lunedì 25 aprile 2016

«Diluire l'acqua grazie al canale Leb»

«La Regione ci dia la possibilità di lavorare a pieno regime: così potremo risolvere il problema dei Pfas». È quanto sostiene il presidente del consorzio Leb Luciano Zampicinini, che propone di utilizzare il sistema di irrigazione per risolvere il problema dell'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche.

Grazie al canale Leb, è la tesi del presidente, si potrebbe portare l'acqua pulita, prelevata dal fiume Adige, lungo gli scoli irrigui del territorio vicentino, ma anche nel Veronese e nel Veneziano: in tal modo l'acqua inquinata verrebbe diluita e le concentrazioni di Pfas diminuite. Per fare ciò, però, serve più acqua di quanta ne venga utilizzata attualmente dal sistema. «Possiamo operare sulle acque di superficie, ma non su quelle di falda - precisa innanzitutto Zampicinini -. Non vogliamo soldi, abbiamo solo bisogno di poter derivare la massima quantità possibile di acqua dall'Adige. Abbiamo la possibilità di portare 50 metri cubi di acqua al secondo, mentre attualmente nel canale ne stanno scorrendo 21. In sostanza, l'opera è utilizzata al 40 per cento delle sue possibilità. Per questo chiediamo alla Regione di sfruttarci, se vuole avere soluzioni veloci: abbiamo bisogno di più acqua, in quanto più riusciamo a diluire il terreno e maggiori saranno i risultati anche sul fronte del contrasto all'inquinamento da Pfas».

Il canale Leb parte da Belfiore, nel Veronese, trasportando l'acqua dell'Adige attraverso la pianura; a Cologna, confluisce nel torrente Guà dal quale, poi, l'acqua prosegue con un nuovo collettore fino a Cervarese Santa Croce, nel Veneziano. Il sistema serve gli scoli dei consorzi Alta pianura veneta, Bacchiglione ed Euganeo: un territorio di 85 mila ettari che va dalla Bassa Veronese al Basso Vicentino, fino ad una parte della provincia di Venezia. Il consorzio ha già eseguito le analisi dell'acqua portata dal proprio canale. «Spediremo una lettera con i risultati ai sindaci dei 102 Comuni attraversati dal canale - continua il presidente Zampicinini -, affinché possano notare come i parametri relativi all'acqua del Leb siano molto più bassi di quelli stabiliti dalla Regione. Tanto più che le analisi sono state effettuate in un momento in cui stavamo immettendo 6 metri cubi al secondo; oggi ne stiamo immettendo 15, a maggio saremo a 20, quindi i valori scenderanno ulteriormente. L'acqua del Guà, infine, in estate è destinata a calare, mentre noi continueremo ad immettere nel torrente acqua pulita proveniente dall'Adige». Un aiuto ulteriore potrebbe arrivare dall'estensione del periodo operativo del canale, oggi funzionante nella stagione irrigua, dal 15 marzo al 15 ottobre. «La soluzione - continua Zampicinini -, potrebbe arrivare anche facendo scorrere l'acqua per tutto l'anno e non solo per 7 mesi».

da Il Giornale di Vicenza del 25 aprile 2016; pagina 9

La consigliera esposta: «Ma bevo da bottiglia»

Da otto anni non tocca un bicchiere di acqua del rubinetto: «A casa beviamo solo dalle bottiglie. Usiamo la rete idrica per l'igiene personale e per cucinare. Del resto, con i segnali che arrivavano già una decina di anni fa, abbiamo deciso una soluzione drastica». Un rimedio estremo che, a quanto pare, non ha tenuto immune Cristina Guarda, leonicena eletta in consiglio regionale con la lista Moretti, dalle contaminazioni da Pfas. Nei giorni scorsi Guarda, 26 anni, si è sottoposta alle analisi, come centinaia di altri vicentini: «Per i dati ufficiali - precisa - bisognerà attendere. I risultati ufficiosi dicono che la concentrazione di Pfos (molecole della "famiglia" perfluoro-alchilica) è nella norma. I Pfoa, invece, hanno superato la soglia dei 54 nanogrammi per grammo di sangue».

L'emergenza scatta a 70, la media per le zone non contaminate è di 1.39 nanogrammi. «I numeri si commentano da soli - prosegue la giovane consigliera regionale - e significano nuove analisi tra poco più di sei mesi. va detto che concentrazioni alte di Pfas possono dipendere anche dall'uso in cucina di materiali che li contengono, ma la preoccupazione per la condizione della falde resta». Per cui, il percorso di Guarda sul fronte istituzionale prevede la collaborazione con il ministero dell'Ambiente per ridurre le concentrazioni nell'area contaminata e, s e necessario, trovare nuove fonti di approvvigionamento idrico.Nel frattempo, a palazzo Ferro Fini, Pd e M5s vanno all'attacco. «È inaccettabile - dichiara il democratico Stefano Fracasso - che la Miteni giochi allo scaricabarile dicendo che non immette più Pfas nel sistema di depurazione. I dati sulla contaminazione mostrano che l'inquinamento ha riguardato le acque di falda. Allo stesso modo, coinvolgere il distretto della concia è fuorviante, visto che i sistemi depurativi dell'Ovest vicentino hanno il loro scarico oltre venti chilometri a ovest dalla zona di massima concentrazione dei Pfas. Ci aspettiamo dall'azienda la disponibilità a contribuire alla soluzione del problema».

Concorde l'eco-dem trevigiano Andrea Zanoni: «I risultati dei monitoraggi evidenziano il fallimento delle misure di prevenzione. In una situazione in cui interrogativi e dubbi si accavallano, è evidente solo una cosa: il danno patito dai cittadini, con relativo diritto a farsi valere». Critico anche l'ex candidato governatore dei Cinque Stelle, Jacopo Berti: «Meno di un mese fa, le nostre argomentazioni erano state oggetto di critiche in aula. Oggi abbiamo 250 mila persone a rischio. Di conseguenza non è il caso di perdersi in dispetti di palazzo, ma di mettersi a lavorare a tutela dei cittadini. Se l'assessore Bottacin vuole darci una mano, siamo in trincea». Un appello al monitoraggio arriva anche da Legambiente. «La situazione è critica - dicono i vertici dell'associazione - e servono misure straordinarie».

da Il Giornale di Vicenza del 23 aprile 2016; pagina 15

Virna Nordio

Com’era ampiamente prevedibile, l’elezione di Piercamillo Davigo al vertice dell’Anm ha subito fatto saltare i nervi alla classe politica, specie di quella governativa. Il prestigio che deriva dalla sua storia, il linguaggio franco e tagliente, la capacità di sintetizzare i disastri della politica giudiziaria dei governi con battute comprensibili a tutti senza paraculaggini, sono peccati mortali nel Paese di Tartuffe. Chi lo ascolta e lo confronta coi balbettii dei minus habentes autonominatisi eletti dal popolo capisce subito chi ha ragione. Del resto ciò che Davigo dice da anni e ripete ora lo sanno tutti: i politici rubano più di prima, ma hanno smesso di vergognarsi, anzi rivendicano ciò che prima facevano di nascosto, quindi si guardano bene dal varare riforme efficaci per scoperchiare e combattere il malaffare.

E non passa giorno senza che un’indagine lo dimostri. Ma sentirglielo dire con tanta chiarezza, tra tanti suoi colleghi che impiegano un quarto d’ora e duemila parole solo per dire “buonasera”, ha lo stesso effetto dell’urlo “il re è nudo!” del bimbo nella fiaba di Andersen. Siccome i politici parlano male perché pensano e agiscono malissimo, il solo sentir parlare Davigo li manda in bestia. Riecco dunque il vecchio refrain “i giudici parlino con le sentenze” (copyright Craxi&B.) in bocca al responsabile Giustizia (si fa per dire) del Pd David Ermini, molto applaudito da Ncd e da FI.

Sognano un bel bavaglio, oltreché per i giornali, anche per Davigo: come se il rappresentante di 9 mila magistrati non avesse il diritto di dire la sua sulla materia di cui si occupa da 40 anni. L’apparenza però non deve ingannare: di Davigo non spaventano le parole, ma i fatti che potrebbero scaturirne: l’effetto galvanizzante e rivitalizzante su una magistratura sempre più tremebonda, conformista e “genuflessa” al potere. Il rischio (per lorsignori) e la speranza (per noi) è che molti magistrati ritrovino le ragioni della propria missione e perdano i timori reverenziali verso il potere nel momento cruciale in cui devono decidere se indagare o archiviare, se prosciogliere o processare, se assolvere o condannare un colletto bianco. “Non ci attaccano per quello che diciamo – disse Davigo ai tempi di Mani Pulite –, ma per quello che facciamo”. La controprova si chiama Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia. Anche lui è prodigo di interviste e, diversamente da Davigo, di articoli sui giornali. Scrive sul Messaggero di Caltagirone. E non fa mai mancare l’appoggio alle controriforme del governo di turno.

Ora è molto eccitato per l’attacco di Renzi a “25 anni di barbarie giustizialista” e per il bavaglio sulle intercettazioni, anche se gli pare “troppo timido”: lui non si contenta di proibire ai giornali di pubblicarle (“una porcheria indegna di un paese civile”); lui vuole proprio abolirle come “fonti di prova” e lasciarle “nel cassetto del giudice”. Al posto suo, eviteremmo di evocare cassetti: nel 2004 Bruno Vespa scoprì che nel suo giaceva dal 1998 il famoso fascicolo sulle presunte tangenti rosse di D’Alema e Occhetto: avrebbe dovuto essere trasmesso 6 anni prima alla Procura di Roma, ma Nordio se l’era scordato. Quando arrivò, era tutto prescritto. In compenso due anni fa fu proprio Nordio a far arrestare 35 persone a Venezia per il Mose, dal sindaco Orsoni al deputato Galan: li aveva visti coi suoi occhi scambiarsi mazzette?

No, orrore: li aveva intercettati. E le conversazioni, anziché nasconderle nel cassetto, le aveva usate come fonti di prova, allegandole orribilmente agli atti, così il gip le usò per arrestarne 35 e i giornali le pubblicarono. Lui però non denunciò la “porcheria indegna” nelle sue copiose interviste sull’inchiesta. E nessuno si sognò di intimargli di parlare solo con i suoi atti. Come nessuno ora gli domanda a che titolo un pm trinci giudizi politici sul Messaggero: Michele Emiliano ha avuto un’“infelicissima uscita” sul referendum, mentre l’amato Renzi fa benissimo ad “affondare la lama” contro i pm e non deve “intimidirsi” per i cattivoni del M5S e di quel che resta della libera stampa (“le anime belle del giacobinismo forcaiolo”) che osano opporsi al bavaglio. Quanto al centrodestra, deve “applaudire il premier” e “incoraggiarlo”, anziché appoggiare il referendum No Triv con gli orrendi “grillini” e l’“estrema sinistra”. Il finale è strepitoso: “La libertà personale è vulnerata dall’eccesso di custodia cautelare”.

Fanno eccezione i suoi 35 arresti per il Mose, s’intende. Ma anche il caso di un pm veneziano che, nel 2000, sequestrò l’auto al cliente di una prostituta anche se non aveva commesso alcun reato: A.P, 25 anni, sorpreso dai carabinieri con una moldava, fu denunciato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (delitto previsto per i papponi, non per i clienti) e si vide sequestrare l’auto. Il pm convalidò e il giovane, pochi minuti dopo, si suicidò. Il pm spiegò che “nell’immediatezza del fatto l’operato dei carabinieri si presentava formalmente legittimo”, ma “il cliente non si può assolutamente perseguire in base alla legge”. Perciò dissequestrò l’auto, a funerali avvenuti. Il pm era Nordio: lo stesso che oggi, all’unisono con Renzi & C., strilla contro “la dignità calpestata dalle intercettazioni generalizzate e diffuse”.

Marco Travaglio
da Il Fatto quotidiano del 23 aprile 2016; pagina prima

sabato 23 aprile 2016

La consigliera esposta «Ma bevo da bottiglia»

Da otto anni non tocca un bicchiere di acqua del rubinetto: «A casa beviamo solo dalle bottiglie. Usiamo la rete idrica per l'igiene personale e per cucinare. Del resto, con i segnali che arrivavano già una decina di anni fa, abbiamo deciso una soluzione drastica». Un rimedio estremo che, a quanto pare, non ha tenuto immune Cristina Guarda, leonicena eletta in consiglio regionale con la lista Moretti, dalle contaminazioni da Pfas.

Nei giorni scorsi Guarda, 26 anni, si è sottoposta alle analisi, come centinaia di altri vicentini: «Per i dati ufficiali - precisa - bisognerà attendere. I risultati ufficiosi dicono che la concentrazione di Pfos (molecole della "famiglia" perfluoro-alchilica) è nella norma. I Pfoa, invece, hanno superato la soglia dei 54 nanogrammi per grammo di sangue». L'emergenza scatta a 70, la media per le zone non contaminate è di 1.39 nanogrammi. «I numeri si commentano da soli - prosegue la giovane consigliera regionale - e significano nuove analisi tra poco più di sei mesi. va detto che concentrazioni alte di Pfas possono dipendere anche dall'uso in cucina di materiali che li contengono, ma la preoccupazione per la condizione della falde resta». Per cui, il percorso di Guarda sul fronte istituzionale prevede la collaborazione con il ministero dell'Ambiente per ridurre le concentrazioni nell'area contaminata e, s e necessario, trovare nuove fonti di approvvigionamento idrico.Nel frattempo, a palazzo Ferro Fini, Pd e M5s vanno all'attacco. «È inaccettabile - dichiara il democratico Stefano Fracasso - che la Miteni giochi allo scaricabarile dicendo che non immette più Pfas nel sistema di depurazione. I dati sulla contaminazione mostrano che l'inquinamento ha riguardato le acque di falda. Allo stesso modo, coinvolgere il distretto della concia è fuorviante, visto che i sistemi depurativi dell'Ovest vicentino hanno il loro scarico oltre venti chilometri a ovest dalla zona di massima concentrazione dei Pfas. Ci aspettiamo dall'azienda la disponibilità a contribuire alla soluzione del problema».

Concorde l'eco-dem trevigiano Andrea Zanoni: «I risultati dei monitoraggi evidenziano il fallimento delle misure di prevenzione. In una situazione in cui interrogativi e dubbi si accavallano, è evidente solo una cosa: il danno patito dai cittadini, con relativo diritto a farsi valere». Critico anche l'ex candidato governatore dei Cinque Stelle, Jacopo Berti: «Meno di un mese fa, le nostre argomentazioni erano state oggetto di critiche in aula. Oggi abbiamo 250 mila persone a rischio. Di conseguenza non è il caso di perdersi in dispetti di palazzo, ma di mettersi a lavorare a tutela dei cittadini. Se l'assessore Bottacin vuole darci una mano, siamo in trincea». Un appello al monitoraggio arriva anche da Legambiente. «La situazione è critica - dicono i vertici dell'associazione - e servono misure straordinarie».

da Il Giornale di Vicenza del 23 aprile 2016; pagina 15

martedì 5 aprile 2016

Mani in Pastena

«L'uomo chiave in questa storia si chiama Valter Pastena, ieri burocrate sconosciuto ai più e oggi, è il dato che mette in allerta gli inquirenti, consulente del Ministero guidato, fino all'altro ieri, da Federica Guidi. Il burocrate è notissimo a chiunque, nel mondo industriale, abbia dovuto accedere a finanziamenti del ministero delle Finanze. E in questo caso si trattava di gestire spese per 5,4 miliardi di euro: il progetto del rimodernamento dell'intera flotta italiana». È questo uno dei passaggi salienti di un lungo servizio che ilfattoquotidiano.it pubblica ieri con grande risalto. Un servizio che accende i riflettori appunto sul superdirigente (o ex superdirigente, i media in tal senso non hanno chiarito completamente la situazione) della Ragioneria generale dello Stato Pàstena. Quest'ultimo, che secondo Repubblica risulta indagato per il caso Petrolio assieme al capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi, risulta pure iscritto all'albo nazionale dei revisori legali, ha anche, o meglio ha avuto, anche dei solidi addentellati con la terra Veneta. Visto che è stato membro del collegio dei sindaci della società aeroportuale veneziana, la Save, dal 18 aprile 2012 sino al 31 dicembre 2014.

Ma gli addentellati a vario titolo, intesi quanto meno come titolarità di cariche in società di capitali, non sono solo quelli del passato. Pastena infatti risulta attualmente membro del collegio sindacale di Investimenti spa, la holding pubblica romana che ha in pancia il progetto del super polo fieristico capitolino voluto dall'allora sindaco democratico Walter Veltroni e poi avviato su un triste crinale fatto di debiti e speranze tradite.

La stella di Pastena comunque sembra ancora brillare di luce propria. L'uomo infatti è attualmente presidente del collegio dei sindaci di Aeroporti di Puglia (una spa finita al centro del cosiddetto affaire Di Paola), presidente del collegio dei sindaci della «Società per il polo tecnologico industriale romano», membro del collegio sindacale della Logesta Italia, la filiale nel Belpaese di una delle più importanti multinazionali per il trasporto del tabacco. E ancora l'ex dirigente è revisore legale della fondazione Musica per Roma, nonché presidente del collegio sindacale del consorzio «Sistema Camerale Servizi Roma».

Tra le cariche cessate, oltre a quella presso Save, Pastena vanta la legatoria Bergamasca Lediberg (presidente del collegio sindacale), la cartaria romana Aticarta spa (membro del collegio dei sindaci), un pomposo, almeno nel nome «Network globale agenzia per la internazionalizzazione» (presidente del collegio sindacale). Tra le cariche di peso ricoperte in passato ritornano protagoniste le Venezie con la Finest, la finanziaria pensata per rafforzare i rapporti tra Nordest italiano e Est Europa controllata da da Friulia Spa, società finanziaria della Regione Friuli Venezia Giulia, dalla Regione Veneto, dalla Provincia Autonoma di Trento, dalla Simest e da alcune banche del territorio: è referente del Ministero per lo Sviluppo Economico. Il dettaglio del suo assetto azionario è visibile proprio sul portale della compagnia, fondata nel 1993, per la quale il dottor Pastena ha svolto il ruolo di presidente del collegio dei sindaci sino al 15 novembre 2007. Quest'ultimo ha poi svolto la mansione di presidente del collegio sindacale di Atisale, una spa che si occupa di sale marino un tempo nell'orbita dei Monopoli di Stato, sino al 22 maggio 2003.