venerdì 11 dicembre 2020

Decessi ai tempi del Covid? Ad Arzignano l'aumento è del 30%



Oggi Vicenzatoday.it pubblica un servizio in cui si dà conto di tassi di mortalità record ai tempi del coronavirus nella città di Arzignano. Non si tratta di ricostruzioni peraltro perché l'annuncio arriva direttamente dalla giunta comunale lo studio peraltro è statistico e non epidemiologico peraltro. In passato si era detto a più riprese quanto grave fosse la situazione nell'Ovest vicentino. Per chi ha orecchie per intendere il messaggio lanciato dal sindaco alla Regione, all'Ulss, ai vertici delle case di cura e soprattutto alle associazioni datoriali (perché le imprese sono uno dei maggiori focolai anche se dire una cosa del genere per molti è antipatico) è eloquente benché non esplicitato. Ora bisognerà capire se i sindaci del comprensorio avranno la forza e la voglia rendere pubblici i prospetti statistici che le loro amministrazioni hanno elaborato: sempre che l'abbiano fatto. Come ebbi a scrivere più volte l'Ovest vicentino, se non si inverte la tendenza, rischia di essere la nuova Valseriana del Nordest: sempre che non lo sia già...

lunedì 7 dicembre 2020

Test rapido «falso negativo»: un anestesista padovano mette Zaia sulla graticola



Vincenzo Pietrantonio, un anestesista molto noto ai colleghi in forza all'Ospedale di Padova nonché al 118 della città del Santo, ieri sulla sua bacheca Facebook ha raccontato di un probabile falso negativo al test rapido per il Covid-19, un falso negativo poi rivelatosi positivo al virus. Nella storia di questi giorni, che sui social network sta spopolando, c'è però un dettaglio non da poco. Il falso negativo al test è risultato proprio il medico, il quale ha puntato l'indice sul governatore Luca Zaia (da tempo alfiere dei test rapidi). E la cronistoria messa nero su bianco da Pietrantonio parla da sola: «Giovedì 3 dicembre 2020 vengo sottoposto a tampone rapido antigenico, nell'ambito del sistema di screening reparti, esito: negativo. Venerdì 4 dicembre, a meno di 24 ore di distanza, vengo sottoposto a tampone molecolare nell’ambito di una diagnostica di routine per motivi personali. Domenica 6 dicembre ore 9:27 la Medicina Preventiva mi comunica l'esito positivo del tampone molecolare. La domanda sorge spontanea: a che serve lo screening di reparto fatto con il tampone rapido visto l'evidente falso negativo?».

Appresso c'è un quesito indirizzato al governatore veneto Luca Zaia: «Una seconda domanda è: presidente... Zaia su che base scientifica ha deciso di adottare i test rapidi per lo screening del personale sanitario? In particolare lo ritiene sufficiente anche per chi lavora in prima linea come me presso il servizio di urgenza ed emergenza medica Suem-118... e non solo...?».

E il j'accuse prosegue: «Ho utilizzato, come del resto tutti i colleghi, i dispositivi di protezione personale, i cosiddetti Dpi, anche, forse, eccedendo nel loro utilizzo, ma mi ritrovo positivo, non che questo sia una sua colpa presidente Zaia, ma potrebbe essere che io sia positivo dal penultimo test rapido fatto il 26 novembre risultato negativo». Poi si legge: «dal 26 novembre ho lavorato, seppure indossando i Dpi prescritti, e ho soccorso pazienti no-Covid, pazienti Covid, accertati dispnoici, ho fatto più di una constatazione di decesso su Covid accertati e Covid sospetti, ho interagito con colleghi  ed infermieri...  per non parlare dei familiari... entrambi grandi anziani... che vivono con me».

E la riflessione termina poco dopo: «Come ebbi a dire a marzo, quando i Dpi erano centellinati e non esisteva nessun percorso precostituito vista la completa assenza di un programmazione, sia nazionale che regionale in caso di pandemia, mi sento un vuoto a perdere...».

mercoledì 25 novembre 2020

Il reato di diffamazione va abolito: è il preambolo della censura


È di queste ore la notizia della sentenza di condanna per diffamazione rimediata da Paolo Mocavero, volto storico di Centopercentoanimalisti, dopo che l'attivista era stato querelato dall'ex calciatore Roberto Baggio. Al di là del fatto che la condanna appare incomprensibile perché le frasi di Mocavero non hanno in alcun modo travalicato la sfera penale. Ma al di là della questione giuridica la cosa scandalosa è che nel 2020 esista ancora il reato di diffamazione e soprattutto è ancor più scandaloso che qualcuno possa citare in sede civile chicchessia per diffamazione. Bisogna una volta per tutte rompere il giocattolo del reato di diffamazione (o delle azioni civili ad essa collegate), una delle armi più misere e meschine al contempo con cui il potere tiene a bada il dissenso. Alle idee e alle opinioni non può essere posto alcun limite, mai. Il resto è fuffa o dittatura.

domenica 22 novembre 2020

Le «liaisons incroyables» tra Zaia e il Ministero della salute

Oggi 22 novembre 2020 l'Espresso, da pagina 30 a pagina 40, pubblica una serie di approfondimenti assai interessanti in tema di sanità ai tempi del coronavirus. Alcuni dei temi trattati riguardano le «liaisons incroyables» tra il Ministero della salute, i vertici politici della Regione Veneto (in primis il governatore Luca Zaia), quelli della Regione Emilia. In una delle inchieste de l'Espresso si parla anche del vicentino Domenico Mantoan, già direttore generale della sanità veneta. Sempre una testata del gruppo Espresso (La Nuova Venezia) alcuni giorni fa ha parlato di un altro big della sanità veneta. Si tratta di Giorgio Palù, che ora siede sullo scanno più alto dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco.

sabato 21 novembre 2020

Caso Morra: quando la mala-fede abbonda



Non c'è nulla di scandaloso nelle frasi proferite da Nicola Morra sull'ex governatore della Calabria Jole Santelli. E male, anzi malissimo, ha fatto lo stesso Morra, ad abbozzare una sorta di scusa. Coloro che lo hanno criticato o sono in mala fede (magari perché intendono in qualche modo preservare il sistema sanitario calabrese dallo scandalo che tra massoneria deviata e 'ndrangheta che da sempre lo investe) o perché non capiscono una emerita fava. Il politico che non tiene nel dovuto conto il suo stato di salute, pur nella umana comprensione della cosa, deve essere criticato. Il che vale anche per chi lo sostiene. Viene da ridere poi leggendo le invocazioni alla pietas di certi detrattori del politically correct (giornalisti inclusi), molti dei quali a destra, che di solito si scagliano contro questo atteggiamento. Farebbero pena se, intellettualmente parlando, non fossero dei disonesti... Verrebbe da dire che i difensori della Calabria hanno toppato ancora.

mercoledì 11 novembre 2020

Il voto regionale e «la deriva del M5S»

Sono passate diverse settimane dalla conclusione della partita delle elezioni regionali ed ora a freddo è possibile tracciare un affresco più nitido delle dinamiche che hanno sotteso al voto. Per il bassanese Francesco Celotto, già candidato per il M5S, che negli anni ha abbandonato la politica e pure l'Italia preferendole la Spagna, «in generale si assiste ad un arretramento della Lega, incapace di sfondare in regioni come Toscana e Puglia». Anche dove la coalizione di centrodestra vince la Lega si assesta su percentuali uguali o addirittura inferiori al risultato delle Europee 2019 dando spazio ad un significativo incremento nei consensi a Fratelli d'Italia, soprattutto nelle Marche, ma anche in Puglia. Forza Italia si riduce un pò dappertutto. Per Celotto il vero vincitore delle elezioni è il Pd che mantiene la Puglia, la Toscana e stravince con De Luca in Campania. Il M5S, come da tradizione, soffre a livello locale ma questa volta accentua la caduta, sparendo de facto in Veneto, dove i voti di fatto eguagliano quelli delle regionali del 2010, quando si presentò per la prima volta. In Veneto di contro non vince la Lega, che si ferma ad un modesto 15% circa, ma il governatore uscente Zaia che triplica con la sua lista i voti del suo partito arrivando ad oltre il 45%.

Ne deriva che «il voto regionale ovviamente rinforza il governo che diventa sempre di più a trazione piddina con i grillini che faranno di tutto per non andare al voto prima della scadenza naturale ovvero marzo 2023». Celotto poi aggiunge che «questo governo resisterà fino ad allora se pensiamo che ci sono de gestire dei dossier pesanti come la nuova legge elettorale, che dovrà ovviamente tenere conto del ridotto numero di parlamentari ridisegnando i collegi, e soprattutto i soldi provenienti dal Recovery fund pari a 209 miliardi di euro». Si tratta di tanti soldi «che spero non si tramuteranno nelle solite mance a pioggia in chiave elettorale», ma in tal senso l'ex attivista dei Cinque stelle di si dice poco fiducioso.

Se la situazione economica si aggraverà sensibilmente e magari si prospetterà una patrimoniale il Pd potrebbe pensare di lasciare spazio ad un esecutivo tecnico a guida Draghi o Cottarelli?
«Potrebbe darsi, ma non credo che ciò accadrà. Vedo però che attorno all'ex governatore della banca d'Italia Mario Draghi e attorno all'economista Carlo Cottarelli stanno prendendo corpo diverse manovre: magari qualcosa potrebbe bollire in pentola per quello che potrebbe accadere una volta scaduta la legislatura». 

Gettando lo sguardo verso ciascun partito come può essere interpretato il voto in proiezione delle politiche?
«Il Pd esce sicuramente rafforzato mentre la Lega continua a perdere consensi rispetto alle Europee 2019. Il progetto di partito nazionale del leader del Carroccio Matteo Salvini sta dimostrando seri limiti e anche al Nord hanno vinto le liste dei governatori più che quelle della Lega. Lo stesso Salvini con l'arrivo Covid e dopo aver fatto cadere il governo scommettendo in maniera azzardata sulle elezioni anticipate ha perso senz'altro spinta. Parlare di barconi e migranti non paga più e la sua strategia politica si sta dimostrando sbagliata. La Lega sta cercando di avvicinarsi a posizioni europeiste e in questo vedo l'emergere di figure politicamente più rassicuranti per l'establishment come quella dell'ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti e come quella del governatoe leghista del Veneto Luca Zaia che comincia ad avere un certo appeal, per me non meritato, in diversi ambienti della intellighenzia di centrosinistra».

Col voto regionale il Pd allontana da sé stesso ipotesi di congresso?
«Sì».

E perché?
«Perché si rafforza il peso del segretario Nicola Zingaretti. In ogni caso se il segretario e il suo partito non sapranno gestire efficacemente il dossier recovery fund credo che il democratici pagheranno un certo prezzo. Per ora però comunque vedo un inverno e primavera di stabilità in casa piddina».

E in casa di Fdi che c osa succede?
«Fdi sta incalzando non solo il M5S ma pure la Lega. Il segretario di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni esce rafforzata dal voto e potrebbe seriamente insidiare la leadership della destra ad un appannato Salvini, anche perchè non ha il problema delle spinte autonomiste che provengono da certe regioni del Nord, Veneto in testa. In questo la Meloni è avvantaggiata dal fatto che il M5S ha ormai perso qualsiasi spinta riformistica e si limita a gestire il potere. Motivo per cui gli scontenti, soprattutto quelli che non hanno un retrotorra ecologista potranno facilmente confluire in una protesta di destra che la Meloni ha già cominciato a intercettare in mille modi».

Sul piano organizzativo che cosa succede in seno al M5S?
«Nei territori da anni ormai non esiste più una rete di attivismo che pure era stata abbozzata a partire dal 2012-2013. Il movimento ha deciso consapevolmente di smantellare la rete dei meetup e di prescindere dagli attivisti. I pochi rimasti sono in gran parte fanatici di scarso livello intellettuale e senza alcuna competenza o capacità propositiva. Ormai è un partito accentrato e gestito come anzi, peggio, di un partito tradizionale, da una segreteria politica occulta».

Ovvero?
«Si tratta di un gruppo di persone non ha ovviamente alcun interesse di andare al voto perchè sa benissimo che perderebbero prebende e careghe. Per cui arriverà a qualsiasi compromesso pur di mantenere il potere e il governo, cedendo a qualsiasi ricatto del Pd, che, ricordo, in Italia è il vero erede della Dc. Si tratta del partito depositario del vero potere politico. Alla fine che si faccia una legge elettorale maggioritaria o proporzionale M5S non raccoglierà più del 10-15% dei voti e diventerà di fatto una gamba del Pd. Credo che alla fine verrà approvata una legge elettorale maggioritaria che farà comodo pure al Pd e con essa M5S verrà completamente riassorbito nel sistema».

Il M5S potrebbe fare la fine dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro?
«Credo proprio di sì. Quello del M5S, quello cui anche io aderii, si presentava come un grande progetto, almeno sulla carta».

E poi?
«Si è trattato però di un progetto gestito male e nato probabilmente per fini che avevano poco a che fare con quello cui tutti all'inizio ingenuamente pensavamo».  

Il Veneto ha distillato due casi. Uno Zaia ormai doge assoluto e un M5S che da cinque consiglieri se va bene ne farà uno. Per quale motivo?
«Zaia ha saputo intercettare il sentiment del veneto medio: è stato mediaticamente efficace e il sistema dei media regionali gli ha dato una spazio inimmaginabile e senza contraddittorio vero. Il presidente della giunta regionale poi ha abilmente usato il Covid-19 a suo vantaggio, come è capitato al governatore democratico della Campania Vicenzo De Luca tanto per fare un esempio. Così Zaia è apparso per i più distratti, che sono una pletora, come quello che ha applicato una delle migliori strategie per contenere la pandemia. I fatti di questi giorni e le denunce del prestigioso virologo dell'Univrsità di Padova Andrea Crisanti dimostrano che non è proprio tutto vero anzi. La vicenda della mancata implementazione della app Immuni non attivata dalla regione Veneto dimostra che la azione della giunta Zaia non è stata poi così efficace ma, si sa, il popolo pensa molte volte con la panza e meno con la testa».

Vale a dire?
«Vale a dire  Zaia è molto abile a smuovere la panza e sa parlare ai veneti comunicando loro un mantra apprezzatissimo. Con me potete continuare a fare ciò che avete sempre fatto, ossia gli affari vostri. Eppure Zaia è attaccabilissimo».

Per esempio?
«Pensiamo allo scandalo del Mose che ad oggi non è ancora pienamente funzionante, nonostante i tanti miliardi spesi. Chi volle il Mose e costrui il sistema delle grandi opere è stata, a livello veneto, la giunta dell'ex governatore azzurro Giancarlo Galan di cui il buon Zaia era vice nella giunta del 2005. Per cui il leghista conosceva quei meccanismi o se non li conosceva e non si accorse delle porcate che si stavano facendo era distratto. Colpa molto grave per un governante».

Più in generale?
«In generale la giunta Zaia racconta molte cose che nella realtà non esistono: una sanità eccellente che tale non è, il Covid-19 e le proteste attorno ai project financing sanitari lo dimostrano. Di più, il governatore ama passare per l'alfiere di un Veneto che difende il verde e riduce il consumo del suolo. Il che è una balla dato che il Veneto anche in questi anni ha autorizzato un aumento del consumo risultando  la seconda regione, dopo la Lombardia, in tale ambito con una soglia vicina ormai al 50% di suolo cementificato in pianura. E potrei continuare ore se volessi».

E al M5S nel Veneto che cosa è capitato?
«È sparito. Semplicemente perché si è appiattito prestissimo sulle posizioni della Lega dimenticandosi che nel 2015 aveva avuto dagli elettori il mandato per far saltare il banco rispetto al consociativismo in atto tra centrodestra e centrosinistra. E invece i Cinque stelle hanno proseguito su questa strada, basti pensare alla vergogna della commissione regionale sul caso Pfas».

Hanno portato avanti una opposizone di facciata?
«Mi pare evidente. Si sono comportati come il Pd veneto nel quale, come nel M5S, non mancano le eccezioni, come ci insegna il bravo consigliere dem Andrea Zanoni».

Negli anni nelle mani di quale gruppo dirigente è stato il M5S del Veneto. Si può usare questa espressione?
«Sì si può adoperare. Nel Veneto il gruppo dirigente, chiamiamolo così, del M5S venne accuratamente selezionato dallo scomparso Gianroberto Casaleggio e da Beppe Grillo.Tale gruppo faceva riferimento principalmente a David Borrelli. Ex consigliere comunale a Treviso, ex europarlamentare poi staccatosi dal M5S per questioni di gestione di potere non certo per ragioni ideologiche, tutti abbiamo potuto assistere alla sua ingloriosa parabola. Poi c'era l'ex capogruppo in consiglio regionale Jacopo Berti. E per ultimo ma non da ultimo l'oggi ministro ai raporti con il parlamento il bellunese  Federico D'Incà: un uomo con tutti i tratti politici della furbizia dorotea. Questi personaggi hanno badato solo ai loro interessi e a quelli dei gruppi che rappresentavano ma, di fatto, consapevolmente o meno, hanno distrutto la identità del movimento».

In che modo?
«Molte battaglie identitarie sono state lasciate cadere e mai in regione si sono fatti fortemente sentire per battersi contro le politiche della giunta Zaia: basti pensare alla battaglia contro le grandi opere che avevamo iniziato con il gruppo da me fondato già nel 2013. Non cito nemmeno quanto è stato fatto, anzi non è stato fatto a livello regionale e nazionale, dove il M5S è nella maggioranza alle camere, in tema di Superstrada pedemontana veneta. Non dico null'altro non perché non voglia infierire sui miei ex compagni di strada, che lo meriterebbero in primis per la loro inadeguatezza: ma perché non vorrei risultare noioso».

E perciò che è successo alla fine della fiera?
«Senza identità, senza candidati di livello,senza struttura e senza attivisti è ovvio che M5S in Veneto è stato cancellato. Il risultato elettorale è solo la conseguenza delle sciagurate politiche portate avanti da personaggi mediocri il cui ultimo interesse, per incapacità o per opportunismo, è stato quello di promuovere una alternativa non credibile alle politiche della giunta Zaia. Il quale ora potrà dormire sonni tranquilli fino al 2025».

Ma rimanendo al cosiddetto gruppo dirigente del M5S che cosa è successo nel movimento veneto a partire dalle regionali del 2015? Che cosa rappresentarono Borelli e Colomban per la traiettoria dei Cinque stelle?
«Posso dire che il connubio del M5S con Colomban e la sua associazione Confapri, che ha sede nel lussuoso castello di Cison di Valmarino, è stato sin dall'inizio sbagliato. Massimo Colomban, un brillante imprenditore trevigiano, ha usato il M5S per portare avanti le sue idee iperliberiste in forza delle quali pensava di rilanciare il Paese. Il M5S lo ha usato a sua volta per avere entrature importanti nella stanza dei bottoni viste le frequentazioni alto di gamma del Colomban. Non so se Borrelli o altri elementi di spicco, mi fa ridere usare questo termine peraltro, del M5S abbiano ricevuto o meno direttamente dei favori da Confapri. Ma c'è un ma».

Quale ma?
«Certamente non è un buon segnale quando una associazione di imprenditori di alto livello ha tra i soci fondatori il luogotenente di Grillo in Veneto ovvero Borrelli, lo stesso Grillo, Casaleggio senior e l'oggi capo politico ad interim Vito Crimi».

Se ne ricava che?
«Se ne ricava che si può sospettare che Colomban e la Confapri abbiano pesantemente condizionato con il placet di Grillo e Casaleggio, fin dall'inizio, la traiettoria del movimento in Veneto, schiacciandolo fin dagli albori su posizioni filoleghiste. Da qui, come dicevo sopra, la decisione di promuovere alla guida del M5S Veneto personaggi di natura non certo antisistema come Borelli, Berti, D'Incà».

È legittimo avere il sospetto che qualcuno in alto loco abbia voluto colonizzare il M5S per scopi diversi da quelli relativi alla missione politica del movimento?
«Diciamola tutta con franchezza. Fin dalla nascita e lo posso dire perché ci passai direttamente, il movimento in Veneto è stato infiltrato da elementi che poco avevano a che fare con la cultura identitaria dello stesso. Con la chiara complicità di Grillo e Casaleggio. Portandolo alla debacle elettorale e alla sua, di fatto, scomparsa nel 2020».

Facendo un salto a ritroso nel tempo nel M5S di dieci anni si percepiva qualche cosa che in qualche modo faceva riflettere su che cosa sarebbe potuto capitare in futuro?
«Già dai primi mesi di frequentazione del M5S, era l'autunno del 2010, ebbi la netta percezione di come che dentro al M5S esistesse una struttura di comando ben precisa, poco trasparente e soprattutto non visibile all 'esterno».

Ossia?
«La Casaleggio e associati, oggi in aperta rottura con il gruppo parlamentare M5S per questioni sostanzialmente economiche e non  certo ideologiche, ha sempre avuto una struttura dedicata al M5S chiamata orwellianamente lo staff. Del quale non ho mai saputo chi fossero davvero i componenti, né tantomeno come questi prendessero le decisioni. Questa opacissima struttura certificava le liste comunali e gestiva le famose parlamentarie ovvero il processo di selezione dei candidati per le elezioni nazionali il cui esordio fu nel 2013. Orbene io non ho mai saputo in base a quali parametri dessero l'ok a una lista o meno e soprattutto mai sono stati certificati da enti terzi i risultati delle parlamentarie. Più in generale tutta la struttura della Casaleggio a supporto del M5S è sempre stata tenuta a debita distanza dalla base e nota solo ad alcuni attivisti cari a Casaleggio e a Grillo».

Ma come andavano le cose nel M5S nel Veneto di una decina di anni fa?
«In quegli anni nel Veneto la faceva da padrone David Borrelli, informatico, ex pizzaiolo. Il cui unico vero merito è quello di essere stato il primo consigliere comunale d'Italia del M5S nel 2008 eletto a Treviso. Appresso Borrelli venne candidato direttamente su ordine di Grillo alla presidenza della Regione Veneto e risultò non eletto per pochi voti. Da sempre nel M5S Veneto e suppongo pure altrove, è esistita una catena di comando non ufficiale. In Veneto il capo politico è sempre stato Borrelli, nominato poi ufficiale di collegamento con gli industriali, Confapri in testa come detto sopra. Sul territorio esistevano i meetup, i circoli, che in qualche modo erano dipinti come la spina dorsale, la base democratica del movimento».

E di fatto che cosa erano?
«Di fatto erano i capi occulti che gestivano il rapporto con lo Staff nonché con Casaleggio e con Grillo. I personaggi come Borrelli avevano un accesso diretto ai due veri capi della organizzazione ovvero Grillo e Casaleggio. Punto. Quanto accaduto al gruppo grandi opere è eloquente in questo senso».

Come mai?
«Io in seno al M5S regionale creai il gruppo grandi opere uno dei pochi davvero attivi, che elaborò documenti e proposte organizzando varie attività sul territorio. Volevamo dire la nostra, tra le altre, sulla Superstrada pedemontana veneta e su altre mostruosità che la Regione Vento aveva a cuore».

Nell'ambito della vostra attività veniste mai appoggiati da Borrelli?
«No. Mai una volta che Borrelli ci avesse appoggiato o che avesse apprezzato il nostro operato. Io da buon rompiballe entrai in rotta di collisione col M5S già dopo le elezioni politiche del 2013 finendo gradualmente ai margini e infine espulso a settembre 2014».

Con quale stato d'animo avvenne tale separazione?
«Fin da subito mi resi conto che la pattuglia di eletti in parlamento non stava facendo quello per cui era stata eletta e soprattutto che nella stragrande maggioranza dei casi, con il chiaro placet di Grillo e Casaleggio, era stata promossa quella che un brillante, poi espulso, consigliere M5S del veneziano definì la lobby dei mediocri. Una lobby di gente di basso livello culturale anche se laureata, fedele ai capi che magari faceva qualche cosa ad effetto come la pagliacciata di andare su un tetto, ma che poi concretamente non proponeva nulla. E soprattutto non metteva in discussione la totale assenza di democrazia nel movimento. Casaleggio se andiamo a vedere la sua carriera manageriale non certo brillante, ricordo che portò in cattive acque una azienda del gruppo Telecom negli anni '90, da sempre ha promosso e privilegiato gente giovane».

Il che sembra essere una buona cosa. Il ricambio generazionale non è spesso invocato a destra e a manca?
«Certo ma bisogna vedere come si coltiva questa ambizione. Credo che sia più facile plasmare un giovane e influenzarlo che non una persona matura con una sua testa e un suo preciso modo di vedere le cose. In questo senso Casaleggio senior è stato, ahimè in peggio, il vero deus ex machina del M5S: struttura di comando occulta, selezione in base alla fedeltà, processi decisionali opachi, democrazia eterodiretta, manipolazione degli strumenti della supposta democrazia diretta. Dire che nel M5S il motto fosse uno vale uno è sempre stato solo uno slogan buono per accalappiare gli ingenui ma assolutamente non corrispondente al vero. Nel M5S, la cui deriva oggigiorno fa male a chi credette nel progetto, fin dalle origini è esistito un cerchio magico fedele ai due capi. Gli altri non hanno mai contato nulla».

Oggi però il M5S sembra altra cosa. O no?
«Negli anni con la scusa della non struttura, del non statuto, del non partito certi soloni da strapazzo nel buio delle loro stanze, hanno solo promosso una lobby di mediocri funzionali ai loro interessi. O a quelli di coloro che hanno ideato la nascita di questo strano giocattolo che si autodefiniva democratico. Mai c'è stata la volontà reale di promuovere una diversa cultura, di fare del M5S una organizzazione rivoluzionaria nel senso alto del termine».

E alla fine?
«Alla fine mi sono fatto l'idea che il M5S nacque proprio con lo scopo ben preciso, dettato forse da certi ambienti americani, di incanalare su un terreno pacifico il malcontento popolare. Costoro ci sono riusciti molto bene: con il risultato però di trasformare M5S in uno zombie destinato alla estinzione. Ambienti, non solo americani per vero sia chiaro, che manovrano quando possono un bel pezzo dell'arco costituzionale e non. Siamo pur sempre un Paese che ha perso, e male, la Seconda guerra mondiale».

Sì, però il M5S non viene accusato di essere troppo bonario con la Cina?
«Appunto, per per quello ho detto non solo americani. Noi italiani abbiamo questa capacità di servire più padroni che sembra accompagnarci da secoli. Un tempo non si diceva che sia Franza che sia Spagna basta che se magna?».

Marco Milioni

domenica 20 settembre 2020

Indennizzi bancari? Doccia fredda in arrivo per i risparmiatori delle ex popolari venete

(m.m.) In data odierna riceviamo da Francesco Celotto, già vicepresidente della associazione Soci banche popolari venete e pubblichiamo integralmente...

Domenica 20 settembre 2020

Nelle ultime settimane noto che sta montando una grande polemica per la mancata erogazione dei risarcimenti a favore dei risparmiatori o soci soci traditi che dir si voglia delle due ex popolari venete ovvero Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza. Il Fir (Fondo indennizzo risparmiatori) prevedeva infatti che entro metà giugno i soci delle due ex popolari venete, ora risolte, presentassero le domande e che entro tre mesi una volta esaminate le domande fosse stabilito l'ordine  e l'ammontare dei risarcimenti stessi. 

Nulla di questo è avvenuto anzi pare che le domande esaminate siano state solo 780 a fronte di oltre 144200 domande presentate. È evidente che se la commissione indipendente incaricata dalla legge di vagliare le richieste, i membri della quale sono professionisti profumatamente pagati, continua con questo ritmo impiegherà qualche decennio per esaminare tutte le domande. Senza contare che l'esame della commissione non significa il pagamento del risarcimento stesso. In tempi non sospetti espressi un convincimento preciso quando dichiarai che noi risparmiatori avremmo visto nel migliore delle ipotesi briciole, nonostante le promesse da marinaio dei vari esponenti del governo che tenne a battesimo il varo del far, si tratta del governo retto da Lega nord e M5S.
  
Ricordo che Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i leader dei due partiti, vennero a Vicenza nell'inverno del 2018 promettendo che il risarcimento sarebbe avvenuto ad horas. Cosa che puntualmente non avvenne. Ora a parte la questione delle lungaggini relative al vaglio delle domande, una seconda domanda va posta all'attuale esecutivo retto dal premier Giuseppe Conte e a quei ministri come il bellunese Federico D'Incà (titolare del dicastero ai rapporti col parlamento) i quali avevano promesso promesso che tutto sarebbe stato risolto in breve tempo: quanti soldi ci sono davvero nel Fir?

Stando alle vecchie informazioni che circolavano a margine della creazione dello stesso fondo, che è parte integrante d'una legge finanziaria non dimentichiamolo, Fir dovrebbe aver avuto una dotazione a partire dal 2019 pari a circa 300 milioni proveniente dai cosiddetti conti dormienti. Lo stesso fondo sarebbe dovuto essere rimpinguato di anno in anno dal 2020 fino al 2022 fino ad un ammontare massimo di 1,5 miliardi circa. Ad oggi quindi se la matematica non è una opinione il fondo dovrebbe avere una dotazione non inferiore a 600 milioni, una cifra non disprezzabile. Lontana dal pieno risarcimento ma in grado forse di coprire il 30% massimo promesso dal governo: il 95% nel caso di possessori di bond subordinati.

Ad ogni modo 600 milioni significano un risarcimento medio pari, alla grossa, a quattromila euro a risparmiatore. Ora davvero il Fir ha una dotazione pari a 600 milioni? Io non credo, anche a causa della disastrata situazione delle finanze pubbliche, aggravata dalla pandemia che ha obbligato il governo a utilizzare tutti i fondi a disposizione per dare ossigeno a imprese, partite iva e famiglie.

Va poi ribadito per l'ennesima volta che l'affaire delle lungaggini relative al vaglio delle richieste di ristoro altro non è che una manfrina, meglio una cortina fumogena, per coprire il vero problema ovvero la dotazione quasi inesistente del Fir. Chiedo al governo Conte che almeno nel corso di quest'anno dia corso al pagamento dei casi più delicati tra quelli pervenuti, privilegiando le domande presentate da persone anziane, penso agli over 70, e con bassi redditi, non oltre 20.000 euro. Questi sono i casi che hanno bisogno di pronte risposte.

In quanto al resto credo, come dissi già nel corso di interventi sulla stampa nel 2019, che vedremo di fatto il nulla o quasi. La pandemia da Covid-19 ha ahimè fatto passare in secondo piano la questione delle ex popolari venete e dei cosiddetti soci trombati. Questa vicenda pertanto vicenda si avvia all'oblio anche per colpa della pessima gestione che ne hanno fatto le varie associazioni nate in questi anni a difesa dei soci: alcune politicizzate e nate come possibili trampolini di lancio di carriere politiche poi abortite, altre nate per soddisfare gli appetiti di voraci avvocati, altre per raccogliere tessere e rimpinguare le casse.

Poche, pochissime nate davvero per difendere gli interessi di noi soci. Io quando ebbi a ricoprire la carica di vicepresidente della Associazione soci banche popolari venete mi sono prodigato per fare qualcosa di positivo in questo mare magnum senza alcuna ambizione particolare che non fosse la difesa dei risparmiatori ma mi sono ritrovato spesso solo. Il fronte delle associazioni non è mai stato coeso anzi, e questo ha reso tutto più difficile, rimborsi inclusi.

Sempre in tempi non sospetti consigliai ai tanti risparmiatori che me lo chiesero di accettare il risarcimento del 15% proposto nel 2015 da VeBa e BpVi perchè meglio pochi ma subito che tanti e mai ebbi a dire in maniera un po' rustica. Qualcuno mi rispose meglio aspettare perchè sacerdoti urlanti promettevano risarcimenti alti e a tutti. Mi riferisco in particolare al coordinamento associazioni don Torta il cui presidente Andrea Arman tentò, trombato, anche di farsi eleggere deputato in quota M5S nel 2018. Vediamo ora come andrà a finire perché mancano davvero pochi giorni alla scadenza del 30 settembre, data in cui i ristori dovrebbero già essere tutti nelle tasche dei cosiddetti azionisti sbancati.

In quanto al Veneto mi preme dire che vorrei che il riconfermato governatore del Carroccio Luca Zaia e soprattutto la Lega si battessero davvero per realizzare l'autonomia. Nel 2017 abbiamo votato sì al referendum in maniera schiacciante ma nulla è successo  e non mi pare francamente che la Lega e Zaia si siano battuti con forza per questo.

La lega a trazione salviniana d'altra parte da fatica a battersi per il Nord date le ambizioni del suo leader per trasformarla in un partito nazionale rompendo con la Lega padana di bossiana memoria. L'autonomia, se attuata in modo cristallino e giudizioso e senza fare strame dei controlli che impediscono gli abusi, è uno dei pochi fattori che potrebbe consentire al Veneto ci consentirebbe davvero di rimettere un po di soldi dentro alle tasche vessate dei contribuenti veneti. Tuttavia non vedo in questa tornata elettorale partiti che abbiano portato avanti degnamente il tema dell'autonomia.

Servirebbe sul serio un vero partito dei veneti non la insignificante e marginale rappresentanza politica portata avanti dal furbo ed egocentrico Antonio Guadagnini. Ora non ci resta che aspettare di capire quanta parte del recovery fund arriverà al Veneto, sperando che non siano  buttati nelle solite grandi e inutili opere sponsorizzate dai poteri costituiti e tanto amate dal governatore Zaia.

Servirebbero soldi per la messa in sicurezza del territorio, disastrato ogni anno da inondazioni ed eventi estremi. Ma non credo che questa classe dirigente veneta abbia la capacità per discostarsi dal solito vecchio modello di sviluppo fatto da cemento a gogo attorno al quale ruotano gli appetiti famelici dei nostri imprenditori e anche di qualche organizzazione mafiosa non certo estranea a frequentare e investire in un Veneto felix solo di facciata Veneto.

Il recovery fund rappresenta forse la ultima possibilità per invertire la rotta, tentare di rilanciare il il Veneto e il paese ma temo che come al solito verrà sprecata. L'Europa (che ho bastonato a lungo per vari motivi) stavolta non ci darà una seconda possibilità e dopo questo un bel governo tecnico si incaricherà di tagliare sanità, pensioni, scuola e oltre magari introducendo una bella patrimoniale. Purtroppo ciascun Paese ha i governati che si merita.

Francesco Celotto

mercoledì 16 settembre 2020

Coca e stupro di gruppo a Trissino, chiesti quarant'anni per gli accusati

«Quarant'anni di carcere per i presunti responsabili dello stupro di gruppo di una ragazzina di quindici anni». Ieri pomeriggio, il pubblico ministero Cristina Carunchio ha chiesto quattordici anni di reclusione per Elisa Faggion, 32 anni, residente a Trissino, e per l'immigrato marocchino Zahir Es Sadouki, di 29 anni, e altri 12 anni di cella per il terzo imputato, pure lui marocchino, Nadir El Fettach, di 28. La sentenza «del giudice Barbara Maria Trenti» è attesa al termine della prossima udienza, fissata per il 29 settembre. È quanto scrive oggi 16 settembre Il giornale di Vicenza in un servizio a firma di Valentino Gonzato pubblicato in pagina 27.

L'episodio (che fece capolino sui media nel maggio del 2019 destando scalpore in valle dell'Agno ma non solo, anche quando i quotidiani diffusero alcuni passi delle intercettazioni che corroborano l'inchiesta), racconta ancora il GdV, sarebbe avvenuto a Trissino alla fine di ottobre di due anni fa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la vittima sarebbe stata abusata più volte nel corso di un fine settimana. Il terzetto e la ragazzina si sarebbero ritrovati a casa di Faggion. Quest'ultima, riferisce il quotidiano, «avrebbe fatto leva sull'amicizia che la legava alla minorenne per riuscire a convincerla a partecipare alla serata». I tre imputati avrebbero fatto assumere alla malcapitata dosi massicce di sostanze stupefacenti: hashish e cocaina. Dopodiché sarebbero cominciate le violenze.

Secondo il GdV in base agli elementi messi assieme dagli inquirenti che hanno svolto le indagini, il week-end a base di sesso e droga sarebbe stato organizzato nei minimi dettagli dal terzetto. La ragazzina, stando al racconto che ha fornito sia in audizione protetta sia durante l'incidente probatorio davanti al gip, avrebbe cercato di opporsi all'assunzione delle sostanze stupefacenti e allo stupro, ma ogni tentativo sarebbe stato inutile. Aveva confidato che si sarebbe aspettata che l'amica intervenisse in suo aiuto.

In questo senso il quotidiano di via Fermi aggiunge che invece la Faggion, difesa dall'avvocato Paolo Mele junior, che ieri ha chiesto l'assoluzione per la propria assistita, non soltanto non l'avrebbe aiutata, ma l'avrebbe addirittura trascinata in quell'incubo. Al termine delle indagini la procura aveva chiesto il carcere per i tre imputati, senza ottenerlo. Il giudice, infatti, aveva disposto gli arresti domiciliari. I due nordafricani (uno è collaboratore di un centro medico ed aveva una frequentazione con Faggion, che aveva invece conosciuto la minorenne in una struttura sanitaria difesi dagli avvocati Enrico Maria Fiori e Simone Bergamini, che terranno la propria arringa nella prossima udienza) hanno sempre negato le accuse e protestato la propria innocenza. L'ipotesi investigativa, riporta la testata berica sulla scorta degli accertamenti effettuati dai carabinieri della procura, della stazione di Trissino e del nucleo investigativo (che avevano analizzato anche i telefoni dei protagonisti), è che Faggion abbia raccontato agli amici che la minorenne aveva 19 anni e che l'abbia venduta per la cocaina. Il mattino dopo le violenze, la ragazzina aveva raccontato in lacrime quello che sarebbe successo alla madre, che l'aveva accompagnata dalla psicologa. Poi era scattata la denuncia. Per la procura i tre imputati si sarebbero macchiati di comportamenti gravissimi nei confronti della vittima. Che si costituita parte civile ed è assistita dall'avvocato Sonia Negro. Quest'ultima, sempre durante l'udienza di ieri, ha chiesto una provvisionale a titolo di risarcimento di 50mila euro.

Ad ogni buon conto quando la notizia deflagrò lo scorso anno destò molto scalpore in valle dell'Agno non solo per la gravità delle accuse ma anche per la parentela dell'accusata. La Faggion, è infatti è la figlia di Silvia Dalla Benetta, una cantante lirica molto conosciuta sulla scena veneta e molto conosciuta nella Trissino che conta.

domenica 16 agosto 2020

Affondo de l'Espresso su Malvestio: il Veneto sobbalza

L'Espresso in edicola ieri (ma non mancano alcuni passaggi molto simili anche sul portale elettronico) ha pubblicato un approfondimento in cui vengono accesi i riflettori su Massimo Malvestio, l'avvocato d'affari originario della Marca, considerato vicinissimo al governatore leghista del Veneto Luca Zaia. Si tratta di un servizio in cui al centro della narrazione finisce un pezzo del potere del Nordest, quello con la "P maiuscola". La cosa ha scatenato le reazioni (e forse gli imbarazzi?) le più diverse: sostegno al personaggio, critiche al vetriolo indirizzate nei suoi confronti e uscite più o meno puntute sui social network hanno arroventato un ferragosto rovente di suo durante il quale hanno incrociato le lame lo stesso Malvestio nonché Enrico Cappelletti, candidato per il M5S alla carica di presidente della giunta regionale del Veneto: un Veneto che dopo la pubblicazione dell'articolo è mediaticamente sobbalzato durante la calura agostana...

venerdì 14 agosto 2020

Zaia, Malvestio, Fenech e Caruana Galizia: quattro nomi di vaglia nel servizio shock de l'Espresso

«Le società estere di Massimo Malvestio, per anni legale del presidente veneto: una rete di fondi maltesi con clienti anonimi. Che investono in Italia. Nelle autostrade dei Benetton». Questo è uno dei primi passaggi dell'inchiesta pubblicata da l'Espresso che sarà in edicola domani 15 agosto. E che potrebbe mettere in grande imbarazzo la politica veneta. Il settimanale rimarca come Malvestio, questa di fatto l apremessa della narrazione, si sia trasferito nello stato insulare dell'omonimo canale a scavalco tra il 2013 e il 2014.

Lì, sempre secondo il settimanale, il noto professionista trevigiano avrebbe dato vita ad un network «di fondi d'investimento e società finanziarie che gestiscono patrimoni privati per oltre 400 milioni di euro». Quando l'avvocato della Marca manifestò la sua intenzione di abbandonare il Belpaese lo stesso governatore Zaia, si legge ancora, diede contezza in questo modo in una intervista al Mattino di Padova il suo rapporto molto stretto con il legale: «Continuerò a rompergli le scatole a Malta. Massimo Malvestio era e resterà il mio riferimento giuridico». Parole che confermano ancora una volta la nomea di spin doctor di Malvestio per le questioni legali del governatore.

Ma c'è di più. Se si continua a compulsare il testo del servizio si può leggere come la documentazione esaminata dall’Espresso in forza del lavoro svolto dal consorzio internazionale per il giornalismo investigativo Icij, mostri come «le finanziarie maltesi di Malvestio, costituite a partire dal 2009, sono state utilizzate per acquisire consistenti partecipazioni in grande aziende italiane controllate da imprenditori del Nordest. Dal Veneto al Veneto, via Malta».

Tuttavia la ricostruzione messa nera su bianco da l'Espresso rende più cupa la vicenda narrata allorché la storia testata romana fa un riferimento all'affaire Caruana Galizia. «Dopo una lunga e prestigiosa carriera nella regione tra politica, società pubbliche, banche e imprese private, l'avvocato fondatore dello studio Bm&a di Treviso - narra l'espresso -  è diventato un grande sponsor di Malta, che ha difeso perfino all'indomani dell'omicidio-choc della giornalista Daphne Caruana Galizia». Appresso c'è un altro passaggio non di poco conto dacché il servizio spiega come intervistato dal Gazzettino di Venezia il 18 ottobre 2017, Malvestio si lanciò in una difesa d'ufficio di uno Stato descritto come un paradiso fiscale. «Quale corruzione? Malta - così l'Espresso rilancia le parole del Gazzettino - è un'isola felice. Qui si vive benissimo. Il delitto è maturato nell'ambito del traffico di droga e petrolio. Lo Stato non c'entra nulla».

Il periodico romano poco appresso aggiunge altri dettagli rimarcando come in seguito le indagini, lunghe e sofferte, abbiano di contro dato contezza di quello che viene definito come un «l'intreccio mortale tra politica, corruzione e affari sporchi». Ma perché l'Espresso giunge a questa conclusione? A spiegare tutto è il passaggio successivo dell'approfondimento. Nel quale si legge che dopo «l'arresto dei tre presunti esecutori e di un intermediario, che ha confessato, l'inchiesta» abbia persino coinvolto uno dei businessman più ricchi di Malta. Si tratta di «Yorgen Fenech, incriminato come mandante dell'omicidio». Secondo il settimanale peraltro la giornalista assassinata era stata la prima a pubblicare notizie suò conto di una «anonima società offshore controllata da Fenech, chiamata Black 17, che ha versato tangenti su conti esteri di cui risultano beneficiari due ministri del governo maltese, che si sono dimessi per lo scandalo».

La lunga inchiesta de l'Espresso però va oltre e aggiungendo un ulteriore tessera al puzzle sottolinea come i documenti maltesi in qualche modo ora mostrino come «tutte le società finanziarie dell'avvocato Malvestio hanno la sede legale al quattordicesimo piano della Portomaso Business Tower: il grattacielo più alto dell'isola. Che appartiene proprio a Yorgen Fenech». Il che secondo l'Espresso sarebbe indice ed «emblema della potenza economica del suo gruppo Tumas, controllato da decenni dalla sua famiglia e intitolato al nome del nonno». Ma non è finita. Nell'anteprima del servizio de l'Espresso la quale sta facendo anche il giro di parecchie agenzie di stampa, si legge anche che «Yorgen Fenech, che respinge ogni accusa, è stato arrestato il 20 novembre scorso mentre cercava di scappare da Malta con il suo yacht». E ancora il pomeriggio precedente, sempre secondo la testata romana Fenech si sarebbe dimesso «dalle cariche di vertice del gruppo, dove è stato sostituito dal fratello» mentre pochi giorni dopo «sarebbe stato rilasciato su cauzione, tra le proteste dei familiari della giornalista assassinata e di tutta l'opposizione». Il servizio si chiude poi con un passaggio su Malvestio, nel quale si dà conto di come oggi lo stesso Malvestio appaia «deluso» dallo stato isolare mentre le carte del consorzio investigativo menzionate dal settimanale indicherebbero come il professionista progetti «di trasferirsi con tutte le sue attività in un altro paradiso fiscale europeo: Montecarlo». Ad ogni modo a palazzo Ferro Fini si vocifera che il servizio de l'Espresso è destinato a fare molto, molto calmore: soprattutto per la vicinanza, mai negata dai due, di Zaia a Malvestio.

Marco Milioni

martedì 28 luglio 2020

Fondi prevenzione sicurezza, la Cub berica porta le carte alla Guardia di finanza


(m.m.) «Dalla stampa quotidiana apprendiamo con molta preoccupazione di una serie di circostanze assai poco chiare relative alla procedura con cui l'Ulss 8 Berica avrebbe finanziato alcuni progetti per quanto concerne la sicurezza sui luoghi di lavoro». Inizia così una nota al vetriolo diramata ieri in cui Maria Teresa Turetta, responsabile per il Vicentino del sindacato Cub esprime tutta la sua perplessità in merito alla vicenda (di cui ha parlato il quotidiano Vicenzatoday.it il 23 luglio) dell'utilizzo dei fondi che per legge vengono in parte reperiti dalle sanzioni elevate dai funzionari delle Ulss, più segnatamente dallo Spisal, nei confronti delle imprese sanzionate per il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Ma c'è di più, la Cub (nel riquadro una manifestazione della sigla sindacale di base), è così preoccupata di quanto emerso sulla stampa, lo si apprende sempre nella sua nota, da avere segnalato le sue perplessità alla Guardia di finanza del comando provinciale berico con un articolato esposto indirizzato alle fiamme gialle sempre ieri.

L'INCIPIT
«Apprendere che decine e decine di migliaia di euro - si legge - finiscano direttamente nelle casse dei soliti noti a partire da Confindustria per non parlare di Confartigianato è francamente inquietante». Poi il sindacato esplicita ancor più il suo pensiero per quanto riguarda un fondo che ammonta a un totale di mezzo milione di euro: «Le associazioni datoriali oggetto del ricchissimo finanziamento pubblico riconducibile alla legge 23 del 2007 varata dal Consiglio regionale... sono le stesse... o lo sono spesso... fra i ranghi delle quali allignano imprese loro iscritte che della sicurezza sui luoghi di lavoro hanno una considerazione che dire bassa è poco».

E così Turetta prosegue con il suo j'accuse: «Al contempo non sono pochi i dubbi che desta la modalità che l'Ipsia Lampertico di Vicenza avrebbe identificato per garantirsi l'acquisto d'un nuovo tornio che con lo spirito della legge regionale non sembra c'azzecchi molto. Per questo motivo la Cub di Vicenza in data 27 luglio 2020 ha deciso di indirizzare alla guarda di finanza... un dettagliato esposto... affinché valuti la presenza di eventuali profili di anomalia».

DUBBI IN REGIONE? L'INDISCREZIONE
Più in generale le doglianze della sindacalista sono giustificate dal fatto che in Regione, che poi è l'ente che controlla e sorveglia le Ulss, più di qualche funzionario dell'assessorato al bilancio avrebbe storto il naso circa l'utilizzo di quei fondi: questi i rumors che circolano in Laguna. Dalla delibera dell'Ulss in cui si assegnano de facto le risorse per i progetti emerge una circostanza precisa. Molti degli assegnatari di quei fondi infatti fanno parte dell'organismo che de facto li assegna. Una sorta «di autorefernzialità» che a palazzo Balbi non sarebbe passata inosservata e che ha suscitato le ire di Bruno Cardini, già funzionario dello Spisal, oggi consulente per la sicurezza sui luoghi di lavoro.

LE ACCUSE DI UN EX FUNZIONARIO DELLO SPISAL
Cardini in un post su Facebook pubblicato il 23 luglio usa parole che pesano come macigni: «Un terzo del valore delle sanzioni sulla sicurezza del lavoro deve tornare alle aziende ...virtuose... per Vicenza si tratta di 530.000 euro, non pochi: Verona per questi fondi fa un bando pubblico. Vicenza fa una raccolta di domande sostanzialmente riservata. Presentano domanda per i fondi, sostanzialmente, gli stessi che poi li devono assegnare. Nelle domande non c'è una sola organizzazione di professionisti, non c'è una organizzazione sindacale al di fuori di quelle che vi sono nel comitato assegnatario, non c'è una sola azienda».

E ancora: «A Verona si pone come condizione dei progetti un ... di più..., ossia si escludono» tutti i soggetti obbligati a conoscere e ad adempiere consapevolmente agli obblighi relativi al testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ossia al decreto legislativo 81 del 2008. «A Vicenza - prosegue Cardini - non so quali condizioni si pongano perché, per quanto mi riguarda, non sono riuscito a trovare né un bando né un avviso di manifestazione di interesse. Dico che personalmente mi sono recato presso alcuni Spisal a chiedere come fare per presentare domanda e i miei ex colleghi non hanno saputo darmi risposta; con ciò forse c'è qualche problema di comunicazione all'interno degli organi di vigilanza».

«PROFILI DI ILLEGITTIMITÁ»
E la critica dell'ex funzionario va oltre: «Visto il bando di Verona ho avvisato alcuni studi professionali che operano nel campo della sicurezza che hanno presentato domanda per Verona, ma nulla hanno saputo... nonostante avessero chiesto... dei fondi di Vicenza». Poi l'accusa più pesante: «Per questo dico che vi sono evidenti profili di illegittimità. Ho visto solo ieri la delibera con l'assegnazione dei fondi e mi è salita la nausea. Ma la questione, per il sindacato, è politica. Le organizzazioni sindacali accettano che le associazioni padronali si comprino il consenso attraverso i soldi delle sanzioni; in cambio, come Lazzaro, ricevono le briciole che cadono dalla tavole del banchetto. Attendo spiegazioni dalle organizzazioni sindacali».

I PASSI DELLE FIAMME GIALLE
Ora al di là delle reazioni occorrerà capire come si muoverà la GdF. Non è escluso che i finanzieri vorranno vederci chiaro in merito alle modalità con cui sono stati assegnati i fondi andando a scartabellare eventuali verbali del comitato assegnatario o altre carte. Allo stesso modo potrebbero acquisire copia della offerta pubblica dell'Ipsia Lampertico (per la quale a palazzo Balbi ci sarebbe stato più di qualche mal di pancia) per l'acquisto di un tornio da centomila euro, come potrebbero vagliare l'operato del dirigente scolastico che lo ha firmato (ossia la preside Luisiana Corradi), nonché l'operato di eventuali collaboratori della dirigente, anche dell'area tecnica, che materialmente potrebbero avere contribuito alla stesura del testo.

Ma poi come è andata a finire la gara bandita dal Lampertico i cui termini scadevano il 24 luglio? Quante offerte ci sono state? Da parte di chi? Al momento sul sito web dell'istituto non sembrano esserci comunicazioni in tal senso. Nei giorni passati però era trapelato che tra le aziende in «pole position» ci fosse la Stc macchine utensili, una srl con sede a Vicenza in viale del Lavoro.

domenica 5 luglio 2020

La storia incredibile di Mister Laserjet: dalla "massaggiatrice" cinese al Covid-19

(m.m.) «L'imprenditore vicentino, la "massaggiatrice cinese" e il viaggio a Medjugorie: Covid-XXX... La vera storia del focolaio di Coronavirus ha dell'incredibile perché ricalca perfettamente la trita parodia del Veneto laborioso e porcellone. Un cluster a luci rosse e preghiere, insomma». È questo il titolo scelto da Il Mattino di Padova che avant'ieri ha pubblicato un articolo molto effervescente in relazione alla vicenda del top-manager della Laserjet, impresa assai nota del basso Vicentino, il quale contratto il Covid-19 avrebbe messo a rischio epidemia la sua comunità. Ieri invece era stato Il Giornale di Vicenza a parlare delle condizioni di salute dell'«imprenditore Lino Fraron». Vicenzatoday.it invece due giorni fa aveva dato conto delle liason politiche del manager in una con le preoccupazioni in merito al suo comportamento espresse dai sindacati. E di come la «storiaccia» sia stata accolta sul territorio parla diffusamente il Corriere veneto in un reportage di Stefano Ferrio pubblicato sempre il 4 luglio.

domenica 7 giugno 2020

Spv, tra prospettive e disagi

(m.m.) Oggi i media veneti tornano ad occuparsi di Superstrada pedemontana veneta, nota come Spv. Il Giornale di Vicenza pubblica ben due pagine sull'argomento nelle quali si dà ampio spazio, tra le altre, alle previsioni della giunta regionale veneta per quanto riguarda l'inaugurazione dell'opera. Il quotidiano di via Fermi affronta anche il teme della ennesima protesta da parte dei residenti che abitano a ridosso del cantiere di Malo-Vallugana. Un argomento che, sempre oggi, affronta pure la testata Vicenzatoday.it.

mercoledì 20 maggio 2020

Fase due, i furbetti dello scontrino parlano vicentino


(m.m.) Oggi l'agenzia Lineanews ed il quotidiano Vicenzatoday.it affrontano il tema del cartello (una pratica contraria alla legge) in forza del quale alcuni bar del centro della città berica avrebbero in maniera sincronica alzato il prezzo del caffé dopo la serrata dovuta alla pandemia da Covid-19. La questione non è di poco conto soprattutto per l'endorsement politico che la giunta comunale di Vicenza distillò il primo maggio quando la protesta dei commercianti contro il governo per le imposizioni dovute al contrasto della epidemia incontrarono il favore della giunta e in particolar modo quelle dell'assessore al commercio Silvio Giovine il quale milita nella mini corrente di Fdi che fa capo all'assessore regionale veneto alla formazione Elena Donazzan: altro personaggio che ha molto appoggiato la protesta.

Tuttavia la rogna è tutta in capo a Giovine perché sua è la delega al commercio. Se il suo referato non dovesse condannare in maniera draconiana l'alterazione dei prezzi (e soprattutto se non dovesse mettere in campo ogni sforzo per identificare i colpevoli con nomi e cognomi) da parte dei furbetti dello scontrino, sarebbe l'intera giunta (capitanata dal sindaco Francesco Rucco) ad esporsi rispetto ad una accusa di connivenza con un comportamento considerato deprecabile dalla opinione pubblica.

Per amore di precisione (me lo ha chiesto cortesemente il titolare del bar Venti5 di Vicenza in piazza dei Signori) faccio presente che lo scontrino usato nella generica a corredo di questo post è riferito ad un caffé consumato al tavolo. Nel mio corsivo mai peraltro si è sostenuto il contrario, anzi mai è stato fatto alcun riferimento a quel bar: ma siccome con molta gentilezza mi è stato chiesto di evidenziare questo aspetto, ecco accontentata la richiesta.

sabato 16 maggio 2020

Zaia Fantozzi difende Filini Fontana


(m.m.) Fa pena e fa ridere al tempo stesso la recente difesa d'ufficio del governatore veneto Luca Zaia a beneficio del suo pari grado lombardo Attilio Fontana (preso di mira quest'ultimo da una scritta apparsa su un muro) come ricorda l'agenzia Adn Kronos (nel riquadro). In primis perché la ratio del ragionamento di Zaia, anche se non esplicitata nelle sue dichiarazioni, è quella di cercare di spegnere le voci dissenzienti. Tuttavia l'uscita di Zaia è da un certo punto di vista ancora più ridicola, fantozziana se si vuole, se letta sul piano del suo inconscio: si tratta infatti di una trovata che freudianamente nasconde la volontà di anticipare critiche di un tenore simile che prima o poi arriveranno nel Veneto: il tema è quello dei decessi e delle infezioni da Covid-19 nelle case di cura per anziani. Di grazia alle critiche, anche a quelle violente, si risponde con gli argomenti non stigmatizzando i toni. La stigmatizzazione caso mai arriverà a dopo: hashtag Fantozzi Zaia difende Filini Fontana (che con la faccia che si ritrova sembra davvero l'impiegato dell'ufficio sinistri di salciana memoria).

venerdì 15 maggio 2020

Lottizzazione Amazon sul Sile: una proposta di giornalismo partecipativo

(m.m.) Ieri su Estremeconseguenze.it è stata pubblicata una intervista a Romeo Scarpa che affronta il tema della maxi lottizzazione Amazon che dovrebbe vedere la luce a scavalco tra Casale sul Sile e Quarto d'Altino. L'argomento secondo me meriterebbe un approfondimento filmato che si potrebbe realizzare col meccanismo del giornalismo partecipativo. Chiunque abbia qualche suggerimento può scrivere al mio indirizzo di posta elettronica (mrk223@gmail.com). Chiunque volesse inviare una piccola donazione per le spese vive può farlo a questo conto corrente (IT55V0760105138238976538983)

martedì 28 aprile 2020

La libertà di espressione è sotto attacco, non da oggi però

(m.m.) Da diversi gironi sui media e sui social network si dibatte molto, alle volte in maniera seria, alle volte in modo sguiaiato e sdraiato, di libertà di espressione e di libertà di stampa. Queste libertà promanano direttamente dall'articolo 21 della Costituzione. Sono in molti i quali sostengono che le limitazioni alla stessa libertà di espressione vadano ricercate proprio nella seconda parte di quell'articolo. Io credo però che chi sostenga questa tesi affronti la materia senza il dovuto approfondimento: per una serie di ragioni di ordine giuridico (che mi interessano sino a un certo punto) nonché di ordine etico.

La seconda parte dell'articolo 21 infatti non parla dei paletti identificabili per comprimere la libertà di espressione bensì esplica che i prodotti editoriali possano essere sottoposti a sequestro il che non annovera per forza la punibilità penale di un dato comportamento. Il concetto della diffamazione non è nemmeno compendiato per di più. Ora quando si parla di diffamazione (che peraltro è una nozione giuridica prevista dalla legge ordinaria ossia col codice penale non dalla Costituzione) e di conseguenza si parla della possibilità di comprimere, in taluni casi, la libertà di esprimersi ci sono due scuole di pensiero in campo.

La prima si basa sull'assunto che una democrazia debba gioco forza sorreggersi anche su un equilibro di diritti e doveri o meglio su un equilibro di libertà per il famoso principio per cui la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri. Si tratta di un approccio «liberale ed empirico» al problema che venne in qualche modo estrinsecato appunto da questa frase famosa di Martin Luther King, frase che pur non risolvendo bene la questione sul piano giuridico od etico, viene comunque usata spesso da coloro che ritengono in qualche misura auspicabile che sia prevista in taluni casi la limitazione della libertà di espressione. C'è poi un altro approccio al problema che è quello «massimalista» secondo il quale in una democrazia ci sono alcuni diritti incomprimibili e non negoziabili (sono esplicito, io sottoscrivo questo orientamento meno conservatore e più innovativo), tra cui quello alla libertà di espressione. In questo senso se la forma democratica è assunta come la forma del nostro vivere, chi fa parte di questa comunità accetta gioco forza la debolezza intrinseca della medesima democrazia (garantendo di fatto la libertà d'invettiva o di insulto in relazione alla nozione che la menzogna si batte solo con la verità e non con le sanzioni) la quale se per esistere o assicurare talune libertà comprime quelle incomprimibili allora non è più tale.

Gli Stai uniti per esempio garantiscono questo diritto col primo emendamento alla loro carta costituzionale: il quale però viene da sempre facilmente aggirato grazie ad un utilizzo distorto del codice civile (basti pensare alle cause di risarcimento danni per i giornalisti, cosa che avviene anche in Italia). Purtroppo il diritto alla libertà di espressione viene continuamente coccolato un po' da tutti: salvo invocare  punizioni quando l'invettiva di tizio o di caio ci riguarda direttamente o riguarda un gruppo al quale ci sentiamo vicini. C'è poi un aspetto secondario, ma nemmeno tanto, che pertiene a chi come me svolge la professione giornalistica.

In Italia non esiste una norma che tuteli il diritto di cronaca (che è se si vuole un sottoinsieme della libertà di stampa che a sua volta è un sottoinsieme della libertà di espressione). Colui che esercita il diritto di cronaca quando incappa in una vicenda di diffamazione a mezzo stampa infatti se lede l'altrui onorabilità, anche raccontando fatti veri, è sempre punibile. È sempre punibile a meno che non rispetti il cosiddetto decalogo della Cassazione penale in materia di diffamazione: se ne ricava che l'esercizio di un diritto fondamentale per una democrazia non è è esplicitato in maniera positiva bensì è enunciato per sottrazione (il che la dice lunga sulla opinione reale del legislatore su questo tema). Ossia non è disciplinato da un articolo di legge bensì da un pronunciamento a sezioni riunite della Cassazione penale: pronunciamento ormai datato e espresso in modo così farraginoso nonché poco chiaro da rendere la punibilità del reato assai discrezionale da parte della magistratura.

Negli anni i cascami di una situazione del genere hanno avuto effetti deleteri creando giornalisti di serie A (tutelati o vicini al potere) e di serie B (non tutelati e senza mezzi): ma soprattutto si è venuta a creare una situazione insostenibile (lo denuncia l'Osservatorio ossigeno) per cui sistematicamente i giornalisti, specie quelli delle piccole testate, vengono zittiti con querele temerarie o con liti temerarie dacché o i giornalisti stessi o i loro editori non hanno i mezzi per difendersi sul piano economico-legale.

Ne è seguito uno svilimento della libertà dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica (a tutto vantaggio delle élite e delle lobby che gestiscono il potere) che colloca l'Italia in una posizione poco invidiabile in merito alla libertà di stampa. Se a questo aggiungiamo la odiosità delle sanzioni previste dal codice penale per il giornalista o per altri che rivelino documentazione coperta dal segreto di Stato (quando caso mai dovrebbe essere punito solo il pubblico ufficiale che lo fa), capiamo bene quanto già ora la libertà di espressione sia compressa. Se poi vogliamo considerare che gioco forza chiunque scriva un post sui social media finisca poi per essere assoggettato alla disciplina della diffamazione a mezzo stampa, allora si capirà quanto già ora, già adesso, la nostra libertà sia non solo compressa ma addirittura compromessa.

martedì 14 aprile 2020

Lockdown depotenziato: come volevasi dimostrare

(m.m.) Il primo che dice che l'Italia è ferma lo riduco a brandelli... Questo servizio di Huffington post Italia dice tutto o quasi... Le fabbriche sono tutte aperte o quasi. Sono chiusi i locali pubblici, sono chiuse le scuole, i luoghi di culto e le persone nelle loro abitazioni: come detto più volte il «lockdown» è stato un bluff. Il decreto, scritto apposta con le deroghe innervate, ha permesso ai furbetti di riaprire presto di riaprire tutto nel nome dell'appeasement più vieto tra organizzazioni datoriali, regioni, prefetture e governo. I quali facevano finta di scannarsi ma sotto sotto... Viva il progresso e viva la produzione. Adesso però lorsignori della classe dirigente (non solo i politici sia chiaro) dovranno spiegare perché chi ha avuto in casa un ferito o un morto non abbia il diritto di farsi giustizia da sé... E se il contagio ritornasse a schizzare alle stelle?

sabato 11 aprile 2020

Zaia e il coronavirus nell'uovo di Pasqua


(m.m.) Stando alle dichiarazioni, confuse come al solito peraltro, oggi Luca Zaia dal basso della sua pagina Facebook ha sentenziato: «il lockdown è finito» detto in altri termini le fabbriche venete ritornano a lavorare. Schei battono salute due a zero e il trofeo coronavirus finirà nell'uovo di Pasqua di ogni veneto. Dopo gli appelli a TgR unificati dei gran visir della concia affinché "la produssion' riparti ca' ghemo e fabriche che xe' gioelinnnnnnnnnni", quella zona industriale omnispalmata che è il Veneto, dopo non essersi mai fermata a suon di deroghe inderogabili, ora riapre de pi'. Manca solo l'editto pasquale che se firmato domani, Zaia farà recapitare assieme alla scacciasputi d'ordinanza (leggi mascherina griffata LeondeSamarco.veneto.schei) in ogni villetta geometrile del veneto da un "rane" di "Daiverù" con tanto di sticker promozionale . «È difficile spiegare - dice il governatore dopo essersi sistemato con la gelatino-feresi i capelli -  che apre Fincantieri e non lo possono fare che so Rosso o Benetton». Non sia mai ai Benetton sfugga la possibilità di comprarsi un'altra autostrada in cui non rifare un ponte che deve essere rifatto da chi la compra.

Peccato che la scienza e la legge spiegano bene perché certe fabbriche dovrebbero stare chiuse ma sottoZeta ha fretta, la sua giunta freme, i suoi stakeholder pure. A giorni aspettiamoci quindi una pioggia abbondante. A giorni infatti pioveranno sulle tv venete più improbabili le immagini dei controlli dello Spisal in fabbriche acchittate alla bisogna con segretarie agghindate in stile sagra del fitness e operai alabardati con pettinature keratin style dei più grandi coiffeur di Brogliano e di Altivole, che indossano mascherine high-tech "tenniche".

Poi fioccheranno i titoli in televisione e nelle settimane income dei sub-inserti dei quotidiani confindustriali. Squillin le trombe s'ungano i dildo "nel Veneto di Zaia le fabbriche lavorano rispettando gli standard"... penetrometrici. Nel frattempo si ingigantisce il rischio che i deceduti, anche quelli trendy, mandino in sovraccarico le celle mortuarie che nel farattempo saranno sostituite da capannoni dismessi, più vicini al sentiment dei diversamente vivi che le occuperanno dopo che della logistica si sarà occupata qualche coop in odore di criminalità organizzata. Sempre poi che non arrivi qualche mafioso che per risolvere il problema del sovraffollamento dei capannoni mortuari, anzi "mortuori", non dia fuoco alle salme, tanto è ignoto e non si sarà mai chi è. La tecnica nel Veronese, nell'Ovest vicentino e nel resto della regione è nota.

Il re del prosecco se fosse più avveduto dovrebbe sé stesso di avere avuto quel mix di strizza e buon senso per avere ascoltato il primario di infettivologia dell'ospedale dell'ospedale patavino (si parla del professore Andrea Cristanti che sfidando il ras della sanità veneta Domenico Mantoan, che per ragioni incoffessabili remava contro) ha deciso, per quanto possibile di mettere in piedi uno screening basato sui tamponi che ha salvato le chiappe al Veneto, almeno per il caso di Vo' Euganeo. Frattanto l'unica cosa che Zaia non spiega però è come mai possano riaprire i Rosso, i Benetton o una conceria di risulta in un capannone semisequestrato di Zermeghedo o di Montorso, mentre un povero disgraziato che vive in una casa in affitto e che magari gestisce un bar in affitto rimanga chiuso. Ci avviamo ad un nuovo rinascimento al baccalà dove ai veneti, non a tutti, sarà consentito uscire per andare a lavorare, non importa se si ammalino: ma non sarà consentito scendere in piazza per protestare contro questo putsch al prosecco che trasformerà il Veneto (e non solo il Veneto) in un lager in cui le morti (da coronavirus o per altri morbi industriali) non saranno altro che scarti del ciclo di lavorazione. Rimane solo una speranza: che quello che ha detto oggi Zaia a social network unificati non sia null'altro che un ennesimo scherzo di Eracleonte da Gela

venerdì 10 aprile 2020

L'emergenza economica? La sostenga chi è a reddito fisso: l'enigma Boldrin e i riferimenti alla concia

(m.m.) L'economista patavino Michele Boldrin, uno dei più entusiasti alfieri del neo-liberismo (il docente si definisce un pragmatico per vero), su Il Giornale di Vicenza di oggi 10 aprile in pagina 9, sostiene che per fronteggiare la crisi occorrerà temporaneamente dirottare una quota di reddito da chi lo percepisce in maniera fissa (quindi anche impiegati, operai, dipendenti privati e pubblici) a beneficio di chi invece non ha entrate sicure: nessun accenno invece (tranne ad uno sulla negatività di una eventuale patrimoniale) viene fatto in merito alla possibilità di stangare la grande rendita finanziaria. Allo stesso modo Boldrin dice e non dice in merito alla possibilità di una monetizzazione del debito che è prevista da un approccio keynesiano al problema che il mondo sta affrontando oggi. Ora rimane da capire una cosa: l'uscita di Boldrin è un messaggio trasversale? Il punto è che al suo pensiero viene dato spazio non su un quotidiano qualsiasi ma su uno della Confindustria, quella vicentina nello specifico. Il che potrebbe dirla lunga sulle ricette che in certi ambienti qualcuno sta provando a mettere in circolo. Se poi si vuole conoscere nel dettaglio la proposta di Boldrin può essere utile dare una scorsa sul suo blog, in particolare ad un suo intervento del 7 aprile: nel quale, non si capisce bene perché, viene citata una categoria economica meritevole di una, chiamiamola così, tutela, quella della industria conciaria. Parafrasando Corrado Guzzanti, tu sai com'è, tu sai perché, tu sai quant'è...

Covid-19 e il possibile accordo sul Mes: la stangata di Varoufakis

(m.m.) Yanis Varoufakis, già ministro delle finanze di Grecia, ha commentato molto negativamente l'intesa che l'Italia e gli altri Paesi della Ue avrebbero raggiunto in materia di stimolo economico per contrastare la crisi scaturita dall'emergenza coronavirus. Lo riporta la testata romana «L'Antidiplomatico» in un servizio pubblicato ieri. Sempre ieri la testata Fanpage.it affronta invece il tema del maxi contributo pari a 160 milioni di euro che l'Ue sta perfezionando a beneficio dell'industria militare del Vecchio continente. Sebbene già pianificato da tempo, il finanziamento, che cade in piena emergenza da Covid-19, ha fatto storcere il naso a Gloria Bagnariol, l'autrice del servizio, la quale scrive che «l'annuncio dei finanziamenti alle industrie militari arriva in un momento molto difficile per l’Unione europea che fa fatica a proteggere la sua immagine». Ad ogni modo le voci sull'accordo attorno al Mes sta mandando in fibrillazione il M5S. Il senatore Mario Michele Giarrusso sulla sua bacheca Facebook ha attaccato la possibile intesa. Il giorno 6 aprile l'analista Lidia Undiemi sempre su L'Antidiplomatico ha avuto parole di fuoco sul Mes e sulle clausole segrete che questo prevederebbe se fosse sottoscritto.

giovedì 9 aprile 2020

Travaglio fa a pezzi la Confindustria, uno dei veri padroni dell'Italia

(m.m.) In un editoriale pubblicato in prima pagina oggi su Il Fatto, Marco Travaglio fa a brandelli le gaffe, le ipocrisie, l'ignoranza e la cupidigia della Confindustria con particolare riferimento alle associazioni di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna... Nel suo editoriale Travaglio mette alla berlina i fautori della ripartenza subito nonostante i rischi ancora attuali della pandemia da Covid-19. Lo stesso articolo è anche, seppur indirettamente, una riposta alle elucubrazioni di Alessandro Baricco che su Repubblica, guarda caso, aveva cercato di occultare l'afflato confindustriale con un po' di storytelling di renziana, pardon, baricchiana memoria...

LEGGI L'EDITORIALE DI MARCO TRAVAGLIO SU IL FATTO

martedì 7 aprile 2020

Svt-Vicenza, due dipendenti positivi al Covid-19

Nelle scorse ore due dipendenti di Svt, la società del trasporto pubblico posseduta da Comune e Provincia di Vicenza, hanno informato l'azienda di essere positivi al Covid-19. La conferma della positività è giunta a conclusione dei test effettuati immediatamente dopo la manifestazione dei primi sintomi. È quanto riporta la testata TiViweb in un servizio pubblicato ieri. Nello stesso servizio si legge che la «Società vicentina trasporti esprime solidarietà al personale e vicinanza alle loro famiglie e ringrazia i due dipendenti per il profondo senso di responsabilità dimostrato nell’informare l'azienda delle loro condizioni di salute».

domenica 5 aprile 2020

I nostri cugini nordeuropei al tempo del coronavirus, la riflessione di Celotto

Francesco Celotto, consulente finanziario di Bassano del Grappa che da tempo vive a Barcellona in Spagna, stamani ha diramato una lettera aperta in cui ragiona a lungo sul momento che sta vivendo l'Europa al tempo del coronavirus. Dai silenzi sulle politiche monetarie della Bce, alla condotta dei governi del Nordeuropa, Celotto parla della drammaticità che sta vivendo il Vecchio continente e spiega che se nel volgere di poche settimane l'Europa non compie una inversione a 180 gradi sarà, de facto, spacciata.

LEGGI LA LETTERA APERTA DI FRANCESCO CELOTTO

sabato 4 aprile 2020

Le anime candide della libertà double face

(m.m.) E mentre la discussione in tema di Covid-19 si avvita su sé stessa ancora una volta il parlamento italiano ha una scusa per non depenalizzare l'articolo 595 del codice penale e per non  cancellare dal codice civile le disposizioni in forza delle quali si permette di citare per danni colui al quale viene addebitata una condotta diffamatoria.

La nozione per cui la libertà di espressione del pensiero in una democrazia deve essere gioco forza «legibus solutua» non sfiora nemmeno chi con l'avallo di una legge vergognosa usa la stessa per limitare l'altrui pensiero, l'altrui libertà sempre che questi o le persone che li praticano, non siano addirittura minacciati. Adesso, forse, arriveranno anche le disposizioni liberticide annunciate da tale Andrea Martella (un Orbàn in saòr di Portogruaro)... e poi la greppia dell'oscurantismo sarà ben ricolma per lorsignori. Alle volte questa ipocrisia fa tenerezza. Mentre le anime belle se la prendono, giustamente peraltro, contro i provvedimenti del premier ungherese Viktor Orbàn (il manichino magiaro nelle mani dei tedeschi e soprattutto degli americani), le stesse anime belle lo seguono in scia per limitare, comprimere, addomesticare le opinioni che circolano sul web.

Il problema è che una democrazia deve lasciarti dire ogni cosa anche quando questa è abominevole... Ma il concetto è scomodo da manipolare. E quindi si indigia nel caleidoscopio dei distinguo in modo da distorcere libertà di espressione e onorabilità della altrui dignità a seconda delle convenienze... In parlamento destra e sinistra, sopra e sotto, nord e sud ovviamente tacciono, ben letargizzati nei loro otri mentali, ben consci che...

mercoledì 1 aprile 2020

Il caso Burioni Messora

(m.m.) Alcuni giorni fa il blogger Claudio Messora ha fatto sapere che «l'Associazione patto trasversale per la scienza» ha indirizzato un esposto ad alcune procure della repubblica nel quale, tra le altre, chiede la rimozione di alcuni contenuti video prodotti dallo stesso blog di Messora. La cosa ha dato vita ad un vivace dibattito che però troppo spesso ha lasciato distante il cuore della discussione. Anzitutto l'associazione non ha querelato, come hanno sostenuto alcuni, ma ha indirizzato un esposto. Secondo una eventuale chiusura bonaria auspicata da più parti non è possibile perché il reato ipotizzato (articolo 656 del codice penale, ossia la diffusione di notizie false e tendenziose, reato che peraltro dovrebbe essere abolito peraltro) è un reato che si persegue d'ufficio.

Quindi quell'esposto ha avviato un procedimento che potrà interrompersi solo con una archiviazione o eventualmente con un rinvio a giudizio. Io ritengo che Messora abbia ragione da vendere, ma in questo momento sta sbagliando nella scelta del terreno dello scontro. Lo scontro in questo momento è in primis sul piano giuridico perché è nella contestazione sul piano giuridico che poi si smonta sul piano mediatico, assai agevolmente, l'assunto della associazione notoriamente vicina al professor Roberto Burioni.

E quindi Messora, glielo dico simpaticamente perché fa un lavoro prezioso, dovrebbe lasciare da parte la sua abituale eccessiva bonomìa e denunciare gli autori dell'esposto per calunnia ai sensi dell'articolo 368 del codice penale che recita: «Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni». Nella denuncia Messora dovrebbe chiaramente dichiararsi parte offesa e facendo affidamento sulla potenza di fuoco del suo blog non solo dovrebbe dare notizia della denuncia, ma dovrebbe dare notizia di come la procura della repubblica competente persegue o non persegue gli eventuali responsabili. A quel punto poi vediamo se al Patto della scienza verrà ancora la voglia di pisciare fuori dal vaso.

martedì 31 marzo 2020

Covid-19, l'immunità totale per i superburocrati delle Ulss

(m.m.) Immunità totale per medici, aziende sanitarie e forse ministeri con la scusa della emergenza Covid-19. Sebbene ci sia qualcuno che si è già fatto avanti, anche con proposte di emendamenti in parlamento, va detto chiaro e tondo no. Diciamo con un francesismo che questa cosa è vomitevole... Va bene il momento, ma l'immunità penale, civile e erariale per medici e Ulss è schifosa. Il vero obiettivo di questa porcheria è parare il didietro alle aziende sanitarie e ai loro superburocrati per gli errori madornali commessi durante una emergenza peraltro già formalmente segnalata alle amministrazioni sanitarie regionali con una circolare del Ministero della sanità del 22 gennaio (0001997-22/01/2020-DGPRE-DGPRE-P il protocollo) e ben nota anche agli ordini professionali della professione sanitaria in quanto indirizzata anche a questi ultimi... cosa che inchioderà le Ulss alle loro responsabilità se la legge farà il suo corso... Ad ogni modo il provvedimento ipotizzato è così aberrante che potrebbe spingere più di qualcuno, che farebbe bene, a farsi giustizia da sé.

sabato 28 marzo 2020

Emergenza Covid-19, critiche alla sanità veneta e vicentina: Zaia, Ciambetti e Lanzarin nel mirino

(m.m.) Ieri il quotidiano Vicenzapiu.com ha pubblicato un lungo servizio in cui l'ex senatore del Pd Laura Puppato racconta dello sfogo di una sua persona che ha contattato la ex parlamentare del Pd alla quale sarebbero state raccontate le traversie patite da una donna e da suo marito (entrambi affetti da Covid-19) all'Ospedale di Bassano e a quello di Santorso, due nosocomi della provincia di Vicenza. «Mio marito - si legge - è in terapia intensiva a Bassano e prego perché ce la faccia. Il tampone, dopo quattro giorni che lo chiedeva da casa» dove si trovava in auto-isolamento «per aver avuto contatti con gente positiva che ci aveva subito avvertiti, glielo hanno fatto solo dopo che ha raggiunto i 40 di febbre... l'ho caricato in macchina per portarlo in ospedale, stanca di silenzi... lo hanno tenuto per due giorni in una sorta di limbo in attesa dell'esito del tampone, finché non è andato in crisi respiratoria senza che alcun esito arrivasse. Nessuno mi diceva alcunché, silenzio».

Poi un'altro passaggio che riguarda le vicissitudini stavolta patite dalla stessa donna: «Sono giunta al pronto soccorso alle 9 del mattino, per 12 ore non una di meno, sono stata in uno stanzone freddo perché dovevo attendere che finissero il turno delle Tac destinate agli oncologici... alle 16 finalmente la Tac e alle 19 mi comunicano che c’è la polmonite. Faccio notare che dodici ore per una ammalata... evidente... da Covid-19 in uno stanzone freddo con altre persone anziane in attesa di ricovero costituisce una situazione ad alto rischio per tutti. Silenzio. Alle 20 finalmente un letto... Conclusione: a Santorso va chiuso il pronto soccorso perché se si vuole destinare un centro ad una specialistica, oggi per il Coronavirus, va chiuso ogni altro accesso altrimenti si infettano i sani. La cosa è nota e stranota, lo hanno fatto presente anche i medici, ma non lo si fa perché il presidente del Consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti, l'assessore veneto alla sanità Manuela Lanzarin e il consigliere regionale Nicola Finco» tutti del comprensorio bassanese e tutti leghisti «sono di qui e hanno la pretesa dopo aver mantenuto in vita l'Ulss pedemontana, di fare le nozze coi fichi secchi: così abbiamo una sanità da terzo mondo, l'unica che non ha neppure istituito un numero diretto per i medici di base che devono fare la trafila come un cittadino comune, pur dovendo decidere urgenze e non... Per tornare ai tamponi oggi li fai solo se ti rechi al pronto soccorso con sintomi. Ho cercato il camper-tamponi fuori dai supermercati nei giorni in cui mio marito ha iniziato la quarantena, neanche l'ombra...».

E sullo stesso fronte, il fronte della critiche al sistema sanitario della Regione Veneto capitanata dal presidente della giunta regionale Luca Zaia della Lega, si muove anche il deputato veronese del Pd Alessia Rotta. «Da Zaia solo fake news, mascherine di carta igienica e tamponi a parole... Insinua che il governo nazionale non si stia occupando dei cittadini per nascondere le sue responsabilità». Zaia secondo la Rotta «Alimenta rabbia e malcontento» un comportamento definito «grave e vomitevole». Questo almeno è quanto riportava il quotidiano Vvox.it in un servizio di ieri.

Frattanto si muove Confindustria del Veneto. La quale chiede che le imprese non essenziali riaprano. Si tratta di una richiesta che non è ben vista dai rappresentanti dei lavoratori i quali temono che una politica del genere non faccia altro che facilitare il contagio.

venerdì 27 marzo 2020

Covid-19, se la scintilla sociale comincia a scoccare

(m.m.) In giro per l'Italia la gente comincia a patire duramente l'emergenza, se il governo non vara provvedimenti seri si rischia grosso. Video come questi sono già finiti negli uffici di competenza dei servizi e del Viminale. C'è una parte del Paese che deve essere aiutata subito. La tensione sociale può incendiarsi d'un botto, basta una scintilla, accidentale o meno che sia, perché l'incendio divampi. Per di più in contesti del genere la criminalità organizzata può approfittarne in mille modi. Il servizio pubblicato oggi da Il quotidiano italiano su un episodio capitato a Bari è lì a dimostrarlo.

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mercoledì 25 marzo 2020

I «magnaschei» svelati dal Fatto


(m.m.) Oggi Il Fatto in pagina 16 pubblica un approfondimento molto ben documentato in cui spiega come negli ultimi 15-20 anni le regioni, amministrate da ogni colore politico, abbiano massacrato la sanità pubblica riducendo i posti letto: il Veneto non fa eccezione tanto che il ritratto che alla ex Serenissima dedica Giuseppe Pietrobelli, per anni mio collega al Gazzettino, è impietoso e fa a pezzi il mito della narrazione della sanità, cara al centrodestra e sotto traccia, ma poi nemmeno tanto, ben accetta anche dal centrosinistra. Sullo stesso quotidiano se ci si sposta alla pagina prima c'è una eccellenet analisi di Giorgio Meletti il quale senza peli sulla lingua descrive come centro-destra, centro-sinistra e M5S pensino, una volta passata l'emergenza Covid-19 di riprendere a finanziare quel pozzo di San patrizio fatto di melma e tangenti che sono le grandi opere. Meletti ha il pregio di spiegare che oltre al fatto che di quattrini ce ne siano e ce ne saranno pochi, sarebbe molto meglio usare quel poco di cui disporremo per curare i comuni mortali, far funzionare i comuni, fare le tante piccole opere che servono sul territorio alla faccia dei feticisti del cemento a partire dal ministro dei trasporti Paola De Micheli (il nostro Luca Zaia peraltro non è da meno). Se poi volete completare l'opera sempre su Il Fatto di oggi ci sono due corsivi (uno del più grande giornalista italiano ovvero Massimo Fini, l'altro di un lucidissimo Salvatore Settis) che meritano una lettura attenta. Rimane un interrogativo. Ai «magnaschei» e ai «papponi» che hanno trasformato la sanità da una signora con i suoi difetti ma tutto sommato rispettata in una baldracca in disarmo che non ha nemmeno i soldi per comprarsi i preservativi riciclati che cosa dovremmo fare? In un Paese di maniere spicce come l'Afghanistan il Mullah Omar se fosse vivo lorsignori li appenderebbe al primo palo della luce all'ingresso dell'autostrada... Quando e se la tempesta passerà gli italiani che futuro riserveranno alla classe digerente che li ha amministrati? Rimane da fare un'ultima considerazione. Si sente molto poco parlare di quanto, in circostanze come queste, possa fare la Bce. Quest'ultima in ragione dei trattati europei (più nel dettaglio l'articolo articolo 123 comma secondo del testo unico sui trattati europei, ossia il Tue) dà facoltà, in buona sostanza alle banche pubbliche, di ricevere danaro creato dalla Bce. Il dettato della norma europea, sebbene scritto in modo un po' burocratico è stringente: «Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati». Ora siccome con questo cavillo stati come la Germania ci hanno giostrato non poco. E poiché da quello che si legge sulla stampa internazionale come su quella del Belpaese pare che la Germania sia pronta a mettere in campo un bazooka monetario da paura, presumibilmente con l'ombrello della Bce, non si capisce perché altri Paesi, Italia inclusa non possano fare allo stesso modo, vista l'emergenza in corso. Di questa questione, anche se in un ambito diverso non legato alla vicenda coronavirus se ne occupò lo scrittore Marco Della Luna che sul suo blog, era il 20 febbraio 2014, approfondì proprio il tema delle possibilità che derivavano per gli stati membri della Ue di fare riferimento a quell'articolo del Tue. Una possibilità che secondo Della Luna, l'Italia, improvvidamente, non ha mai colto. 

LEGGI L'ESTRATTO DA IL FATTO