giovedì 9 agosto 2012

Nuovi stadi con colata di cemento: il pasticcio di una legge

Viva il Milan e viva l'Inter, viva l'Atalanta e viva la Sampdoria, viva il Palermo e viva la Salernitana e insomma viva tutti: ma perché costruire uno stadio dovrebbe essere più facile che tirar su una scuola, una caserma dei pompieri o un ospedale? Te lo chiedi leggendo la nuova legge che vorrebbe dare un'accelerata a tutti i nuovi impianti sportivi che abbiano in allegato ipermercati, ristoranti, condomini... Legge votata in mezz'ora, grazie a una tregua-lampo nella rissa tra i partiti, da un'ammucchiata mai vista. Tema: possibile che un Parlamento capace di rifiutare la corsia preferenziale alla legge sui bilanci dei partiti mentre si consumava lo scandalo dei rimborsi elettorali gestiti dai tesorieri della Margherita Luigi Lusi e della Lega Francesco Belsito, non l'abbia invece negata a un provvedimento come questo, approvato fulmineamente in 30 minuti netti dalle 13.55 alle 14.25 di giovedì 12 luglio, in «sede legislativa» da una commissione di 44 deputati, senza passare per l'aula? Seconda domanda: perché se n'è occupata la Commissione cultura, scienza e istruzione invece di quelle che hanno a che fare con l'urbanistica o i lavori pubblici? Perché ha competenza sullo sport?

Ma «che c'azzecca», per dirla in «dipietrese», con la costruzione di questi trans-stadi-ipermercati-hotel? Ma qui proprio il caso dipietrista pone la terza domanda: come mai, nel bel mezzo di una guerra termonucleare contro tutto e tutti, la stessa Idv s'è associata al coro degli entusiasti della nuova norma? Tutti, l'hanno votata. O quasi: la sola Luisa Capitanio Santolini, a nome dell'Udc, ha votato contro: era delusa che il testo, frutto «del lavoro condiviso», non fosse «meditato e discusso ulteriormente». Gli altri, tutti insieme appassionatamente. Maria Coscia, del Pd, lo ha benedetto come «un provvedimento di grande utilità per il mondo dello sport». Rocco Crimi, il tesoriere del Pdl, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per la vigilanza sul Coni, già consulente farmacologo della Roma Calcio e dell'istituto di Medicina dello sport Coni-Fmsi, ha esultato per gli «importanti miglioramenti» apportati nella seconda lettura alla Camera dopo il passaggio al Senato nell'ormai lontano 2009. Pierfelice Zazzera, vicepresidente della commissione, dipietrista, ha applaudito. E non è mancata, in chiusura, l'aspersione dell'incenso governativo: operazione assegnata al ministro dello Sport Piero Gnudi, speranzoso d'aver dato il via a «un volano per l'economia».

Le firme in calce alla legge, risultato dell'unificazione di più proposte, sono un arcobaleno. Spiccano su tutti gli azzurri Luigi Grillo e Paolo Barelli, presidente della Federnuoto. Ma anche esponenti del Pd quali l'imprenditore farmaceutico Andrea Marcucci, Mariapia Garavaglia o Anna Maria Serafini, moglie di Fassino. E i leghisti? Hanno preferito non sbilanciarsi in dichiarazioni di voto: metti mai che poi i tifosi padani dell'Albinoleffe o della Solbiatese… Ma il loro okay, alla fine, non lo hanno fatto mancare. La lettura del provvedimento è molto istruttiva fin dal titolo: «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale». Messa così, sembrerebbe il via libera a uno sforzo per costruire nuovi «Maracanà» o nuovi «Santiago Bernabeu». Insomma: tre o quattro spettacolari strutture in grado di farci fare un figurone planetario. No: per beneficiare della «semplificazione e dell'accelerazione delle procedure amministrative» non serviranno più neppure i limiti previsti dalla versione uscita dal Senato: almeno 10 mila posti a sedere allo scoperto e 7.500 al coperto. Nella nuova stesura ne basteranno rispettivamente 7.500 e 4.000. Col risultato, tremano gli ambientalisti, che la soglia si è abbassata al punto di invogliare alla costruzione di stadi e palazzetti «ibridi», cioè affiancati da ipermercati e hotel e sale gioco e beauty center in deroga ai piani urbanistici, anche nelle cittadine di provincia. Che certo non punteranno mai a ospitare le Olimpiadi o gli Europei. Novità: la società sportiva che realizza l'impianto dev'essere riconosciuta dal Coni. Che si va ad aggiungere alla miriade di enti e istituzioni che hanno competenza sulle opere pubbliche. Fin qui, direte, è roba di sport. Vero. Ma tutto fa pensare che la «ciccia», quella vera, non sia negli impianti. Ma in quel comma, il numero 2 dell'articolo 4, più insidioso. Che recita: «Il progetto per la realizzazione di complessi multifunzionali può prevedere ambiti da destinare ad attività residenziali, direzionali, turistico-ricettive e commerciali».

Poche parole, ma tali da far sospettare a Legambiente, come si legge nel dossier elaborato con l'Istituto nazionale di Urbanistica e il Consiglio nazionale degli Architetti, che «questo provvedimento non è pensato per le squadre di calcio ma per chi vuole realizzare speculazioni edilizie. Perché altrimenti prevedere che si possano realizzare case e alberghi, centri commerciali e uffici? E senza neanche una scadenza legata a un avvenimento sportivo, per cui varrà per sempre come procedura speciale, permettendo in pochi mesi di rendere edificabili terreni agricoli e persino, con alcune forzature, aree vincolate». Assurdo, accusa il dossier: «Del resto l'unico grande stadio realizzato in Italia in questi anni, lo Juventus Stadium di Torino, non ha avuto bisogno di procedure speciali, né di essere finanziato dalla costruzione di case e alberghi». Qui no, qui «la vera invenzione è nella formula "complessi multifunzionali" definiti come "complesso di opere comprendente ogni altro insediamento edilizio ritenuto necessario e inscindibile purché congruo e proporzionato ai fini del complessivo equilibrio economico e finanziario"». Parole così generiche da comprendere e consentire tutto. Le procedure, accusa Legambiente, «sono davvero speciali: si presenta uno studio di fattibilità finanziario e di impatto ambientale, entro 90 giorni la giunta comunale si esprime, convoca una conferenza di servizi per le varianti ai piani vigenti e l'approvazione del progetto da concludersi entro 180 giorni, e poi dopo l'approvazione del consiglio comunale (entro 30 giorni), si può partire con i lavori».

Evviva la velocità: ma i rischi? Un solo caso tra i tanti ricordati dal dossier: l'area scelta dalla Lazio, 600 ettari e su cui realizzare 2 milioni di metri cubi, «si trova intorno al km 9,4 della via Tiberina in area di esondazione del Tevere vincolata dal punto di vista idrogeologico ed archeologico». Un pasticcio. Che spacca anche i partiti. A partire dal Pd. Basti leggere le dichiarazioni di fuoco, dopo il via libera della legge alla Camera (adesso deve tornare in Senato ma stavolta dovrà passare per l'aula) di Ermete Realacci o di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, secondo i quali è «una nuova legge-porcellum. Tagliata su misura sugli appetiti speculativi di pochi presidenti di società di calcio. Gli stadi sono solo un pretesto, la vera intenzione è realizzare grandi volumetrie commerciali, residenziali, direzionali fuori dalle previsioni e dai limiti dei piani regolatori». Rispondano anche i tifosi: ne vale la pena?

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
da Il Corriere della Sera del 4 agosto 2012; pagina 25

Piano casa: +68%. «Ma è frenato, colpa dei comuni»

Il “Piano casa” in Veneto va: a fine giugno le pratiche sono cresciute a quota 44mila, circa il 68% in più di quelle che c'erano un anno fa quando la Regione lo prorogò e lo modificò dopo i primi due anni di gestione. Ma quella norma avrebbe potuto e dovuto fare molto di più a favore dell'economia e dell'edilizia. Quindi bisogna intervenire, con alcune modifiche ma soprattutto con due obiettivi: prorogarlo di almeno un anno ed escludere il potere dei Comuni, che ne hanno limitato di molto la valenza. È questo il messaggio chiaro che lancia il Pdl veneto con il vicentino Costantino Toniolo, presidente della commissione “Affari istituzionali”, che ha depositato un progetto di legge firmato anche dai colleghi Bond, Cortellazzo, Tesserin, Bendinelli, Laroni e Conta.

I NUMERI. L'analisi di Toniolo parte innanzitutto dai dati raccolti dalla Direzione urbanistica della Regione, che già dal 2009 monitora l'applicazione del Piano casa in terra veneta. I dati raccolti dicono che nei 581 Comuni del Veneto a giugno - quindi di sicuro la cifra è in difetto, visto che ora siamo ai primi di agosto - sono state registrate oltre 44.400 domande: un anno fa, quando la Regione varò la proroga di altri due anni con modifiche alla norma, erano 26.300. Le pratiche effettive però sono state 35.700, con un calo dovuto anche ai “no” pronunciati dai Comuni, e «con un particolare che balza agli occhi. Quasi tutte, e cioè oltre 35mila domande - sottolinea Toniolo - sono state pratiche relative all'articolo 2 della legge, cioè quello sull'ampliamento di edifici. Solamente 720 hanno riguardato l'altra procedura possibile, quella di demolizione-ricostruzione». Questo non toglie che l'effetto economico ci sia stato: la Regione calcola che a luglio 2012 il Piano casa sia salito a 1,8-2,2 miliardi di euro di fatturato globale.

CHE COSA È MANCATO. Ma secondo la valutazione che viene fatta in Regione gli interventi avrebbero potuto essere «molti di più, se non ci fossero state le troppe limitazioni imposte dalle delibere comunali di recepimento della legge». In sostanza, il mercato dell'edilizia - soprattutto quello delle piccole imprese - ha visto sì un crescere di interventi ma «il risultato inferiore alle aspettative è sicuramente imputabile non solo alla crisi economica» ma anche alle delibere dei Comuni. «Se poi si tiene conto che quasi nove Comuni su dieci hanno fatto passare quattro mesi prima di recepire la legge stessa - sottolinea Toniolo - è evidente che c'è stato un freno ancora maggiore nel primo periodo di applicazione». Il clima di incertezza dovuto anche all'attesa delle delibere dei singoli Comuni può avere anche generato incertezza sugli operatori stessi. In più, come detto, sono stati pochissimi gli interventi di demolizione-ricostruzione. 

LA NUOVA PROPOSTA. Chiaro quindi quali siano gli obiettivi della nuova proposta di legge depositata dal Pdl e da Toniolo, il qualche ha pure ha già preso contatti - spiega - con esponenti della Lega ma anche dell'Udc per verificare se c'è un atteggiameno favorevole al testo depositato. Per prima cosa la legge mira «a prorogare l'applicazione del Piano casa di un altro anno, alla fine del 2014 e non solo del 2013. Ma l'obiettivo generale - precisa Toniolo - potrebbe essere quello di avere una norma che non sia a termine, ma sempre in vigore». Secondo, come Toniolo aveva già tentato di fare un anno fa, la nuova proposta mira a «eliminare la possibilità per i Comuni di applicare dei limiti alla normativa regionale del Piano casa. In sostanza, secondo me la Regione deve poter fissare regole valide per tutto il territorio veneto in maniera omogenea».

INCENTIVI. La proposta di legge propone precisazioni e direttive più precise per vari settori (prima casa in terreno agricolo, interventi di bio-edilizia, costruzione dell'ampliamento quando in realtà è staccato dall'edificio originario, ecc.). Ma prevede soprattutto un ulteriore incentivo per spingere i veneti e le imprese a ricorrere di più anche alla demolizione-ricostruzione, «che è un intervento più interessante - sottolinea Toniolo - perché permette di creare strutture edilizia più efficienti anche dal punto di vista dei consumi». L'idea quindi è concedere in caso di demolizione un aumento di volumetria fino al 50% (non più 40%) ampliabile in alcuni casi fino al 60%.

Piero Erle
da Il Giornale di Vicenza del 7 agosto 2012; pagina 7