giovedì 31 dicembre 2015

Il Ft, le banche e i media veneti

Secondo il Financial Times, che viene citato dal Corriere Veneto di oggi 31 dicembre 2015 in pagina 11, la situazione patrimoniale delle popolari venete è assai grave. Tanto grave da rischiare il cosiddetto 'bail in', ovvero la famosa formula di salvataggio interno a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i centomila euro. Proprio per scongiurare uno scenario del genere, sempre secondo il prestigioso quotidiano britannico, le circostanze potrebbero quindi portare tali istituti di credito verso una situazione di tipo greco; vale a dire una situazione in cui al momento dello sbarco sulle piazze degli affari si cercherà di collocare le azioni a prezzi stracciati. Con tutti gli annessi e i connessi in termini speculativi vien da dire. La notizia comunque è da annotare.

Tuttavia fa sorridere che una eventualità del genere, paventata a più riprese in questi mesi da chi ha criticato l'operato decennale delle due popolari venete, venga solo ora, più o meno goffamente dipende dal punto di vista, confutata dai vertici di VeBa, tanto per fare un esempio. Detto in altri termini, come mai l'amministratore delgato di VeBa Cristiano Carrus, sempre stando al Corveneto di oggi, si spende solo ora in questi termini? Non era uno scenario gonfio di speranze quello da lui descritto il 19 dicembre a Volpago durante l'assemblea dell'istituto da lui capitanato?

In questo contesto però colpisce la stitichezza dei grandi media. L'opzione tratteggiata dal Financial Times (l'artcolo pubblicato il 29 dicembre bisognerebbe leggerselo tutto perché sono numerosi gli spunti di interesse) per vero si discosta assai poco da quella che è stata affrescata da alcune testate più attente a vedere dietro la notizia. O dalle analisi che durante gli ultimi mesi sono fiorite spontanee durante i tanti dibattiti organizzati sul futuro delle popolari venete. Anche il sottoscritto nel suo piccolo aveva cercato di dare il suo contributo al dibattito, invano però. Ma come mai lo scenario alla greca è divenuto tutto ad un tratto mediaticamente realistico solo ora che ne parla il Ft? Non è che qualcuno, fino a quando ha potuto, ha cercato ti tenere la mordacchia all'informazione, finendo poi per arrendersi difronte ad una fonte troppo grossa combattiva e autorevole per essere solamente ignorata? Se fosse così, e il che non è affatto impossibile, avremmo la ennesima conferma di una informazione veneto-italica, generalmente schierata dalla parte dei soliti noti. Salvo doversi poi ravvedere di tanto in tanto per evitare l'ennesima figura barbina. Per la serie, ilpadrone del megafono ha sempre ragione...

Marco Milioni

giovedì 17 dicembre 2015

Caro socio ti scrivo, lettera aperta ai veneti

Dice, la trasformazione in spa di Veneto Banca e l'aumento di capitale da un miliardo van fatti perché altrimenti l'istituto salta per aria giacché ha sette miliardi di sofferenze... Ma allora, come diceva il buon Nino Frassica, delle due tre. O la banca è davvero malmessa e allora con un miliardo di aumento di capitale da votare sabato non si fa nulla. Oppure le sofferenze non sono vere, e allora qualcuno sta agitando lo spauracchio per obbligare i soci a ripianare un po' di perdite per poi permettere ai nuovi padroni, abolito il voto capitario, di papparsi il tutto a prezzo di saldo. Oppure ancora, le sofferenze ci sono, la proprietà dopo sabato cambia, ma in seguito la Ue potrebbe dire ok, magicamente, a quegli aiuti di Stato che ci son stati per Mps, per le banche dell'Italia centrale e che invece non ci sono stati, fino a oggi per le popolari venete.

Dice, ma i grandi giornali sono tutti schierati per il sì. Embeh? Di riffa o di raffa sono tutti legati all'establisment finanziario, da quando in qua i tacchini festeggiano il Natale? Dice, ma è la Bce che chiede di trasformare subito Veneto Banca in spa. E perché allora, entro sabato, non lo chiede anche per Popolare Vicenza? Dice, ma lo chiede anche Schiavone, i sindaci del Pd, Luca Zaia, i sindacati, il Marino Smiderle del Corriere Veneto tale Alessandro Baschieri nonché l'Alessandro Baschieri del Giornale di Vicenza ovvero Marino Smiderle. Pure il M5S tentenna mentre i big di Veneto Banca si mormora abbiano pure convinto gli irriducibili dell'Odissea che hanno incontrato poche ore fa... Ma non vi siete resi conto che li hanno pigliati uno a uno per ridurli all'ordine?

Schiavone è stato per anni magistrato a Treviso, possibile che sulle furberie ai piani alti di VeBa non abbia mai sentito nulla? Zaia non amministra una regione che ha un debito contratto col gruppo Intesa (130 milioni) la quale è a capo della cordata che garantisce l'acquisto di azioni di VeBa se sabato gli azionisti non votano l'aumento di capitale? Non è che il governatore ricciolino teme che se sgarra e propugna il no ad una Veba che si trasforma in spa, la banca che lo tiene virtualmente per le palle, "gli chiede alla sua regione" come dicono al Sud, di rientrare dal fido come fa con la piccola impresa di Trebaseleghe o di Loria? Ma il Pd non è quello che ha la coscienza più che sporca su Mps e non si può permettere di fiatare su Bankitalia dove conoscono i trascorsi dei suoi rapporti con una personcina di nome Geronzi? Ma i sindacati non sono quelli che col governo Monti (ex Goldman Sachs) non hanno fiatato nulla quando quell'esecutivo ha dato l'ok al taglio delle pensioni più sanguinoso della storia?

Dice, ma caspita. VeBa va trasformata in spa perché se sabato non lo fanno i soci, lo farà d'imperio la Bce per il tramite di Bankitalia. Ma se il destino è segnato e se ormai tutto è perso perché si chiede ai piccoli soci di dare il colpo di grazia alla bestia morente? Non potrebbero darlo direttamente lorsignori dell'empireo e da uomini assumersi la responsabilità della mattanza sui piccoli risparmaitori? Non è che hanno capito che nel Veneto le mazzate inferte ai piccoli delle popolari darà il via ad un bagno di sangue sociale e per questo invocano la complicità delle vittime? In pratica ti dicono che mettertelo in culo è obbligatorio, epperò pretendono pure il tuo consenso scritto.

Morale della favola. Sabato il sì alla trasformazione in spa è pressoché scontato. Ma siccome a marzo si vota per la trasformazione in spa di BpVi, che è messa peggio di VeBa, e non ha ancora trovato tutti i compratori finali e non ha ancora finito di rifoderare i suoi bilanci col cartongesso, gli utilizzatori finali delle terga dei veneti, chiedono che la cosa passi senza troppo clamore. E nel segreto dei corridoi fabbricano vaselina da reclamizzare con messaggi a quotidiani unificati. Un po' dispiace, perché sabato il Veneto avrebbe potuto mostrare all'Europa intera di avere i coglioni. Gli autonomisti, i leghisti, i federalisti, i venetisti, gli indipendentisti, i gommisti e pure gli scambisti, invocano da anni il referendum per staccarsi dai diktat dell'Italia.

Sabato hanno a disposizione quello per staccarsi dai diktat della ancora più odiata Bce. E al posto di votare no compatti, per cercare una soluzione alternativa, o quanto meno per non accollarsi la responsabilità del baratro, voteranno sì. In ordine sparso, anzi in ordine sperso. Dimostrando così di non meritare un centimetro quadrato di quella terra meravigliosa che è, o era vista la cementificazione finanziata anche da quelle banche sulla via di Francoforte, il Veneto. Cari veneti e venetisti, a meno di un colpo di reni, finirete schiavi del Reno. Ma è giusto così perché «chi percora se fa il lupo se lo magna» dicono gli abruzzesi. Ci avete messo quarant'anni a costruire una fortuna, ce ne metterete venti per sputtanarvela con la finanza internazionale: la slot machine su cui non tramonta mai il sole. Rammolliti dai schei, dai suv, dalle tv al plasma e dai centri commerciali ora vi rassegnate al nulla, pur di non combattere. Sputi cordiali.

Marco Milioni

P.S. Dice un antico adagio degli amerindi: puoi combattere senza vincere, ma non puoi vincere senza combattere...

domenica 13 dicembre 2015

Popolari venete, ipocrisie e silenzi della stampa mainstream

La vicenda delle popolari venete sta giungendo ad una fase apicale. In un contesto assai critico tra pochi giorni, ovvero il 19 dicembre, i soci di Veneto Banca saranno chiamati ad una drammatica assemblea durante la quale dovranno scegliere, alla grossa, tra trasformare l'istituto in una spa (opzione caldeggiata dall'attuale cda, dai big di Confindustria, dai giornali a loro vicini e da alcune associaizoni dei piccoli azionisti o piccoli soci). O mantenerlo, almeno per alcuni mesi, con l'attuale assetto societario per poi trasformarlo ma dopo avere aperto tutti i cassetti, in modo da coniugare le esigenze dei piccoli risparmiatori con le aspettative dei grandi investitori. Rispetto a tale scenario si possono avere le opinioni più disparate.

Una stampa degna di questo nome, pur mantenendo fede alla linea editoriale di ciascuna testata, dovrebbe dare spazio ad ogni voce. Questo però non sta avvenendo; basti pensare alla geremiade con cui ieri su Il Giornale di Vicenza, Marino Smiderle ha "stampellato" una lettera aperta di Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato ed ex direttore generale di VeBa. Consoli, in soldoni, ha scaricato su altri fattori le magagne dell'istituto, ora nei guai, che lo ha visto signore incontrastato per anni. Sempre nel suo intervento Consoli ben si è guardato dal ricordare le rogne penali che proprio in relazione all'affaire VeBa lo vedono tra i principali indagati. Contestualmente lo stesso Smiderle ben si è guardato dal proporre un approfondimento in tal senso.

Frattanto il tema sul futuro azionario di Veneto Banca rimane bollente. Giovedì a Trevignano in provincia di Treviso, coloro che sostengono a spada tratta il no alla trasformazione in spa si sono trovati in 350 al teatro civico del piccolo comune della Marca. È stata una serata con una presenza di pubblico assai cospicua. Ma se si guarda la copertura data all'evento da parte di stampa e tv e li si mette a confronto con lo spazio fornito alle ragioni del sì, viene da ridere (o da piangere) nel constatare quanto i sì siano supportati dai media mainstream. Se a tutto ciò si aggiunge l'ipocrisia con cui molti, troppi, giornalisti hanno sterilizzato l'iniziativa "anti-banche" di Don Enrico Torta e delle associazioni a lui vicine, cancellando ogni riferimento del prelato e dei suoi compagni di viaggio ad una netta opposizione alla trasformazione sprint di VeBa (e di conseguenza di BpVi), si capisce perché il giornalismo, un certo giornalismo, scodinzolante e quindi cravattaro, finisca per godere di poca stima presso l'opinione pubblica. Chi scrive giovedì ha ripreso (senza nessuna pretesa sul piano tecnico) alcune scene della serata. Queste sono a disposizione di tutti e sono visionabili coolegandosi al link in calce. Chiedo ora ai lettori. Queste immagini le avete viste sulle tv regionali o nazionali. Se le avete viste vi chiedo di indicarmi su quali programmi siano passate. C'è poi un'ultima questione che per i media mainstream rimane un tabù. Ed è quella del valore al quale le azioni delle banche, ormai divenute spa da quotare in borsa, saranno inizialmente collocate sul mercato. Già una semplice disamina sulle sofferenze, gli incagli, i crediti deteriorati, le quote di società terze date in pegno alle banche, e i finanziamenti diretti o indiretti concessi per acquistare azioni proprie, descrivono una realtà dura a digerire per molti. Quella per cui una volta giunte alle soglie della borsa le azioni delle banche, dovranno in qualche modo essere svendute, un po' come è stato fatto per le banche greche all'indomani del diktat europeo sul salvataggio della Grecia. Che poi è stato il salvataggio di alcune banche greche che a loro volta erano indebitate con primari istituti di credito, europei in primis, ma anche americani. Il problema è che se si portano fino alle estreme conseguenze questo ragionamento è chiaro che anche per le popolari venete potrebbe materializzarsi lo spettro del cosiddetto "bail in", ovvero un eventuale salvataggio pagato da azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra il 100mila euro.

Marco Milioni
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domenica 6 dicembre 2015

L'indiscrezione dall'intelligence: due big veneti coinvolti nell'affaire kazako

Due veneti, due importantissimi esponenti del gotha economico politico del Paese, sarebbero stati a conoscenza con un certo anticipo del blitz che nel 2013 portò la polizia italiana a fermare per poi espellere moglie e figlia del banchiere Muxtar Äblyazov. Di più i due oltre ad essere a conoscenza dell'operazione, l'avrebbero «in qualche modo benedetta» anche con l'aiuto di alcuni soggetti legati a doppio filo ai servizi segreti italiani. L'indiscrezione arriva da alcuni ambienti dell'intelligence militare americana di stanza nelle basi Usa-Nato del Veneto. E della cosa sarebbero bene informati anche i servizi americani e russi che operano sotto copertura delle rispettive ambasciate a Roma.

Il tutto peraltro giunge in un momento molto delicato. Non solo per le ulteriori rivelazioni relative al caso di Alma Shalabayeva. Non solo per i ventilati nessi tra il caso kazako e la galassia Eni ai tempi del suo dominus Paolo Scaroni. Ma anche per il cortocircuito giuridico che si sarebbe creato per le conseguenze di quello che Daniele Autieri su Repubblica.it definisce «un atto riparatorio, maldestro tentativo di evitare una crisi diplomatica con il Kazakhstan, innescata dopo la fuga del dissidente Ablyazov». Va ricordato per l'appunto che recentemente le cronache giudiziarie nazionali hanno fatto clamore quando si è appreso, come ricorda sempre Repubblica.it, l'apertura di un fascicolo per sequestro di persona e falso ideologico a carico di undici persone, tra cui l'attuale capo dello Sco (Servizio centrale operativo della Polizia) Renato Cortese e il questore di Rimini, Maurizio Improta.

Ma a che cosa sarebbe dovuto il corto circuito giudiziario? La questione è semplice. Se è vero che l'operazione di «extraordinary rendition» patita dalla Shalabayeva si fosse materializzata per la autonoma iniziativa di pezzi della Polizia di Stato, magari in accordo con organismi emanazione di stati esteri, e senza informare il Viminale, allora ci troveremmo di fronte a un comportamento censurabile non solo con gli articoli del codice penale che sanzionano il sequestro e il falso ideaologico. Ma anche, quanto meno, con la possibile violazione dell'articolo dell'articolo 289 del codice penale (attentato agli organi costituzionali). In questo caso l'eventuale soggetto danneggiato non è la Shalabayeva, bensì il governo nella sua interezza giacché un eventuale comportamento contra legem nel novero di una verifica del titolo di soggiorno delle due donne in Italia, nuocerebbe all'esecutivo sia nell'espletamento delle spettanze garantite agli Interni, ma anche, nel caso di una possibile querelle diplomatica, alla Farnesina. In questo senso uno scenario a tinte fosche lo descrive il deputato Alessandro Di Battista del M5S.

A questo punto si delineano due direttrici. Uno, il governo capitanato dal democratico Matteo Renzi si spinge fino in fondo. Due, il governo rimane in mezzo al guado, anzi alla palude. Nel primo caso sarà costretto a denunciare alla autorità giudiziaria i servitori infedeli. A svolgere accertamenti propri mediante i servizi per accertare responsabilità pregresse, magari di ex manager del Cane a sei zampe. E per ultimo ma non da ultimo, a constatare la inadeguatezza di un ministero degli Interni, che si è fatto menare sotto il naso in ragione di una operazione nemmeno comunicata al numero uno dell'Interno Angelino Alfano di Ncd, meritevole ormai di dimissioni.

Nel secondo caso invece, quello per cui Alfano fosse a conoscenza dell'imminente blitz, il premier dovrebbe almeno come minimo sindacale invitare Alfano a fare le valigie. Renzi però ha bisogno dei centristi e dei loro legami, a Roma come in altre parti d'Italia, per rafforzare il suo potere. L'inquilino di palazzo Chigi potrebbe essere quindi assalito dalla voglia di silenziare tutto. Magari con la sordina del segreto di Stato. E questo avrebbe un riverbero maligno nei confronti della inchiesta attualmente in corso da parte della magistratura requirente. In questo momento poi c'è un contesto internazionale di grande tensione. Tensione che si dispiega anche nei rapporti tra Usa, Italia e Russia, che anche in ragione di quanto sta accadendo in Medio Oriente si sono fatti quanto mai ambigui, quanto mai viscidi.

Marco Milioni

mercoledì 25 novembre 2015

Ambiente, nel Veneto i controlli della Forestale a rischio

Poche ore fa la Polizia Stradale di Verona ha svelato l'ennesimo scandalo rifiuti del Veneto. Tra le ditte coinvolte ce n'è anche una calabrese, ma per gli inquirenti allo stato è prematuro parlare di infiltrazioni mafiose. Certo è che nella regione che fu della serenissima il comparto ambientale, anche in ragione di una imprenditrìa non di rado refrattaria in materia di ecologia, è periodicamente oggetto di scandali e inchieste di rango nazionale. E ad aggravare il tutto ci sono le rivelazioni del sindacato Ugl-Cfs il quale spiega che nel Veneto, i nuclei della polizia ambientale del Corpo forestale dello Stato (i Nipaf) sono letteralmente ridotti al collasso, in alcune sedi provinciali il personale è prossimo alle zero unità. Questo in buona sintesi spiega Fabio Napoli, segretario veneto del settore che in seno ad Ugl tutela i lavoratori del Corpo Forestale dello Stato. «Dire che siamo preoccupati è dire poco» spiega il sindacalista il quale si augura una maggiore presa di coscienza in materia ecologica da parte della opinione pubblica.

Allora Napoli il Veneto, lo confermano pure le cronache delle ultime ore, è al centro di grandi problemi ambientali. La cosa è stata segnalata da più parti a partire dalla commissione Ecomafie. In che cosa consiste in questo ambito il lavoro della Forestale? Quali sono le varie competenze del corpo?
«Le competenze del corpo forestale sono tante, a partire da quelle indicate nella legge 36 del 6 febbraio 2004. Per quanto riguarda l’attività del Corpo Forestale dello Stato nel Veneto possiamo dire che questa, come nel resto del Paese si esplica sostanzialmente nel controllo del territorio (antibracconaggio, abusivismo edilizio, contravvenzioni funghi, tutela della biofauna boschiva). Poi ovviaamnete c'è il controllo sulle grandi questioni ambientali incluso lo smaltimento illecito dei rifiuti. In moltissime occasione i nostri uomini riscontrano attività delittuose volte a smaltire illecitamente rifiuti pericolosi mescolandoli a terre, o a residui di lavorazione dell’attività di cava. Tutto questo materiale può quindi essere utilizzato nei terrapieni, si veda per esempio il caso della Valdastico sud e degli svincoli di Padova. Questo sistema permette un doppio guadagno, la ditta che deve fare il lavoro di riempimento con materiale di scavo risparmia sul materiale ficcandoci dentro i rifiuti. Allo stesso tempo, guadagna dallo smaltimento».

C'è altro?
«Molto importante è anche l’attività legate ai controlli agroalimentari. Nel Veneto è stato istituito un gruppo di controllo per le verifiche di  settore con apprezzabili risultati. Per quanto riguarda l’abusivismo edilizio nel capoluogo berico come è noto è stata importante l’attività svolta dal Nipaf di Vicenza relativa al “Piruea Cotorossi”, che ha visto sequestrata una parte dell’area in cui è prevista la nuova cittadella giudiziaria».


Quando si parla di lotta agli illeciti si parla anche di Nipaf. Una sigla che pochi conoscono. Che cosa è il Nipaf, quanto importante è la sua azione? Nel Veneto quale dovrebbe essere provincia per provincia la sua pianta organica e quale è invece, sempre provincia per provincia la situazione reale?
«Nipaf è un acronimo per Nuclei Investigativi di Polizia Ambientale e Forestale. Tali nuclei sono istituiti in ogni provincia e svolgono le loro funzioni su tutto il territorio; possono inoltre raccordarsi con le strutture territoriali come i comandi stazione. I Nipaf effettuano attività investigativa di alto profilo in particolare su fenomeni di rilievo in materia di criminalità ambientale. Questi nuclei oltretutto sono in contatto costante con le procure della repubblica. La dotazione organica dei Nipaf è prevista in tre elementi oltre il responsabile per ciascuna provincia, tuttavia in molte provincie si lavora in sott’organico».

Solo tre uomini? Non è un po' poco?
«Sullo sfondo c’è il grande problema di organico nel Corpo Forestale dello Stato, un corpo la cui funzione forse viene forse meglio percepita al Nord. Ad ogni modo in un paese come l’Italia dove il territorio viene molto consumato, sarebbe opportuno avere a disposizione un organico molto superiore rispetto alla dotazione attuale».

Quali sono le altre difficoltà in cui versa il corpo nel Veneto? Perché in molti considerano una seria lotta all'inquinamento e ai reati un tabù? Quanto pesa in tal senso l'azione di lobby della grande industria? Le leggi sono migliorabili?
«Innanzitutto purtroppo manca una definizione giuridica di ambiente, con un coacervo di enti con competenze spesso eccessivamente frazionate, che  rendono difficile per agli agenti polizia giudiziaria, ma anche per i cittadini la comprensione e l’applicazione o il riscontro del quadro normativo».

E poi?
«A complicare la situazione aggiungiamo che oggi siamo tra i paesi che hanno un maggiore corpus normativo in materia ambientale. Gli appartenenti al Corpo forestale debbono far fronte ad una serie impressionate tra norme penali, civili, amministrative, disciplina nazionale e locale. Occorre stare al passo anche sui libri e non è facile quando il personale è tirato all'osso. Quanto alle lobby ci preoccupa il fatto che spesso troppi interessi particolari finiscono addirittura codificati nella legge. Non va bene. Ci sono però anche alcuni cambiamenti positivi come i tempi di prescrizione raddoppiati. Come previsto dalla legge 68 del 22 maggio 2015 in materia di delitti ambientali».

Tutto bello quindi?
«Oh certamente sì... Se non fosse che lo stesso governo che ha varato questo efficiente quadro normativo è lo stesso che vuole eliminare il Corpo forestale dello Stato: l'unica forza di polizia specializzata nella repressione dei reati ambientali. È come ridare vigore ad un gioco con regole più idonee, ma lasciando a casa i giocatori più attrezzati. Nel qual caso la forestale».

Da mesi si parla di una riforma del corpo che verrebbe in qualche modo agglomerato all'Arma dei carabinieri. Non sono mancate le voci di chi teme che i motivi veri alla base della riforma siano ben altri. Quali potrebbero essere?
«La legge delega 124/2015 di riforma della pubblica amministrazione prevede l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile specializzata nei reati ambientali in altra forza di Polizia, preferibilmente sembra che vogliano optare verso l’Arma dei carabinieri, una a competenza generale. Non c'è nessun pregiudizio nei confronti dei Carabinieri, quale istituzione candidata ad “ospitarci”, tuttavia va evidenziato che per il Governo Renzi l'eventuale accorpamento, per motivi di semplificazione della pubblica amministrazione,  riguarda esclusivamente il Corpo forestale dello Stato con i suoi quasi due secoli di storia; ma guarda caso la stessa cosa non riguarda i 2.495 forestali delle regioni autonome (Sicilia, Valle D’Aosta, Friuli, Trentino) che, paradossalmente, da un emendamento nella legge delega escono pure rafforzati».

In che quadro avviene tutto ciò?
«Noi giungeremo quindi ”abolizione” del Corpo forestale, nonostante siano già state eliminate le 2.800 unità delle polizie provinciali. a questo punto una domanda nasce spontanea».

Quale?
«Chi ci sarà a presidio del territorio, del patrimonio ittico-venatorio? Chi farà opera di contrasto in tema di illeciti ambinetali? Chi presidierà interi territori di montagna senza che divengano sguarniti e senza riferimento per il cittadino? Il cielo non voglia che la tutela amnientale in una con il draconiano depotenziamento della Frestale possa costituire un sacrificio sull’altare della crisi economica ed occupazionale per favorire la cosiddetta crescita. L’attività di Polizia giudiziaria portata avanti dal Corpo forestale dello Stato, proprio grazie alla sua autonomia e alla competenze professionali dei Nipaf e dei Comandi Stazione, corre un rischio. Quello di essere militarizzata anche perché la forestale in moltissime occasioni è stato l'organo di controllo, prevenzione e repressione che ha fatto emergere clamorosi casi di malaffare». 

Quanti sono i forestali nel Veneto. Quanti in Italia. E perché spesso l'opinione pubblica li confonde con quelli della Sicilia?
«Il Corpo forestale dello Stato in tutte le regioni d’Italia è presente all’8 aprile 2015 con 7134 elementi a fronte dei 9358 previsti sulla pianta nazionale, mentre in Veneto  il ci sono in servizio 371 elementi a fronte di una pianta organica di 510 unità. La carenza d’organico riguarda infatti soprattutto le regioni del Nord».

E al sud?
«Solo in Sicilia ci sono 28.000 forestali regionali che non hanno nulla a che vedere con il nostro corpo. I forestali siciliani costano 480 milioni l’anno. Che cosa posso dire? Se un governo alla fine tiene in piedi i privilegi della cosiddeta casta mentre sventola come risultato della spending review l'annientamento del nostro corpo vuol dire che si è perso completamente il senso del rapporto tra risorse in campo e il perseguimento degli scopi che tali risorse dovrebbe garantire».

Marco Milioni

domenica 18 ottobre 2015

Banche che passione

Ieri, 17 ottobre, su Il Fatto a pagina 8 il bravissimo Giorgio Meletti fa una summa delle rogne che stanno divorando il sistema bancario italiano. Sono tutti argomenti conosciuti, in parte comuni ad altri Paesi, ma la penna del cronista mette in sequenza i fatti in modo esemplare.

LO SPACCATO. Ne esce uno spaccato nero per l’Italia, in cui la incapacità dei manager sommata alla pratica di concedere crediti agli amici degli amici, dei politici, dei finanzieri e dei mafiosi, ha generato una situazione spaventosamente instabile. Per la quale sarà il vecchio, malconcio, maleodorante e indebitato Stato a doverci mettere la classica pezza. Indebitandosi ancor più all’insegna del motto perdite pubbliche e profitti privati. E quindi a quando, magari dopo un paio di salvataggi a carico di Pantalone, dovremo aspettarci l’arrivo d’un professorino da Bruxelles, magari con la gavetta zelantemente completata presso qualche banca iperindebitata, che invocherà lacrime e sangue per rientrare nei ranghi? Grecia docet.

LO SCENARIO. Se a questo aggiungiamo l’incognita sui derivati e la bomba delle clausole di salvaguardia (Il Fatto del 17 ottobre in pagina 3) ben si capisce che cosa stia cucinando questo governo in combutta, o meglio sotto dettatura, delle lobby bancarie, finanziarie e industriali che lo alimentano. Benvenuti nella mafia 4.0. Quella che non spara. Anzi che spara solo coi tassi d’interesse…

POSTILLA VENETA. E in questa giostra i veneti non pensino di stare tanto allegri. Primo perché due tra i maggiori istituti di credito del territotio, BpVi e Veneto Banca sono, finiti nell’occhio del ciclone mentre Dio solo sa se non ci finirà pure il Banco Popolare. Secondo perché sul piano politico il Veneto ha già toppato. Non solo per il silenzio e l’imbarazzo (con le docute eccezioni) con cui la politica è rimasta a guardare gli scandali. Ma soprattutto perché l’amministrazione regionale capitanata dal Carroccio, indipendentemente da come finiranno le inchieste, avrebbe dovuto cominciare a prendersi cura di quei piccoli risparmiatori che sono stati colpiti davvero duro dagli effetti degli scandali. E ai quali bisognerebbe garantire un minimo di supporto in termini di aiuto, anche economico, da parte dei servizi sociali. Come quando c’è un’alluvione. Perché di suicidi dovuti allo scoppio dell’affaire banche nel Veneto già ce n’è stato qualcuno. Dobbiamo preparaci al solito stillicidio seguito dalle ineveitabili lacrime di coccodrillo?

domenica 4 ottobre 2015

Schio, il caso Imam e il flop della stampa veneta

Oggi Vvox.it pubblica un mio approfondimento sul caso dell'Imam scledense che è stato espulso dal nostro Paese su decisione del Viminale. Ho ritenuto opportuno sentire direttamente il questore di Vicenza e il dirigente della Digos affinché dal loro autorevole punto di osservazione fosse chiaro un concetto. L'algerino, almeno al momento, non è stato colpito da alcun provvedimento penale né da accuse di terrorismo. È stato allontanato solo perché il suo comportamento è stato ritenuto in conflitto con il testo unico sulla immigrazione.

Insomma una violazione amministrativa, sul piano astratto come una contravvenzione al codice della strada. Ora, se Sofiane Mezzerreg deciderà di ricorrere al Tar, sarà il tribunale amministrativo del Lazio a far da giudice tra lui e gli Interni. Non è questo il punto. Come è chiaro lo scrupolo con cui la questura di Vicenza ha condotto le indagini, anche in considerazione del fatto che gli investigatori altro non hanno fatto che obbedire alla legge visto che c'era stata una segnalazione. Il punto invece è il comportamento della stampa del triveneto, che ha descritto gli accadimenti in modo così ambiguo, fino a trarne le conclusioni ridicole. Fra queste quelle cui giunge oggi in prima pagina su Il Giornale di Vicenza il suo direttore Ario Gervasutti, sulle quali ritornerò in seguito. Non parliamo poi del titolone del Messaggero Veneto «Istiga i bambini al terrorismo, espulso dall’Italia l’ex imam di Udine». Si tratta di un comportamento da codice penale che invece non sta nelle carte degli investigatori. E l'imam potrebbe anche ricorrere alle vie legali per quel titolo (anche se il sottoscritto da anni si batte per la cancellazione del reato di diffamazione, come approfondirò in seguito). Ad ogni buon conto A lor signori della stampa (che si son profusi in articoli o pseudoarticoli di cronaca giudiziaria e che ben si son guardati di allargare l'orizzonte della questione, salvo sentire il Magdi Cristiano Allam di turno, che solo un GdV formato Isola dei famosi poteva ripescare dal bagnasciuga della notorietà, e ignorando uomini di cultura come Franco Cardini o Massimo Fini) dovrebbe essere chiaro un concetto.

La democrazia si distingue dagli altri regimi per la sua fragilità intrinseca. E perché porta inevitabilmente dentro di sé i semi del suo collasso. Questa è al contempo la sua grande debolezza e la sua forza straordinaria. Ma se partiamo dal presupposto che le espressioni del libero pensiero debbano essere in qualche modo subordinate alla tenuta dello Stato, costi quel che costi, allora la nostra non è una democrazia, ma un'altra cosa: più diversa, ma soprattutto più ipocrita. Una prova indiretta, ma tangibile, di questo assunto è la esistenza di reati arcaici come l'istigazione a delinquere, l'ingiuria, la diffamazione, il vilipendio del capo dello Stato, il disturbo d'una funzione religiosa. O di reati più moderni come l'incitamento all'odio razziale. Si tratta comunque di marchingegni (ancor peggiore è la rivalsa possibile in sede civile) che con la scusa del controbilanciamento tra libertà d'espressione con la sfera degli altrui diritti, un non senso giuridico, una fesseria sesquipedale, ingabbiano la libertà d'espressione rispetto alla quale la libertà di professare la propria fede viaggia in qualche modo a braccetto.

L'anno prossimo cade il 60esimo della morte di Evelyn Beatrice Hall, una delle più apprezzate biografe di Voltaire. La Hall facendo leva sui convincimenti del filosofo francese, ma non solo sui suoi elaborò un concetto straordinario: «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». È il vero discrimine fra ciò che in termini di libertà d'espressione è democrazia e ciò che non lo sia. Purtroppo quella frase molti fingono di ignorarla. Troppi la ignorano completamente. Il che è peggio. Poi la gente se la prende con la carta stampata. Vorrei, tanto per dirne una, misurare quanto spazio sia stato dedicato alla composizione della commissione regionale sui project financing. Che tracolma di persone chiacchierate o indagate. Con un grattacapo del genere il governatore Luca Zaia ben si è guardato dal commentare una sua scelta indecente. Nessuno gli ha spiegato che se l'imam fosse stato italiano da cento generazioni nessuno avrebbe potuto contestargli un bel niente?

Epperò ha trovato il tempo di parlare del caso dell'Imam. Anche un bimbo capirebbe che la vicenda dell'algerino è stata strumentalizzata per non parlare di magagne ben maggiori che attanagliano la nostra regione. «Beata l'ignoranza, se stai bene de mente de core e de panza» diceva un siderale don Buro interpretato da Christian de Sica in Vacanze in America. Erano i ruggenti anni '80. E Carlo Vanzina, con la scusa della satira sociale, aveva già dettato la linea del rincoglionimento generale portato a compimento durante il dominio "berlusconian-centrosinistr-Renziano". Amen.

Marco Milioni

venerdì 25 settembre 2015

Adusbef, Il Fatto e VicenzaPiù sul caso BpVi

(m.m.) L'atmosfera attorno al caso BpVi Zonin rimane torrida. Poche ore fa è antrata nella contesa mediatica Adusbef, la quale chiede chiarimenti sul comportamento di Bankitalia e della procura della Repubblica di Vicenza. Questo è quanto riporta almeno ilfattoquotidiano.it. Stranamente alla riflessione che chiama in causa la procura risponde l'avvocato berico Massimo Pecori (figlio del pm Paolo Pecori; ma è al pm però Il Fatto aveva indirizzato il suo rilievo e non al figlio). Il legale, ex assessore al patrimonio al comune di Vicenza, affida le sue parole a Vicenzapiu.com: «A parte il fatto che io mi occupo semplicemente del recupero crediti, se ci fosse un nesso cronologico o di attività seguita con il mio incarico potrei anche capire ma sinceramente mi sembra solo smania di voler andare trovare a tutti i costi qualche relazione che non esiste». Peraltro non è la prima volta che questo argomento viene trattato dalla stampa veneta nonché da quella nazionale. E sempre su Vicenzapiu.com, attorno al caso giudiziario del mese trova spazio una intervista al curaro all'avvocato Renato Ellero, che dal suo punto di vista di professore universitario tratteggia alcuni interessanti scenari.

LEGGI ILFATTOQUOTIDIANO.IT
LEGGI LE DICHIARAZIONI DI MASSIMO PECORI RESE A VICENZAPIU.COM
ASCOLTA L'INTERVISTA A RENATO ELLERO

domenica 2 agosto 2015

Il Galan che è in Zaia

Non che la cosa fosse ignota. Ma alla fine Luca Zaia ha dovuto mostrare la sua vera natura. Quella di erede del sistema di potere messo in piedi da Galan e soci. Basta una scorsa veloce al progetto di legge regionale sulla revisione dei project financing per capire quale sia l'intenzione reale del governatore veneto. «Per la copertura di oneri che sono previsti a carico della Regione - si legge all'articolo 4 comma 5 del disegno di legge 15 del 29 giugno 2015, primo firmatario Zaia - per la realizzazione di singole opere non oggetto di provvedimenti di revoca e che non sono ancora finanziati, la giunta regionale è autorizzata a ricorrere alla concessione di mutui da parte della Cassa Depositi e Prestiti o da parte di altri Istituti di credito e comunque a contrarre ad altre forme di indebitamento consentite dalla legislazione vigente per un importo complessivo non superiore a Euro centocinquanta milioni di euro».

Questo potrebbe essere il costo per l'uscita in bonis dalla partita dei project financing. La cosa grave è che Zaia non spiega esattamente quali siano gli oneri per la regione. Segno evidente che non ci sono. O, a meno che non siano stati occultati in qualche incoffessabile accordo mai venuto alla luce, se ci sono, sono più che altro immaginari, perché il richiamo all'articolo «21 quinquies della legge 7 agosto 1990 numero 241» in ragione del quale lo Stato prevede un ristoro a favore del privato è campato per aria. Il ristoro infatti è previsto dalla norma solo a fronte di circostanze specifiche, per esempio un contratto valido, magari di convenzione, già stipulato tra le parti. L'avvio di un semplice iter non costituisce alcun titolo di pretesa da parte dei privati. Zaia, o meglio i legulei che gli hanno scritto il disegno di legge, lo sanno; tanto che per impiccare la regione all'albero di futuri pagamenti verso terzi, all'oggi non si capisce perché dovuti, è necessario che sia proprio la deibera allo studio del consiglio a disegnare il diritto acquisito per il privato.

E come lo fa? Stabilendo che se le mutate condizioni di mercato non rendono più sostenibile il progetto di finanza proposto dal privato è l'ente regionale a indennizzare il privato stesso. Incredibile ma vero. È tutto nero su bianco, basta leggere l'articolo 4 comma 4 del disegno di legge al vaglio del consiglio regionale: «Nel caso in cui, nell’ambito della procedura di revisione, la Giunta accerti l’attuale insussistenza di condizioni di fattibilità dell’iniziativa per il venir meno delle condizioni economico-finanziarie a supporto della sostenibilità economico-finanziaria dell’intervento... l’Amministrazione procede all’adozione degli atti conseguenti... salva la possibilità di addivenire ad una revisione del piano economico finanziario nel caso che le condizioni di fattibilità siano variate per cause imputabili alla Regione o per sopravvenute modifiche normative». Come si sa il diavolo si nasconde nei dettagli.

Per di più  nel disegno di legge in itinere per rendere ancora più praticabili le possibili richieste risarcitorie dei privati, che altrimenti poco avrebbero da pretendere, si compie un'altra forzatura. Quale? Alla base del project financing sta la nozione che il rischio d'impresa non se lo cucca Pantalone, ovvero il pubblico, ma il privato. Di converso se si leggono le carte si scopre il distillato di un'altra astuzia: astuzia da quattro soldi, per chi ha dimestichezza con la materia, difficile a scovarsi se non la si mastica un pochino. Mister Zaia infatti per circoscrivere e rendere ancor più cogente l'ambito di eventuali ristori non usa il termine, come sarebbe da aspettarsi, «contratti» in essere o convenzioni, bensì quello di «procedimenti». Di regola io pubblico al limite ti posso riconoscere un danno se vengo meno ad un impegno sottoscritto mediante contratto. Non se il mercato ha cambiato orientamento e punisce la tua iniziativa d'imprenditore. Per questo motivo l'avere utilizzato all'articolo 4 comma 6 il temine procedimenti («per le ipotesi di revoca di procedimenti di finanza di progetto...») e non contratti o convenzioni o concessioni, dilata in modo spaventoso l'opzione per il privato di batter cassa a palazzo Ferro Fini. E non è un caso che già comincino a levarsi le prime doglianze. In pratica basta avere avviato una procedura che abbia passato il vaglio della dichiarazione di interesse pubblico (e l'indagine sul Mose ci ricorda come Galan, Chisso e Minutillo procedessero in tal senso), per potere andare accompagnati con l'avvocato a palazzo Balbi a chiedere milioni. Rimane da capire se la cosa sia frutto della ignoranza del governatore in materia di diritto amministrativo, o se qualche manina abbia inserito, in una legge che in prima battuta può pure avere un impianto condivisibile, quei due tre commi famelici i quali potrebbero trasformarsi in manna dal cielo per i soliti amici degli amici scottati da un mercato del quale in realtà non affrontano mai le asperità, e che ha fatto naufragare un modello di business, quello di lorsignori, già ampiamente ossigenato dall'ente pubblico.

Ora per capire chi siano lorsignori basta un controllo incrociato con i documenti ufficiali che alcuni preoccupati funzionari dell'assessorato alle infrastrutture hanno fornito alle commissioni bilancio e trasporti, i due organismi che hanno accompagnato la gestazione della legge verso l'aula che dovrebbe cominciare a visionare la delibera già il 4 agosto. Da quelle poche ma significative carte si capisce quali siano le forze in gioco. E si capisce pure chi potrebbe avere interesse affinché il consiglio approvi una norma che salvi la banda del project, ovvero il club degli amici di Galan. La tabella in possesso della giunta parla chiaro: «Confederazione delle autostrade per la Nogara Mare; Pizzarotti, Mantovani e Maltauro per il Sistema tangenziali Veneto; Grandi Lavori Fincosit, Adria infrastrutture» e chi più ne ha più ne metta. Nei mesi passati Zaia, più o meno, è riuscito a far ingollare la balla che lui, anche se scarico da coinvolgimenti penali (per ora), dei project di Galan non sapesse nulla pur essendo stato numero due della giunta. Un altro mega rospo il leghista l'ha fatto inghiottire ai veneti quando il suo esecutivo ha approvato la delibera vergogna che modificava la convenzione della Pedemontana Veneta a favore del soggetto privato.

Oggi ci riprova addirittura con una legge che per volere dello stesso governatore deve essere approvata a tambur battente. Ma perché tanta fretta? Per caso oltre alla legge che farà brindare gli amici di Galan, che affranti dalla arsura della crisi dei loro progetti al gusto di asfalto e cemento, potrebbero trovare un po' di refrigerio nelle tasche del contribuente veneto, la cosiddetta norma blocca project serve pure ad apparecchiare uno stop alla Valsugana bis? Sì proprio quella Valsugana bis che sembra essere uno dei principali ostacoli ad un sì trentino alla Valdastico Nord, l'ennesima porcata riconcepita durante l'era dell'utilizzatore finale di Arcore, riproposta ai veneti da una accolita di politici e imprenditori pronta cassa trasversalmente devoti alla grande mammella pubblica?

Se Zaia vuole davvero bloccare i project, più che 150 milioni, ne metta da parte tre o quattro per un collegio legale veramente autonomo e con le palle. Ricorra alla magistratura penale e a quella amministrativa (contro la Spv il Tar ha già dato ragione a chi si oppone) e se del caso aizzi l'opinione pubblica contro la cricca del Mose con ferocia quintupla di quella con cui certi ambienti leghisti si sono scagliati contro l'ondata, vera o presunta, di clandestini e profughi. Allora Zaia dimostrerà davvero di essere un amico del Veneto (sui veneti stendiamo un velo pietoso perché molti si meritano quanto patito fino ad oggi, o perché culturalmente servi, o perché intrallazzati a loro volta col sistema). In caso contrario l'enologo di Treviso si mostrerà per quel che è. L'ennesimo doroteo attento solo alla gestione del potere e degli interessi ad esso retrostanti. Il che spiegherebbe tutto il finto distacco dimostrato verso l'era Galan. Un distacco messo in scena non per contrastare quei supremi interessi, ma per divenirne nuovo e più passabile maggiordomo. Per dirla come Pierino, alias Alvaro Vitali, (si passi la citazione forse troppo colta per la giunta regionale), «invertendo le chiappe il prodotto non cambia». Insomma detto alla grossa con questa norma la regione rischia di inventarsi un debito verso terzi, quando caso mai sono i privati della cricca del project che dovrebbero rendere il maltolto, anzi il malloppo, alla collettività delle Venezie. Quanto al Mose poi ci sarebbe un ultima cosa da dire.

Chi ha letto le carte della progettazione nonché i dubbi emersi in tantissimi ambienti scientifici sa una cosa. Tempo tre quattro anni alcuni nodi verranno al pettine. Uno di questi è il sistema di cerniere che tiene le paratie mobili ancorate al resto del sistema. Ruggine, salsedine, pressione faranno strame del sistema vanto del gruppo Mantovani alias famiglia Chiarotto. Il Mose, che dio solo sa quando sarà completato, diventerà allora anche una ferita non cicatrizzabile. Il che comporterà un esborso milionario costante per mantenerlo se non funzionante, perché probabilmente non lo sarà mai, ma almeno stentatamente integro. In questa faccenda la cosa simpatica sta però nel fatto però che eventuali malfunzionamenti, per legge, gravano sullo Stato e non su chi ha realizzato (scientemente o meno poco importa) i lavori alla viva il parroco. Un altro rubinetto infinito è stato aperto in ragione di un ordito premeditato molto tempo prima. Ora, i soloni di Confindustria che predicano un giorno sì e l'altro pure contro gli sprechi della spesa pubblica e a favore del rientro dello Stato dal suo debito, come mai non imprecano contro questa spesa malata che fa rima con grandi opere? E se mutatis mutandis questo meccanismo lo rivedremo anche nella Spv, allora significherebbe che le stesse menti, hanno dato vita allo stesso congegno infernale...

Marco Milioni
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venerdì 29 maggio 2015

Lain: sulla BpVi chiediamo chiarezza

«Da molto tempo i nostri attivisti ricevono segnalazioni sulla Banca. E il Movimento cinque stelle collabora con le associazioni di difesa consumatori. In particolare Adusbef  già dal 2008 aveva messo in dubbio la congruità e il realismo del valore attribuito al titolo BpVi sulla base di un'espertise stilata in uno studio professionale berico». A parlare in questi termini è Giordano Lain, volto noto del M5S della città del Palladio, che recentemente in relazione al caso Popolare Vicenza ha pure presentato un esposto alla procura del capoluogo. «La nostra parlamentare Fabiana Dadone - prosegue Lain - ha recentemente presentato un'interrogazione che riguarda vicende collegate». L'attivista del M5S che è anche candidato alle regionali venete spiega che sono stati chiesti chiarimenti anche sul comportamento di Bankitalia. «Si leggeva sui media locali - precisa quest'ultimo - anche degli aumenti di capitale. Immaginavo che non fossero credibili, si sentiva puzza di bruciato lontano un miglio. E poi mi sono scandalizzato per i fatti capitati durante l'ultima assemblea dei soci».

Dunque Lain voi avete segnalato alla magistratura una serie di presunte anomalie. Ritenete che la questione banche, specie in merito alla vicenda Veneto Banca e BpVi sia stata sufficientemente trattata durante la campagna elettorale? 
«Assolutamente no. Anzi, c'è stato un silenzio assordante. E trovo scandaloso che la politica non abbia detto nulla. Segnale evidente di conflitti di interesse. Poteri forti nazionali e locali sono coinvolti.  Teniamo conto di una cosa importante: le deduzioni che abbiamo avanzato alla procura sono condotte leggendo i bilanci pubblici degli ultimi anni, soprattutto dal 2008 al 2013. Questo significa che tutti gli esperti del settore, le altre banche concorrenti e soprattutto Banca d'Italia e Consob conoscevano perfettamente la situazione. Tutti tacevano e la cosa è gravissima, è come sapere che un pozzo d'acqua è avvelenato e non dire niente alle persone che si fermano a bere. Si è complici dei danni a queste persone». 

Pensate di fermarvi o la vostra iniziativa vuole diventare un punto di riferimento per chi abbia delle lamentele verso gli istituti di credito?
«Continueremo senz'altro, a fianco dei cittadini risparmiatori e assieme alle associazioni. Iniziamo una nuova "attività" aprendo una pagina per dare istruzioni a chi vuole tutelarsi, per raccogliere informazioni e segnalazioni, e per mettere in evidenza i recapiti delle associazioni che si occupano di difendere i consumatori/utenti dei servizi bancari. Non ci sostituiamo in nessun modo alle associazioni, anzi agevoliamo il contatto tra il pubblico e le associazioni, monitorando e intervenendo politicamente quando serve. Stare dalla parte dei cittadini è la nostra missione». 

Che tipo di aiuto chiederete, se lo chiederete, ai vostri parlamentari?
«Al Parlamento, per mezzo dei nostri cittadini eletti, chiederemo di fissare misure legislative per la tutela dei risparmiatori, di varare la proposta di revisione della classe action e di garantire trasparenza delle gestioni. Chiediamo inoltre di supportarci quando è necessario e di aiutarci per consulenze tecniche, visto che per la loro prerogativa di sindacato ispettivo possono fare molto in questo senso».  

Che cosa c'è che non va nella finanza veneta?
Non occorre essere "esperti di finanza" per ritenere che il problema non sia solo veneto ma italiano e della finanza in genere. Che sottrae un sacco di risorse all'economia reale ed è da tempo fuori controllo. Andrebbero immediatamente separate nuovamente le banche d'affari da quelle di risparmio e commerciali.  Credo che lucrare senza produrre beni e servizi sia un male in senso assoluto. Persone che lavorano nel settore e che mi hanno avvicinato in questi giorni, mi spiegavano che l'80% dei soldi investiti in Veneto e a Vicenza vanno, in modo diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole, nell'industria delle armi. Questo accade perché i titoli di questo settore  offrono rendimenti leggermente più alti della media. In questa situazione come possono cessare le guerre e le ruberie su grande scala in giro per il mondo?».

mercoledì 15 aprile 2015

Spv, piovono sberle dalla Corte dei conti e dall'Anac


La Corte dei conti bacchetta il Ministero dei trasporti e la Regione Veneto perché avrebbero omesso di fornire alcuni importanti chiarimenti sulla Pedemontana veneta. Chiarimenti che erano giá stati chiesti in passato e che i due enti si sarebbero rifiutati di fornire alla magistratura erariale romana che da settimane ha aperto una istruttoria in tal senso.

L'AFFONDO. Più nel dettaglio la lettera porta la firma del dottor Antonio Mezzera, una delle toghe che si occupa del controllo sui ministeri delle attività produttive, ed è stata spedita durante la mattinata di ieri. In buona sostanza il magistrato chiede a palazzo Balbi lumi sulla sostenibilità finanziaria del progetto mentre al dicastero dei trasporti è stato interrogato circa la sua attività di monitoraggio sullo stato di avanzamento dei lavori.

LA STOCCATA. E così la partita sulla Spv quindi si fa ancora più complicata. Non solo per i nuovi addebiti della magistratura romana: non solo per quelli, pesanti, già espressi in passato. Ma anche perchè, come riferisce Renzo Mazzaro su La Nuova Venezia di oggi a pagina 13, anche l'Autoritá nazionale anti-corruzione, l'Anac, ha avviato una istruttoria sulla Pedemontana veneta. Nella quale si prefigura, se i dubbi si materializzeranno in condotte scorrette, addirittura la eventualità di pesanti irregolarità amministrative. Il motivo? Potrebbero essere stati violati, questi i dubbi dell'autoritá capitanata da Cantone, i dettami della convenzione che regola i rapporti tra enti pubblici e il privato incaricato di realizzare l'opera, il consorzio Sis-Spv. Ovvero il privato sarebbe stato sgravato dei rischi d'impresa anche in ragione dell'aumento del contributo pubblico passato da un centinaio di milioni di euro ad oltre seicento. Questi mutamenti dei rapporti tra committenti pubblici e privati incaricati dei lavori avrebbero de facto trasformato il contratto da convenzione ad appalto. Il che comporterebbe la perdita di tutti quei privilegi in materia di deregulation e altre semplificazioni garantiti dalla prima fattispecie. Si tratta di una condizione che se si verificasse potrebbe comportare anche l'abolizione di tutto o di una parte dell'iter in forza del quale si sono avviati i lavori. L'Anac in questo senso fa proprie le lamentele dei comitati che da anni si battono contro l'attuale tracciato. Doglianze delle quali Regione e governo erano stati informati a più riprese e che settimane fa erano state rilanciate, sottoforma di esposto proprio all'Anac, dal senatore vicentino Enrico Cappelletti del M55 (in foto).

LA POSSIBILE BATOSTA. E c'è di più. Da giorni nella capitale si parla di un Maurizio Cantone pronto a commissariare il commissario governativo alla Spv. Opzione che se si materializzasse sarebbe clamorosa. Sul piano politico tra l'altro starebbero sgretolandosi alcuni pilastri portanti che da anni sorreggono il sancta sanctorum del potere al ministero delle infrastrutture: ovvero l'unitá di missione retta di diritto e di fatto da quell'Ercole Incalza finito nel ciclone del caso Lupi. Ed è proprio all'unità di missione che il magistrato Mezzera ha rivolto il monito più pressante a disvelare alcuni dettagli, segno che il filone investigativo seguito dalla magistratura erariale potrebbe portare molto molto lontano.

STOP MOMENTANEO. Frattanto si registra anche uno stop al via libera per la variazione progettuale che interessa il tratto di Pedemontana tra Trissino e Montecchio Maggiore. Inizialmente previsto in galleria è stato riformulato come passaggio in superficie per evitare che la costruzione del tunnel contribuisse a spargere in falda una sacca di inquinanti a basendi fluoro frutto della lavorazione e del cumulo degli scarti della Miteni di Trissino. A bloccare l'iter autorizzativo e a chiedere un mese per studiare le carte sarebbero stati i componenti di nomina del ministero dei beni culturali in seno alla commissione speciale insediata presso la struttura commissariale governativa. Commissione che dovrebbe appunto autorizzare la modifica progettuale senza che le carte passino per i ministeri, come previsto dalla legge ordinaria. Deroga concessa al commissario dalla legge vigente. A patto che l'opera rispetti i crismi amministrativi ed economici dettati dalla normativa in tema di emergenze.

Marco Milioni

domenica 11 gennaio 2015

Blitza al «tubone» di Cologna Veneta

Gli scarichi del «tubone di Cologna Veneta», il collettore che raccoglie i reflui conciari della Valchiampo, saranno oggetto di una accurata analisi presso un laboratorio indipendente. E se i valori saranno anomali sarà chiesta la chiusura dell'impianto. Lo annunciano Michele Favaron, uno dei referenti veneti del «Gruppo d'intervento giuridico», una onlus nazionale attiva sui temi dell'ambiente e il senatore vicentino Enrico Cappelletti.

I due stamani hanno effettuato un sopralluogo a Cologna Veneta nel Veronese, dove il collettore, da anni al centro di durissime polemiche per il suo contenuto nocivo, finisce nel fiume Fratta. Da anni infatti la regione autorizza uno sversamento in deroga ai limiti di legge. Una circostanza che da anni fa temere un impatto ambientale notevole, specie sull'agricoltura.

Se al tutto si aggiunge il progetto di prolungamento del tubo sino alla frazione di Sabbion, sempre a Cologna nel Veronese, e se si aggiunge l'inquinamento della bassa Veronese, Padovana e dell'Ovest Vicentino causato dai pfas, si ottiene un quadro che lo stesso Cappelletti definisce inquietante. «Chiediamo che gli enti preposti, a partire dalla regione, comincino a fare chiarezza mettendo in campo indagini mediche ed ambientali serie. Al contempo - precisa Cappelletti - è bene che l'Ulss 5 ovest Vicentino istituisca il registro tumori e si adoperi con uno studio ad hoc, verificabile da tutti, circa la incidenza delle fattispecie cancerogene nella regione di sua pertinenza». Dal canto suo Favaron precisa che i liquidi raccolti questa mattina «saranno analizzati da un laboratorio indipendente. Poi in base alle risultanze informeremo la Forestale, i carabinieri del Noe ed eventualmente chiederemo all'amministrazione di Cologna, se del caso, di chiudere l'impianto per esigenze cautelative. Lo prevede la legge».