venerdì 30 settembre 2011

Wifi, Bassano umilia Vicenza

Oggi Il Giornale di Vicenza pubblica la notizia dell'iniziativa della Diesel di Renzo Rosso. Iniziativa con la quale si vuole dotare Bassano del Grappa di una rete wifi cittadina, gratuita ed aperta a tutti. Se il tutto si avvera sarà un primato nazionale. Al di là dei meriti e delle conseguenze che una decisione del genere avrà nel breve (tanto di cappello a Rosso del quale condivido poco della sua filosofia di fondo, ma che in questa cirocstanza ha saputo cogliere veramente l'attimo) emerge purtroppo uno smacco brutale patito in primis dalla politca ed in secundis da Vicenza tutta. Ma è mai possibile che un comune ricco come Bassano abbia dovuto aspettare il passo di un privato per mettere a punto una struttura che costa sì e no come una dozzina di rotatorie? Ma ancora più brutale è lo smacco che che Vicenza, come sistema, patisce da Bassano. È possibile che il comune capoluogo sul quale insistono la Camera di Commercio, uno dei più importanti istituti di credito veneti (la BpVi), imprese di grido come Beltrame, Valbruna, Gemmo, Dainese tanto per dire, non abbia mai pensato di muoversi in tal senso? È mai possibile che l'unica partnership avanzata con le imprese si traduca nelle lucette con cui la Gemmo illuminerà la basilica palladiana? Ad ogni buon conto il merito di Rosso è anche quello di aver smosso i sonni e le chiappe di molti amministratori del Vicentino. Che da qui a domani faranno a gara (anche nel resto del Paese) per imitare la soluzione Bassano. Segno che, ed è questo il merito maggiore di Rosso, il buon esempio se veicolato con forza percorre moltissima strada; e non è un caso che la giunta comunale di Vicenza dopo la batosta rimediata abbia così, incidentalmente, già organizzato un incontro con la stampa per rendere noto il progetto di ampliare a tutto il centro la rete wifi. Si sa, mezzo grissino, è nulla rispetto ad una pagnotta, ma è sempre meglio di nulla. Epperò la cosa che più deve far vergognare tutta la classe dirigente di questa città nonché tutti i partiti e tutte le imprese riguarda la memoria. L'impegno per estendere gratuitamente a tutta la città la rete wifi era stato codificato in una mozione d'ordine, ovvero una mozione d'intento sul piano politico-amministrativo, approvata durante la passata consiliatura: più nel dettaglio alla fine del novembre 2007. La mozione fu approvata a larghissima maggioranza dopo essere stata presentata dal consigliere del gruppo misto Franca Equizi. E proprio perché Equizi non aveva, e non ha tuttora, padroni da omaggaire o servi da retribuire, quel documento è rimasto negli scatoloni, assieme alla carta igienica e alle scatole delle penne Bic.

Marco Milioni
link originario

sabato 17 settembre 2011

Siamo tutti islandesi

«L’arrivo dell’Fmi in Islanda come è noto fu accolto in maniera estremamente fredda da gran parte della popolazione, convinta che il Fmi avrebbe chiuso l’Islanda in uno stato di permanente debito». Con questa premessa la premier islandese Johanna Siguroardottir ha annunciato l’uscita del suo paese dal Fondo Monetario Internazionale. Parole pacate per spiegare una scelta dura e coraggiosa: liberarsi dalla morsa dei pelosi “aiuti”, dei rapinosi “piani di aggiustamento” e delle intrusive “raccomandazioni” con cui il centro di potere sovranazionale ricatta ed espropria le economie, e di conseguenza la vita, di interi popoli. A nulla sono valsi gli spauracchi di bancarotta e le minacce di sanzioni: la piccola e fiera Islanda, dopo aver rispedito al mittente tre anni di aut aut e aver messo alla sbarra i politici e i banchieri colpevoli del crac, mentre sta riscrivendo la sua Costituzione, è entrata nella Storia compiendo un passo finora impensabile, inconcepibile per le classi dirigenti mondiali. Da ora in avanti riconquistare la propria sovranità nazionale non è più un tabù.

Per arrivare allo sganciamento finale è stato fatto un determinato percorso economico e politico: proteste e nuove elezioni che hanno portato al governo ritenuto responsabile, nazionalizzate le maggiori banche, chiesto prestiti alla Russia e all’Argentina, indetto ben due referendum che hanno decretato il ripudio del debito con le banche estere e un rifiuto di massa a politiche di tagli e privatizzazioni, varata un’Assemblea Costituente. In più bisogna mettere in conto le peculiari condizioni di partenza: l’isola non fa parte del sistema monetario europeo (ha una moneta nazionale, la corona) e le dimensioni della sua economia sono, nel contesto del mercato globale, modeste.

Tuttavia gli islandesi, dalla sollevazione furibonda ma pacifica dell’ottobre 2008 a oggi, hanno maturato una ferrea volontà politica di disfarsi di istituzioni e meccanismi dati generalmente per intoccabili e ineluttabili. Una vera e propria rivoluzione copernicana rispetto al pensiero unico propagandato in Occidente secondo cui fuori dalla supervisione coercitiva degli organismi internazionali non c’è salvezza ma solo il fallimento. L’Islanda ha capito che dietro la facciata tecnicamente asettica dei funzionari dell’Fmi (o del Wto, o in Europa della Bce) ci sono i lucrosi interessi dei banksters privati, che usano come leva di ricatto morale il risparmio della gente da loro gestito per strozzare altre genti e privarle del diritto di autogovernarsi. L’Italia si trova in una situazione molto diversa: con le mani legate dalla gabbia dell’euro, con un ceto politico prostrato ai piedi dei dittatoriali “mercati”, con un’opinione pubblica che si scanna sulla pagliuzza di chi governa a Palazzo Chigi mentre è insensibile alla trave di chi manovra dall’estero il nostro bilancio pubblico. Ma le innegabili differenze non devono offuscare il valore di esempio, quanto meno etico e civile, che viene dai ribelli della libera Islanda. Da oggi, tornare a respirare libertà si può. Siamo - vorremmo essere - tutti islandesi.

Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del 14 settembre 2011

venerdì 16 settembre 2011

Il re è morto

Un giorno, in un paese di merda lontano lontano, morì il re. Ma non si poteva dire. La sua corte di servi, mignotte, papponi, ladri, stallieri, menestrelli, nani, avvocati, scribi e farisei, “Gianpi” propose alla Arcuri di concedersi in cambio di Sanremo, ma lei rifiutò. Decine di escort portate al Caimano dallo sfruttatore che otteneva appalti e puntava addirittura dipendeva in tutto e per tutto da lui e non era affatto certa che il successore continuasse a mantenerla. Così, a palazzo, si misero d’accordo per non far uscire la notizia. Il medico legale, chiamato a constatare il decesso del sovrano, fu murato vivo in un sottoscala col suo referto. La notizia trapelò presso qualche gazzetta del regno, ma gli editori erano tutti finanziati dal re o dalla corte e dunque fu agevole bloccare i necrologi.

Le televisioni, poi, erano tutte nelle sue mani (a parte una, controllata da un’opposizione sfigata e inetta) e cantavano le sue lodi a reti unificate. Un notiziario era diretto da un vecchio biscazziere divenuto mezzano in tarda età. Un altro, il più visto, aveva alla guida una cantatrice calva che parlava con la zeppola, nota più per le note spese che per le note politiche, e appestava il regno con “editoriali” che superavano in cortigianeria quelli del biscazziere-mezzano. Descriveva, la cantatrice, un paese fiabesco, un Regno di Saturno dove tutti erano felici, ricchi, opulenti e goderecci, e ogni sera pregavano il Cielo che il re non li abbandonasse mai. Fu così che la gente continuò a credere che il sovrano fosse ancora vivo. A corte, i fedelissimi passavano le giornate a imbellettarne e profumarne il cadaverino per mascherare i vermi e la puzza e allontanare insetti e animali necrofagi. La luce del suo studio restava accesa giorno e notte, e una controfigura della sua statura (niente di che) sedeva alla sua scrivania per mostrarlo curvo sui destini della Nazione 24 ore su 24.

I giornali continuavano a narrare le sue gesta, anche amatorie, descrivendolo come un simpatico e instancabile dongiovanni, in preda a una prorompente virilità: cantando con un misto di ammiccamenti e ammirazione le virtù delle sue favorite, comprese tra i 12 e i 18 anni, sorvolando sui supporti meccanici (argani, pompe idrauliche, carrucole, catapulte, elisir di cialis e ghisa in polvere) di cui si avvaleva negli ultimi mesi di vita. La sua seconda moglie aveva cercato di mettere sull’avviso il popolo e le istituzioni: “Mio marito è molto malato, va con le minorenni, aiutatelo”, ma fu subito silenziata come traditrice disfattista e rinchiusa in un castello periferico. Il re era solito abusare del suo immenso potere per corrompere giudici, testimoni, gendarmi, ufficiali del fisco, politici lealisti e persino qualche oppositore, per accaparrarsene i servigi. Ma anche per sistemare in posti di alta responsabilità, a spese dei sudditi, i complici delle sue malefatte per ricompensarli o silenziarli.

E ogni tanto i giudici lo chiamavano a risponderne in tribunale. Ma lui, essendo morto, non vi compariva mai: i suoi avvocati inventavano le scuse più fantasiose per giustificarne la latitanza, costretti persino a mandare per il mondo una controfigura delle stesse dimensioni, pittata e asfaltata di fresco, per mostrarlo vivo e vegeto. Fuori del palazzo stazionava ogni giorno una lunga fila di postulanti vocianti: tali Mora, Fede, Lavitola, Tarantini, seguiti da un’orda di procaci signorine che la stampa si ostinava a chiamare “escort”. Minacciavano rivelazioni sul sovrano. E i cortigiani, per evitare guai, s’affacciavano al balcone per rassicurarli che il re pensava sempre a loro ed elargire a ciascuno buste imbottite di denaro contante. La notizia del decesso giunse all’orecchio dei leader dell’opposizione, ma anch’essi, fatti due conti, preferirono avallare la versione ufficiale: per non prendersi la responsabilità di governare, fatica assolutamente impari alle loro possibilità, e per continuare a poltrire e a trafficare alla sua ombra, balbettando ogni tanto “il re si dovrebbe dimettere” (tant’è che si diffuse la voce che erano morti loro). Un giorno il Palazzo fu evacuato per una puzza improvvisa e irrespirabile. Qualcuno insinuò che fosse tanfo di cadavere. Ma il portavoce si affrettò a precisare: “Il re gode di ottima salute, infatti ha appena scoreggiato”.

Marco Travaglio
da Il Fatto Quotidiano del 16 settembre 2011; pagina prima

sabato 10 settembre 2011

«Noi piccoli conciari eliminati dai grandi evasori»

Sono un ex artigiano del settore concia con 2 aziende fallite nell'anno 2010 (Biellezeta srl e Conceria Ellebi srl), entrambe avevano sede a Zimella (Verona) ma erano comunque collegate ad Arzignano. Intervengo per segnalare una grave ingiustizia che sta accadendo in questo periodo.Io ho lavorato nel settore concia per circa 40 anni, tra dipendente e imprenditore, ho fallito con entrambe le ditte, grazie anche a questi personaggi che hanno fatto di tutto e di più. Una mia azienda, Biellezeta srl, lavorava da circa 15 anni, per conto terzi, pelli di vario genere sia per calzatura che per arredamento e l'altra società Conceria Ellebi srl lavorava da 10 anni sia per conto terzi sia per la vendita in proprio.

Il mio problema principale sono sempre stati i prezzi, sia nel lavoro che nella vendita. Mi ritrovavo a fare conti sia di giorno che di notte e mi chiedevo: «Ma come fanno i cosidetti “grandi” ad applicare certi prezzi? Lavorano sottocosto rimettendoci?» Non osavo credere che fosse così visto che erano tutti ultramilionari. Con le due aziende avevo un totale di circa 35 dipendenti e, per poter andare avanti e competere con gli altri, ho lavorato sottocosto anch'io ma il risultato finale è stato che in due tre anni le mie società sono fallite. Adesso mi ritrovo in un mare di guai, ho perso tutto e sono anche malato di cancro, e tutto grazie a questo settore maledetto.

Sono profondamente addolorato per quello che sta accadendo ad Arzignano in questo periodo in quanto mi pongo la domanda: ma come si fa ad evadere cifre del genere? E poi dire che è stato fatto per il bene altrui o perchè voluto dai dipendenti? Inoltre: queste pelli vendute in “nero” da dove vengono? Nessuno si è ancora fatto questa domanda? Sono il frutto di fatture false? Sono pelli rubate e poi vendute sottocosto? La legge in questi casi dov'è? Purtroppo siamo in tanti piccoli artigiani spariti dal settore concia a causa della slealtà di questi cosidetti “grandi”, e quello che più dispiace è che la giustizia non fa niente contro reati del genere. Ora si sta facendo una campagna mediatica contro lo straordinario (che poteva essere un'ora al giorno) dell'operaio o dell'impiegato: sicuramente anche questo è contro la legge e va punito ma, prima bisogna punire con il carcere chi fa evasioni reali di entità enormi. Invece queste aziende sono ancora aperte e i titolari e i loro dirigenti sono liberi e belli più di prima.

L'evasione da parte dei dipendenti, secondo me, da quello che tutti sappiamo, riguarda i capi reparto e i dirigenti. Per poter lavorare o vendere prodotti le varie ditte, soprattutto di Arzignano, vendevano con un rincaro dei prezzi del 10%, per poi distribuire il 7/8% in "nero" ai titolari e ai capi reparto e dirigenti.Ci sono ex capi reparto o dirigenti che sono riusciti a mettere da parte una fortuna in questo modo, soldi in Svizzera, case di proprietà, auto di lusso e tasse evase. Se ci sarà un processo, come spero, mi auguro che chi ha perso tutto si costituisca parte civile. Comunque, le ditte da controllare non sono solo i conciari ma anche chi li fornisce e chi da loro acquistava.

Renzo Lovato
ex amministratore di Biellezeta srl e Conceria Ellebi srl

lettera a aperta al direttore pubblicata su Il Giornale di Vicenza di giovedì 8 settembre 2011 a pagina 62

giovedì 1 settembre 2011

Arzignano, le aziende aprono alla trasparenza

Ora che anche il vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, ha fatto sentire la sua voce, tuonando contro gli evasori, la rappresentanza degli industriali della concia sta pensando che sia arrivato il momento di fare un passo in avanti. Non si può programmare la produzione e non si può competere con i cinesi se si vive con la paura che arrivino in fabbrica le gazzelle della Guardia di Finanza. Dopo i blitz delle Fiamme Gialle che hanno messo a nudo le irregolarità di ben due rami della stimatissima famiglia Mastrotto, Arzignano teme di diventare nell'immaginario degli italiani la capitale dell'evasione.

E ovviamente non ci sta perché l'industria della concia non è l'ultima della classe, anzi ha mostrato nella Grande Crisi la capacità di ristrutturarsi in corsa e oggi è in testa alle classifiche dell'export dall'Italia proprio verso la Cina. Sostiene Walter Peretti, presidente della locale sezione concia della Confindustria: «Ci vuole una discontinuità. Bisogna creare un diverso clima di rapporto con le autorità preposte ai controlli, come rappresentanza degli industriali dobbiamo fornire la massima collaborazione per dare informazioni ed evitare il ripetersi di casi di mancato rispetto delle regole. Noi lavoriamo per lo sviluppo e per l'occupazione non per certo per fabbricare evasione». Il presidente Peretti sta attento a misurare le parole ma ha chiaro che l'industria conciaria è a un punto di svolta, accanto all'indubbia affidabilità industriale deve rafforzare la propria credibilità civile. Non è un caso che proprio in questi giorni il presidente della Confindustria Vicenza, Roberto Zuccato, abbia ricordato come nello statuto dell'associazione siano previste sanzioni per comportamenti irregolari degli iscritti. Il paragone è forte, ma dal caso Mastrotto si potrebbe arrivare a sostenere una sorta di «metodo Lo Bello», ovvero che gli evasori debbano e possano essere messi fuori dalla Confindustria.

Nessuno ovviamente vuole arrivare ai casi-limite ed è il motivo per cui Peretti ad Arzignano e Zuccato a Vicenza sostengono che non si può star fermi ad aspettare gli eventi. «Sono molto attento a quanto sta maturando tra gli industriali della concia — dichiara Zuccato —. Io credo che da questa situazione si possa uscire solo con una soluzione politica, se volete chiamatelo patto per la trasparenza ma industria e autorità devono parlarsi, devono poter confrontare le loro informazioni». E' chiaro che siamo solo ai primi passi, bisogna individuare gli interlocutori istituzionali e la metodologia del confronto. Un'esperienza sicuramente significativa è quella degli studi di settore che sono governati da un tavolo centrale a cui siedono l'Agenzia delle Entrate e le rappresentanze di artigiani e commercianti. Ma prima di sedersi gli industriali di Arzignano dovranno accettare che ci si muova per abbattere l'evasione e recuperare gettito, non certo per passare pomeriggi assieme. Una soluzione di questo tipo va costruita ed è lo stesso sindaco di Arzignano, Giorgio Gentilin, a perorarla.

«Il rispetto delle regole e il pagamento delle tasse non si discutono. E gli industriali devono capire che con l'individualismo non si va più da nessuna parte. Ci vogliono soluzioni unitarie. Si potrebbe, ad esempio, recuperare la figura del consiglio tributario del Comune prevista dalle norme vigenti». Gentilin spinge per affrontare il tema evasione con un metodo condiviso perché sa che si sta avvicinando un'altra scadenza delicatissima per il futuro di Arzignano e di tutta la valle del Chiampo, tra due anni le discariche che trattano i fanghi diventeranno sature e bisognerà trovare soluzioni innovative. Se i dati sull'export sono ancora favorevoli ai vicentini, l'industria della concia è comunque condannata a ristrutturarsi continuamente e, di conseguenza, accantonare il contenzioso con le Fiamme Gialle è una condicio sine qua non. «Per essere competitivi non abbiamo assolutamente bisogno di giocare sporco — commenta Peretti — chi ha sbagliato pagherà e ricominceremo daccapo a farci valere ovunque per quello che siamo, tra i migliori del mondo nel nostro mestiere». Prima, però, va trovata una soluzione politica che assicuri trasparenza e legalità. Se volessimo essere un pò retorici diremmo che è scoccata l'ora dei coraggiosi.

Dario Di Vico
da Il Corriere della Sera del giorno 1-09-2011; pagina 12