mercoledì 11 maggio 2016

Pfas, Val Chiampo denuncia Miteni: «Ripari il danno»

«Chi ha inquinato, paghi le spese per ripulire il territorio». È quanto chiede il consiglio di bacino Valle del Chiampo con un esposto presentato ieri in procura nel quale si punta il dito, sul fronte della vicenda Pfas, contro l'azienda Miteni di Trissino. L'impresa che opera nel settore chimico rispedisce però al mittente le accuse, spiegando di aver sempre rispettato, nelle procedure di scarico dei reflui, proprio i valori sui Pfas stabiliti dallo stesso consiglio di bacino e di non essersi mai sottratta al confronto con l'ente. La vicenda dell'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche si arricchisce dunque di un nuovo capitolo, con il botta e risposta tra l'organo di tutela delle acque e lo stabilimento chimico trissinese.

LE ACCUSE. Il consiglio di bacino ha affidato ad un professionista uno studio per accertare le responsabilità dell'inquinamento del territorio con i Pfos e i Pfoa, considerati tra le sostanze più tossiche e persistenti tra i perfluori. I due composti non sono più prodotti da Miteni fin dal 2011. Come si legge nell'esposto indirizzato alla procura della Repubblica di Vicenza, secondo la consulenza tecnica redatta da Andrea Sottani, «il sito Miteni costituisce ancora oggi una sorgente attiva dell'inquinamento e pertanto una sicura fonte emissiva permanente delle sostanze perfluoro alchiliche, oltre che di altri contaminanti, nella falda; il deterioramento della risorsa ambientale costituisce un danno effettivo, concreto e continuo, quindi permanente». Il consiglio di bacino non si è fermato qui, commissionando anche una valutazione chimico tossicologica sugli effetti indotti sull'uomo dalle sostanze perfluoro alchiliche. Lo studio di Raffaella Butera, sempre come riportato nel documento, spiega: «Dette sostanze appaiono inequivocabilmente fonte certa di determinati effetti tossici non cancerogeni e fonte possibile, ma da verificare, di effetti tossici cancerogeni». Sul fronte della riparazione dei danni ambientali provocati dai perfluori, l'ente di tutela delle risorse idriche fa riferimento all'attuale normativa in tema di ambiente, la quale «pone il ripristino e il recupero ambientale come obiettivi imprescindibili». In particolare, le misure, soprattutto per quanto riguarda le acque, devono portare «all'obiettivo del completo ripristino della risorsa e dei suoi "servizi" nelle condizioni antecedenti il danno o, in alternativa, nell'adozione di misure compensative alternative». «A fronte - si continua a leggere nel testo presentato in procura -, dell'evidente consapevolezza che la fonte emissiva e di danno alla falda coincideva col proprio sito (è la stessa società ad ammetterlo nella propria nota del 24.7.2013), Miteni non ha intrapreso l'azione di ripristino». E conclude, più avanti, nel documento: «Non è dubitabile che Miteni (e verosimilmente le sue controllanti) sia destinataria dell'obbligo di ripristino».

IL COMMENTO. «Vista la mancanza di dialogo che la Miteni ha dimostrato con Acque del Chiampo - ha commentato il presidente del Consiglio di bacino Valle del Chiampo Giorgio Gentilin -, ho ritenuto di dare ulteriori strumenti investigativi alla Procura della Repubblica. Il nostro fine è quello di avere il ripristino della risorsa idrica e un aiuto da parte dell'azienda nell'affrontare questa vicenda. Questa è una valle che in passato si è presa le sue responsabilità sulla tematica ambientale e che ha saputo lavorare per imprimere una svolta sostanziale al riguardo».

L'AZIENDA. La risposta della Miteni non si è fatta attendere. «Innanzitutto l'azienda è seguita da Alto Vicentino servizi, per quanto riguarda gli scarichi - precisano fonti aziendali -. Ci sono stati, poi, dei carteggi con il consiglio di bacino per discutere in merito ai costi legati alla depurazione. Un appuntamento era stato fissato con Acque del Chiampo per il 5 aprile, ma loro stessi l'hanno disdetto il giorno prima. Miteni aveva poi confermato un incontro con l'amministratore Alberto Serafin per il 28 aprile, ma la mattina stessa il gestore del servizio idrico ha annullato l'appuntamento. Non si può certo dire, quindi, che l'azienda si sia sottratta al confronto: sono stati loro a non aver voluto incontrarci. Era stato proprio il Consiglio di bacino, poi, a darci i limiti relativi a queste sostanze da rispettare nelle acque di scarico. Noi abbiamo sempre rispettato questi valori».

da Il Giornale di Vicenza dell'11 maggio 2016; pagina 14

martedì 10 maggio 2016

«Sbloccare 20 milioni dai fondi per la concia»

Agganciare gli interventi per i Pfas all'accordo di programma Fratta Gorzone. È quanto ipotizzato ieri dal sottosegretario all'Ambiente Barbara Degani nel vertice sull'inquinamento da Pfas. Alla riunione, voluta dal presidente della Provincia Achille Variati, erano presenti anche l'assessore regionale all'ambiente Gianpaolo Bottacin, i presidenti delle Province di Verona e Padova, i sindaci dei Comuni interessati dall'inquinamento e i vertici dei consorzi di bonifica, delle società di gestione dei servizi idrici e delle categorie economiche.

Il sottosegretario Degani ha fatto riferimento all'accordo di programma stipulato nel 2005 da 22 soggetti, tra cui  ministero, Regione, province e comuni per il riequilibrio idrico del distretto della concia e del risanamento del bacino idrografico del Fratta Gorzone. «Si può usare l'accordo, agganciandovi la parte di programmazione sui Pfas - ha spiegato Degani -. L'intesa comprende, dopo la rimodulazione, 20 milioni di euro».

La cifra potrà dunque essere investita per l'emergenza Pfas? «Secondo me sì - risponde Degani -, però ci sono delle esigenze territoriali. Dipenderà da cosa chiederà la Regione. Siamo comunque disponibili a tenere quei fondi agganciati al territorio». La questione sarà discussa domani a Venezia nella riunione del comitato di sorveglianza del protocollo. «Porterò una proposta di rimodulazione dell'accordo - ha specificato il direttore generale del ministero dell'Ambiente Gaia Checcucci -. Quell'intesa prevedeva degli obiettivi che non sono stati raggiunti. Sono rimasti dei fondi inutilizzati. In questo accordo si potrebbero inserire gli interventi per l'inizio della risoluzione del problema dei Pfas». «Trattandosi di piani differenti, che intervengono su leggi differenti, è meglio tenere separati l'argomento concia da quello dei Pfas», ha suggerito l'amministratore unico di Acque del Chiampo Alberto Serafin. «Oltre a questi fondi - puntualizza il presidente della Provincia Achille Variati -, servono altri fondi per realizzare condutture che, partendo da pozzi sani, vadano ad innestarsi negli acquedotti che pescano l'acqua dalle falde inquinate».

da Il Giornale di Vicenza del 10 maggio 2016; pagina 12

lunedì 9 maggio 2016

Fiori nelle aiuole per dire no ai pfas

I manifestanti che piantano un centinaio di fiori nelle aiuole antistanti i cancelli della Miteni chiedendo ai dirigenti dell'azienda di innaffiarli con l'acqua di scarico dei cicli dello stabilimento; le maestranze che replicano accogliendo le mamme in bici distribuendo fiori e volantini con scritto «La nostra acqua pulita per le vostre piante, questa fabbrica da cinquant'anni ci dà di che vivere, in salute». 

Giornata dalle due facce, ma senza tensioni, quella di ieri: al centro i Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche trovare in falda e per le quali il principale imputato, hanno rimarcato gli organizzatori, «è lo stabilimento di Trissino». La manifestazione, messa in piedi da mamme e cittadini di Montecchio, Brendola, Sovizzo, Altavilla e altri comuni coinvolti dai Pfas è iniziata in piazza Marconi a Montecchio, da dove sono partite circa 500 biciclette per raggiungere il vialone antistante la Miteni a Trissino. Il serpentone nel percorrere i 5 chilometri lungo la provinciale 246 è stato scortato da carabinieri e polizia locale «Dei Castelli»: inevitabile qualche disagio al traffico. A Trissino in segno di solidarietà è sfilato anche un nutrito gruppo di motociclisti.

Mamme e papà con i figli nei seggiolini, soprattutto gente comune, tanti con la pettorina di Legambiente, nel mucchio anche una bandiera No Dal Molin anche se era stata raccomandata l'assenza di simboli. L'altro momento clou della giornata è stato il momento degli interventi. Ad alternarsi al microfono Dario Muraro di Brendola, Piergiorgio Boscagin di Legambiente e portavoce di Acqua Bene Comune e Libera dai Pfas, il coordinamento che raggruppa numerose associazioni, Vincenzo Cordiano, presidente provinciale dell'Associazione Medici per l'ambiente-Isde Italia onlus, e l'avvocato Edoardo Bortolotto che per Medicina Democratica e M5S ha presentato sulla questione Pfas due ricorsi al Tar ed un esposto. Due le richieste che arrivano da Acqua Bene Comune, che ha avviato altrettante petizioni che «in due mesi hanno raggiunto quota 10.000». La prima riguarda una legge ambientale che fissi limiti molto bassi per i Pfas nelle falde ed è rivolta ai Ministeri dell'ambiente e della salute. La seconda, indirizzata alla Regione, è finalizzata ad ottenere che gli acquedotti contaminati siano allacciati a fonti prive di sostanze inquinanti.

da Il Giornale di Vicenza di lunedì 9 maggio 2016; pagina 17

venerdì 6 maggio 2016

Pfas, boom di decessi In 30 anni: morti in 1.300

Sono quarantatré morti in più all'anno: 1.300 decessi in più in 30 anni rispetto a quelli avvenuti nelle zone vicine alle aree interessate dai Pfas. E si tratta di morti riconducibili a malattie cerebro-vascolari, cardio-vascolari, diabete e tumore del rene, favorite dall'inquinamento da Pfas delle acque di falda e superficiali. Si tratta di un 10 per cento in più della media che si registra nelle aree vicine.

Ad affermarlo è uno studio dall'Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e l'energia e l'Isde, l'Associazione medici per l'ambiente. I risultati dell'indagine sono stati presentati ieri a Roma in un convegno nel quale si indagava il ruolo della salute in rapporto coi «sistemi produttivi». «Questa ricerca ha verificato che esiste un grave problema per la salute pubblica», afferma Umberto Bai, medico dell'Isde che con i suoi colleghi Vincenzo Cordiano e Paolo Crosignani e con i ricercatori dell'Enea Marina Mastrantonio, Raffaella Uccelli ed Augusto Screpanti ha realizzato la ricerca, «considerato che gli unici studi svolti sinora riguardavano l'esposizione delle persone, è stato ad esempio il biomonitoraggio condotto dalla Regione che ha dimostrato la presenza dei Pfas nel sangue di persone residenti nell'area inquinata, volevamo capire se nel territorio vittima della contaminazione si sono verificate situazioni particolari in merito all'insorgere delle patologie che, secondo la letteratura, possono essere correlate alle sostanze perfluoro-alchiliche».

Sono stati presi in esame solo i dati relativi alla mortalità registrati dall'Istat. «Abbiamo ripercorso i trent'anni precedenti al 2011 indagando i numeri e le cause dei decessi registrati tra i 144mila cittadini residenti nell'area composta dai 24 Comuni del Veronese, Vicentino e Padovano in cui è stata verificata la maggiore contaminazione», precisa il medico dell'Isde. «Abbiamo confrontato i dati con quelli relativi a quasi 645 mila persone residenti nei territori confinanti e vicini di buona parte delle provincie venete».

E i risultati sono a dir poco inquietanti: «Sulla base delle pubblicazioni esistenti, abbiamo scelto a priori di verificare l'incidenza delle morti dovute a una decina di malattie collegabili ai Pfas e il risultato che già avevamo ipotizzato nella prima fase dello studio, che era stata limitata a pochi Comuni, è stato purtroppo decisamente negativo». Stando ai dati contenuti nella ricerca presentata ieri, in trent'anni sono morte almeno 43 persone all'anno in più rispetto a quelle che ci si sarebbe potuto attendere, compiendo un paragone con i dati relativi ai territori non inquinati. Quasi 1.300 morti in più all'anno.

Una situazione che, per quanto riguarda il Veronese, è stata verificata per la popolazione di Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Cologna, Legnago, Minerbe, Pressana, Roveredo, Terrazzo, Veronella e Zimella, ma che riguarda anche il Padovano e dieci municipi del Vicentino. Ovvero, tutti i paesi nei quali, prima dell'adozione di misure volte ad abbattere la presenza degli inquinanti, è stata distribuita acqua con valori di Pfas superiori a quei limiti che sono diventati ufficiali in regione ma ancora non sono stati fissati con una legge valida sul territorio nazionale.

da L'Arena di Verona del 6 maggio 2016 (servizio di Luca Fiorin); pagina 25

domenica 1 maggio 2016

Casco salvavita grazie a un gel di acqua e mais

Un fluido creato con acqua e amido di mais, in futuro, potrà salvare una vita. Lo hanno provato gli studenti della 2C1 dell'Itis "Marzotto" di Valdagno che hanno ricevuto il primo premio alla Fiera della scienza di Padova denominata "Sperimentando 2016". A farli salire sul primo gradino del podio, con una scoperta innovativa, è stata una prova legata al mondo dello sport, come richiesto dal regolamento del concorso.Gli studenti della scuola presieduta da Afra Gecele, guidati dalla docente Carla Crestani, hanno ricreato uno scenario legato allo skateboard, sfruttando le proprietà dei cosiddetti "fluidi non newtoniani".

Questi fluidi si possono sfruttare grazie alla loro viscosità, che muta a seconda della forza che viene impressa. Se vengono colpiti da una forza impulsiva, cioè da un colpo secco, diventano molto duri, comportandosi come un solido. Se invece vengono colpiti da una forza poco intensa, si comportano come un liquido.Ma è la prima delle due opzioni, quella che è alla base del progetto-esperimento con al centro un uovo che ha rappresentato l'ipotetica testa di uno sportivo, colpita da un oggetto. Gli studenti hanno costruito un piccolo casco fluido utilizzando acqua e farina di maizena e l'hanno utilizzato a mo' di cappellino per proteggere l'uovo che, per sua natura, è estremamente fragile. Poi, utilizzando un peso, sono stati portati a termine tre tentativi di colpire l'uovo.

Nel primo, il bersaglio ha ricevuto "in testa" il peso perpendicolarmente protetto dal casco innovativo creato con il fluido: nessun danno e un impatto assorbito nel migliore dei modi. Nel secondo tentativo l'uovo è stato protetto con un casco tradizionale in plastica e anche in questo caso l'uovo è rimasto intatto anche se ha risentito di più del trauma a causa delle vibrazioni. Da ultimo, l'uovo ha ricevuto il peso perpendicolarmente senza protezioni, rompendosi.La giuria del concorso, dopo la valutazione di tutti gli esperimenti in gara, che erano divisi secondo le categorie degli elementi naturali (terra, aria, acqua, fuoco) più la categoria "Rotola, rotola", ha deciso di premiare il "Marzotto" per «l'efficacia dell'esperimento che risulta di semplice realizzazione e per l'uso di materiali innovativi. Si apprezza anche l'attenzione al tema della sicurezza che deve essere sempre garantita nella pratica sportiva". L'esposizione, che è aperta nel padiglione 6 della fiera di Padova fino all'8 maggio, ha ospitato 57 scuole che hanno presentato un centinaio di esperimenti.

Ogni anno, sono circa 10 mila le persone che animano gli stand. Il dirigente scolastico Gecele commenta: «È una grande soddisfazione, dopo quella del posto dello scorso anno. Complimenti ai nostri studenti, ma anche alla professoressa che li guida con tanta passione e competenza. Non sono giochi, ma esperimenti che possono avere una ricaduta anche dal punto produttivo, come già accaduto, per esempio, con il progetto "Stenduino"».