venerdì 29 gennaio 2010

Vicenza, il dramma del lavoro

I dati del 2009 sulla situazione del lavoro nella nostra provincia evidenziano una situazione realmente drammatica. Da gennaio a dicembre 2009, in provincia di Vicenza sono 3.134 i lavoratori coinvolti in aperture di crisi (205 ditte); 9.138 quelli coinvolti in procedure concluse di crisi aziendali (233 ditte). Ci sono state 10.556.051 ore di cassa integrazione ordinaria le quali corrispondono a circa 5.737 posti di lavoro; vi sono state ben 10.582.436 ore di cassa integrazione straordinaria le quali corrispondono a circa 5.751 posti di lavoro [1]. Il numero totale delle ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria [2] della provincia di Vicenza è il più alto tra tutte le province venete. Nella provincia di Vicenza, le aziende con trattamenti di cassa integrazione straordinaria, la cosiddetta C.I.G.S., sono 105 di cui 85 per crisi aziendale. Il tutto è calcolato su un totale regionale di 307 aziende. Le ore richieste per la cassa integrazione in deroga sono state 9.581.845. Il numero dei lavoratori interessati alla cassa integrazione in deroga a dicembre è pari a 11.839. La previsione la fa Veneto Lavoro. La mobilità ha colpito 2.283 lavoratori di imprese oltre i 15 dipendenti e 4.237 lavoratori delle piccole imprese per un totale di 6.520 lavoratori in mobilità.

Si possono fare varie considerazioni sulle cause, sulla scarsa tenuta del modello di sviluppo nel Nord-Est e di quello vicentino in particolare. Si possono fare grandi dibattiti, interpretare anche i dati in maniera positiva, per esempio rilevando il dato dell’uso massiccio di cassa integrazione come ammortizzatore sociale a garanzia per i lavoratori. Un fatto comunque è da considerare: quella freddamente descritta dai numeri è la realtà. Una realtà drammatica, tragica, che getta in situazioni di estremo disagio migliaia di famiglie. I numeri evidenziano una profonda crisi. La progressiva crescita dei licenziamenti, della mobilità, del ricorso agli ammortizzatori sociali fotografano l'incapacità di chi governa il Paese di reagire, di proporre concrete soluzioni. Se poi si considera che a questi numeri si dovrebbero sommare i licenziamenti individuali, quelli dei lavoratori precari, i lavoratori non garantiti da forme di garanzia e da ammortizzatori sociali che escono silenziosamente dal mondo del lavoro, il vasto popolo delle partite Iva costretto a tentare di lavorare in proprio ma che, di fatto, lavora in totale subalternità, la situazione diventa ancora più drammatica.

Ma quelli sopra riportati non sono solo freddi numeri. Quei numeri sono lavoratori, persone, famiglie. Sono disperazione e progressiva mancanza di speranza nel futuro. Chi ci dice che la ripresa è iniziata mente. O probabilmente, pensa a una ripresa che favorisca solamente i capitalisti, gli speculatori, chi delocalizza e sfrutta il lavoro altrui. Noi riteniamo che di ripresa si possa parlare solamente quando l’occupazione crescerà. Quando ci sarà più lavoro. Un lavoro a tempo indeterminato, sicuro, stabile, con una retribuzione giusta. Il lavoro prima di tutto. Il lavoro come primo diritto costituzionale. Il lavoro come dovere costituzionale.

Riteniamo che sia indispensabile mettere al centro della politica della sinistra soprattutto la difesa del posto di lavoro e lo sviluppo del lavoro e che questo debba avvenire anche grazie ad azioni decise da parte delle istituzioni di una Repubblica che è fondata sul lavoro. Il vero problema è il lavoro e le istituzioni non possono fare finta di nulla né possono rispondere unicamente finanziando gli ammortizzatori sociali. L’articolo 4 della Costituzione stabilisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» e che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Non sono parole prive di senso come può ritenere il ministro Renato Brunetta. Sono, invece, princìpi fondamentali del vivere democratico. Non si può restare indifferenti né ci si può chiudere in una torre d’avorio in attesa di miracolose soluzioni, isolandosi dalla realtà e dai veri drammi della società. Bisogna agire. Noi vogliamo fare un appello a tutta la sinistra, alle forze sindacali (alla CGIL in particolare che sta svolgendo un congresso che dovrebbe avere il lavoro e lo sviluppo come centro della propria lotta), alle associazioni, ai singoli cittadini che hanno a cuore il bene dei diseredati, di chi lavora, di chi è pensionato, di chi le tasse le paga.

Un appello di invito a non cedere e continuare a lottare. Una lotta che parte da quello che siamo, dalla forza che abbiamo e che rimetta al centro della politica italiana la questione del lavoro. L’obiettivo primario deve essere avere maggiori possibilità di lavoro. Un lavoro garantito, sicuro e a tempo indeterminato, con una retribuzione giusta e sufficiente a vivere nella sicurezza.

La nostra lotta deve avere al centro questi diritti inalienabili. La cassa integrazione, la mobilità e gli altri ammortizzatori sociali sono utili a risolvere situazioni contingenti, ma non sono la cura, sono solo un dramma forse meno grave del licenziamento. Il nostro ambiente cade a pezzi, le nostre città sono invase da costosissime case vuote, le nostre fabbriche chiudono, ai lavoratori viene impedito di lavorare. Come nel 1949 c’è bisogno, oggi in Italia e anche a Vicenza (che fino a poco tempo fa si considerava un’isola felice), di un nuovo “Piano del Lavoro” che (ri)metta il problema dell’occupazione al centro della lotta politica. I capitalisti, in particolare quelli italiani, stanno dimostrando la loro incapacità di indicare una via d’uscita dalla crisi che non sia legata all’aumento dei privilegi della casta della quale fanno parte. Non si può continuare a elargire incentivi e finanziamenti pubblici a chi espelle migliaia di persone dal lavoro. È necessario un programma di progresso che indichi nei lavoratori la vera classe dirigente del paese e che ponga all’attenzione dei cittadini anche una domanda che non si fa più da troppo tempo: di chi deve essere la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione? Insieme possiamo tentare di costruire un programma realmente di progresso e imporlo all’attenzione di tutta la sinistra. Pensiamo che lottare per una società diversa dall’attuale, così come faceva Di Vittorio, una società dove chi lavora abbia la proprietà del proprio futuro senza, per questo, dover chinare la testa, sia una scelta per la quale vale la pena vivere.

Giorgio Langella
Federazione della Sinistra - coordinamento PdCI - PRC Vicenza

[1] Il numero di posti di lavoro “perduti” è calcolato considerando una media potenziale di circa 1840 ore di lavoro per l’annata
[2] Nel periodo gennaio-dicembre 2009 le ore di cassa integrazione totali (C.I.G. + C.I.G.S.) sono: ITALIA, 918.146.733 (pari a circa 498.992 posti di lavoro); VENETO, 81.792.392 (pari a circa 44.452 posti di lavoro); VICENZA, 21.138.487 (pari a circa 11.488 posti di lavoro)

da www.lasberla.net
link originario: http://www.lasberla.net/2010/01/vicenza-il-dramma-del-lavoro/

giovedì 28 gennaio 2010

Il declino di Vicenza secondo Equizi

Da un paio d'anni non siede più in consiglio comunale, ma Franca Equizi non ha perso lo smalto del combattente. Giusto alcuni giorni fa il suo comitato "Salviamo l'aeroporto" è ri-salito metaforicamente sulle barricate quando i riflettori della stampa locale si sono nuovamente accesi sul caso delle vestigia romane al cantiere della Ederle bis. «Credo che si tratti di timori concreti - precisa l'ex consigliere - anche perché le prime segnalazioni le abbiamo fatte proprio noi del comitato».

Quando?
«Era il 20 febbraio del 2009. Se gli organi competenti intendono intervenire, hanno la strada spianata. Volendo potrebbero bloccare anche i lavori».
Ma in realtà?
«In realtà in nome di un non ben identificato interesse nazionale si passa sopra a tutto. Anche alle leggi».
In che senso?
«Basta rammentare il comportamento del Consiglio di Stato che ha de facto dato il là ad una procedura amministrativa per la realizzazione della base Usa che si è dimostrata contra legem. D'altronde la composizione del Consiglio in buona parte la decidono i palazzi della politica romana».
Nutrite sfiducia quindi verso le istituzioni di controllo della capitale?
«Sì nutriamo molta sfiducia. Ma non è che le cose qui a Vicenza vadano molto meglio».
Che significa?
«Lasciamo perdere l'amministrazione di centrodestra guidata da Enrico Huellweck, tutti sanno che è stato tra i principali artefici della svendita della città agli interessi Usa. Una seria riflessione va fatta sulla condotta dell'attuale sindaco democratico Achille Variati, il quale guida una coalizione di centrosinistra. Quel centrosinistra che a parole si era battuto contro la nuova installazione militare».
Quale è il vostro punto di vista?
«Variati ha vinto le elezioni cavalcando la protesta dei "No Base", poi di punto in bianco ha cambiato atteggiamento. Basti ricordare che non un vigile urbano ha fermato per i controlli da noi sollecitati i camion che lavoravano in base. Spesso in sovraccarico, spesso in manovra in strade non consentite al traffico pesante. E questo è solo un episodio. Purtroppo i controlli sono mancati anche in città».
Ci sono esempi o casi specifici?
«La provincia di fatto è stata inesistente. Per non parlare poi del doppiopesismo della magistratura».
A che cosa vi riferite?
«Le azioni ritenute contro la cosa pubblica, contro l'ordine costituito, contro l'establishment vengono perseguite con durezza. Salvo poi risolversi in nulla. Basti pensare al caso dell'attentato farlocco all'oleodotto Nato. Si è dato grande rilievo, anche mediatico, alle prime perquisizioni a carico di esponenti del presidio contro la base e poi tutto è finito in una bolla di sapone. Di contro quando un esponente del comitato “Sì base” ha dato della puttana alla sottoscritta, quando in aula consiliare quando ero ancora consigliere, l'inchiesta si è tramutata in aria. Tanto che non ne conosco l'esito nemmeno io. Lo stesso è accaduto con l'episodio del militare che ha investito con la sua auto un supporter dei No Base. Stessa fine per il caso degli scavi sospetti a margine di strada Sant'Antonino. E posso proseguire. Non si capisce che fine abbiano fatto i procedimenti. Se la procura della repubblica lo chiarisse, saremmo tutti più soddisfatti».
Ma c'è una ragione di fondo per tutto ciò?
«Ovviamente sì. In questo caso l'affaire Dal Molin rientra in un andazzo più generale».
Che tipo di andazzo?
«Io parlo per la mia esperienza personale. Ovvero per gli anni passati in consiglio comunale e ora come portavoce del comitato in cui milito. Le inchieste scomode hanno spesso esiti assurdi come nel caso Hotel De La Ville o nel caso delle molestie sessuali a palazzo Trissino. Ci sono poi altri casi eclatanti come quello di Ponte Alto nel quale si sono impiegati anni solo per addivenire ad un rinvio a giudizio. Ci sono casi che gridano vendetta a causa di una morte per prescrizione come quello relativo all'affaire Pp4-Nuovo teatro per il quale anche a livello politico è stata innalzata una cortina di silenzi bipartizan. Quando ci sono di mezzo i potenti, tranne qualche sgangherata eccezione, il pugno duro della legge si trasforma in manina carezzevole. C'è comunque anche una responsabilità dei media che non danno abbastanza spazio a fatti che l'opinione pubblica dovrebbe giudicare severamente».
Vale a dire?
«Faccio qualche esempio. Il pm che ha seguito il caso di presunte molestie sessuali a palazzo era Paolo Pecori. Lo stesso che ha seguito l'affaire Ponte Alto. Nel primo erano coinvolti un assessore fedelissimo dell'ex sindaco Huellweck, nonché, indirettamente lo stesso Huellweck. Nel secondo caso tra gli indagati figurava la moglie del forzista Huellweck, tale Lorella Bressanello, pure lei di Fi, indagata appunto in veste di superdirigente del dipartimento territorio del comune. Per di più in aula dissi apertis verbis che la stessa Bressanello abitava in una porzione di palazzo messale a disposizione dal designer Flavio Albanese, uomo notoriamente ben ammanigliato con gli ambienti economico-urbanistici che contano, un Albanese che tra l'altro ospitò per le ferie Huellweck e Lorella nella sua casa siciliana. Più o meno contemporaneamente Massimo, figlio del pm Pecori, beneficiava della benedizione di Huellweck per essere incoronato difensore civico. Massimo Pecori peraltro, come sua sorella, fa di mestiere l'avvocato. I due quindi esercitano nel medesimo distretto del padre. Di più la figlia di Paolo Pecori ha recentemente sposato anche uno dei rampolli della famiglia Marchetti, gruppo immobiliare che risulta avere cospicui interessi nell'ambito della redazione del nuovo piano regolatore o Pat che dir si voglia. E Massimo Pecori, pur da consigliere dell'opposizione in quota Udc, ha deciso di non votare contro il nuovo documento del Pat presentato in consiglio comunale dalla giunta di centrosinistra. Se qualche informazione in mio possesso è errata sarei assai lieta di essere smentita dai diretti interessati. Purtroppo queste cose le ho ripetute sia da consigliere comunale sia da portavoce del mio comitato. Forse alla stampa e all'opinione pubblica interessano poco. Forse si preferisce non dare al tutto troppo risalto».
Il comitato "Salviamo l'aeroporto" ha espresso critiche assai dure nei confronti del presidio “No Dal Molin”, pur portando avanti una battaglia comune contro la base. Si tratta di una considerazione corretta?
«Sì, se le critiche sono intese come critiche alla linea, diciamo politica, del presidio. No, se qualcuno ritiene i nostri rilievi personali».
Parlando in concreto?
«Il presidio, forse all'inizio ci era riuscito, aveva cercato di utilizzare partiti e gruppi di natura politica vicini alla sinistra, e all'area antagonista, per portare avanti la sua battaglia. In senso buono li aveva cannibalizzati. Poi però il vento è cambiato e la posizione del presidio è divenuta troppo debole, a tratti ancillare, rispetto alle pressioni di questo o quel gruppo. Basti vedere il garbo con cui lo stesso presidio ha trattato sino ad ora Variati. Va detto che in questo momento qualcosa sta scricchiolando. Forse perché qualcuno in seno al presidio si rende conto che certi suggerimenti venuti da fuori non hanno portato a grandi risultati».
Questi i rilievi addebitati al presidio. Mi pare di capire che in parte li rivolgete anche all'area cattolica di sinistra. Mi sbaglio?
«No, anche se rivolgiamo loro critiche con argomenti un po' diversi».
E voi del comitato ritenete di non aver fatto errori?
«Anche noi ne abbiamo fatti».
Di che tipo?
«Le nostre responsabilità sono di segno opposto rispetto a quelle del presidio. Non siamo stati in grado di costruire la nostra rete di contatti se non a livello embrionale. Purtroppo abbiamo scontato anche noi un vizio tipicamente vicentino, quello di andar per parrocchiette. Da questo punto di vista i “No Tav” sono molto più bravi. C'è poi un altro problema per noi del comitato. Seppur connotati assai poco politicamente, una nostra area di riferimento dovrebbe essere quella moderata, ma anche quella con una eredità culturale di destra. Da questo punto di vista però quest'area è ancora appannaggio del Carroccio, il quale ancora riesce a fare finta di essere movimentista e forza di governo al contempo, radicandosi bene sul territorio. Da ex leghista so che si tratta di un bluff, ma i bluff si vincono solo quando riesci a vederli. E in politica li devono vedere in tanti. Ad ogni buon conto, con questo andazzo Vicenza è destinata ad un progressivo impoverimento. Sia produttivo che sociale. La crisi da noi avrebbe potuto mordere assai meno. Ma la cosa non è avvenuta anche per le storture di cui ho parlato prima».

Marco Milioni
da www.lasberla.net del 28 gennaio 2010
link originario: http://www.lasberla.net/2010/01/2994/

venerdì 22 gennaio 2010

J'accuse a 360 gradi

C'era aria di burrasca ieri in consiglio comunale a Vicenza. Il caso della cosiddetta banca fantasma ha scatenato l'ennesimo vespaio. Il sindaco democratico Achille Variati ha tentato la strada della difesa d'ufficio, la quale però si è sbriciolata sotto i colpi di Maurizio Franzina (Pdl), nonché soprattutto sotto quelli di Claudio Cicero e di Domeico Pigato della civica Impegno a 360 gradi. E non è valso granché il soccorso, un po' svogliato, di big del Pd come Federico Formisano e Gianni Rolando. Per di più un'altra bordata Cicero se l'è riservata per i privati coinvolti nel caso edilizio della settimana (si tratta della padovana Vivara, una srl di San Martino di Lupari). La loro paventata richiesta milionaria a danno dei consiglieri è stata bollata come «comportamento mafioso». La miccia è stata accesa. La bomba deflagrerà?

LE FRECCIATE. Franzina senza giri di parole ha accusato il primo cittadino di avere eterodiretto Cangini con lo scopo ultimo di far rimanere inerte l'amministrazione la quale sarebbe poi finita ovviamente nelle more della legge. Il sindaco ha cercato di rispedire le accuse al mittente, ma non ha bollato come falsa la ricostruzione di Franzina. Durissimo anche Cicero il quale ha ricordato in aula che i privati prima si sono presentati in comune con l'idea di fare un supermarket. Di seguito hanno ottenuto il permesso a realizzare «dei parcheggi sotterranei» proprio a pertinenza del negozio. Infine, dopo «avere stipulato un prelimeinare» per la vendita dei soli parcheggi, hanno chiesto al comune un provvedimento che sanasse l'abuso edilizio. Abuso edilizio dovuto al fatto che la Vivara ha già realizzato una banca (non funzionante) sebbene il piano regolatore non consenta una cosa del genere in quel punto di piazza Matteotti. E Cicero è andato oltre. Ha accusato i privati di aver tenuto un comportamento «mafioso» nei confronti dei consiglieri allorquando i loro avvocati hanno paventato anche nei confronti del consiglio «una possibile richiesta di danni» in sede civile di «quattro milioni di euro». Una richiesta «campata in aria» secondo Pigato, indice del fatto che i privati sono di fatto alla frutta perché responsabili di una condotta contra legem. Ma Impegno a 360 gradi non si ferma e sempre con Cicero fa il punto su una parte precisa del dettato normativo: «I signori della Vivara hanno ottenuto il permesso a costruire parcheggi in un seminterrato, solo in funzione della previsione del market, poi hanno cambiato idea». Cicero così ha domandato alla giunta come mai il consiglio debba ridursi a togliere le castagne dal fuoco a chi «non ha rispettato la legge».

LO SCENARIO. Il problema posto dal consigliere comunale di opposizione però è la vera chiave di volta. In mancanza di un cambio di destinazione d'uso da market a banca concesso dal consiglio, il locale rimane commerciale, ma il privato si è impegnato anche economicamente verso terzi a vendere separatamente i parcheggi (sperando o sapendo) che prima in giunta, poi in sala Bernarda, l'avrebbe fatta franca. Ora se il privato volesse puntare nuovamente sul negozio dovrebbe chiedere indietro i garage già venduti, almeno sul preliminare. E questo gli costerebbe caro. Se invece i garage fossero stati venduti definitivamente, allora lo stabile, senza le autorimesse, non potrebbe essere nemmeno adibito ad area di vendita. Di più. mancando il negozio qualcuno potrebbe pretendere dall'amministrazione (reazione possibile una causa per danno erariale) di impugnare i provvedimenti con i quali la stessa amministrazione ha concesso i garage al privato. Il quale, ipoteticamente, a causa di un errata applicazione delle norme, potrebbe (o dovrebbe) vedersi di fatto sfilati non solo i guadagni, ma anche i quattrini con cui ha pagato i lavori, nonché la proprietà dei garage medesimi. Questo perché la norma prevede l'acquisizione senza oneri da parte del comune di quelle opere viziate da un palese e non sanabile abuso edilizio. E ancora. Sul piano teorico la legge stabilisce che l'abuso edilizio non sanabile non solo rende nulli tutti gli atti tra vivi rispetto ad esso correlati, ma costituisce esso stesso un possibile illecito penale per il quale sarebbe competente la procura della repubblica.

LA PROSPETTIVA. Ieri tuttavia il consiglio si è limitato ad annullare in autotutela un provvedimento con il quale il commissario autorizzato dalla regione aveva cambiato la destinazione d'uso dello stabile. Non è chiaro se il provvedimento del commissario ad acta incorpori o meno la sanatoria dell'abuso. Allo stato l'amministrazione non ha annullato invece il permesso a costruire tout-court. Se ciò avvenisse, secondo molti consiglieri di maggioranza e opposizione sarebbe la strada maestra sotto il profilo amministrativo, la partita si trasformerebbe in una sciarada. Gli uffici, la giunta e lo stesso sindaco si troverebbero infatti tra due fuochi. Da una parte c'è il privato che ha maturato comunque delle aspettative anche in ragione di scelte, definite in aula azzardate o prese con troppa leggerezza, materializzatesi proprio in seno all'assessorato all'edilizia privata.

Dall'altra c'è un pezzo consistente del consiglio comunale il quale rammenta che la legge è uguale per tutti e che una errata operazione sul mercato immobiliare fa parte del rischio d'impresa. Impresa che in questo caso, qualora l'avesse vinta in barba alle regole, finirebbe inevitabilmente per privatizzare i profitti scaricando le perdite sulla collettività comunale. Questa è la situazione che in questo momento si vive in municipio, specie nell'assise comunale.

I MEDIA. Ad ogni buon conto in sala Bernarda girano voci precise: gli sherpa si stanno attivando per salvare capra e cavoli. Ma la legge lo consente? Il disagio nella maggioranza si pesa a libbre. Lo ha ammesso lo stesso sindaco che ha parlato chiaramente «di errori» commessi più livelli. Tant'è che il suo staff ieri si è mosso per l'ennesima volta al fine di evitare che sulla stampa lo stato delle cose trasparisse in modo troppo vivido. E l'effetto si vede su tutti i quotidiani locali di oggi. Delle accuse di Cicero, Franzina nonché delle analisi sull'operato dell'amministrazione, non si trova traccia.

Marco Milioni
da www.lasberla.net del 22 gennaio 2010
link originario: http://www.lasberla.net/2010/01/jaccuse-a-360-gradi/

venerdì 8 gennaio 2010

Dalla Valsusa a Variati

Oggi sul Corsera a pagina 25 c'è un titolo che meriterebbe la prima pagina: «La Tav a rischio stop». La questione approfondita da Marco Imarisio, uno degli inviati di punta del quotidiano della Rcs, è quella arcinota del tracciato ferroviario previsto e osteggiato in Val di Susa. Il tavolo tecnico voluto dalle parti si è di fatto polverizzato perché i No Tav hanno definitivamente calato la loro «opzione zero». Ovvero quella per la quale in vallata "i treni veloci" non passano. Punto. Il commissario governativo Mario Virano, ex Pc, una storia di ventilati conflitti di interesse per la sua vicinanza ad alcune grandi aziende interessate al tracciato, ha fatto capire al governo che a causa della durezza delle posizioni dei No Tav non ci sono «i presupposti per andare avanti». A beneficio di cronaca va ricordato che la contestazione contro la cosiddetta Alta Velocità era entrata nel vivo durante i primissimi anni 2000. Tant'è che la notizia del Corriere pesa come un macigno perché per il governo rischia di portare indietro alla mezzanotte l'intero iter. E tra gli artefici del blocco c'è Sandro Plano, ex Dc, ex sindaco di Susa nel Torinese, eletto in novembre a capo della locale comunità montana grazie ai voti dei No Tav e dei democratici dissenzienti dalle segreterie regionali e nazionali, le quali sono a favore della Tav. Plano è stato avvisato dal partito che paventa epurazioni dei ribelli. Senza batter ciglio Plano replica glacialmente: «Io cacciato? Dovranno farlo con tanti altri... E finisce che poi i congressi li fanno in una cabina telefonica». Plano non è uno sprovveduto. È un ingegnere che conosce la materia, visto che fa il funzionario per conto di una delle società che gestiscono i trafori stradali piemontesi. La vicenda valsusina però è importante anche per un altro motivo. Il nuovo presidente della comunità montana, quando parla di cabine telefoniche e congressi non lo fa per una semplice boutade. La sua frase è un affresco sull'allontanamento progressivo delle segreterie partitiche dalle istanze del territorio e della gente verso quelle degli affari. Il Pd è forse il caso più eclatante, non perché più perverso degli altri, ma proprio perché la sua storia professata, intrisa di questione morale, fa a cazzotti con appalti, potentati e interessi più o meno incoffessabili. Ma dal Piemonte arriva un'altra lezione. Il raffronto con Vicenza è facile da fare. I No Tav sono ancora vivi e vegeti e sono pronti a battagliare, dentro e fuori le istituzioni, per le loro ragioni. I No Base si sono divisi, dispersi, mentre alcuni di loro, specie tra i No Dal Molin, si sono trasformati nella ruota di scorta della giunta di centrosinistra, non tanto per connivenza politica, quanto per incapacità politica. Il Pd berico, dopo aver preso la palla al balzo della nuova base Usa, per lucrare sulle elezioni comunali, è immediatamente rientrato nei ranghi. In consiglio comunale non si vedono più bandiere della pace. Nella sala riunioni della maggioranza di centrosinistra campeggia il faccione di Barak Obama, il quale niente ha fatto per dire no alla Ederle Bis, mentre le sue truppe continuano, assieme alle nostre (o col supporto dei nostri governi) a occupare de facto Iraq e Afghanistan, con in testa l'opzione Pakistan. Il sindaco del Pd Achille Variati, a differenza di Plano, non penserà mai a mandare a quel paese la dirigenza nazionale del partito, anche quando la cosa sarebbe sacrosanta. Il segretario cittadino del partito, Claudio Veltroni, esiste solo in forza della omonimia del suo cognome con un altro perenne perdente, sempre di casa democratica. A questo punto è facile capire che non è una questione di schieramenti. È una questione di persone, di terra e di attributi. Nel Vicentino, terra da anni abitata da servi, l'epilogo per la Ederle bis stava forse già scritto nella mancanza di attributi dei suoi cives. Ecco perché gli americani hanno scelto Vicenza e non la Valsusa.

Marco Milioni
link originario: http://www.lasberla.net/2010/01/dalla-val-di-susa-a-variati/