domenica 19 settembre 2021

Il vaccino, la bassanese pronta all'estremo sacrificio e il project financing




In queste ore sta facendo discutere la presa di posizione Ilaria Brunelli, la consigliera comunale di Bassano del Grappa la quale sulla sua pagina Facebook ha dichiarato: «Mesi fa valutavo l'idea di vaccinarmi. Ma l'aggressività e la coercizione che adottate sono così abnormi che ho deciso che non mi vaccinerò per nulla al mondo... Ve lo dico col sorriso di chi non ha paura di morire per un Diritto». Ne parla diffusamente Vicenzatoday.it peraltro. Si può valutare in mille modi l'uscita della consigliera. Ma gli attacchi ad alzo zero partiti nei suoi confronti da Italia viva sono di una idiozia siderale. La Brunelli, che ci creda o no, ha parlato di una sua scelta personale e di come intenderebbe portare avanti fino in fondo il suo convincimento personale: chiedere le sue dimissioni perché si dichiara pronta a morire per un principio è quanto di più violento, ipocrita e imbecille si possa dire. Mutatis mutandis è come se la stessa critica i signori di Iv e i loro aficionados lal muovessero a Jan Palach quando decide di darsi fuoco per protesta contro la occupazione sovietica della Cecoslovacchia adducendo la giustificazione che le sue dichiarazioni prima della «hanno dell'incredibile e sono politicamente deprecabili». Sarebbe facile accusare gli estensori della critica cucinata nelle stanze di Italia viva come il risultato del pensiero unico. Non è vero perché di pensiero lorsignori sembrano non averne affatto. Alla Brunelli invece sarebbe da domandare come mai, visto che lei si dice pronta a portare fino alle estreme conseguenze l'affermazione di un diritto non abbia mai detto nulla sullo scempio (ambientale, economico, sociale per tacere sul resto) che un'opera come la Superstrada pedemontana veneta ha cagionato al Bassanese e non solo. Si tratta di un'opera che sul piano politico è stata imposta ai territori con una ipocrisia e una violenza pari se non maggiore rispetto a quella con la quale i corifei del pensiero unico stanno occultando dietro al green pass trent'anni di privatizzazione strisciante della sanità pubblica, Veneto in primis, contro la quale però Brunelli, Iv e tutte, o quasi, le forze presenti nell'arco politico, ben si guardano dal criticare i padroni del vapore. Evidentemente contro il vaccino si può essere pronti all'estremo sacrificio, contro il project financing (che a partire dalla sanità per passare alle grandi opere) che depaupera le casse pubblica rendendo più difficili le cure della gente, invece si tace. Ergo... Rimane solo una cosa da dire. Ma se per ipotesi di punto in bianco le limitazioni sparissero, il vaccino non fosse più richiesto e il green pass finisse in discarica il Veneto e l'Italia sarebbero un posto migliore e più democratico? La risposta è no. Perché la linea del non ritorno, tra ambiente massacrato, diritti sociali calpestati, mafie imperanti in ogni ambito, schiavitù varie e analfabetismo funzionale ormai dilagante, la via del declino è già stata imboccata da tempo. Evidentemente c'è qualcuno, tra quelli che oggi protestano più o meno sonoramente, che semplicemente vorrebbe essere lasciato in pace a bere il suo spritz davanti ad una zona industriale abusiva mentre la fase terminale di quella colorita cloaca che chiamiamo democrazia italiana entra nel vivo.

lunedì 16 agosto 2021

Green pacco

Da ultramaggiorenne, ultravaccinato e greenpassmunito, m'illudo di poter sollevare qualche legittimo dubbio sul pensiero unico che ci circonda senza venire iscritto d’ufficio al partito dei Negazionisti No Vax-No Pass e trascinato con loro sulla pira dei pirla.

1. Un anno fa (con zero vaccinati) avevamo un terzo di contagi e un ottavo di morti al giorno rispetto a oggi (con 2/3 della popolazione vaccinata). Il 13 agosto 2021 sono morti in 45 e il tasso di positività (rapporto tamponi/contagiati) era al 3,28%, contro i 6 e l’1,02 del 13 agosto 2020. L’altroieri i ricoverati in terapia intensiva erano +17 e nei reparti ordinari +58, contro i +2 e i +7 di un anno fa. I dati erano molto inferiori a oggi anche il 13 settembre, dopo l’estate folle delle discoteche aperte: 7 morti, positività all’1,6%, +5 in terapia intensiva. Bastano la variante Delta e il mancato lockdown nel 2021 a spiegare il terribile paradosso? O i vaccini (che continuiamo a raccomandare perché riducono i rischi di morte e di ricovero) sono molto meno efficaci e molto più perforabili di quanto si pensasse?

2. Ancora il 13 ottobre, quando Conte varò il primo Dpcm contro la seconda ondata, i morti erano meno dell’altroieri (41 contro 45). Eppure i giornaloni accusavano il governo di inerzia e gli esperti veri o presunti invocavano il lockdown: quanti morti servono ora perché qualcuno chieda a Draghi &C. almeno una parola chiara?

3. Più che della legittimità filosofico-giuridica del Green pass, bisognerebbe discutere della sua utilità pratica. Cosa risponde il governo a Crisanti che lo accusa di mentire spacciandolo per una misura sanitaria mentre non lo è? Se anche i vaccinati possono contagiarsi (stessa carica virale dei non vaccinati: Fauci dixit), contagiare e persino morire (sia pur in misura molto inferiore ai non vaccinati), che senso ha dividere i cittadini di serie A da quelli di serie B, alimentando per giunta l’illusione che i primi non siano contagiosi e che chi li avvicina non debba mantenere le distanze e le mascherine?

4. Siccome il Green pass non è revocabile, ogni giorno aumenta il rischio di incontrare contagiati-contagiosi muniti di carta verde e dunque travestiti da immuni: non sarebbe meglio mantenerlo come incentivo ai vaccini, ma smetterla di farne un passepartout e puntare a ridurre i contagi con tamponi gratuiti e il binomio distanziamento-mascherine nei luoghi affollati? La risposta è nota: ma così si scoraggiano i vaccini. Se però questi coprono le varianti solo fino a un certo punto, anzi le scatenano, qual è lo scopo della campagna anti-Covid: comprare più vaccini o avere meno contagi?

5. Chiunque sollevi qualche dubbio passa per un fottuto No Vax: ma siamo sicuri che le bugie e le omissioni, anziché ridurre i No Vax, non li moltiplichino?

Marco Travaglio
da Il fatto di ieri 16 agosto 2021 in prima pagina

martedì 10 agosto 2021

Silenzi estivi

(m.m.) Alcuni giorni fa Lineanews.it ha pubblicato una lunga intervista a mia firma al professor Renato Ellero il quale da anni denuncia un doppio caso di malasanità e mala giustizia che lo avrebbe colpito dal 2015 in poi. L'intervista mette sotto la lente di ingrandimento la condotta di una serie tra istituzioni e enti pubblici. Da parte di questi ultimi però c'è il silenzio più assoluto. Il silenzio più assoluto se si esclude un no comment da parte della questura berica.

sabato 24 luglio 2021

La parabola

Il Fatto quotidiano di oggi in pagina 6 pubblica una disamina sulla parabola politica del M5S nonché sulla restaurazione de facto che i maggiorenti hanno imposto al Paese dopo che attorno al 2010 un pezzo della società italiana aveva creduto di poter addrizzare alcune delle tante storture che affliggono cronicamente il Paese. Nella pagina appresso sempre su Il Fatto, sempre su un argomento simile, trova spazio una breve intervista al filologo Luciano Canfora il quale con precisione chirurgica tratteggia quanto accaduto in questi mesi recenti a partire dall'arrivo a palazzo Chigi del premier Mario Draghi.

venerdì 23 luglio 2021

Norma nostra


(m.m.) Chi è favorevole alla riforma della giustizia al vaglio delle Camere o è un mafioso o un deficiente. Del resto si può discutere. Ora però sarebbe da chiedere al legislatore di introdurre nella norma penale alcune scriminanti. A partire dall'articolo 393 del codice penale che punisce l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Poi siccome quella specie di papilloma virus costituzionale che porta il nome di riforma Cartabia tocca solo i reati che prevedono pene sotto i trent'anni, allora per lo stesso principio sarebbe corretto depenalizzare tutti i reati puniti con la reclusione da tre decadi in giù che si consumino per l'effetto della attuale riforma, a partire dai reati commessi in danno di chi quella riforma la voterà in parlamento. È una soluzione accettabile per gli alfieri della riforma della giustizia? O la più potente consorteria del malaffare del Paese (si chiama Norma nostra) pensa che la sana e vecchia giustizia di classe sia più rispettosa della Carta costituzionale? Un ultimo pensiero va ai No vax da osteria e a quelli da tastiera: non certo a coloro che criticano in modo argomentato i vaccini, le case farmaceutiche, le loro tangenti, la destrutturazione del sistema sanitario nazionale in una con la smobilitazione della medicina di territorio, nonché le assurdità di tante norme anti coronavirus che sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna ringraziare anche la caciara dei primi, grazie alla quale la riforma voluta da Norma nostra sta arrivando in stazione pure grazie al vichyzionismo di quella forza che politica che doveva rivoltare l'Italia come un calzino. E che invece il calzino ha cominciato a ciucciarlo non appena, diciamo immediatamente, si è accorta che oltre alla puzza di piedi, lì attaccata ci rimaneva un po' di formaggia. Che comunque costituisce un qualche nutrimento per chi prima al massimo poteva sperare di fare la cresta su un po' di aranciata rimasta nelle bottigliette aperte lasciate sugli spalti dello stadio. Per questi signori si appropinqua un radioso futuro di guardiani abusivi ufficiali del deposito abusivo di rifiuti tossici in cui sarà trasformata l'Italia: grazie alla riforma dei migliori ovviamente.

martedì 29 giugno 2021

Mezzo secolo e sono ancora inarrivabili


(m.m.) A fine giugno di cinquant'anni fa su input di John McLaughling, Billy Cobham, Jan Hammer e di altri musicisti straordinari prendeva corpo la «Mahavishnu orchestra». La band nel solco del jazz di Miles Devis decolló verso una elegante e inarrivabile sperimentazione mescolando jazz, rock, progressive rock, folk, musica classica, musica tradizionale indiana, flamenco assieme ai primi vagiti del nascente hard & heavy. La fusion che ne derivó oltre ad avere influenzato musicisti di ogni genere in ogni luogo del mondo (e forse dello spazio) rimane una delle piú vivide testimonianze del modo con cui non solo i linguaggi ma anche le culture possono dialogare virtuosamente senza perdere le proprie radici. Il notevole successo, anche commerciale, di cui godette il gruppo fino allo scioglimento nei primi '80, è la testimonianza di come anche nella industria musicale, spinta da un pubblico tanto vasto quanto qualificato, concetti come rigore, libertà compositiva, potenza espressiva, innovazione, capacità di comprensione del portato antropologico e sociale della musica, comprensione delle radici, fossero un unicum di cui tenere conto. Oggi il panorama è cambiato: e non in meglio. Tuttavia sotto le ceneri...

mercoledì 23 giugno 2021

Armageddon veneto: una dissolvenza in grigio cemento


(m.m.) I veneti non si rendono conto, forse, che stanno giocando col fuoco. Le nuove norme urbanistiche al vaglio del Consiglio regionale, scritte in quella maniera e con quel contenuto, rischiano di essere un invito a nozze per la criminalità organizzata. Cambi di destinazione d'uso à la carte, monetizzazione degli obblighi urbanistici, mancata previsione di controlli e di sanzioni draconiane per chi sgarra, sono il prodromo di un armageddon strisciante che cammina su due gambe: la prima, la cementificazione di quel poco che è rimasto; la seconda, la sua conseguente trasformazione delal cementificazione in fatturato mafioso. Viene da sé che un orizzonte di questo tipo sarà foriero di una realtà sociale plumbea: una dissolvenza in grigio che nei decenni a venire il Veneto rischia di pagare in modo salato e doloroso.

sabato 19 giugno 2021

I Tafazzi del bottale


(m.m.) Di recente uno dei Bignami globali della filiera della pelle (Nothing to hide) ha sparato nel web un' articolessa dal titolo non proprio accattivante: «Essay one: Hide and skin production around the world» che reso in Italiano suona più o meno «Assunto numero uno: produzione di cuoio e pelle su scala globale». Dai dati menzionati nell'articolo l'anonimo estensore arriva a sostenere che la concia è un processo industriale dalla imprescindibile valenza ambientale.

Il motivo? Dacché i dati mondiali dell'allevamento intensivo sono in crescita e poiché gli scarti della macellazione costituirebbero un importante rifiuto, ergo la concia, che quegli scarti trasforma in prodotto, finisce per avere una significativa incidenza sul piano della riduzione degli scarti. Ora per semplice pietà, lasciamo un attimo da parte il concetto che una pelle appena scuoiata da smaltire sia più inquinante del processo di lavorazione che si porta con sé tutto il suo fardello di cromi, solventi, energia per la concia, trasporti e altre amenità da feticisti dell'ambientalismo, rimane un fatto. Lorsignori dimenticano che proprio l'aumento smodato dell'allevamento, bovino in primis, ai fini alimentari è una delle cause della degenerazione climatica che tanto preoccupa gli scienziati? La bibbia tascabile della pelle al posto di dire produciamo meno carne e diamo così un po' di respiro a madre terra, dice: visto che si produce sempre più carne allora conciamo di più che così ci sbarazziamo della pelle in eccesso. Detto in altri termini l'industria della pelle cercando di auto-assolversi si chiama in correo con tutta filiera rispetto a una serie di guai che affliggono l'orbe terraqueo.

Sembra di assistere alla gag di Paolo Villaggio nei panni del ragionier Giandomenico nell'insuperato «Fracchia la belva umana», quando di fronte ad un  impareggiabile Gianni Agus, lo stesso Fracchia si fa «la spia da solo» ammettendo la sua indole lavativa: mentre il suo superiore per punizione lo obbliga a testare un cioccolatino di scarsa fattura, «il Sempiciotto». Una sorta di pralina a basso costo per solleticare i palati a buon mercato di una piccola borghesia «in formato Ferrero Rocher, in modesta ma inarrestabile ascesa sociale», come ebbe a dire lo scrittore Giorgio Bocca, sulla scorta delle gag di Mike Buongiorno e degli spot su Canale 5.

Tuttavia la cosa stellare in tutto questo cinepanettone conciario è che l'industria italiana, ossia arzignanese, dentro questa auto-trappola, ci si è buttata da sola  pure lei. Magari sperando di associare la traiettoria virtuosa descritta nell'articolo alla necessità di piazzare un inceneritore a Montorso? Magari sperando nell'aiutino di qualche associazione pseudo-ambinetalista abbindolata all'uopo? «Lavorare la pelle: un servizio ambientale fondamentale» titola a mo' di rombo tonante il magazine on line del «Distretto veneto della pelle». Nelle cinque pagine oracolate dagli Anfiarao della Valchiampo, si riprendono appunto step by step le tesi del portale anglosferico Nothing to hide. Il quale al posto di indicare una via di uscita per la concia, ne ha indicata una verso il patibolo. Parlando astrattamente si potrebbe dire «errare humanum est, perseverare autem diabolicum». Epperò la locuzione latina che forse più si attaglia a una certa miasmatica cocciutaggine di questi Tafazzi del bottale annidati in un preciso lembo dell'occipite vicentino è «de rustica progenie, semper villana fuit»... O magari deragliando nel tardo latino goliardico-maccheronico «de conciatoria progenie, semper villana fuit». Ad ogni modo è il tempismo del magazine arzignanese che colpisce. Un tempismo, sempre rimanendo a Fracchia la belva umana», che ricorda l'irruzione al ristorante introdotta dallo stornello Benvenuti a 'sti...

domenica 13 giugno 2021

Alcune riflessioni dopo la deflagrazione del caso Fis

(m.m.) Io credo che la vicenda narrata dalla Rai non più tardi dell'8 giugno, vicenda che nei giorni scorsi ha avuto la sua bella eco in Commissione ecomafie come raccontato su Vicenzatoday.it il 20 maggio, abbia molto da insegnare. In questo momento, stante la normativa, Arpav si è mossa nella giusta direzione. Il punto è un altro però. E riguarda la norma nel suo complesso.

In tutto il mondo la produzione di sostanze chimiche viene autorizzata tout-court. Non succede come per i farmaci (anche in questo caso ci sarebbe da discutere peraltro) che prima si studiano gli effetti e poi si ne autorizza la produzione in una coi relativi scarichi. Le imprese respingono questo approccio perchè lo ritengono inconciliabile sul piano delle tempistiche industriali e sul piano della tutela della proprietà intellettuale delle formulazioni chimiche. Ma si tratta di un ragionamento che ha un bug, neanche tanto occulto. Perché quando una sostanza chimica impatta con l'ambiente, che è un ambito pubblico per eccellenza, il privato dovrebbe retrocedere il rango delle sue pretese. E soprattutto dovrebbe essere la legge ad imporglielo.

Questo non accade per i motivi che sono ben noti. A partire dal meccanismo della globalizzazione. Si può vietare una produzione in un determinato Paese ma non in uno compiacente: il dumping industriale che ne deriva per i paesi che vorrebbero applicare la linea del rigore è evidente. Ma si tratta ad ogni modo d'un aspetto superficiale perché comunque le produzioni invasive comportano costi occulti (salute, ambiente, cattiva coesione sociale) inevitabilmente scaricati sulla collettività. Quando a scavalco degli anni '80 e '90 il Veneto visse il cosiddetto secondo boom, nessuno nella classe dirigente (industriali, banchieri, politici, sindacalisti) si preoccupò davvero di disegnare un orizzonte alternativo.

Il surplus economico di quella ricchissima stagione è stato disperso in fondi esteri, edilizia forsennata (basti vedere Arzignano, quanto sia ricca e quanto urbanisticamente sia un water scrostato), auto di lusso, evasione fiscale e amenità consimili. Quel fiume di denaro non investì minimamente una ricerca mirata, una ricerca di sistema. L'unico vagito è stato il Progetto Giada, la cui portata è minuscola anche perché non ha scandagliato ogni anfratto ambientale e sanitario del comprensorio.

Parafrasando Aristotele, se la ricchezza diventa un fine e non viene considerata un mezzo, l'uomo travia la sua natura. Purtroppo l'arricchimento tout-court è stato la cifra che ha avvolto ogni cosa nell'Ovest vicentino (non che le cose siano andate troppo diversamente in altri luoghi). E di questa deriva uno dei maggiori responsabili è il sindacato che ha deposto le armi evitando lo scontro per pretendere un modello diverso.

In parte, dico in parte, una cosa del genere capitò alla fine degli anni Settanta quando il mondo del lavoro mise sul tavolo questi obiettivi. Venne centrato quello di togliere le concerie dai centri storici. Venne centrato, in parte quello di una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro. Si ottenne qualche miglioramento con la depurazione centralizzata, scaricando però a valle il problema. Non si fece alcunché per il modello di sviluppo. Il che nell'Ovest vicentino ha generato un altro problema. La monocultura conciario-chimica (che sul piano tecnologico rappresenta una industria di bassissima levatura come ricordò piú volte lo scrittore Roberto Vacca intervistato dal Gazzettino sull'apparente miracolo del Nordest degli anni '90) ha distratto risorse e intelligenze rispetto a settori come quello della meccanica avanzata e della meccatronica che giá si profilavano all'orizzonte.

Una crescita industriale qualificata e pianificata con coscienza, sarebbe stata, in un rapporto non univoco ma biunivoco, un momento di crescita anche sociale e umana del comprensorio. Questo non è avvenuto per una sostanziale miopia delle classi dirigenti, ma pure della gente. Non importa se tra dieci, cinquanta o duecento anni: comunque la pagheremo cara. Le leggi della politica e dell'economia sono mutevoli, inesatte, spesso arbitrarie. Quelle della biologia e quelle della fisica no. Nessuna lobby può mutarle. Nessun conciatore può pagare una tangente all'universo per cambiare la seconda legge della termodinamica.

mercoledì 19 maggio 2021

Il caso Bizzotto sui media veneti e su quelli nazionali

In queste ore i media veneti (ma pure quelli nazionali) stanno dando molto spazio alla vicenda delle vessazioni di cui è stato vittima il sacerdote padovano don Albino Bizzotto. Tra i quotidiani che hanno approfondito con dovizia di dettaglio la vicenda c'è il Corriere del Veneto che oggi in pagina 5 pubblica due approfondimenti firmati rispettivamente da Roberta Polese e Davide D'Attino.

giovedì 6 maggio 2021

Più Abalti per tutti


(m.m.) Ieri è uscito in edicola il primo numero (così almeno me lo ha spacciato il mio edicolante) de La città di Vicenza. Al di là del titolo del trimestrale (una fantasia da urlo), messo lì a rinforzare il concetto di città, segno che forse chi l'ha usato non ci crede poi così tanto, il punto è un altro. Ma era proprio necessario che l'operazione fosse targata Tviweb? Non basta ciò che fa giorno per giorno l'ottimo ufficio stampa? Sì perché a compulsare la notula informativa del foglio trimestro (gergalmente nota con il nome di gerenza o impressum) si legge proprio questo: anzi di più. La redazione della «Rivista trimestrale di notizie dal Comune» ha la sua redazione presso «Tviweb srl» in via Monte Grappa 10 a Brendola. Ecco, ora vi immaginate se il trimestrale del governo Draghi avesse la redazione al Corriere della Sera? E se il trimestrale del governo Conte avesse avuto la sua redazione al Fatto? E se il Governo Berlusconi avesse scelto Il Giornale? O ancora se il Comune di Vicenza avesse scelto Il Giornale di Vicenza? Al di là delle prese di posizione dei vari comitati di redazione che avrebbero tuonato, forse, contro possibili conflitti di interesse, la questione è anche un'altra. E riguarda la figura provincialotta e mantecata che finisce per fare, come al solito, Vicenza. Il contenuto cartaceo lasciamolo perdere. Parafrasando la recensione del Mereghetti di un B-movie senza speranza, si potrebbe dire che il numero in edicola «dà una generica impressione di movimento». Al navigatissimo Arrigo Abalti, che è l'uomo chiave di Tviweb e che le le corsie della politica (quelle di marcia, quelle di sorpasso, quelle d'emergenza e quelle preferenziali) le conosce tutte, non è venuto un dubbio? Che magari espone la sua creatura a un tonfo di credibilità?

mercoledì 5 maggio 2021

La concia, le 'ndrine e i «vampiri»


(m.m.) Fuori dal coro, il talk show di Rete 4, ieri ha mandato in onda un approfondimento sullo scandalo concia che sta investendo la Toscana e i vertici della amministrazione regionale: si parla di sversamenti illeciti di fanghi, «di liason dangereuse» con la 'ndrangheta, di droga. Lo speciale è stato titolato «Vampiri». L'affaire Toscana di recente ha avuto ampia eco anche durante un recente consiglio comunale ad Arzignano: un altro importantissimo distretto per la lavorazione della pelle. Ne ha parlato diffusamente Vicenzatoday.it alcuni giorni fa.

giovedì 29 aprile 2021

Bacialli, il difensore indifendibile


Poche ore fa Luigi Bacialli, direttore di Reteveneta, ha tentato una fantozziana difesa d'ufficio di Palazzo Balbi, dopo che la Regione Veneto e il suo approccio diversamente serio alla pandemia da Covid-19, era stato sonoramente sbertucciato da Report: che il giorno 26 aprile ha dedicato al tema una puntata da incorniciare. Purtroppo per Bacialli il linguaggio del corpo non mente tanto che le sciocchezze balbettate dal direttore in video si infrangevano ad ogni suo battito di ciglio contro l'espressione trita e contrita dell'ex direttore de Il Gazzettino. Ma come fa Luigi a dire che dopo il masso lanciato da Report nello stagno la magistratura è stata obbligata a d aprire un fascicolo quando è il Corriere veneto a spiegare che l'inchiesta era in corso da settimane ben prima che Report andasse in onda? La vaccata poi per cui siccome la Rai si finanzia col canone puntate come quella di Report non andrebbero bene è talmente puerile da risultare tenera. Dica Bacialli qualcosa sul filotto Irigem, Reteveneta, Regione Veneto denunciato più volte da Marco Spiandorello. Dica Bacialli quante inchieste ha realizzato Reteveneta sul tema dei fondi regionali della formazione. Dica Bacialli quante inchieste ha realizzato Reteveneta sulla Spv. Dica Bacialli, quando era direttore de Il Gazzettino, come venivano gestite le notizie che riguardavano l'ex dominus di BpVi Gianni Zonin... E tornando alla Rai dica quindi Bacialli dove Report ha detto il falso, dica perché è disdicevole l'uso delle telecamere nascoste nelle inchieste giornalistiche. Le uniche telecamere nascoste ammesse da Bacialli sono quelle nascoste alla sua coscienza? Chissà se il governatore Luca Zaia grado plato 75%, visto il pugile suonato di Reteveneta, avrà apprezzato la difesa d'ufficio più stentata della storia delle emittenti della Serenissima. Bacialli più che un difensore d'ufficio sembrava un difensore indifendibile. Per di più mettersi su traiettorie del genere porta una sfiga... Vi ricordate che fine fecero coloro che se la presero con Report quando la trasmissione si occupò di Verona e della galassia dell'ex sindaco Flavio Tosi? Ricorda Bacialli come andò a finire?

sabato 10 aprile 2021

Peruffo: la sentenza del Tar sulla trasparenza dei dati regionali sulla contaminazione da Pfas «rende giustizia al movimento ecologista»

«La sentenza relativa al ricorso presentato dal coordinamento Mamme no Pfas e da Greenpeace avanti il Tar Veneto ha avuto un esito storico e dirimente». Alberto Peruffo è uno dei volti più noti della rete ambientalista in terra berica. E usa queste parole per commentare un recentissimo provvedimento della magistratura amministrativa che impone proprio alla Regione Veneto di rendere pubblici i dati sulla incidenza ambientale dei Pfas sulla catena agro-alimentare».

Peruffo, sul piano degli accadimenti degli ultimi anni come va inquadrata la decisione dei magistrati del Tar Veneto?
«È dal 2017 che i cittadini delle zone contaminate, a partire dal Veronese, dal Vicentino e dal Padovano, hanno sollevato la questione della matrice alimentare, presso le istituzioni».

Ricordate un episodio in particolare?
«Tanto per dirne una ricordiamo quando anni fa la dottoressa Francesca Russo, direttrice del settore prevenzione e sicurezza alimentare della Regione Veneto disse di avere in mano materiale preciso sulle geo-referenze, ossia le esatte coordinate geografiche delle analisi dei pozzi usati per abbeverare gli animali destinati all'uso alimentare. Si tratta di materiale mai consegnato nelle mani delle associazioni che chiedevano quelle carte. In questo senso occorre ricordare due fatti».

Quali?
«Uno, il 6 giugno 2017, alla presenza del consigliere regionale Cristina Guarda, eravamo a palazzo Balbi, sotto lo sguardo minaccioso dell'allora assessore della sanità Luca Coletto avvenne un episodio difficile da dimenticare. La stessa Russo trattenne a stento l'imbarazzo di fronte a noi spiegando a denti stretti come in relazione ai dati acquisiti dalla Regione Veneto in relazione alla presenza di Pfas nelle fonti alimentari, non fosse possibile darci alcuna indicazione precisa».

Fu una tattica temporeggiatrice?
«Sì. E la volontà di insistere in questo senso ci fu chiara quando alla conferenza di Minerbe sul caso Pfas del successivo novembre 2017 lo stesso Coletto, fiancheggiato dal nuovo claudicante commissario all'emergenza Pfas Nicola Dell'Acqua, tergiversò ancora in materia di alimenti. Scherzando senza convinzione sulla verbosità della Russo».

E quindi?
«La sentenza del Tar è una sentenza storica che dimostra la volontà politica di occultare, a scapito della popolazione, dati importantissimi. Un atteggiamento chiaramente concepito non solo a difesa del profitto malato delle industrie, ma che si riverbera gioco forza sulla salute di chi mangia certi alimenti. Ricordiamoci che la contaminazione viaggia non solo attraverso l'acqua acqua potabile, ma pure attraverso quello che mangiamo. E non avvertire la popolazione se quello che sta mangiando è contaminato oppure no, per noi è un atto politicamente criminale: a prescindere dalle conseguenze economiche che tale disvelamento possa avere. Dovevano pensarci prima lorsignori a non inquinare o a denunciare chi aveva inquinato».

Che cosa può cambiare in concreto adesso?
«Tutto. La Regione Veneto dovrà riformulare il suo piano di sorveglianza sanitario, che all'oggi è fondato solo sulle acque di captazione, sulla estensione del plume sotterraneo di di contaminazione e sulla relativa divisione del territorio veneto in fasce colorate in cui il rischio presunto è, un po' furbescamente, più o meno accentuato».

Tuttavia la suddivisione in fasce colorate da giallo all'arancio sino al rossa, con quest'ultima che indica il rischio maggiore, fu figlia della prima emergenza del 2013. Non si trattò di una scelta per certi aspetti obbligata almeno sulle prime?
«Diciamo che poteva avere un senso tra il 2013 e il 2014. Poi no».

Perché?
«C'è qualcosa che non ci ha mai convinto in questi colori imposti dalla Regione. Perché non considerare nel carico corporeo che accumula i Pfas, gli alimenti, i suoli, l'aria? L'aria che per anni è stata contaminata dai fumi densi di Pfas e di altre sostanze che uscivano dall'inceneritore della Miteni, la fabbrica di Trissino accusata di essere al centro dello scandalo Pfas: fumi che si spargevano a valle verso Montecchio e Arzignano, o a monte, verso l'abitato di Trissino e di Castelgomberto, quando il vento tirava verso nord o stazionava sopra la valle, qui apertissima. Cosa si depositava sui terreni e sulle colture, via aria? Che cosa finiva nei pozzi destinati alla irrigazione? Ecco alcuni di questi comuni come Trissino per esempio, sono stati strategicamente tenuti fuori dalle zone rosse».

Come mai? Avete il timore che l'averli esclusi dalla aree a rischio, aree in cui potrebbero essere previsti controlli a tappeto sulla popolazione, in qualche modo possa essere un modo per evitare controlli minuziosi su aria, acqua, terra, aria e catena alimentare di un porzione ben maggiore della Regione Veneto? E temete magari che eventuali screening sulla popolazione debbano di conseguenza effettuarsi su porzioni assai più ampie, geograficamente e anagraficamente, della Regione Veneto?
«Sì è così. Perché non estendere lo screening alla gran parte dei Veneti e del Veneto?».

A questo punto con la sentenza del Tar che diviene immediatamente esecutiva che cosa succede?
«La sentenza spazza via questa divisione. E rende il nostro movimento più forte e molto più credibile degli amministratori della Regione».

Come mai molti attivisti considerano quello della catena agroalimentare un tabù, se messo in relazione all'affaire Pfas?
«Semplice. Tutti hanno paura del terremoto. Quando la terra trema non guarda in faccia nessuno: attivista, parte passiva o parte lesa che sia. Soprattutto quanto il terremoto fa collassare nello stesso pentolone economia e salute di un territorio che si crede ricco, ricco forse solo di denari. Non certo ricco di amore e di vera solidarietà».

Allargando lo spettro della discussione che profilo hanno assunto secondo voli le associazioni di categoria del mondo agricolo?
«Ecco, appunto. Come mai Coldiretti e altre associazioni o corporazioni del comparto agroalimentare non si sono costituite come parti civili nel processo Pfas in corso al Tribunale di Vicenza? Perché queste associazioni, come molti altri amministratori veneti per vero, per anni hanno messo la testa sotto la sabbia come struzzi?».

Che risposta vi siete dati al riguardo?
«È pacifico che costoro speravano che tutto passasse sotto silenzio. Che i soliti noti avrebbero continuato a fare gli affari propri nel solito modo. Sperando, solo il cielo sa come, che tutti avremmo continuato a vivere felici, tra sagre e tumori, primi in tutto, come il governatore Luca Zaia ci ha insegnato».

E invece?
«Invece no. Ora tutto crolla. Crollano le loro certezze illusorie, o spannografiche come le chiamo io. E crolla pure la possibilità per costoro di essere risarciti per i danni da Pfas, visto che lorsignori, i ras dell'agricoltura, si sono messi dalla parte sbagliata della barricata. Ne terremo conto».

Peruffo da tempo si parla per esempio di indagine epidemiologica. La Regione Veneto l'ha promessa tante volte. E poi?
«Ecco in questo frangente i soloni di palazzo Balbi si sono messi sulla stessa lunghezza d'onda dei visir del comparto agricolo».

Cioè?
«Hanno ficcato la testa sotto la sabbia».

In che modo?
«Appunto. Domandatevi perché per i privati cittadini è pressoché impossibile o quanto meno sisificamente difficile farsi delle analisi del sangue, anche in un laboratorio privato, per verificare il livello di Pfas nel sangue. Domandatevi perché perché al posto di una vera e propria seria indagine epidemiologica i sapientoni di palazzo Balbi hanno messo in campo una discutibile sorveglianza sanitaria che suona quanto meno dilettantistica se non un pannicolo caldo? Serve altro per dimostrare di che pasta è fatta la classe dirigente alla quale siamo stati in mano? Serve un'altra sentenza del Tar? Serve un oracolo? Un esorcista? Che cosa diavolo deve servire ancora?».

E intanto?
«Intanto vediamo ciò che succede al processo Miteni. Vediamo se questa novità sarò valutata dalla magistratura penale nel giusto conto, aprendo magari qualche fascicolo in carico a qualche alto papavero. Per di più, in termini più generali c'è un'altra considerazione da fare?».

Sarebbe?
«Chi non è responsabile, non si nasconde. A meno che non abbia il proprio tornaconto. Un dato è certo dopo questa sentenza del Tar: il nostro movimento, con la denuncia pubblica ha sempre agito correttamente. Ergo noi amiamo e teniamo alla cura del nostro Veneto molto di più di chi ha permesso, con questi mezzucci che hanno il puzzo dell'occultamento e del temporeggiare più vieto, il proliferare di questa tragedia sociale e ambientale. La sentenza è un premio al movimento: un premio amaro che nessuno vorrebbe tenere in mano».

giovedì 8 aprile 2021

Contaminazione da Pfas sulla catena alimentare, la Regione Veneto dovrà desecretare i dati: al Tar Greenpeace manda palazzo Balbi KO



La Regione Veneto dovrà rendere pubblici i dati secretati relativi alla incidenza dei Pfas sugli alimenti. Dati la cui ostensione era stata richiesta da Greenpeace. È questo il verdetto clamoroso contenuto in una sentenza del Tar Veneto pubblicata oggi 8 aprile. Si tratta dell'epilogo iniziato a metà del 2020 di un delicatissimo contenzioso giudiziario che vede contrapposta la nota associazione ambientalista Greenpeace, che sull'affaire Pfas sta conducendo una battaglia che dura anni e palazzo Balbi.

Gli uffici di palazzo Balbi infatti con due provvedimenti dirigenziali del 2020, il primo redatto in settembre, il secondo redatto in ottobre, avevano opposto il diniego ad una richiesta di accesso agli atti e di produzione di copia presentata giustappunto da Greenpeace. Richiesta in forza della quale si sollecitava l'amministrazione affinché rendesse pubblico uno studio nel quale era stato valutato l'impatto dei temibili derivati del fluoro, i Pfas, sulla catena alimentare veneta. Più nel dettaglio la Regione aveva opposto il diniego sostenendo che la propalazione di quei dati avrebbe violato la privacy dei soggetti osservati e che avrebbe potuto ostacolare le inchieste giudiziarie in corso proprio in relazione al maxi caso di inquinamento da Pfas ascritto alla industria chimica Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino (in foto).

Il diniego della Regione aveva scatenato la reazione veemente del mondo ambientalista principalmente per due motivi. Uno, perché la scelta di palazzo Balbi veniva vista come una violazione palese della disciplina europea che obbliga la pubblicità dei dati ambientali. Due, perché il diniego veniva visto come un artificio burocratico senza fondamento giuridico buono solo per occultare una «verità scomoda» non solo per la politica regionale ma anche per gli operatori economici del settore alimentare che temono ricadute sul business a fronte di eventuali notizie preoccupanti.

Il collegio giudicante presieduto da Alberto Pasi ha demolito l'impianto difensivo costruito dai legali della Regione (si tratta di Franco Botteon, Luisa Londei, Francesco Zanlucchi) con due argomentazioni di fondo. La prima, la opposizione caldeggiata a palazzo Balbi non è sostanziata perché la mera esistenza di uno o più procedimentI penali non è un motivo ostativo sufficiente alla mancata ostensione di un atto pubblico. Mancata ostensione che può essere richiamata solo quando la pubblicazione della documentazione in questione possa effettivamente pregiudicare le indagini da parte degli inquirenti. La seconda, invocare la privacy non ha alcun fondamento proprio perché la ratio della norma italiana, che a sua volta recepisce la relativa direttiva europea, impone per le questioni ambientali la massima trasparenza. Di più, il collegio presieduto dal dottor Pasi corrobora la sua decisione citando a piene mani il Consiglio di Stato.

La sentenza, che potrebbe essere impugnata, adesso è immediatamente esecutiva. La documentazione secretata dovrà gioco forza essere consegnata in modo integrale e senza omissis. Per la Regione Veneto peraltro si potrebbe trattare di una doppia batosta perché un ricorso analogo al Tar veneto era stato presentato anche dal coordinamento delle «Mamme no Pfas».

Marco Milioni

mercoledì 7 aprile 2021

La debacle del Mose raccontata da l'Espresso: il commento di Ellero

(m.m.) La debacle del Mose raccontata su l'Espresso alcuni giorni fa, in terra veneta, è divenuta oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori e non solo: dall'inchiesta firmata da Alberto Vitucci esce un quadro drammatico che conferma le previsioni già distillate in passati. L'opera viene definita marcia e le grane all'orizzonte sembrano insormontabili. Chi scrive ha raggiunto il professor Renato Ellero (già docente di diritto penale all'università di Padova) che di Mose aveva parlato più volte. Il professor Ellero nel suo breve intervento non fa sconti e bacchetta in più occasioni anche l'attuale governatore veneto, il leghista Luca Zaia, nonché la magistratura veneziana.

venerdì 26 febbraio 2021

Zaia, Flor e mister Rattà

Ieri Piazza pulita, popolare trasmissione di approfondimento giornalistico de La7 durante una puntata durata più di tre ore, ha mandato in onda una inchiesta firmata tra gli altri da Alessio Lasta che getta una luce sinistra sulla vicenda della mediazione che avrebbe visto protagonisti i vertici della Regione Veneto nell'ambito di una ventilata fornitura di vaccini per il Covid-19 da reperire su un canale parallelo. Tra imprese inguaiate col fisco, debiti da capogiro, mediatori borderline tra politica e affari, nonché trame non proprio chiare, la presa di posizione del governatore veneto della Lega Luca Zaia e del direttore generale della sanità veneta Luciano Flor davanti alle telecamere di Piazza pulita sono apparsi in evidente imbarazzo. Soprattutto per la natura della figura con cui la Regione Veneto avrebbe deciso di interloquire ovvero l'imprenditore Luciano Rattà. Della vicenda, almeno per il momento, non c'è traccia significativa sui grandi media veneti (cosa strana perché uno degli inviati de La7 ha posto una serie di domande scomodissime a Zaia Flor durante una delle conferenze stampa fiume organizzate quasi quotidianamente dal presidente della giunta regionale veneta, conferenze durante le quali i cronisti del Nordest pullulano). Per vero l'inchiesta de La7 è stata rilanciata con dovizia di dettaglio dal magazine Globalist.it. All'argomento anche il Fatto quotidiano aveva dedicato un servizio non più tardi di avant'ieri.

giovedì 18 febbraio 2021

Pavesi lascia l'Ulss 8 berica e diventa general manager della sanità lombarda



«Nuovo cambio al vertice, dopo solo otto mesi, nella sanità lombarda:  Marco Trivelli è stato rimosso dall'incarico di direttore generale welfare della Regione Lombardia e spostato a Vimercate. Al suo posto è in arrivo Giovanni Pavesi, classe 1961, laurea in economia e commercio con master in direzione aziende sanitarie e general manager dell'azienda sanitaria Ulss 8» a Vicenza. Così riferisce il quotidiano meneghino il Giorno che all'arrivo del manager pubblico berico in terra lombarda dedica oggi un articolato servizio. La novità sta già facendo discutere la politica lombarda, questo riporta sempre il Giorno.

lunedì 15 febbraio 2021

I riflettori de l'Espresso sui test rapidi cari a Zaia

L'Espresso in edicola ieri 14 febbraio a pagina 52 pubblica un lungo servizio firmato da Antonio Fraschilla e Andrea Tornago nel quale si accendono ancora una volta i riflettori sulla querelle relativa ai test rapidi per la identificazione dei soggetti potenzialmente contagiati dal Coronavirus. Nell'approfondimento si parla del governatore veneto Luca Zaia e di Roberto Rigoli, il coordinatore delle microbiologie delle Ulss venete, noto come il «padre del tampone fai da te».

mercoledì 10 febbraio 2021

Brancaccio al Manifesto: Draghi «sarà come Monti, va contrastato»

«Draghi farà come Monti, va contrastato»: l'economista partenopeo Emiliano Brancaccio dalle colonne de Il Manifesto parla della crisi di governo e dei risvolti economici della crisi stessa. Nella lunga intervista firmata ieri da Massimo Franchi, Brancaccio, professore di politica economica all'Università del Sannio, spiega che le risorse del Recovery plan «sono poche per affrontare la lunga crisi» definendo lo stesso Draghi un «liberista» favorevole ai «licenziamenti». Brancaccio, noto anche come divulgatore è pure molto attivo sui social network e più in generale sul web. Alcuni giorni fa il campano aveva distillato su Twitter un commento caustico:  «Non è un periodo eccelso per la qualità dell'informazione. Purtroppo non fa eccezione Milena Gabanelli » ex conduttrice di Report e oggi firma fissa del Corsera, «che non si accontenta di sovrastimare il Recovery plan... come fanno quasi tutti... ma esagera anche sul piano Marshall...». Parole al vetriolo che fanno il paio con un altro intervento, in questo caso scodellato da un altro docente universitario poco tenero con l'ipotesi di un governo Draghi, ossia il professore Tomaso Montanari. Il quale sempre su Twitter ieri aveva scritto: «La svolta ecologista del presidente banchiere e della sua maggioranza di cementificatori serve solo a comprare i voti dei Cinque stelle... Credibilissima davvero. Da oggi l'ambiente è la nipote di Moubarak».

sabato 30 gennaio 2021

Dalle olimpiadi cortinesi al Covid-19 gli approfondimenti de Il Venerdì di Repubblica

Ieri il Venerdì di Repubblica è uscito in edicola con parecchi servizi interessanti: dalle trivellazioni sull'Adriatico ad alcuni approfondimenti sul Covid fino ad una inchiesta dedicata ai costi delle Olimpiadi invernali di Cortina Milano previste nel 2026. Questi sono solo alcuni highlight rispetto ad un numero che contiene diversi spunti meritevoli di attenzione.

venerdì 29 gennaio 2021

Tamponi rapidi, l'allarme dei servizi segreti italiani su Repubblica


(m.m.) Oggi la Repubblica in prima pagina ed in pagina 11 pubblica un approfondimento che mette in discussione la narrazione di palazzo Chigi (nel riquadro) nonché delle regioni italiana circa il reale stato della diffusione della epidemia da Covid-19. Secondo un rapporto dell'intelligence italiana giunto sulle scrivanie di palazzo Chigi e menzionato proprio dal quotidiano romano, i contagi sarebbero tra il 40 ed il 50% in più rispetto a quelli conteggiati sino ad oggi. Tra i fattori che avrebbero influito rispetto a questa sottovalutazione, che potrebbe essere il prodromo di un acutizzarsi del contagio stesso in maniera ancora maggiore, ci sarebbe l'uso massiccio dei cosiddetti tamponi rapidi, che da tempo sono un vanto del governatore leghista veneto Luca Zaia (ma non solo di Zaia peraltro) e che però trovano parecchi detrattori. Stamani su SkyTg24 il professore Andrea Crisanti, grande critico dei tamponi rapidi ha parlato dei dati trapelati su Repubblica, definendo più che ragionevoli le stime che sarebbero state elaborate dall'intelligence.