimi».

Tra le tante cose da chiarire bisognerebbe capire che c'azzecchino anzitutto con l'intelligence i funzionari del Consiglio superiore della magistratura visto che quello giudiziario è un potere, un ordine sarebbe meglio dire, autonomo e nettamente indipendente dal potere esecutivo e da quello legislativo. Su che cosa poi i servizi segreti abbiano avuto a che fare con conduttori radiofocnici, autori televisivi, forse giornalisti, vertici di autorità portuali, e addirittura esponenti vicini alla galassia dei centri sociali forse non è impossibile da immaginare. Certo è che la Commissione bicamerale sulle banche avrebbe un interesse primario a diradare tali dubbi. Fermo restando che per alcuni ambiti, come i rapporti col Csm, non è minimamente pensabile di invocare il segreto di Stato.

Sul piano mediatico poi è interessante il botta e risposta andato in scena sulle colonne del Corriere Veneto tra il deputato di Scelta civica Enrico Zanetti e il senatore di area centrosinistra Felice Casson. Sono entrambi veneti. Il primo è un ex sottosegretario del già primo ministro Mario Monti. Il secondo un ex magistrato che indagò le trame della eversione nera anche nei suoi rapporti con ambienti atlantici. Zanetti commentando le ultime rivelazioni sull'affaire BpVi-servizi segreti dà ad intendere di avere qualche preoccupazione e parla di «coincidenza straordinaria». Casson, che tra l'altro fa parte del comitato interparlamentare di controllo sull'intelligence parla invece di «complottismo puro e semplice».

Marco Milioni


mercoledì 15 novembre 2017

L'istituto di Zonin era la cassaforte di tutti i servizi segreti

Adriano Santini, Giorgio Piccirillo, Giovanni De Gennaro, Arturo Esposito, Bruno Branciforte, Enrico Savio. E poi una serie di altissimi funzionari, 12 per la precisione, abituati a gestire con la massima riservatezza fondi per decine di milioni. Se uno vuole imbattersi nei vertici dei servizi segreti italiani dal 2008 al 2015 ci sono due strade: o si prova a entrare nella sede di Dis, Aise, Aisi e si vanno a guardare le foto appese alle pareti delle anticamere dei rispettivi direttori, oppure ci si reca a Banca nuova, gruppo Banca popolare di Vicenza, filiale 0805 di via Bissolati numero 8 a Roma. È qui, a 50 metri dalla sede del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che fino a tutto il 2014 erano custoditi i conti bancari delle nostra intelligence, insieme a larga parte dei soldi gestiti dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

I 120.000 SOCI SUL LASTRICO
I governi avevano un rapporto stretto con Gianni Zonin e la sua banca sicula, quella che l' ex presidente della Popolare vicentina più aveva nel cuore perché la considerava la sua creatura e la vera origine del proprio potere, e ha tagliato questo legame solo quando la Bce di Mario Draghi ha alzato il velo sui giochi di prestigio vicentini. Ma intanto oggi si può dire che le amicizie del Grande vignaiolo di Gambellara non si limitavano a magistrati, ispettori di Bankitalia, ufficiali dei carabinieri e della Gdf, ma si estendevano ai servizi segreti e alla presidenza del Consiglio.

E forse anche la storia di quei conti riservati, che La Verità ha ricostruito, può aiutare a capire come sia stato possibile che la popolare vicentina abbia scavato una voragine da oltre 6 miliardi di euro, azzerando i risparmi di 120.000 soci. Una crisi nata da una serie di pratiche scorrette, denunciate già all' inizio degli anni Duemila da diversi soci e dall' ex direttore generale Giuseppe Grassano, e sulle quali il magistrato Cecilia Carreri è stata fermata con metodi poco ortodossi dai suoi stessi colleghi, dopo una micidiale «spiata» su una sua presunta falsa malattia. Perché solo ipotizzare di mandare a processo Zonin era follia.


BRUNO BRANCIFORTE
Banca Nuova, che oggi ha un centinaio di sportelli tra Sicilia e Calabria, nasce nel 2000 e l' anno dopo compra la Banca del popolo di Trapani, che nel 2001 verrà fusa per incorporazione. È la sfida più ambiziosa di Zonin, che nel 1997 aveva comprato una splendida tenuta, chiamata Principi di Butera, in provincia di Caltanissetta. Poco lontano, nel 2002, scenderà a comprare vigne anche il suo grande amico Paolo Panerai, editore di Class-Mf. Ma Zonin stringe rapidamente amicizia anche con Mario Ciancio Sanfilippo, proprietario della Sicilia, monopolista delle affissioni e sotto inchiesta dal 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, e con gli Ardizzone, che invece possiedono Il Giornale di Sicilia.

AMICI A PALERMO
Per gli affari importanti, Zonin capisce ben presto che il fulcro della Sicilia è Trapani, a cominciare dall' aeroporto, per il quale si affida all' avvocato Paolo Angius, ex consigliere della Vicenza. Per la politica e i poteri dello Stato, invece, l' epicentro è Palermo. E allora ecco i rapporti stretti con Totò Cuffaro, ex presidente della Regione poi condannato per mafia, con Renato Schifani, le cui due nuore hanno lavorato per Banca nuova, con Raffaele Lombardo (l' ex moglie Rina era promoter di Banca nuova), con l' ex sindaco di Palermo Guido Cammarata (figlia assunta in banca) e con una serie di comandanti dell' Arma e della Finanza, tra i quali spunta perfino il caso di un generale padrone di casa di una filiale dell' istituto nella Sicilia orientale.
tenuta Principi di Butera

TENUTA PRINCIPI DI BUTERA
Tra gli imprenditori, ecco poi i rapporti stretti con Francesco Ginestra, ex presidente Snai e scopritore del mitico cavallo Varenne, e con il «re della sicurezza» Rosario Basile, presidente di Ivri e Ksm security. Per i soldi, invece, bastava e avanzava il Veneto, che infatti è stato ampiamente tosato, mentre dalla sicula Banca nuova, misteriosamente, non si è praticamente levato un lamento. Anche qui sono state fatte delle «baciate», ma c' erano dei patti di riacquisto delle azioni Bpvi che hanno funzionato. E nessuno si è fatto male. L' abilità di Zonin in Sicilia è confermata anche dal fatto che, a parte per un mese e mezzo all' inizio, lui non è mai figurato negli organi sociali dell' istituto, dove invece ha piazzato per quasi tre lustri il fidatissimo Marino Breganze alla presidenza.

FRANCESCO GINESTRA
Tornando ai nostri servizi segreti, va detto che avevano storicamente i loro conti principali alla Bnl. Ma quando l' ex Banca del lavoro finisce nelle mani di Paribas, devono ovviamente migrare in un istituto non solo fidato, ma italiano. Intorno ai primi mesi del 2007, la presidenza del Consiglio, e a ruota l' intelligence, cominciano a spostare i soldi. Al governo c' è Romano Prodi, sottosegretario Enrico Letta e la delega ai servizi è affidata a Enrico Micheli, ex direttore generale dell' Iri. Il governo di centrosinistra cade a maggio del 2008 e a Palazzo Chigi tornano Silvio Berlusconi e Gianni Letta. Ed è con loro che Zonin, che è stato anche vicepresidente di Bnl, piazza il colpo vincente, grazie anche ai buoni rapporti con un altro nisseno, Nicolò Pollari, capo del Sismi (oggi Aise) dal 2001 al 2006.

Banca nuova possiede a Roma una sola filiale, quella di via Bissolati, ma è un' agenzia «pesante» e non solo perché sorge a due passi dall' ambasciata Usa e ospita i conti di decine di funzionari americani. La Verità ha potuto consultare l' anagrafica dei conti della presidenza del Consiglio dei ministri e dei servizi segreti, oltre alla loro movimentazione. Si tratta di conti istituzionali e, per quello che è stato possibile controllare, usati per fini normali. C' è il conto «1.384.xxx» intestato all' Aise dove potevano operare il direttore Adriano Santini e il suo capo dell' amministrazione a partire dal 23 febbraio 2010. Il rapporto è stato aperto il 16 gennaio 2009 e ha due importanti caratteristiche: è esente dalla registrazione antiriciclaggio e dalla segnalazione all' anagrafe tributaria.


GIORGIO PICCIRILLO
Ma in questo i conti dei servizi si somigliano tutti. L' Aisi aveva un conto a Banca nuova almeno dal febbraio 2009, e potevano operarvi il capo, Giorgio Piccirillo (un tempo grande amico di Zonin), e cinque collaboratori. Per il Dis, ecco il conto intestato all' allora direttore Gianni De Gennaro il 16 gennaio 2009, con due delegati a operare. E poi ecco quelli di Arturo Esposito, capo dell' Aisi dal 2012 al 2016 (e comandante dei carabinieri in Sicilia dal 2004 al 2008) e dei suoi dirigenti di fiducia. Conti a Banca nuova anche per Bruno Branciforte, l' ammiraglio che ha guidato l' Aise dal 2006 al 2010, e per svariati suoi collaboratori. E sui conti di via Bissolati compare anche la firma di Enrico Savio, uomo di fiducia di De Gennaro e oggi vicedirettore del Dis.

CENE E OROLOGI
I movimenti su questi conti, dei servizi come di Palazzo Chigi, sono abbastanza prevedibili: stipendi, rimborsi spese, giroconti con i fondi annuali destinati a servizi, acquisti o leasing di automobili e motociclette, acquisti di orologi preziosi, spese condominiali, cene al ristorante (compreso un bonifico alla trattoria Sora Lella di Trastevere da 873 euro a titolo di «acconto») e pagamento di fatture a fornitori vari.

ASSEMBLEA POP VICENZA
Niente pagamenti di «consulenze» o «informazioni»: quelli avvengono in contanti, anche se i soldi ovviamente provengono da qui. In totale, si trattava di decine di milioni di euro l' anno. Un dato indicativo è questo: Banca nuova ha una raccolta totale intorno ai 3,5 miliardi di euro e di questi oltre 1 miliardo arriva dai servizi di tesoreria. È un sintomo del suo peso «politico». Le informazioni sui movimenti finanziari dei servizi sono dati sensibili e questo forse spiega perché il governo ha preferito tenere a tutti i costi in mani italiane la Bpvi, «venduta» per un euro a Banca Intesa insieme con Veneto Banca. A quanto risulta, i conti del governo e dei servizi sono stati chiusi nel 2014. Se così fosse, è interessante notare che i governi Berlusconi, Monti e Letta junior sono rimasti fedeli clienti di Zonin, mentre è stato Matteo Renzi a recidere i cordoni.

PUZZA DI BRUCIATO
È probabile, e anche augurabile visto che qui si parla di intelligence, che a Palazzo Chigi già nel 2014 qualcuno avesse sentito puzza di bruciato, anche perché un generale ha visto sfumare 300.000 euro di risparmi personali investiti alla Vicenza. Così, i soldi hanno preso destinazioni più sicure. E di sicuro c' è anche che Renzi ha messo il nome di Zonin sul proprio libro nero a gennaio del 2015, quando il banchiere ha osato criticare la riforma delle banche popolari. È stato lì che Zonin ha smesso di essere un cosiddetto banchiere di sistema ed è rimasto «solo» un banchiere che conosce tanti segreti. Indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, fa liberamente la spola tra gli Stati Uniti e l' Italia e nessuna Procura gli ha sequestrato un centesimo. In attesa della prescrizione, non ci sarebbe da stupirsi se prima o poi invocasse il segreto di Stato.

fonte La Verità di mercoledì 15 novembre 2017; pagina 5

sabato 4 novembre 2017

I fornitori di Miteni al centro della discussione in Ecomafie


Ieri sui media veneti facevano capolino le dichiarazioni di Manuel Brusco, l'esponente del M5S, a capo della commissione speciale Pfas istituita presso il consiglio regionale del Veneto. «Abbiamo incontrato i lavoratori, che sono toccati in modo diretto da questa situazione» aveva dichiarato Brusco alla stampa due giorni orsono. Tuttavia sono di ben altro tenore gli spunti che emergono da un'altra commissione. Ovvero quella bicamerale dedicata al ciclo dei rifiuti, più nota come Commissione ecomafie.

La seduta è quella del 15 settembre 2017 i cui verbali sono stati messi in chiaro sul sito web di Montecitorio pochi giorni fa. Più nel dettaglio sono stati messi in chiaro i verbali con le audizioni dei manager di Miteni spa, la fabbrica di Trissino nel Vicentino, finita al centro di un maxi caso di contaminazione da derivati del fluoro, i Pfas appunto, che ha interessato tutto il Veneto centrale. Sulla vicenda peraltro sta indagando la magistratura berica supportata dai Carabinieri del nucleo ambientale regionale, il Noe.

Ma perché l'audizione dei manager Miteni è così importante? Anzitutto va precisato che durante la sessione sono stati ascoltati l'amministratore delegato Antonio Nardone e il dirigente responsabile della sicurezza Davide Drusian: entrambi sono sotto indagine da parte della procura della città palladiana.

A pagina 16 dello stenografico c'è un passaggio significativo in cui il vice-presidente della Ecomafie, il deputato del M5S Stefano Vignaroli (che in quel momento assume l'incarico di presidente pro-tempore), chiede conto della filiera degli scarti di lavorazione della Miteni, nonché del ciclo delle acque di lavorazione, un aspetto che era stato sondato poco nel passato. A rispondere è proprio il dottor Drusian: «Vengo al ciclo delle acque. Il ciclo delle acque reflue è così gestito all’interno dello stabilimento: tutte le acque dello stabilimento, acque di processo e acque di dilavamento, vanno in un impianto di trattamento chimico-fisico». Poi la descrizione assume una valenza più tecnica: «... L’impianto di trattamento chimico-fisico è un impianto che neutralizza l’acqua, perché ha una caratteristica di acidità. Una volta che l’acqua è stata caratterizzata, si formano dei fanghi e l’acqua successivamente viene inviata a dei filtri a sabbia e poi a dei filtri a carbone e di qui viene immessa nella conduttura fognaria». Di seguito c'è un passaggio che riguarda i Pfas nello specifico: «... Le acque che, invece, provengono dall’impianto per fluorurati, ossia le acque che possono contenere tracce di composti perfluoro-alchilici, prima di essere trattate nell’impianto di trattamento interno, così come ve l’ho appena descritto, vengono filtrate su delle resine cosiddette copolimeri. Si tratta di resine specifiche per la rimozione dei composti perfluoro-alchilici delle acque. I copolimeri, una volta che si sono saturati, una volta che sono esauriti, li mandiamo a smaltimento, purtroppo non in Italia, perché non ci sono impianti. Ci appoggiamo alla piattaforma italiana che dopo va a smaltimento in Europa».

Ed è dopo questo passaggio che va in scena un vero e proprio scontro dialettico tra Drusiàn e il deputato del M5S. Quest'ultimo infatti chiede di sapere quali siano «le piattaforme» ovvero le società incaricate del trasporto dall'Italia verso l'estero degli scarti di lavorazione». Drusian cerca di procrastinare la risposta tanto che Vignaroli mettendo in un certo qual imbarazzo il manager di Miteni, questi sono i rumors giunti dalla commissione,  è costretto a prendere nuovamente la parola.

Dopo qualche istante Drusian è de facto obbligato a capitolare e a rivelare i nomi:  «Sadi era il vecchio nome di una che sta a Orbassano, in provincia di Torino: adesso si chiama Ambienthesis. Andiamo, quindi, all’Ambienthesis, che poi generalmente va a termocombustione, o può andare all’impianto di Tredi, che si trova in Francia, a Lione, oppure, ma più raramente, anche in Germania... Nel caso specifico dei copolimeri, ossia delle resine esauste, essi fanno generalmente questa strada. Vanno in Ambienthesis... Per i carboni attivi abbiamo due possibilità. Una è con il fornitore che ci fornisce anche il carbone vergine, un impianto a Ravenna che si chiama Cabot Norit, oppure li possiamo mandare presso un altro impianto che va direttamente a termo-distruzione. Anche questa è una piattaforma che si trova a Milano. Fa parte del gruppo Suez. Era la vecchia Ecoltecnica, se non ricordo male. Può andare o in Francia, o in Germania, in base alle notifiche aperte per andare all’estero. I rifiuti che produciamo, soprattutto i rifiuti chimici, vanno tutti all’estero a termodistruzione. Ci appoggiamo alle piattaforme perché hanno le notifiche per andare all’estero già aperte.

Ma chi sono i gruppi menzionati da Drusian? Il gruppo Sadi, in seguito divenuto Ambienthesis, fu al centro di uno dei più clamorosi scandali ambientali della Lombardia. É l'affaire Santa Giulia di cui parla diffusamente Bergamonews nel 2009, l'Espresso nel 2010 e ancora nel 2010 Il Fatto quotidiano. Si tratta di una partita, al centro di un ginepraio giudiziario infinito in ambito panale, civile ed amministrativo, la quale partita è ancora a tutt'oggi in corso. Basti pensare alla querelle attorno all'utilizzo dei terreni di riporto, considerati rifiuto da un provvedimento del tar lombardo dell'anno passato. Senza contare il fatto l'affaire Santa Giulia, almeno secondo gli inquirenti, si è rivelato un intricato ordito di illeciti non solo ambientali ma anche fiscali, il tutto condito con indagini che hanno colpito un centinaio di persone tra cui alcuni nomi eccellenti. Anche Paolo Barbacetto, noto giornalista d'inchiesta de Il Fatto, in più occasioni ha approfondito l'argomento.

Il nome Ecoltecnica, oltre ad una interrogazione parlamentare del 2011, finisce invece in due distinti servizi, sempre dedicati alla materia ambientale; il primo è del Corsera, edizione di Napoli, ed è datato 20 luglio 2009 a firma di Titti Beneduce. Il secondo invece è firmato da Davide Milosa de Il Fatto e porta la data del primo di aprile 2014. In quest'ultimo articolo compare un'altra vecchia conoscenza delle cronache regionali venete e Lombarde, la Daneco, al centro, tra le altre, dell'affaire Pescantina Ca' Filissine. Rimane da capire adesso se la collaborazione di Miteni con i gruppi menzionati da Drusian sarà considerata o meno imbarazzante dagli attivisti che da mesi imputano alla Miteni un approccio non sufficientemente rigoroso rispetto alla vicenda che la vede protagonista. Una vicenda che ha avuto anche un risvolto internazionale. Basti pensare alla trasferta italiana di Robert Bilott (in foto il secondo da destra), l'avvocato americano che ha patrocinato un gruppo di famiglie contaminate da Pfas, nella vicenda cugina del caso Miteni, che ha toccato gli Usa diversi anni orsono. Frattanto si moltiplicano le voci delle pressioni che da precisi ambienti confindustriali sarebbero giunte nei confronti di alcuni membri della commissione ecomafie. Il motivo? «Darsi da fare affinché l'organo bicamerale non alzi troppo la voce. Il motivo è presto detto: ci sarebbe un piano per far fallire la Miteni e non onorare gli obblighi di bonifica e per evitare di affrontare i costi per contenere l'inquinamento con i dispositivi storicamente in funzione presso l'impianto, che in gergo tecnico si chiamano barriere idrauliche».  

Marco Milioni

domenica 29 ottobre 2017

Pfas e plasmaferesi: Mantoan non vuol dire se l'ha provata su di sé... E con quali effetti

È la fine di agosto. Sui media regionali si torna a parlare del caso di contaminazione da derivati del fluoro che ha investito il Veneto centrale. Sui quotidiani tiene banco la querelle attorno alla possibilità di utilizzare o meno la plasmaferesi. Si tratta di quella particolare procedura terapeutica grazie alla quale è possibile, detta alla grossa, filtrare e pulire il sangue, rimuovendo così dalla circolazione elementi nocivi. Una procedura che, si legge in quei giorni sui quotidiani, permetterebbe di purificare il sangue dei soggetti esposti da Pfas da quei derivati del fluoro considerati dannosi.

Ed è proprio attorno alla plasmaferesi nota anche come «aferesi» o «plasma exchange» che due mesi fa divampa la polemica sulla sperimentazione clinica avviata dal servizio sanitario regionale su input della stessa Regione Veneto. Questa strada infatti non convince tutti perché pubblicazioni scientifiche sull'utilizzo dell'aferesi per rimuovere dal sangue, o meglio dal plasma, le sostanze perfluoro-alchiliche, non ce ne sono. A confermare l'assenza di pubblicazioni relative allo specifico è anche il segretario generale della sanità della Regione Veneto, il dottor Domenico Mantoan, che ha un lungo curriculum alle spalle, nella seduta della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, nota anche come Commissione ecomafie, del giorno 15 settembre 2017, data in cui l'organo bicamerale è in missione a Vicenza.

IL SILENZIO DI MANTOAN
Un aspetto singolare della vicenda è il botta e risposta che vede impegnato lo stesso Mantoan ed il vicepresidente della commissione Stefano Vignaroli del M5S. Quest'ultimo chiede al segretario generale della sanità veneta: «A me risulta, dottor Mantoan, che lei abbia fatto questa plasmaferesi. Vorrei sapere se aveva questi requisiti, perché l'ha fatta e se il fatto di aver smesso, come sembra, dopo tre sedute, è la procedura normale o ha avuto delle controindicazioni. In particolare, quindi, mi interessa anche sapere se ci sono effetti collaterali... e qual è la pubblicazione scientifica o quali sono gli studi riguardo questa plasmaferesi» applicata ai Pfas. La replica di Mantoan arriva astretto giro: «Sul fatto che io abbia fatto o non abbia fatto la plasmaferesi non rispondo». In questa circostanza Vignaroli evita di mettere in difficoltà Mantoan, tuttavia, letta in filigrana, la domanda del vicepresidente finisce per mettere in cattiva luce la procedura sperimentale adottata, quantomeno perché il direttore, interrogato sui possibili effetti della medesima su sé stesso, evita accuratamente di rispondere.

All'alto funzionario regionale viene anche domandato, sempre da Vignaroli, di precisare il contesto in cui i medici del servizio sanitario regionale abbiano suggerito un approccio sperimentale con il plasma exchange: «Relativamente alla plasmaferesi, l’abbiamo offerta perché i trasfusionisti ci hanno detto che questa potrebbe essere l’unica metodica che permette l’allontanamento dei Pfas... I criteri con cui si è offerta la plasmaferesi alla popolazione sono stati stabiliti da una commissione tecnica e sottoposti al vaglio del comitato etico della regione Veneto». Vignaroli ad ogni modo in questa circostanza evita di domandare al dirigente di produrre la documentazione relativa ai pronunciamenti della commissione tecnica e di quella etica.

MORTALITÀ PER I DIPENDENTI? LA DOMANDA DELLA LEGA
Tuttavia lo stenografico è ben lungo. E ci sono altri aspetti rilevanti. Per esempio a pagina 20 del verbale è il commissario Paolo Arrigoni, senatore del Carroccio ad interpellare Enzo Merler, l'epidemiologo in forza al servizio sanitario regionale responsabile scientifico del progetto «Valutazione della biopersistenza e dell'associazione con indicatori dello stato di salute di sostanze fluorurate in addetti alla loro produzione». In altri termini è lo specialista incaricato di realizzare uno studio sui dipendenti della Miteni e sulle eventuali ripercussioni negative in questi ultimi rispetto alla presenza di Pfas. La domanda di Arrigoni a Merlér è molto circostanziata: «...  L'analisi sulla mortalità dei dipendenti che lei sta conducendo evidenza o no delle problematiche? Il procuratore - il riferimento è al procuratore berico Antonino Cappelleri - che ieri abbiamo audito, che immagino abbia avuto delle anticipazioni, ha detto che, in ordine all'analisi sulla mortalità, parrebbe non ci siano particolari problematiche».

RISPONDE MERLER
La risposta del dottor Merler è molto lunga, ma merita di essere menzionata integralmente: «L'azienda, nel 2016, ha per la prima volta effettuato una determinazione di PFOA e PFAS nel sangue di tutti i dipendenti. Negli anni precedenti, dal 2000 al 2016, effettuava questa valutazione nel gruppo addetto alla produzione, con una qualche estensione successiva ad alcuni altri... utilizzati come controllo. Dati sul livello nel siero dei dipendenti Miteni per perfluorurati sono disponibili per i dipendenti presenti al lavoro nel 2016. La regione ha incluso tra le attività da svolgere quella di arrivare a una determinazione, se le persone aderiranno, di livelli di Pfoa e Pfas, ma non totali, come ha sempre fatto la Miteni, bensì sull'insieme dei diversi isomeri che l'Istituto superiore di sanità ha deciso di indagare negli ex esposti lavoratori. Se ci sarà un'adesione, si potrà disporre di dati sull'insieme dei dipendenti Miteni non solo nel gruppo che è stato addetto alla produzione. Per quanto riguarda i Btf, ovvero i benzotrifloruri, sono stati prodotti dall'azienda in decine di migliaia di tonnellate per anno e sono presenti nell'inquinamento delle acque indagato dal '77 in avanti, e quindi fanno parte dell'assorbimento di sostanze che hanno, da un lato, i lavoratori e, dall'altro, la popolazione generale. È, quindi, di interesse comprendere se queste sostanze, per le quali appunto ho indicato prima che da quarant'anni si dice che devono essere svolti approfondimenti per comprendere il loro profilo tossicologico, sono un problema per i lavoratori e, essendo presenti nelle acque della zona, anche potenzialmente per la popolazione generale. Per quanto riguarda le problematiche, il nostro lavoro ci è stato richiesto dalla regione, alla quale abbiamo riferito i risultati sia nelle occasioni dei convegni che ho richiamato, sia comunicando in maniera estesa, cioè inviando un testo predisposto apposta che riferisse dei risultati del lavoro, che sta avendo dei passaggi successivi. L'ultimo, questo del confronto con la mortalità dei dipendenti dell'Officina Grandi Riparazioni, è stato appena terminato, comunicato al convegno...  ed è stato riferito nei risultati in maniera estesa alla Regione Veneto. I passaggi successivi, come quello che avete nominato, di che cosa sia a conoscenza della procura: avvengono nel passaggio dalla regione alla procura e nel passaggio nostro di contatti che per lavoro ci viene chiesto di tenere tra noi e i carabinieri del Noe, passaggi che sono stati svolti».

COLLABORAZIONE TRA REGIONE E MAGISTRATURA
Segue un intervento del presidente della commissione, il deputato Alessandro Bratti (Pd), il quale pone alcuni quesiti: «Credo che la questione della procura sia interessante. Ieri, il procuratore ci ha anche spiegato, relativamente all'interlocuzione con la regione, quindi presumo anche con voi, delle difficoltà della parte dell'indagine che riguarda gli aspetti più di carattere sanitario, dicendo che la regione gli dice che ci vorranno altri due anni per completare le informazioni per poter avere certezza nel percorso giudiziario e aprire... Come sapete, dal punto di vista sanitario la procura ha nominato un suo perito. Da quello che ci dite, mi sembra di capire che in realtà ci potrebbero già essere elementi per chiudere delle fasi preliminari d'indagine anche su quest'aspetto. Al di là della conoscenza, probabilmente non esaustiva, dell'attività di queste sostanze su eventuali meccanismi, come veniva ricordato, dal punto di vista metabolico, mi sembra di capire da quello che ci dite che una rilevanza sanitaria c'è, che quando c'è una presenza di certe concentrazioni di queste sostanze, poi c'è nel tempo una serie di alterazioni che voi ci avete indicato. Voi state collaborando con la procura? Fornite dati? Non fornite dati? Qua qual è la situazione?»

La replica è affidata ancora a Mantoan: «Tutto quello che abbiamo fatto in questi anni, l'abbiamo regolarmente trasmesso in procura. C'è un'interlocuzione costante tra la dottoressa e i pubblici ministeri che si occupano dell'inchiesta, con i Noe e via discorrendo... Non so che cosa abbia detto il procuratore ieri. Il programma di sorveglianza sulla popolazione è fatto per evitare malattie. Io spero, alla fine dei due anni, non che vengono fuori malattie, ma che non ce ne siano... Noi siamo molto convinti, ve lo abbiamo detto, che queste sostanze alterino il metabolismo e non provochino direttamente il cancro, come si ipotizzava un paio di anni fa.
Come vi ha detto la dottoressa Francesca Russo», direttrice della direzione prevenzione e sicurezza alimentare veterinaria area sanità e sociale, della Regione Veneto, «è come se questa popolazione avesse vissuto con un fattore di rischio in più... Lo dimostra il 20% di aumento delle malattie cardiovascolari rispetto a popolazioni di altro tipo».

Marco Milioni

sabato 28 ottobre 2017

Pfas e altro: la scia lunga e la magistratura veneta

(m.m.) Ieri Vvox.it ha pubblicato un servizio a mia firma nel quale ho cercato di realizzare una disamina il più puntuale possibile del contenuto della relazione della Commissione ecomafie relativamente alla trasferta vicentina del 14 settembre. Per chi è interessato all'argomento nel servizio troverà anche i link all'intero resoconto. Da questo punto di vista sarebbe bene una lettura da parte di tutti perché tante sono le sfaccettature rilevabili e diversa è la sensibilità di chi legge. Fra i vari spunti interessanti va segnalato il rapporto non facilissimo tra la procura e gli investigatori del Noe: più prudente la prima, più effervescenti, parrebbe di capire, sul piano investigativo i secondi. Ci sarebbero alcune considerazioni da fare poiché la situazione descritta pare un flashback di altre inchieste in capo alla procura berica, Borgo berga, Bpvi, ma anche tante altre indagini del passato recente o di quello meno recente. Che cosa verrebbe fuori dalla carte se si potesse analizzare col supporto di giuristi indipendenti e di chiara fama, l'operato non solo delle toghe requirenti ma anche di tutti i magistrati giudicanti? Il che vale tra l'altro anche per altri distretti giudiziari del Veneto. Ad ogni buon conto, sempre in tema di Pfas, segnalo in servizio assai interessante pubblicato ieri da L'Arena e firmato dal collega Luca Fiorin.

LEGGI L'APPROFONDIMENTO DI VVOX.IT
LEGGI IL SERVIZIO DE L'ARENA

giovedì 26 ottobre 2017

Miteni, l'accusa di Cillsa: sugli scarichi la società non parla chiaro

«I reflui, come tutti sanno non sono entro i limiti per l'acqua potabile fissati dall'Istituto superiore della sanità, ovvero l'Iss e la Regione veneto nel 2015, ma per quelli relativi agli scarichi industriali che allora beneficiarono di un aumento di tolleranza fino a 3030 nanogrammi su litro. Malgrado ciò concerie e Miteni hanno fatto ricorso al Tar perché tali limiti vengano alzati». Usa toni durissimi il dottor Giovanni Fazio, uno dei volti più  noti di Cillsa, l'associazione arzignanese che da anni si batte per le ragioni dell'ambiente nel replicare ad una recente nota della Miteni nella quale i vertici aziendali rassicuravano la popolazione circa la correttezza della società in materia di scarichi.

Il dispaccio di Cillsa, diramato da Fazio durante la giornata di ieri però entra nello specifico e punta l'indice dritto contro la fabbrica trissinese, da anni al centro di un caso di contaminazione da derivati del fluoro, i Pfas, che interessa il Veneto centrale: «Sebbene Miteni - si legge - asserisca che da sei anni produca solo Pfas a catena corta, rispettando tutti i limiti e le norme di sicurezza previste dalla Regione Veneto, i Pfas a catena corta sono apparsi abbondantemente nell'acquedotto di Longo... come mai? Da dove sono arrivati? La loro presenza negli acquedotti significa solo che la Miteni sta continuando a inquinare la falda e che altrettanto stanno facendo coloro che adoperano i suoi prodotti. L'inquinamento pertanto non è un fatto che riguarda antichi inquinatori, ma un fatto che continua ininterrottamente fino ai giorni nostri con documenti incontrovertibili quali le bollette di Acque del Chiampo».

E la nota di Cillsa prosegue: «La documentazione di Arpav dovrebbe determinare una rapida ispezione degli scarichi a piè di fabbrica alla Miteni, nelle concerie, nonché presso i depuratori della zona. Mentre si deve valutare il blocco degli stessi in caso di positività dei riscontri. Poichè nessuno si muove - argomenta fazio - è chiaro che ci sono omissioni gravissime di tutte le istituzioni che dovrebbero controllare e agire, soprattutto in presenza di un disastro ambientale. Viviamo in un regime di omertà, di inandempienza dei doveri d'ufficio, di menzogne amplificate da Il Giornale di Vicenza. Siamo in presenza della pistola fumante nelle mani degli inquinatori e dobbiamo sorbirci questi comunicati impudenti mentre veniamo avvelenati con Pfas vecchi e nuovi». In questo senso Fazio fa riferimento ad un recente incontro organizzato con la cittadinanza di Arzignano svoltosi il 23 di ottobre: «La sala che ci ha ospitato era gremitissima oltre ogni previsione - precisa il portavoce di Cillsa - tanto che non è riuscita a contenere tutti gli intervenuti». Fazio parla anche dell'avvio di una raccolta firme per una «Arzignano a zero Pfas».

venerdì 20 ottobre 2017

Pfas, ecobomba veneta tra terra, aria, acqua e prodotti tipici



Il Veneto centrale è seduto sopra una ecobomba ad orologeria. Per ricordarlo a politici, amministratori, burocrati e imprenditori il giorno 8 ottobre a Lonigo, importante centro agricolo e commerciale del basso Vicentino, hanno sfilato in oltre diecimila. La cittadina, che affonda le sue radici nella preistoria, è divenuta suo malgrado, il simbolo di una contaminazione da derivati del fluoro. Sono i Pfas e sono prodotti dalla Miteni, una fabbrica che si trova a Trissino, venticinque kilometri più a Nord sempre in provincia di Vicenza. Nel 2013 l'affaire Pfas è diventato un caso nazionale, anzitutto per le sue proporzioni giacché la contaminazione secondo gli organizzatori i cui dati non sono stati mai smentiti dalla Regione «tocca un bacino potenziale di utenti di 350mila persone residenti nelle province di Vicenza, Padova e Verona lungo il bacino dell'Agno-Guà-Fratta-Gorzone», un sistema fluviale che nasce sulle piccole Dolomiti per giungere sino all'Adriatico.

Proprio nel 2013 l'Agenzia ambientale della Regione Veneto, l'Arpav, a seguito di uno studio sulla qualità delle acque potabili, di superficie e di falda, condotto dal Cnr, aveva identificato nella Miteni la sorgente di tale contaminazione. L'azienda inizialmente ha disconosciuto gli addebiti; poi però le contestazioni, anche a seguito di una serie di esposti molto circostanziati da parte di alcune organizzazioni ambientaliste e da parte di alcuni attivisti del M5S, sono sfociate in una inchiesta della procura della repubblica che potrebbe avere esiti clamorosi. A quel punto sempre l'azienda, col consigliere delegato Antonio Nardone, ha chiamato in causa quelli che fino al 2008 erano i precedenti proprietari della Miteni, ovvero i giapponesi della Mitsubishi anche se il presidente Brian Anthony McGlyn, dettaglio non da poco, rivestiva la stessa carica sotto entrambe le prorpietà. I giapponesi dal canto loro dopo un periodo di coabitazione societaria con l’Eni, avevano precedentemente acquisito l'impianto proprio dal colosso energetico italiano, il quale a sua volta l'aveva acquistato dalla Marzotto, l'influente casata industriale veneta che è originaria proprio di Trissino in valle dell'Agno.

L'UTILIZZO E I RISCHI PER LA SALUTE
Ma quale è il campo di utilizzo di queste sostanze? In realtà i Pfas hanno un campo di utilizzo sterminato. Gergalmente sono noti come tensioattivi che hanno la capacità di impermeabilizzare metalli, tessuti, pellami. Vengono impiegati nell'industria dell'abbigliamento (Goretex), in quella del pentolame (Teflon), ma anche in quella navale, aeronautica e militare. Gli impianti che la producono nel mondo non sono tantissimi, ma spesso i territori interessati da questo tipo di produzione sono divenuti teatro di inchieste e contenziosi titanici. Basti pensare a quello ventennale, raccontato sulle testate statunitensi più blasonate, nato sulle rive del fiume Ohio in West Virginia. Per una esposizione a danno di 70mila persone, l'avvocato Robert Billot, che di recente ha fatto visita ai luoghi veneti della contaminazione, ha trascinato il colosso DuPont in tribunale costringendolo de facto ad un accordo transattivo che ha raggiunto la cifra monstre di 670 milioni di dollari: una causa epocale che non solo ha fatto scuola sul piano del diritto, ma che ha anche obbligato la multinazionale a finanziare un imponente studio indipendente «che ha dimostrato» le conseguenze dei Pfas sulla salute umana: si parla infatti di sostanze che causano gravissimi disturbi ormonali e che in alcuni casi, potrebbero anche essere cancerogene. In Italia, come nel resto del mondo, la politica è intervenuta fissando limiti di performance (ovvero limiti guida) che però a livello internazionale differiscono da Stato a Stato. Nel 2016 il ministero dell'ambiente italiano ha fissato alcune soglie specifiche scatenando una polemica durata settimne. Va ricordato infatti i Pfas sono una famiglia di sostanze molto diverse tra loro: più è lunga la catena atomica che li compone maggiore è la tossicità della molecole e di conseguenza variano le soglie. Miteni infatti dal 2011 non produce più i temuti composti a catena lunga, ma nella comunità scientifica, come ha ricordato più volte Marina Lecis, il consulente tecnico scientifico che ha contribuito alla stesura di alcuni esposti penali, tali sostanze vengono riconosciute ugualmente nocive se non di più. Il punto però è che le mamme che l'8 ottobre avevano manifestato a Lonigo sono preoccupate perché lungo i comuni del bacino interessato dalla contaminazione (Lonigo è il luogo simbolo, ma destano preoccupazione i dati ugualmente alti registrati negli acquedotti di Cologna, Montagnana, Sarego e molti altri ancora) i valori riscontrati in alcuni soggetti della popolazione, bambini inclusi sono comunque alti. Più alti della soglia di 90 nanogrammi per litro introdotta dalla Regione Veneto che ha identificato un limite più stringente di quello stabilito a Roma.

Tra l'altro Vincenzo Cordiano, il medico vicentino che per primo ha lanciato l'allarme Pfas nel Veneto, quando sente discutere di limiti, sia che vengano posti dallo Stato che dalla Regione, parla senza mezzi termini di «specchietti per le allodole» ribadendo che in accordo con la posizione assunta da Isde-Medici per l'ambiente, di cui Cordiano tra l'altro è presidente per il Vicentino, gli unici valori accettabili sono quelli pari a zero. Una presa di posizione che ha dato forza al coordinamento «mamme no Pfas» per chiedere che in attesa di nuove linee di approvvigionamento l'acqua non contaminata sia portata nelle case con le autobotti: un'operazione che potrebbe costare alla Regione sui 17 milioni di euro all'anno.

LE IMPLICAZIONI GIUDIZIARIE
E le preoccupazioni delle mamme di recente si sono moltiplicate quando tra i comitati è maturato il convincimento che l'azienda, stretta tra le difficoltà economiche e quelle dell'inchiesta, di punto in bianco possa prendere la palla al balzo di una ipotetica richiesta di risarcimenti per chiudere la fabbrica lasciando sul groppone della collettività ogni onere di bonifica. E se tuttavia da una parte il consigliere delegato Nardone sentito da Repubblica.it ha negato perentoriamente questa eventualità, dall'altra Alessandro Gariglio, l'avvocato di Greenpeace che da mesi segue il dossier Pfas, è altrettanto perentorio nell'affermare che «la drammatica necessità di dotare l'azienda di risorse fresche sta scritta nell'ultimo bilancio della Miteni quello del 2016». Lo stesso avvocato tra l'altro fa sapere che non più tardi di lunedì scorso ha depositato alla procura di Vicenza un dettagliato dossier commissionato da Greenpeace a Somo, l'osservatorio specializzato nella ricerca sul comportamento delle multinazionali. «Abbiamo fornito ai magistrati che seguono l'inchiesta - sottolinea ancora il legale - un ulteriore strumento per fare luce sull'intricato dedalo societario che sta dietro la Miteni. Ovviamente Greenpeace - spiega Gariglio - non può disporre di rogatorie internazionali, ma la magistratura, qualora il reale assetto della proprietà sia necessario al lavoro degli inquirenti, anche grazie alla nostra segnalazione, potrà agire con tutti gli strumenti che la legge le mette a disposizione».

Tuttavia durante il corteo dell'8 ottobre hanno fatto sentire la propria voce altri due volti molto noti del fronte «no Pfas». Il primo è il vicentino Edoardo Bortolotto, esperto di diritto penale dell'ambiente, è uno degli avvocati che nel tempo ha redatto gli esposti contro la Miteni: «Non vorrei mai che la questione dei limiti diventasse una foglia di fico sul problema reale che riguarda i possibili danni alla salute e all'ambiente. In tal senso l'orientamento della Cassazione è costante: chi ha inquinato anche con sostanze la cui presenza rispetta le soglie di legge va comunque perseguito e condannato perché quei valori costituiscono solo un limite di allarme oltre il quale l'autorità amministrativa è costretta ad un determinato intervento».

Il secondo invece è Giovanni Fazio, medico di Arzignano e volto di spicco della associazione ambientalista Cillsa: «Chiediamo che le autorità, Regione e Ulss in primis, ci informino sullo stato della contaminazione nel ciclo alimentare perché comunque agricoltura e zootecnia hanno adoperato quell'acqua. E chiediamo che in caso di inadempienze da codice penale la procura agisca di conseguenza».

ZAIA E L'ALLARME IN COMMISSIONE
Il che potrebbe suonare come una generica preoccupazione ma non è così. Ai primi d'ottobre infatti incalzato durante una puntata de “Le iene” su Italia 1 il governatore veneto Luca Zaia (Lega) non è stato in grado di dire nulla sui risultati della indagine che la Regione avrebbe condotto proprio sulla contaminazione alimentare. Un silenzio che diventa assordante se messo in relazione alle dichiarazioni esplosive del sindaco di Lonigo Luca Restello (leghista pure lui) rese in Commissione ecomafie: «... il problema - si legge nel verbale del 26 settembre 2017 da poche ore reperibile on-line sul sito della Camera - è quello riguardante l'agricoltura. Voi sapete che l'acqua che viene emunta si trova in particolare in provincia di Vicenza... Nel Veronese, infatti, con il canale irriguo Leb si riesce a portare l'acqua, in pratica, in tutte le campagne, mentre nel Vicentino questo non avviene e tutti gli agricoltori hanno un pozzo privato, andando ad emungere direttamente dal sottosuolo l'acqua necessaria all'irrigazione dei campi. Orbene, è necessario che quest'utilizzo d'acqua sia impedito. Anche se non ci sono ancora dati ufficiali, infatti, dalle indiscrezioni che ho avuto tutte le produzioni agricole sono certissimamente contaminate da questi inquinanti. È necessario uno stanziamento ulteriore di denaro per ripristinare tutta la rete idrica superficiale irrigua nei campi e potenziare le capacità del Leb di portare acqua anche in questa parte non servita del vicentino». Parole pesantissime che raccontano una realtà molto più cruda di quella descritta dallo stesso Zaia sempre alle telecamere delle Iene.

NELLA PANCIA DELLA MITENI
Il discorso di Restello, al di là dell'allarme di vasta portata su tutto il comparto agricolo, per di più pone alcuni quesiti dirimenti. Se Miteni è responsabile dell'inquinamento in quanta parte questo è ascrivibile alle sostanze nocive finite nel depuratore di Trissino e quanto invece deriva da eventuali perdite sotto il sedime di uno stabilimento adagiato su una superficie vastissima che sormonta una zona di ricarica della falda? È vero che durante i controlli ambientali all'interno della fabbrica i carabinieri del Noe, incaricati dalla procura berica, avrebbero fatto alcune scoperte molto significative sul piano del livello dell'inquinamento? Ed è vero che fonti di contaminazione da Pfas sarebbero state trovate anche fuori dal bacino dell'Agno-Guà-Fratta? Al secondo quesito ha risposto ai primi del mese il quotidiano l'Arena che parla di quantitativi rilevanti rinvenuti a Soave nel Veronese non troppo distante dall'area di servizio Scaligera, un autogrill collocato proprio lungo l'autostrada Brescia-Padova tra le province di Verona e Vicenza. Il tutto mentre nel comprensorio trissinese si moltiplicano timori che anche l’aria, quanto meno in passato, possa essere stata significativamente contaminata dai Pfas.

Per quanto riguarda poi la gravità della situazione che sarebbe stata rilevata durante le ispezioni all'interno della fabbrica, sono eloquenti le parole di Davide Faccio, sindaco leghista di Trissino pure lui sentito dalla Commissione ecomafie: il verbale è ancora quello del 27 settembre. Il primo cittadino parla della bonifica e della caratterizzazione, ovvero il procedimento tecnico-amministrativo teso a conoscere lo stato reale delle fonti inquinanti e la loro gravità: «Il problema è che Miteni ha un'estensione talmente grande che...» per assumere i campioni «... e testarli ci vogliono capannoni interi» giusto per «riuscire a custodire tutto questo materiale» per non parlare delle risorse umane necessarie a svolgere un lavoro del genere, tanto che l'Arpav, rivela sempre il sindaco, avrebbe contattato le agenzie cugine di altre regioni «per avere supporto» in questo senso visto che «il lavoro sulla caratterizzazione è notevole e sicuramente» non porterà a risultati «nell'immediato».

I LAVORATORI: VASI DI COCCIO TRA VASI DI FERRO
Tuttavia in questa burrasca perenne i lavoratori della Miteni rischiano di finire come i vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro. L'azienda lamentando un difficile momento economico alcune settimane fa ha disdetto «unilateralmente» quelli che si chiamano gli accordi di secondo livello, ovvero quelle migliorie sul piano della organizzazione del lavoro e sul piano economico, di cui per anni le maestranze avevano beneficiato «anche in ragione della delicatezza delle lavorazioni chimiche» per le quali la fabbrica è classificata a rischio Seveso, il più alto nella norma italiana. E c'è di più, perché oltre al profilarsi all'orizzonte di una crisi aziendale, presunta o reale che sia, molti tra gli operai registrano valori di Pfas nel sangue «migliaia di volte superiori» a quelli più alti denunciati dai residenti del bacino. «Noi operai - fa sapere Renato Volpiana, membro della rappresentanza sindacale di fabbrica per Filctem-Cgil - ci stiamo battendo senza sosta perché siano salvaguardate al meglio la salute dei lavoratori e le condizioni di sicurezza dei 140 dipendenti nell'impianto, ma ognuno deve fare la sua parte». Il riferimento è al duro contenzioso in essere con l'azienda che è sfociato in una serie di scioperi. Ma sul piano della salute come hanno intenzione di regolarsi i lavoratori? «Per questioni di riservatezza - precisa ancora Volpiana che l'8 di ottobre era anche lui a Lonigo - non posso parlare al momento, ma se qualcuno pensa che staremo con le mani in mano si sbaglia di grosso» conclude il sindacalista trissinese.

LO SCENARIO
Sul piano più generale rimane la questione della pressione ambientale esercitata sul Veneto centrale non solo dalla Miteni, ma da tutta l'industria chimica dell'Ovest Vicentino, a partire da quella conciaria, che da quarant'anni è al centro di polemiche al vetriolo giacché una parte del mondo ecologista accusa queste industrie di avvelenare l'aria, le acque e i terreni in spregio delle norme ambientali. In realtà la classe dirigente regionale non è mai riuscita a fare i conti col passato e men che meno, è riuscita a ripensare un modello di sviluppo che sul medio periodo fosse compatibile con l'ambiente. Così i problemi si sono cronicizzati e ora, dopo l'arrivo della crisi, questa mancanza di lungimiranza rischia di essere pagata a caro prezzo. In realtà negli anni non sono mancati i suggerimenti di chi come il professor Gianni Tamino, già ordinario di biologia a Padova, uno dei massimi esperti italiani del settore, aveva provato a proporre modelli produttivi meno invasivi, ma la politica e la classe imprenditoriale per mille motivi sono rimaste indietro o addirittura non hanno ascoltato il lamento che giungeva dalle province di Padova e Verona, dove forte è la vocazione agricola e zootecnica. Un mancato ascolto del quale il giorno 8 ottobre hanno parlato davanti alle telecamere di Telearena, pur con toni diversi, anche il presidente della provincia di Vicenza, il democratico Achille Variati e il suo pari grado veronese, ovvero Antonio Pastorello che invece è espressione del centrodestra. Da qualche giorno l’amministrazione regionale sostiene, almeno per quanto concerne l’acqua al rubinetto, di aver potenziato gli impianti di filtraggio in modo da poter garantire acqua a zero pfas. Ma c’è chi come il consigliere regionale veneto Andrea Zanoni del Pd, si dice scettico.

Marco Milioni

lunedì 16 ottobre 2017

Caso Pfas, chi striscia non inciampa


Una testata vicentina con velleità giornalistiche pubblica un'articolessacon un italiano da  codice penale peraltro, in cui goffamente e per interposta persona tenta di minimizzare il contenuto shock di un verbale della Commissione ecomafie. E lo fa cercando di ironizzare su un mio articolo che proprio quell'aspetto andava ad approfondire. All'anonimo estensore del breve servizio, per ragioni di sintesi da definirsi servizietto, dico solo una cosa. L'ironia, finanche la malafede, per essere coltivate hanno bisogno di una soglia minima di rudimenti nonché di intelligenza. Ingredienti che evidentemente mancano collega senza volto. Mancanza di attributi o di argomenti? Lascio agli appassionati di mediocrità l'onere di scoprire chi sia il direttore di quella testata, chi ne siano gli eventuali referenti e chi contribuisca a reperire gli ingaggi pubblicitari. Al quale vanno comunque tutti i miei complimenti vista la qualità del prodotto presentato agli inserzionisti. Che sicuramente saranno persone dalla pelle dura. Se intanto vi volete fare un'idea di quanto accaduto leggete qui.

Marco Milioni