giovedì 30 novembre 2017

Risparmiatori BpVi, Ugone Vs Serracchiani

Luigi Ugone, il presidente della Associazione noi che credevamo nella Banca Popolare di Vicenza, domani sarà a Udine, per chiedere lumi sulla vigilanza che la presidenza della Regione Friuli ha condotto sul consorzio pubblico di promozione immobiliare dell'Aussa Corno, che come riferisce TgCom24 risulta esposto nei confronti della Popolare di Vicenza per diversi milioni di euro. Ugone ha comunicato l'intenzione di recarsi in Friuli una effervescente assemblea con i sostenitori della sua associazione ieri l'altro a Montegaldella in provincia di Vicenza. Durante la quale sono state indirizzate numerose bordate non solo alla politica, non solo al governo, non solo alle grosse società che hanno ottenuto crediti facili senza titolo, ma anche alle altre associazioni dei risparmiatori truffati che dallo stesso Ugone sono state aspramente criticate perché troppo accondiscendenti nei confronti della linea adottata dall'attuale governo in tema di salvataggi bancari e di legge salva risparmio, giudicata, quest'ultima, come semplice fumo negli occhi.

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mercoledì 29 novembre 2017

Question time, BpVi e derivati: il pomeriggio nero di Padoan

(m.m.) Conti cifrati dei servizi segreti presso il gruppo BpVi-Banca Nuova, consulenti infedeli del governo che accedono ad informazioni riservate per poi spifferarle a potenti gruppi privati, l'integrità del bilancio dello Stato messa in discussione da una operazione sui derivati che, almeno potenzialmente, potrebbe far patire in futuro all'Italia una debacle non troppo dissimile da quella patita anni fa in Grecia. Oggi pomeriggio alle tre il question time a Montecitorio è stato un vero e proprio inferno per il ministro dell'Economia Piercarlo Padoan durante il quale i veri protagonisti o sono stati veneti o hanno parlato di vicende anche Venete.

Il ministro infatti è stato incalzato dal deputato veneziano di Scelta civica Enrico Zanetti per il quale ha chiesto lumi sulla vicenda della«talpa di Ernst & Young» che anche un «è un big di Equitalia». Il nome del consulente finito invischiato in una clamorosa inchiesta della magistratura milanese è Susanna Masi. Il ministro, preso di mira da Zanetti, ha dovuto ammettere che la consulente non aveva comunicato al governo di essere sotto indagine penale.

Un'altra interrogazione dal peso specifico rilevantissimo è quella del deputato monzese Daniele Pesco, del M5S, il quale si è rivolto al governo dopo il clamore suscitato dall'affaire BpVi leaks. A fronte di domande precise, soprattutto quelle che riguardano fondi riservati dei servizi che sarebbero stati indirizzati a favore di soggetti riconducibili al Csm, il ministro ha detto di non essere in grado al momento di rivelare ulteriori dettagli, rinviando altri eventuali approfondimenti al Copasir, l'organo parlamentare di controllo sull'intelligence. Dal testo dell'interrogazione di Pesco, la cosa ha destato stupore presso gi addetti ai lvori, erano stati rimossi alcuni riferimenti propio ai collegamenti tra intelligence e il gruppo BpVi-Banca nuova. A detta del vicepresidente della Camera Roberto giachetti, che conduceva i lavori quale presidente pro tempore, si sarebbe trattato di un errore materiale, ma da questo pomeriggio in Transatlantico, gira la voce che non possa essere escluso a priori l'intervento di qualche manina interessata a depotenziare l'interrogazione.

Non meno duro è stato l'intervento di un altro veneziano, il deputato azzurro Renato Brunetta. Il quale ha incalzato per l'ennesima volta il ministro sul vincolo di riservatezza, che in modo incongruo sostiene il deputato e docente accademico, sarebbe calato su alcuni contratti tra lo stato ed alcuni soggetti finanziari di primaria importanza in materia di derivati. Questi ultimi sono strumenti finanziari molto complessi che sulla carta dovrebbero proteggere i prestiti contratti dall'amministrazione centrale. Se redatti male però, vuoi per incompetenza, vuoi per dolo possono alla lunga rilevarsi un micidiale strumento a doppio taglio per la finanza pubblica, soprattutto quando vengono inopinatamente usati per sottrarre dal conteggio del debito pubblico una parte del debito stesso.

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martedì 28 novembre 2017

Troppi dubbi, troppe ombre, troppi silenzi

Il cosiddetto «affaire BpVi leaks», nonostante i troppi silenzi, sta facendo discutere in modo per nulla banale quei pochi giornalisti o commentatori che hanno saputo e voluto cogliere la gravità della situazione. L'ultima analisi l'ha pubblicata oggi Contropiano.org. La testata cita ampiamente alcune considerazioni che sull'argomento ha vergato Ennio Remondino, per anni inviato di punta della Rai, uno, è bene ricordarlo ai più giovani, con un curriculum e una storia professionale all'estero e in Italia, così densa di avvenimenti, che servirebbe un tomo per raccontarli tutti. La storia del giornalismo, almeno quando i colleghi fanno davvero il loro mestiere, è piena di ingerenze da parte di poteri forti, da parte degli apparati. Funziona così da sempre se il tuo mestiere è anche quello di disvelare il lato oscuro, alle volte il lato B, del potere. Ci sta. Ciò che fa davvero la differenza sta nel come la categoria e l'opinione pubblica, reagiscono ai soprusi. Soprattutto quando tale reazione, specie da parte della gran parte dei colleghi lascia a desiderare. Soprattutto quando anche da parte dei colleghi pare si voglia archiviare la questione come un mero caso di cronaca, senza tener conto del quadro generale.

Marco Milioni

martedì 21 novembre 2017

Tav veneta, ne parlano Ponti e Venosi

(m.m.) Giovedì 23 novembre a Vicenza alle ore 17, 45 presso i Chiostri di Santa Corona in contrà Santa Corona 4,  si terrà un incontro con Marco Ponti ed Erasmo Venosi sul tema del passaggio della Tav tra Verona, Vicenza e Padova. I dettagli dell'evento nella locandina acclusa. Si preannuncia un incontro tutto pepe. La carne sul fuoco è tanta. Ma c'è un argomento che più degli altri potrebbe togliere il sonno ai big della Regione Veneto.

Come più volte è stato rilevato attingendo alle carte agli atti della Regione Veneto i progettisti della Superstrada pedemontana veneta sanno che uno dei punti più delicati è la cosiddetta interferenza tra il tracciato della Tav (tracciato che non è nemmeno in dirittura d'arrivo per vero) e quello della stessa Pedemontana o Spv come è nota. Questa cosiddetta interferenza riguarda il nuovo casello della Spv che ad Alte Ceccato (frazione di Montecchio Maggiore nel Vicentino)  dovrebbe connettere quest'ultima con la autostrada Brescia Padova.

Il concessionario della Spv, con una scelta considerata azzardata da molti detrattori dell'opera, ha scelto di non progettare il nuovo casello di interconnessione confidando che questo sarà realizzato dalla Brescia Padova. Ma sarà veramente così? Oppure, a causa della leggerezza del concedente della Spv (la Regione Veneto) che non ha stimolato a dovere il concessionario, si creerà un intoppo progettuale, magari dovuto alle traversie della Tav, tale da mettere in difficoltà il proseguo dei lavori? Allo stato si può dire che è possibile che il concessionario abbia fatto i conti senza l'oste. Cioè avrebbe spinto comunque l'acceleratore sulla progettazione e sull'inizio dei lavori.

È possibile che lo abbia fatto per sbloccare la partita finanziaria a sostegno dell'opera visto che è realizzata con lo strumento del project financing sostenuto dai privati affiancato da un sostanzioso contributo pubblico? Sarà il tempo a dire se la Regione Veneto si è comportata da sprovveduta (altre ipotesi riguardano la sfera penale e vanno considerate a parte) oppure no. Certo è che anche questo tema potrebbe essere toccato durante il convegno di Vicenza.   

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domenica 19 novembre 2017

BpVi, Banca Nuova, Veneto Banca: i conti dell'intelligence e l'affaire Etruria

È molto bizzarra o non lo è affatto, dipende dai punti di vista, la coltre di silenzio sul caso servizi segreti, BpVi, Banca Nuova, deflagrato a seguito di due servizi de La Verità e da Il Sole 24 ore. Una coltre squarciata da pochi articoli tra cui uno pubblicato ieri da Il Fatto in pagina 9.

Dallo stesso servizio si apprende che su ordine della procura di Roma vi sarebbero state perquisizioni nelle sedi de Il Sole con l'ipotesi di reato di rivelazione di documentazione coperta dal segreto di Stato. In questo contesto appare singolare la mancata levata di scudi da parte della categoria dei giornalisti: anzitutto alla luce del principio che il diritto all'informazione e alla libertà di espressione, sono due beni giuridicamente preminenti anche rispetto alla sicurezza dello Stato. Si tratta di una cosa ovvia, già ribadita più volte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo secondo la quale «la libertà di stampa in quanto essa assicura il doppio diritto a realizzare la libertà di espressione del reporter e quello della collettività di ricevere informazioni di interesse generale».

E rimanendo in tema di banche merita una lettura tutta d'un fiato un servizio pubblicato oggi a pagina 19 su La Nuova Venezia a firma di Renzo Mazzaro. Il quale nell'ambito dell'affaire Banca Etruria -Veneto Banca disvela un lungo fil rouge che va dell'ex ad di Veneto Banca Vincenzo Consoli fino all'ex legale di quest'ultimo, ovvero l'avvocato Massimo Malvestio, da tempo uno dei consigliori del governatore leghista del Veneto Luca Zaia. Tuttavia nel servizio di Mazzaro compaiono tra gli altri anche i nomi dell'ex presidente di VeBa Flavio Trinca, degli ex gemelli della finanza veneta Andrea De Vido ed Enrico Marchi, dell'imprenditore vicentino Claudio Biasia.

Più nel dettaglio Mazzaro focalizza la sua attenzione sul soccorso di alcuni imprenditori del Nordest sotto forma di acquisiti di azioni di Etruria in qualche modo garantiti da Veneto Banca. In un audit MEnzionato da Mazzaro si legge per di più che meno evidente appare la correlazione con l'operazione di acquisto da mezzo milione di euro perfezionata da Malvestio. Il quale alla Nuova spiega di avere usato soldi suoi. Sarebbe interessante capire se Magistratura e commissione di inchiesta parlamentare sulle banche vorranno accendere i loro riflettori sull'ennesimo cono d'ombra made in Veneto.

Marco Milioni

venerdì 17 novembre 2017

Servizi popolari

Alla luce delle recenti rivelazioni de La Verità e de Il Sole 24 ore sull'affaire BpVi-servizi segreti e alla luce di alcune considerazioni che ho espresso al riguardo in una intervista a Vicenzatoday.it, ci sarebbe ancora qualcosina, anzi molto da aggiungere al riguardo. Se da una parte è giornalisticamente interessante come fa La Verità, evidenziare il fil rouge che da BpVi porta sino alla Bnl, credo che sia anche utile ricordare che proprio la Bnl sui media italiani, erano i primi anni '90, fu protagonista di uno scandalo di portata mondiale.

Scandalo che interessò il finanziamento qualche anno precedente di una colossale partita di armi a favore dell'allora regime di Saddam Hussein, all'epoca dittatore iracheno assai vicino agli Usa. Alle spalle della maxi commessa militare c'erano appunto gli Stati uniti, che avrebbero architettato quel traffico per foraggiare i rifornimenti bellici di Saddam in chiave anti iraniana.

Nel servizio de Il Sole invece c'è un passaggio che nei prossimi giorni andrà riletto più e più volte. Anche in relazione al ginepraio che è diventata l'inchiesta penale su BpVi: «Insieme a schiere di anonimi sparsi in tutta Italia, tra i beneficiari dei versamenti ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno» a loro volta «inquadrati nel ruolo unico del contingente speciale della Presidenza del Consiglio dei ministri». E ancora «personale della Protezione civile e del Dipartimento Vigili del fuoco, funzionari del Consiglio superiore della Magistratura. Poi avvocati, dirigenti medico-ospedalieri, vertici di autorità portuali e di istituzioni musicali siciliane. Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali».

Da questo punto di vista è interessante leggere che cosa scrive L'Antidiplomatico al riguardo, il quale allude ad una centrale delle Fake news pilotata dall'alto. Tuttavia compulsando ancora Il Sole non è da sottovalutare ciò che viene descritto in tema di «vertici dell’intelligence italiana, dotati di poteri di firma sui conti, e alti funzionari territoriali dei Servizi e delle forze dell’ordine: ufficiali del Carabinieri con ruoli in sedi estere, ispettori della Polizia di Stato coinvolti nel processo dell’Utri del 2001, dirigenti dell’ex centro Sisde di Palermo già noti alle cronache per vicende seguite all’arresto di Totò Riina. C’è pure un anziano parente del “capo dei capi” di Cosa Nostra (o qualcuno con lo stesso nome). E ci sono impiegati di Banca Nuova. O, ripetiamo, loro omonimi».

Tra le tante cose da chiarire bisognerebbe capire che c'azzecchino anzitutto con l'intelligence i funzionari del Consiglio superiore della magistratura visto che quello giudiziario è un potere, un ordine sarebbe meglio dire, autonomo e nettamente indipendente dal potere esecutivo e da quello legislativo. Su che cosa poi i servizi segreti abbiano avuto a che fare con conduttori radiofocnici, autori televisivi, forse giornalisti, vertici di autorità portuali, e addirittura esponenti vicini alla galassia dei centri sociali forse non è impossibile da immaginare. Certo è che la Commissione bicamerale sulle banche avrebbe un interesse primario a diradare tali dubbi. Fermo restando che per alcuni ambiti, come i rapporti col Csm, non è minimamente pensabile di invocare il segreto di Stato.

Sul piano mediatico poi è interessante il botta e risposta andato in scena sulle colonne del Corriere Veneto tra il deputato di Scelta civica Enrico Zanetti e il senatore di area centrosinistra Felice Casson. Sono entrambi veneti. Il primo è un ex sottosegretario del già primo ministro Mario Monti. Il secondo un ex magistrato che indagò le trame della eversione nera anche nei suoi rapporti con ambienti atlantici. Zanetti commentando le ultime rivelazioni sull'affaire BpVi-servizi segreti dà ad intendere di avere qualche preoccupazione e parla di «coincidenza straordinaria». Casson, che tra l'altro fa parte del comitato interparlamentare di controllo sull'intelligence parla invece di «complottismo puro e semplice».

Marco Milioni


mercoledì 15 novembre 2017

L'istituto di Zonin era la cassaforte di tutti i servizi segreti

Adriano Santini, Giorgio Piccirillo, Giovanni De Gennaro, Arturo Esposito, Bruno Branciforte, Enrico Savio. E poi una serie di altissimi funzionari, 12 per la precisione, abituati a gestire con la massima riservatezza fondi per decine di milioni. Se uno vuole imbattersi nei vertici dei servizi segreti italiani dal 2008 al 2015 ci sono due strade: o si prova a entrare nella sede di Dis, Aise, Aisi e si vanno a guardare le foto appese alle pareti delle anticamere dei rispettivi direttori, oppure ci si reca a Banca nuova, gruppo Banca popolare di Vicenza, filiale 0805 di via Bissolati numero 8 a Roma. È qui, a 50 metri dalla sede del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che fino a tutto il 2014 erano custoditi i conti bancari delle nostra intelligence, insieme a larga parte dei soldi gestiti dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

I 120.000 SOCI SUL LASTRICO
I governi avevano un rapporto stretto con Gianni Zonin e la sua banca sicula, quella che l' ex presidente della Popolare vicentina più aveva nel cuore perché la considerava la sua creatura e la vera origine del proprio potere, e ha tagliato questo legame solo quando la Bce di Mario Draghi ha alzato il velo sui giochi di prestigio vicentini. Ma intanto oggi si può dire che le amicizie del Grande vignaiolo di Gambellara non si limitavano a magistrati, ispettori di Bankitalia, ufficiali dei carabinieri e della Gdf, ma si estendevano ai servizi segreti e alla presidenza del Consiglio.

E forse anche la storia di quei conti riservati, che La Verità ha ricostruito, può aiutare a capire come sia stato possibile che la popolare vicentina abbia scavato una voragine da oltre 6 miliardi di euro, azzerando i risparmi di 120.000 soci. Una crisi nata da una serie di pratiche scorrette, denunciate già all' inizio degli anni Duemila da diversi soci e dall' ex direttore generale Giuseppe Grassano, e sulle quali il magistrato Cecilia Carreri è stata fermata con metodi poco ortodossi dai suoi stessi colleghi, dopo una micidiale «spiata» su una sua presunta falsa malattia. Perché solo ipotizzare di mandare a processo Zonin era follia.


BRUNO BRANCIFORTE
Banca Nuova, che oggi ha un centinaio di sportelli tra Sicilia e Calabria, nasce nel 2000 e l' anno dopo compra la Banca del popolo di Trapani, che nel 2001 verrà fusa per incorporazione. È la sfida più ambiziosa di Zonin, che nel 1997 aveva comprato una splendida tenuta, chiamata Principi di Butera, in provincia di Caltanissetta. Poco lontano, nel 2002, scenderà a comprare vigne anche il suo grande amico Paolo Panerai, editore di Class-Mf. Ma Zonin stringe rapidamente amicizia anche con Mario Ciancio Sanfilippo, proprietario della Sicilia, monopolista delle affissioni e sotto inchiesta dal 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, e con gli Ardizzone, che invece possiedono Il Giornale di Sicilia.

AMICI A PALERMO
Per gli affari importanti, Zonin capisce ben presto che il fulcro della Sicilia è Trapani, a cominciare dall' aeroporto, per il quale si affida all' avvocato Paolo Angius, ex consigliere della Vicenza. Per la politica e i poteri dello Stato, invece, l' epicentro è Palermo. E allora ecco i rapporti stretti con Totò Cuffaro, ex presidente della Regione poi condannato per mafia, con Renato Schifani, le cui due nuore hanno lavorato per Banca nuova, con Raffaele Lombardo (l' ex moglie Rina era promoter di Banca nuova), con l' ex sindaco di Palermo Guido Cammarata (figlia assunta in banca) e con una serie di comandanti dell' Arma e della Finanza, tra i quali spunta perfino il caso di un generale padrone di casa di una filiale dell' istituto nella Sicilia orientale.
tenuta Principi di Butera

TENUTA PRINCIPI DI BUTERA
Tra gli imprenditori, ecco poi i rapporti stretti con Francesco Ginestra, ex presidente Snai e scopritore del mitico cavallo Varenne, e con il «re della sicurezza» Rosario Basile, presidente di Ivri e Ksm security. Per i soldi, invece, bastava e avanzava il Veneto, che infatti è stato ampiamente tosato, mentre dalla sicula Banca nuova, misteriosamente, non si è praticamente levato un lamento. Anche qui sono state fatte delle «baciate», ma c' erano dei patti di riacquisto delle azioni Bpvi che hanno funzionato. E nessuno si è fatto male. L' abilità di Zonin in Sicilia è confermata anche dal fatto che, a parte per un mese e mezzo all' inizio, lui non è mai figurato negli organi sociali dell' istituto, dove invece ha piazzato per quasi tre lustri il fidatissimo Marino Breganze alla presidenza.

FRANCESCO GINESTRA
Tornando ai nostri servizi segreti, va detto che avevano storicamente i loro conti principali alla Bnl. Ma quando l' ex Banca del lavoro finisce nelle mani di Paribas, devono ovviamente migrare in un istituto non solo fidato, ma italiano. Intorno ai primi mesi del 2007, la presidenza del Consiglio, e a ruota l' intelligence, cominciano a spostare i soldi. Al governo c' è Romano Prodi, sottosegretario Enrico Letta e la delega ai servizi è affidata a Enrico Micheli, ex direttore generale dell' Iri. Il governo di centrosinistra cade a maggio del 2008 e a Palazzo Chigi tornano Silvio Berlusconi e Gianni Letta. Ed è con loro che Zonin, che è stato anche vicepresidente di Bnl, piazza il colpo vincente, grazie anche ai buoni rapporti con un altro nisseno, Nicolò Pollari, capo del Sismi (oggi Aise) dal 2001 al 2006.

Banca nuova possiede a Roma una sola filiale, quella di via Bissolati, ma è un' agenzia «pesante» e non solo perché sorge a due passi dall' ambasciata Usa e ospita i conti di decine di funzionari americani. La Verità ha potuto consultare l' anagrafica dei conti della presidenza del Consiglio dei ministri e dei servizi segreti, oltre alla loro movimentazione. Si tratta di conti istituzionali e, per quello che è stato possibile controllare, usati per fini normali. C' è il conto «1.384.xxx» intestato all' Aise dove potevano operare il direttore Adriano Santini e il suo capo dell' amministrazione a partire dal 23 febbraio 2010. Il rapporto è stato aperto il 16 gennaio 2009 e ha due importanti caratteristiche: è esente dalla registrazione antiriciclaggio e dalla segnalazione all' anagrafe tributaria.


GIORGIO PICCIRILLO
Ma in questo i conti dei servizi si somigliano tutti. L' Aisi aveva un conto a Banca nuova almeno dal febbraio 2009, e potevano operarvi il capo, Giorgio Piccirillo (un tempo grande amico di Zonin), e cinque collaboratori. Per il Dis, ecco il conto intestato all' allora direttore Gianni De Gennaro il 16 gennaio 2009, con due delegati a operare. E poi ecco quelli di Arturo Esposito, capo dell' Aisi dal 2012 al 2016 (e comandante dei carabinieri in Sicilia dal 2004 al 2008) e dei suoi dirigenti di fiducia. Conti a Banca nuova anche per Bruno Branciforte, l' ammiraglio che ha guidato l' Aise dal 2006 al 2010, e per svariati suoi collaboratori. E sui conti di via Bissolati compare anche la firma di Enrico Savio, uomo di fiducia di De Gennaro e oggi vicedirettore del Dis.

CENE E OROLOGI
I movimenti su questi conti, dei servizi come di Palazzo Chigi, sono abbastanza prevedibili: stipendi, rimborsi spese, giroconti con i fondi annuali destinati a servizi, acquisti o leasing di automobili e motociclette, acquisti di orologi preziosi, spese condominiali, cene al ristorante (compreso un bonifico alla trattoria Sora Lella di Trastevere da 873 euro a titolo di «acconto») e pagamento di fatture a fornitori vari.

ASSEMBLEA POP VICENZA
Niente pagamenti di «consulenze» o «informazioni»: quelli avvengono in contanti, anche se i soldi ovviamente provengono da qui. In totale, si trattava di decine di milioni di euro l' anno. Un dato indicativo è questo: Banca nuova ha una raccolta totale intorno ai 3,5 miliardi di euro e di questi oltre 1 miliardo arriva dai servizi di tesoreria. È un sintomo del suo peso «politico». Le informazioni sui movimenti finanziari dei servizi sono dati sensibili e questo forse spiega perché il governo ha preferito tenere a tutti i costi in mani italiane la Bpvi, «venduta» per un euro a Banca Intesa insieme con Veneto Banca. A quanto risulta, i conti del governo e dei servizi sono stati chiusi nel 2014. Se così fosse, è interessante notare che i governi Berlusconi, Monti e Letta junior sono rimasti fedeli clienti di Zonin, mentre è stato Matteo Renzi a recidere i cordoni.

PUZZA DI BRUCIATO
È probabile, e anche augurabile visto che qui si parla di intelligence, che a Palazzo Chigi già nel 2014 qualcuno avesse sentito puzza di bruciato, anche perché un generale ha visto sfumare 300.000 euro di risparmi personali investiti alla Vicenza. Così, i soldi hanno preso destinazioni più sicure. E di sicuro c' è anche che Renzi ha messo il nome di Zonin sul proprio libro nero a gennaio del 2015, quando il banchiere ha osato criticare la riforma delle banche popolari. È stato lì che Zonin ha smesso di essere un cosiddetto banchiere di sistema ed è rimasto «solo» un banchiere che conosce tanti segreti. Indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, fa liberamente la spola tra gli Stati Uniti e l' Italia e nessuna Procura gli ha sequestrato un centesimo. In attesa della prescrizione, non ci sarebbe da stupirsi se prima o poi invocasse il segreto di Stato.

fonte La Verità di mercoledì 15 novembre 2017; pagina 5

sabato 4 novembre 2017

I fornitori di Miteni al centro della discussione in Ecomafie


Ieri sui media veneti facevano capolino le dichiarazioni di Manuel Brusco, l'esponente del M5S, a capo della commissione speciale Pfas istituita presso il consiglio regionale del Veneto. «Abbiamo incontrato i lavoratori, che sono toccati in modo diretto da questa situazione» aveva dichiarato Brusco alla stampa due giorni orsono. Tuttavia sono di ben altro tenore gli spunti che emergono da un'altra commissione. Ovvero quella bicamerale dedicata al ciclo dei rifiuti, più nota come Commissione ecomafie.

La seduta è quella del 15 settembre 2017 i cui verbali sono stati messi in chiaro sul sito web di Montecitorio pochi giorni fa. Più nel dettaglio sono stati messi in chiaro i verbali con le audizioni dei manager di Miteni spa, la fabbrica di Trissino nel Vicentino, finita al centro di un maxi caso di contaminazione da derivati del fluoro, i Pfas appunto, che ha interessato tutto il Veneto centrale. Sulla vicenda peraltro sta indagando la magistratura berica supportata dai Carabinieri del nucleo ambientale regionale, il Noe.

Ma perché l'audizione dei manager Miteni è così importante? Anzitutto va precisato che durante la sessione sono stati ascoltati l'amministratore delegato Antonio Nardone e il dirigente responsabile della sicurezza Davide Drusian: entrambi sono sotto indagine da parte della procura della città palladiana.

A pagina 16 dello stenografico c'è un passaggio significativo in cui il vice-presidente della Ecomafie, il deputato del M5S Stefano Vignaroli (che in quel momento assume l'incarico di presidente pro-tempore), chiede conto della filiera degli scarti di lavorazione della Miteni, nonché del ciclo delle acque di lavorazione, un aspetto che era stato sondato poco nel passato. A rispondere è proprio il dottor Drusian: «Vengo al ciclo delle acque. Il ciclo delle acque reflue è così gestito all’interno dello stabilimento: tutte le acque dello stabilimento, acque di processo e acque di dilavamento, vanno in un impianto di trattamento chimico-fisico». Poi la descrizione assume una valenza più tecnica: «... L’impianto di trattamento chimico-fisico è un impianto che neutralizza l’acqua, perché ha una caratteristica di acidità. Una volta che l’acqua è stata caratterizzata, si formano dei fanghi e l’acqua successivamente viene inviata a dei filtri a sabbia e poi a dei filtri a carbone e di qui viene immessa nella conduttura fognaria». Di seguito c'è un passaggio che riguarda i Pfas nello specifico: «... Le acque che, invece, provengono dall’impianto per fluorurati, ossia le acque che possono contenere tracce di composti perfluoro-alchilici, prima di essere trattate nell’impianto di trattamento interno, così come ve l’ho appena descritto, vengono filtrate su delle resine cosiddette copolimeri. Si tratta di resine specifiche per la rimozione dei composti perfluoro-alchilici delle acque. I copolimeri, una volta che si sono saturati, una volta che sono esauriti, li mandiamo a smaltimento, purtroppo non in Italia, perché non ci sono impianti. Ci appoggiamo alla piattaforma italiana che dopo va a smaltimento in Europa».

Ed è dopo questo passaggio che va in scena un vero e proprio scontro dialettico tra Drusiàn e il deputato del M5S. Quest'ultimo infatti chiede di sapere quali siano «le piattaforme» ovvero le società incaricate del trasporto dall'Italia verso l'estero degli scarti di lavorazione». Drusian cerca di procrastinare la risposta tanto che Vignaroli mettendo in un certo qual imbarazzo il manager di Miteni, questi sono i rumors giunti dalla commissione,  è costretto a prendere nuovamente la parola.

Dopo qualche istante Drusian è de facto obbligato a capitolare e a rivelare i nomi:  «Sadi era il vecchio nome di una che sta a Orbassano, in provincia di Torino: adesso si chiama Ambienthesis. Andiamo, quindi, all’Ambienthesis, che poi generalmente va a termocombustione, o può andare all’impianto di Tredi, che si trova in Francia, a Lione, oppure, ma più raramente, anche in Germania... Nel caso specifico dei copolimeri, ossia delle resine esauste, essi fanno generalmente questa strada. Vanno in Ambienthesis... Per i carboni attivi abbiamo due possibilità. Una è con il fornitore che ci fornisce anche il carbone vergine, un impianto a Ravenna che si chiama Cabot Norit, oppure li possiamo mandare presso un altro impianto che va direttamente a termo-distruzione. Anche questa è una piattaforma che si trova a Milano. Fa parte del gruppo Suez. Era la vecchia Ecoltecnica, se non ricordo male. Può andare o in Francia, o in Germania, in base alle notifiche aperte per andare all’estero. I rifiuti che produciamo, soprattutto i rifiuti chimici, vanno tutti all’estero a termodistruzione. Ci appoggiamo alle piattaforme perché hanno le notifiche per andare all’estero già aperte.

Ma chi sono i gruppi menzionati da Drusian? Il gruppo Sadi, in seguito divenuto Ambienthesis, fu al centro di uno dei più clamorosi scandali ambientali della Lombardia. É l'affaire Santa Giulia di cui parla diffusamente Bergamonews nel 2009, l'Espresso nel 2010 e ancora nel 2010 Il Fatto quotidiano. Si tratta di una partita, al centro di un ginepraio giudiziario infinito in ambito panale, civile ed amministrativo, la quale partita è ancora a tutt'oggi in corso. Basti pensare alla querelle attorno all'utilizzo dei terreni di riporto, considerati rifiuto da un provvedimento del tar lombardo dell'anno passato. Senza contare il fatto l'affaire Santa Giulia, almeno secondo gli inquirenti, si è rivelato un intricato ordito di illeciti non solo ambientali ma anche fiscali, il tutto condito con indagini che hanno colpito un centinaio di persone tra cui alcuni nomi eccellenti. Anche Paolo Barbacetto, noto giornalista d'inchiesta de Il Fatto, in più occasioni ha approfondito l'argomento.

Il nome Ecoltecnica, oltre ad una interrogazione parlamentare del 2011, finisce invece in due distinti servizi, sempre dedicati alla materia ambientale; il primo è del Corsera, edizione di Napoli, ed è datato 20 luglio 2009 a firma di Titti Beneduce. Il secondo invece è firmato da Davide Milosa de Il Fatto e porta la data del primo di aprile 2014. In quest'ultimo articolo compare un'altra vecchia conoscenza delle cronache regionali venete e Lombarde, la Daneco, al centro, tra le altre, dell'affaire Pescantina Ca' Filissine. Rimane da capire adesso se la collaborazione di Miteni con i gruppi menzionati da Drusian sarà considerata o meno imbarazzante dagli attivisti che da mesi imputano alla Miteni un approccio non sufficientemente rigoroso rispetto alla vicenda che la vede protagonista. Una vicenda che ha avuto anche un risvolto internazionale. Basti pensare alla trasferta italiana di Robert Bilott (in foto il secondo da destra), l'avvocato americano che ha patrocinato un gruppo di famiglie contaminate da Pfas, nella vicenda cugina del caso Miteni, che ha toccato gli Usa diversi anni orsono. Frattanto si moltiplicano le voci delle pressioni che da precisi ambienti confindustriali sarebbero giunte nei confronti di alcuni membri della commissione ecomafie. Il motivo? «Darsi da fare affinché l'organo bicamerale non alzi troppo la voce. Il motivo è presto detto: ci sarebbe un piano per far fallire la Miteni e non onorare gli obblighi di bonifica e per evitare di affrontare i costi per contenere l'inquinamento con i dispositivi storicamente in funzione presso l'impianto, che in gergo tecnico si chiamano barriere idrauliche».  

Marco Milioni