giovedì 31 dicembre 2015

Il Ft, le banche e i media veneti

Secondo il Financial Times, che viene citato dal Corriere Veneto di oggi 31 dicembre 2015 in pagina 11, la situazione patrimoniale delle popolari venete è assai grave. Tanto grave da rischiare il cosiddetto 'bail in', ovvero la famosa formula di salvataggio interno a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i centomila euro. Proprio per scongiurare uno scenario del genere, sempre secondo il prestigioso quotidiano britannico, le circostanze potrebbero quindi portare tali istituti di credito verso una situazione di tipo greco; vale a dire una situazione in cui al momento dello sbarco sulle piazze degli affari si cercherà di collocare le azioni a prezzi stracciati. Con tutti gli annessi e i connessi in termini speculativi vien da dire. La notizia comunque è da annotare.

Tuttavia fa sorridere che una eventualità del genere, paventata a più riprese in questi mesi da chi ha criticato l'operato decennale delle due popolari venete, venga solo ora, più o meno goffamente dipende dal punto di vista, confutata dai vertici di VeBa, tanto per fare un esempio. Detto in altri termini, come mai l'amministratore delgato di VeBa Cristiano Carrus, sempre stando al Corveneto di oggi, si spende solo ora in questi termini? Non era uno scenario gonfio di speranze quello da lui descritto il 19 dicembre a Volpago durante l'assemblea dell'istituto da lui capitanato?

In questo contesto però colpisce la stitichezza dei grandi media. L'opzione tratteggiata dal Financial Times (l'artcolo pubblicato il 29 dicembre bisognerebbe leggerselo tutto perché sono numerosi gli spunti di interesse) per vero si discosta assai poco da quella che è stata affrescata da alcune testate più attente a vedere dietro la notizia. O dalle analisi che durante gli ultimi mesi sono fiorite spontanee durante i tanti dibattiti organizzati sul futuro delle popolari venete. Anche il sottoscritto nel suo piccolo aveva cercato di dare il suo contributo al dibattito, invano però. Ma come mai lo scenario alla greca è divenuto tutto ad un tratto mediaticamente realistico solo ora che ne parla il Ft? Non è che qualcuno, fino a quando ha potuto, ha cercato ti tenere la mordacchia all'informazione, finendo poi per arrendersi difronte ad una fonte troppo grossa combattiva e autorevole per essere solamente ignorata? Se fosse così, e il che non è affatto impossibile, avremmo la ennesima conferma di una informazione veneto-italica, generalmente schierata dalla parte dei soliti noti. Salvo doversi poi ravvedere di tanto in tanto per evitare l'ennesima figura barbina. Per la serie, ilpadrone del megafono ha sempre ragione...

Marco Milioni

giovedì 17 dicembre 2015

Caro socio ti scrivo, lettera aperta ai veneti

Dice, la trasformazione in spa di Veneto Banca e l'aumento di capitale da un miliardo van fatti perché altrimenti l'istituto salta per aria giacché ha sette miliardi di sofferenze... Ma allora, come diceva il buon Nino Frassica, delle due tre. O la banca è davvero malmessa e allora con un miliardo di aumento di capitale da votare sabato non si fa nulla. Oppure le sofferenze non sono vere, e allora qualcuno sta agitando lo spauracchio per obbligare i soci a ripianare un po' di perdite per poi permettere ai nuovi padroni, abolito il voto capitario, di papparsi il tutto a prezzo di saldo. Oppure ancora, le sofferenze ci sono, la proprietà dopo sabato cambia, ma in seguito la Ue potrebbe dire ok, magicamente, a quegli aiuti di Stato che ci son stati per Mps, per le banche dell'Italia centrale e che invece non ci sono stati, fino a oggi per le popolari venete.

Dice, ma i grandi giornali sono tutti schierati per il sì. Embeh? Di riffa o di raffa sono tutti legati all'establisment finanziario, da quando in qua i tacchini festeggiano il Natale? Dice, ma è la Bce che chiede di trasformare subito Veneto Banca in spa. E perché allora, entro sabato, non lo chiede anche per Popolare Vicenza? Dice, ma lo chiede anche Schiavone, i sindaci del Pd, Luca Zaia, i sindacati, il Marino Smiderle del Corriere Veneto tale Alessandro Baschieri nonché l'Alessandro Baschieri del Giornale di Vicenza ovvero Marino Smiderle. Pure il M5S tentenna mentre i big di Veneto Banca si mormora abbiano pure convinto gli irriducibili dell'Odissea che hanno incontrato poche ore fa... Ma non vi siete resi conto che li hanno pigliati uno a uno per ridurli all'ordine?

Schiavone è stato per anni magistrato a Treviso, possibile che sulle furberie ai piani alti di VeBa non abbia mai sentito nulla? Zaia non amministra una regione che ha un debito contratto col gruppo Intesa (130 milioni) la quale è a capo della cordata che garantisce l'acquisto di azioni di VeBa se sabato gli azionisti non votano l'aumento di capitale? Non è che il governatore ricciolino teme che se sgarra e propugna il no ad una Veba che si trasforma in spa, la banca che lo tiene virtualmente per le palle, "gli chiede alla sua regione" come dicono al Sud, di rientrare dal fido come fa con la piccola impresa di Trebaseleghe o di Loria? Ma il Pd non è quello che ha la coscienza più che sporca su Mps e non si può permettere di fiatare su Bankitalia dove conoscono i trascorsi dei suoi rapporti con una personcina di nome Geronzi? Ma i sindacati non sono quelli che col governo Monti (ex Goldman Sachs) non hanno fiatato nulla quando quell'esecutivo ha dato l'ok al taglio delle pensioni più sanguinoso della storia?

Dice, ma caspita. VeBa va trasformata in spa perché se sabato non lo fanno i soci, lo farà d'imperio la Bce per il tramite di Bankitalia. Ma se il destino è segnato e se ormai tutto è perso perché si chiede ai piccoli soci di dare il colpo di grazia alla bestia morente? Non potrebbero darlo direttamente lorsignori dell'empireo e da uomini assumersi la responsabilità della mattanza sui piccoli risparmaitori? Non è che hanno capito che nel Veneto le mazzate inferte ai piccoli delle popolari darà il via ad un bagno di sangue sociale e per questo invocano la complicità delle vittime? In pratica ti dicono che mettertelo in culo è obbligatorio, epperò pretendono pure il tuo consenso scritto.

Morale della favola. Sabato il sì alla trasformazione in spa è pressoché scontato. Ma siccome a marzo si vota per la trasformazione in spa di BpVi, che è messa peggio di VeBa, e non ha ancora trovato tutti i compratori finali e non ha ancora finito di rifoderare i suoi bilanci col cartongesso, gli utilizzatori finali delle terga dei veneti, chiedono che la cosa passi senza troppo clamore. E nel segreto dei corridoi fabbricano vaselina da reclamizzare con messaggi a quotidiani unificati. Un po' dispiace, perché sabato il Veneto avrebbe potuto mostrare all'Europa intera di avere i coglioni. Gli autonomisti, i leghisti, i federalisti, i venetisti, gli indipendentisti, i gommisti e pure gli scambisti, invocano da anni il referendum per staccarsi dai diktat dell'Italia.

Sabato hanno a disposizione quello per staccarsi dai diktat della ancora più odiata Bce. E al posto di votare no compatti, per cercare una soluzione alternativa, o quanto meno per non accollarsi la responsabilità del baratro, voteranno sì. In ordine sparso, anzi in ordine sperso. Dimostrando così di non meritare un centimetro quadrato di quella terra meravigliosa che è, o era vista la cementificazione finanziata anche da quelle banche sulla via di Francoforte, il Veneto. Cari veneti e venetisti, a meno di un colpo di reni, finirete schiavi del Reno. Ma è giusto così perché «chi percora se fa il lupo se lo magna» dicono gli abruzzesi. Ci avete messo quarant'anni a costruire una fortuna, ce ne metterete venti per sputtanarvela con la finanza internazionale: la slot machine su cui non tramonta mai il sole. Rammolliti dai schei, dai suv, dalle tv al plasma e dai centri commerciali ora vi rassegnate al nulla, pur di non combattere. Sputi cordiali.

Marco Milioni

P.S. Dice un antico adagio degli amerindi: puoi combattere senza vincere, ma non puoi vincere senza combattere...

domenica 13 dicembre 2015

Popolari venete, ipocrisie e silenzi della stampa mainstream

La vicenda delle popolari venete sta giungendo ad una fase apicale. In un contesto assai critico tra pochi giorni, ovvero il 19 dicembre, i soci di Veneto Banca saranno chiamati ad una drammatica assemblea durante la quale dovranno scegliere, alla grossa, tra trasformare l'istituto in una spa (opzione caldeggiata dall'attuale cda, dai big di Confindustria, dai giornali a loro vicini e da alcune associaizoni dei piccoli azionisti o piccoli soci). O mantenerlo, almeno per alcuni mesi, con l'attuale assetto societario per poi trasformarlo ma dopo avere aperto tutti i cassetti, in modo da coniugare le esigenze dei piccoli risparmiatori con le aspettative dei grandi investitori. Rispetto a tale scenario si possono avere le opinioni più disparate.

Una stampa degna di questo nome, pur mantenendo fede alla linea editoriale di ciascuna testata, dovrebbe dare spazio ad ogni voce. Questo però non sta avvenendo; basti pensare alla geremiade con cui ieri su Il Giornale di Vicenza, Marino Smiderle ha "stampellato" una lettera aperta di Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato ed ex direttore generale di VeBa. Consoli, in soldoni, ha scaricato su altri fattori le magagne dell'istituto, ora nei guai, che lo ha visto signore incontrastato per anni. Sempre nel suo intervento Consoli ben si è guardato dal ricordare le rogne penali che proprio in relazione all'affaire VeBa lo vedono tra i principali indagati. Contestualmente lo stesso Smiderle ben si è guardato dal proporre un approfondimento in tal senso.

Frattanto il tema sul futuro azionario di Veneto Banca rimane bollente. Giovedì a Trevignano in provincia di Treviso, coloro che sostengono a spada tratta il no alla trasformazione in spa si sono trovati in 350 al teatro civico del piccolo comune della Marca. È stata una serata con una presenza di pubblico assai cospicua. Ma se si guarda la copertura data all'evento da parte di stampa e tv e li si mette a confronto con lo spazio fornito alle ragioni del sì, viene da ridere (o da piangere) nel constatare quanto i sì siano supportati dai media mainstream. Se a tutto ciò si aggiunge l'ipocrisia con cui molti, troppi, giornalisti hanno sterilizzato l'iniziativa "anti-banche" di Don Enrico Torta e delle associazioni a lui vicine, cancellando ogni riferimento del prelato e dei suoi compagni di viaggio ad una netta opposizione alla trasformazione sprint di VeBa (e di conseguenza di BpVi), si capisce perché il giornalismo, un certo giornalismo, scodinzolante e quindi cravattaro, finisca per godere di poca stima presso l'opinione pubblica. Chi scrive giovedì ha ripreso (senza nessuna pretesa sul piano tecnico) alcune scene della serata. Queste sono a disposizione di tutti e sono visionabili coolegandosi al link in calce. Chiedo ora ai lettori. Queste immagini le avete viste sulle tv regionali o nazionali. Se le avete viste vi chiedo di indicarmi su quali programmi siano passate. C'è poi un'ultima questione che per i media mainstream rimane un tabù. Ed è quella del valore al quale le azioni delle banche, ormai divenute spa da quotare in borsa, saranno inizialmente collocate sul mercato. Già una semplice disamina sulle sofferenze, gli incagli, i crediti deteriorati, le quote di società terze date in pegno alle banche, e i finanziamenti diretti o indiretti concessi per acquistare azioni proprie, descrivono una realtà dura a digerire per molti. Quella per cui una volta giunte alle soglie della borsa le azioni delle banche, dovranno in qualche modo essere svendute, un po' come è stato fatto per le banche greche all'indomani del diktat europeo sul salvataggio della Grecia. Che poi è stato il salvataggio di alcune banche greche che a loro volta erano indebitate con primari istituti di credito, europei in primis, ma anche americani. Il problema è che se si portano fino alle estreme conseguenze questo ragionamento è chiaro che anche per le popolari venete potrebbe materializzarsi lo spettro del cosiddetto "bail in", ovvero un eventuale salvataggio pagato da azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra il 100mila euro.

Marco Milioni
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domenica 6 dicembre 2015

L'indiscrezione dall'intelligence: due big veneti coinvolti nell'affaire kazako

Due veneti, due importantissimi esponenti del gotha economico politico del Paese, sarebbero stati a conoscenza con un certo anticipo del blitz che nel 2013 portò la polizia italiana a fermare per poi espellere moglie e figlia del banchiere Muxtar Äblyazov. Di più i due oltre ad essere a conoscenza dell'operazione, l'avrebbero «in qualche modo benedetta» anche con l'aiuto di alcuni soggetti legati a doppio filo ai servizi segreti italiani. L'indiscrezione arriva da alcuni ambienti dell'intelligence militare americana di stanza nelle basi Usa-Nato del Veneto. E della cosa sarebbero bene informati anche i servizi americani e russi che operano sotto copertura delle rispettive ambasciate a Roma.

Il tutto peraltro giunge in un momento molto delicato. Non solo per le ulteriori rivelazioni relative al caso di Alma Shalabayeva. Non solo per i ventilati nessi tra il caso kazako e la galassia Eni ai tempi del suo dominus Paolo Scaroni. Ma anche per il cortocircuito giuridico che si sarebbe creato per le conseguenze di quello che Daniele Autieri su Repubblica.it definisce «un atto riparatorio, maldestro tentativo di evitare una crisi diplomatica con il Kazakhstan, innescata dopo la fuga del dissidente Ablyazov». Va ricordato per l'appunto che recentemente le cronache giudiziarie nazionali hanno fatto clamore quando si è appreso, come ricorda sempre Repubblica.it, l'apertura di un fascicolo per sequestro di persona e falso ideologico a carico di undici persone, tra cui l'attuale capo dello Sco (Servizio centrale operativo della Polizia) Renato Cortese e il questore di Rimini, Maurizio Improta.

Ma a che cosa sarebbe dovuto il corto circuito giudiziario? La questione è semplice. Se è vero che l'operazione di «extraordinary rendition» patita dalla Shalabayeva si fosse materializzata per la autonoma iniziativa di pezzi della Polizia di Stato, magari in accordo con organismi emanazione di stati esteri, e senza informare il Viminale, allora ci troveremmo di fronte a un comportamento censurabile non solo con gli articoli del codice penale che sanzionano il sequestro e il falso ideaologico. Ma anche, quanto meno, con la possibile violazione dell'articolo dell'articolo 289 del codice penale (attentato agli organi costituzionali). In questo caso l'eventuale soggetto danneggiato non è la Shalabayeva, bensì il governo nella sua interezza giacché un eventuale comportamento contra legem nel novero di una verifica del titolo di soggiorno delle due donne in Italia, nuocerebbe all'esecutivo sia nell'espletamento delle spettanze garantite agli Interni, ma anche, nel caso di una possibile querelle diplomatica, alla Farnesina. In questo senso uno scenario a tinte fosche lo descrive il deputato Alessandro Di Battista del M5S.

A questo punto si delineano due direttrici. Uno, il governo capitanato dal democratico Matteo Renzi si spinge fino in fondo. Due, il governo rimane in mezzo al guado, anzi alla palude. Nel primo caso sarà costretto a denunciare alla autorità giudiziaria i servitori infedeli. A svolgere accertamenti propri mediante i servizi per accertare responsabilità pregresse, magari di ex manager del Cane a sei zampe. E per ultimo ma non da ultimo, a constatare la inadeguatezza di un ministero degli Interni, che si è fatto menare sotto il naso in ragione di una operazione nemmeno comunicata al numero uno dell'Interno Angelino Alfano di Ncd, meritevole ormai di dimissioni.

Nel secondo caso invece, quello per cui Alfano fosse a conoscenza dell'imminente blitz, il premier dovrebbe almeno come minimo sindacale invitare Alfano a fare le valigie. Renzi però ha bisogno dei centristi e dei loro legami, a Roma come in altre parti d'Italia, per rafforzare il suo potere. L'inquilino di palazzo Chigi potrebbe essere quindi assalito dalla voglia di silenziare tutto. Magari con la sordina del segreto di Stato. E questo avrebbe un riverbero maligno nei confronti della inchiesta attualmente in corso da parte della magistratura requirente. In questo momento poi c'è un contesto internazionale di grande tensione. Tensione che si dispiega anche nei rapporti tra Usa, Italia e Russia, che anche in ragione di quanto sta accadendo in Medio Oriente si sono fatti quanto mai ambigui, quanto mai viscidi.

Marco Milioni