lunedì 24 novembre 2014

La Brebemi si squaglia. E la Spv? Si vedrà

«Poco traffico, Brebemi pensa di restituire la concessione pubblica nelle mani dello Stato». È questo uno dei passaggi salienti di un breve servizio pubblicato il 25 ottobre su Libero a pagina 21. Lo stesso approfondisce così la materia del rapporto tra investimento pubblico e privato: «Inaugurata il 23 luglio scorso, la prima autostrada italiana costruita (sulla carta) con capitale “privato” si è rivelata un flop e chi l'ha costruita ora corre ai ripari. Sono ore frenetiche e Brebemi, come spiega a Libero una fonte vicina al dossier, sta valutando diverse possibilità. Il ventaglio è ampio e una delle carte prevede, come accennato, l'uscita dal casello. Un'uscita dagli effetti complessi. Il progetto è stato finanziato dalle banche e anche con denaro pubblico, visto che 830 milioni di euro sono stati messi sul piatto dalla Cassa depositi e prestiti, il fondo sovrano italiano controllato dal Tesoro. Quando la Cdp si è seduta al tavolo, ha portato in dote pure una garanzia pubblica, dunque più ampia del suo investimento. Senza dimenticare che attraverso la sua controllata Sace, la stessa Cassa copre con un'assicurazione i 700 milioni di finanziamento Bei (Banca europea degli investimenti)».

Il pezzo termina con una chiusa che lascia sul tappetto molti interrogativi: «Paga pantalone, insomma. Quanto? I conti non sono facili. Sta di fatto che, nell'ipotesi di addio di Brebemi, le banche finanziatrici si rifarebbero sulla galassia pubblica per circa 2 miliardi. La questione, raccontano i ben informati, non è sfuggita al premier Matteo Renzi. Il quale avrebbe mostrato un certo disappunto: non tanto per i quattrini in ballo, quanto per ragioni di «immagine» verso l'estero. Renzi, infatti, teme che il flop dell'operazione Brebemi e Cdp possa rappresentare un deterrente per gli investimenti stranieri sui quali il governo punta per rilanciare l'economia».

Ora la domande nasce spontanea. Si tratta dello stesso futuro che attende la Pedemontana Veneta? In merito il commissario alla Spv Silvano Vernizzi ha sempre fornito ampie rassicurazioni, ma sul versante opposto non possono essere sottaciute le critiche alla partita finanziaria in capo alla Spresiano Montecchio Maggiore espresse a più riprese dai comitati che si battono contro l'autostrada.

mercoledì 19 novembre 2014

Una giornata pesante

I media di oggi, sia veneti sia nazionali, pubblicano alcuni articoli niente male che occorrerà ricordare con cura. Il primo è una analisi di Giannantonio Stella sul fallimento del premier democratico Matteo Renzi. Oggetto del contendere? Lo strapotere dei superburocrati. Ne parla il Corsera in prima pagina. Il secondo (Corriere del Veneto, edizione di Vicenza in pagina 2) riguarda il risiko autostradale che è in pieno svolgimento nel Veneto e che ha al centro la Brescia Padova. Il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, sbraita contro l'ipotesi che la società autostradale finisca in mano agli spagnoli. Nel suo esternare si dichiara in piena sintonia con Confindustria, la quale sulle grandi opere è in piena sintonia col Pd (così sostiene il suo segretario regionale Roger De Menech). Tosi per caso ha paura che qualche appalto finisca in mani diverse dalle solite? E la politica che dice? Lega, Fi, Pd, Ncd, M5S capiscono la posta in gioco? Alessandra Moretti, candidata in pectore alla primarie del Pd come prossimo governatore, ne sa qualcosa o lei preferisce parlare del fatto che va dall'estetista? Il terzo articolo riguarda il caso licenziamenti in una fabbrica di Sarego, nel Vicentino. La fabbrica del gruppo Salvagnini ha i bilanci in ordine, ma vuole lo stesso procedere coi licenziamenti. I sindacati protestano e annunciano uno sciopero (Corriere del Veneto, edizione di Vicenza, pagina 13). Roberto Castiglion, sindaco di Sarego in quota M5S, perché non si pronuncia pubblicamente a favore dei lavoratori azzannando alla gola la dirigenza della società e auspicando iniziative del M5S a livello parlamentare? Sempre oggi Il Fatto rende nota una vicenda massonica potenzialmente esplosiva. Quella del libro pubblicato da Chiarelettere (domani in libreria) in cui si punta l'indice su una serie di potentissime logge internazionali di cui farebbero parte politici, uomini d'affari e industriali. Nel pezzo de Il Fatto (pagina 2) si leggono nomi del calibro di Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi (aspirante fratello), Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan, Massimo D’Alema, Gianfelice Rocca, Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi, Marta Dassù, Corrado Passera, Ignazio Visco, Enrico Tommaso Cucchiani, Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe, Vittorio Grilli, Giampaolo Di Paola, Federica Guidi, Silvio Berlusconi. Mi aspetterei un bombardamento da parte di un certo mondo antagonista. E invece nulla. In ultimo va segnalato un post pubblicato ieri l'altro su Beppegrillo.it. Il leader del M5S fa bene a sollevare una questione, già nota per altro, sulle relazioni pericolose tra giornalisti europei, gotha politico tedesco e servizi americani. Ma perché non chiede ai suoi di andare a fare casino davanti l'Ordine dei giornalisti, per esempio? O perché non investe della cosa il Copasir visto che di interessenze tra servizi e stampa noi italiani (ve lo ricordate il caso Betulla) non ce la caviamo male? In ultimo mi viene una considerazione più generale? Quanti cosiddetti teorici del complotto hanno accusato Il Fatto di trascurare il tema dei grandi legami internazionali occulti. Adesso che il cuore del problema viene centrato come mai nessuno aveva fatto che diranno? Che è comunque una operazione orchestrata da qualcuno che sta ancora più in alto e magari per fini cattivi e inconoscibili?

Marco Milioni