domenica 18 ottobre 2015

Banche che passione

Ieri, 17 ottobre, su Il Fatto a pagina 8 il bravissimo Giorgio Meletti fa una summa delle rogne che stanno divorando il sistema bancario italiano. Sono tutti argomenti conosciuti, in parte comuni ad altri Paesi, ma la penna del cronista mette in sequenza i fatti in modo esemplare.

LO SPACCATO. Ne esce uno spaccato nero per l’Italia, in cui la incapacità dei manager sommata alla pratica di concedere crediti agli amici degli amici, dei politici, dei finanzieri e dei mafiosi, ha generato una situazione spaventosamente instabile. Per la quale sarà il vecchio, malconcio, maleodorante e indebitato Stato a doverci mettere la classica pezza. Indebitandosi ancor più all’insegna del motto perdite pubbliche e profitti privati. E quindi a quando, magari dopo un paio di salvataggi a carico di Pantalone, dovremo aspettarci l’arrivo d’un professorino da Bruxelles, magari con la gavetta zelantemente completata presso qualche banca iperindebitata, che invocherà lacrime e sangue per rientrare nei ranghi? Grecia docet.

LO SCENARIO. Se a questo aggiungiamo l’incognita sui derivati e la bomba delle clausole di salvaguardia (Il Fatto del 17 ottobre in pagina 3) ben si capisce che cosa stia cucinando questo governo in combutta, o meglio sotto dettatura, delle lobby bancarie, finanziarie e industriali che lo alimentano. Benvenuti nella mafia 4.0. Quella che non spara. Anzi che spara solo coi tassi d’interesse…

POSTILLA VENETA. E in questa giostra i veneti non pensino di stare tanto allegri. Primo perché due tra i maggiori istituti di credito del territotio, BpVi e Veneto Banca sono, finiti nell’occhio del ciclone mentre Dio solo sa se non ci finirà pure il Banco Popolare. Secondo perché sul piano politico il Veneto ha già toppato. Non solo per il silenzio e l’imbarazzo (con le docute eccezioni) con cui la politica è rimasta a guardare gli scandali. Ma soprattutto perché l’amministrazione regionale capitanata dal Carroccio, indipendentemente da come finiranno le inchieste, avrebbe dovuto cominciare a prendersi cura di quei piccoli risparmiatori che sono stati colpiti davvero duro dagli effetti degli scandali. E ai quali bisognerebbe garantire un minimo di supporto in termini di aiuto, anche economico, da parte dei servizi sociali. Come quando c’è un’alluvione. Perché di suicidi dovuti allo scoppio dell’affaire banche nel Veneto già ce n’è stato qualcuno. Dobbiamo preparaci al solito stillicidio seguito dalle ineveitabili lacrime di coccodrillo?

domenica 4 ottobre 2015

Schio, il caso Imam e il flop della stampa veneta

Oggi Vvox.it pubblica un mio approfondimento sul caso dell'Imam scledense che è stato espulso dal nostro Paese su decisione del Viminale. Ho ritenuto opportuno sentire direttamente il questore di Vicenza e il dirigente della Digos affinché dal loro autorevole punto di osservazione fosse chiaro un concetto. L'algerino, almeno al momento, non è stato colpito da alcun provvedimento penale né da accuse di terrorismo. È stato allontanato solo perché il suo comportamento è stato ritenuto in conflitto con il testo unico sulla immigrazione.

Insomma una violazione amministrativa, sul piano astratto come una contravvenzione al codice della strada. Ora, se Sofiane Mezzerreg deciderà di ricorrere al Tar, sarà il tribunale amministrativo del Lazio a far da giudice tra lui e gli Interni. Non è questo il punto. Come è chiaro lo scrupolo con cui la questura di Vicenza ha condotto le indagini, anche in considerazione del fatto che gli investigatori altro non hanno fatto che obbedire alla legge visto che c'era stata una segnalazione. Il punto invece è il comportamento della stampa del triveneto, che ha descritto gli accadimenti in modo così ambiguo, fino a trarne le conclusioni ridicole. Fra queste quelle cui giunge oggi in prima pagina su Il Giornale di Vicenza il suo direttore Ario Gervasutti, sulle quali ritornerò in seguito. Non parliamo poi del titolone del Messaggero Veneto «Istiga i bambini al terrorismo, espulso dall’Italia l’ex imam di Udine». Si tratta di un comportamento da codice penale che invece non sta nelle carte degli investigatori. E l'imam potrebbe anche ricorrere alle vie legali per quel titolo (anche se il sottoscritto da anni si batte per la cancellazione del reato di diffamazione, come approfondirò in seguito). Ad ogni buon conto A lor signori della stampa (che si son profusi in articoli o pseudoarticoli di cronaca giudiziaria e che ben si son guardati di allargare l'orizzonte della questione, salvo sentire il Magdi Cristiano Allam di turno, che solo un GdV formato Isola dei famosi poteva ripescare dal bagnasciuga della notorietà, e ignorando uomini di cultura come Franco Cardini o Massimo Fini) dovrebbe essere chiaro un concetto.

La democrazia si distingue dagli altri regimi per la sua fragilità intrinseca. E perché porta inevitabilmente dentro di sé i semi del suo collasso. Questa è al contempo la sua grande debolezza e la sua forza straordinaria. Ma se partiamo dal presupposto che le espressioni del libero pensiero debbano essere in qualche modo subordinate alla tenuta dello Stato, costi quel che costi, allora la nostra non è una democrazia, ma un'altra cosa: più diversa, ma soprattutto più ipocrita. Una prova indiretta, ma tangibile, di questo assunto è la esistenza di reati arcaici come l'istigazione a delinquere, l'ingiuria, la diffamazione, il vilipendio del capo dello Stato, il disturbo d'una funzione religiosa. O di reati più moderni come l'incitamento all'odio razziale. Si tratta comunque di marchingegni (ancor peggiore è la rivalsa possibile in sede civile) che con la scusa del controbilanciamento tra libertà d'espressione con la sfera degli altrui diritti, un non senso giuridico, una fesseria sesquipedale, ingabbiano la libertà d'espressione rispetto alla quale la libertà di professare la propria fede viaggia in qualche modo a braccetto.

L'anno prossimo cade il 60esimo della morte di Evelyn Beatrice Hall, una delle più apprezzate biografe di Voltaire. La Hall facendo leva sui convincimenti del filosofo francese, ma non solo sui suoi elaborò un concetto straordinario: «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». È il vero discrimine fra ciò che in termini di libertà d'espressione è democrazia e ciò che non lo sia. Purtroppo quella frase molti fingono di ignorarla. Troppi la ignorano completamente. Il che è peggio. Poi la gente se la prende con la carta stampata. Vorrei, tanto per dirne una, misurare quanto spazio sia stato dedicato alla composizione della commissione regionale sui project financing. Che tracolma di persone chiacchierate o indagate. Con un grattacapo del genere il governatore Luca Zaia ben si è guardato dal commentare una sua scelta indecente. Nessuno gli ha spiegato che se l'imam fosse stato italiano da cento generazioni nessuno avrebbe potuto contestargli un bel niente?

Epperò ha trovato il tempo di parlare del caso dell'Imam. Anche un bimbo capirebbe che la vicenda dell'algerino è stata strumentalizzata per non parlare di magagne ben maggiori che attanagliano la nostra regione. «Beata l'ignoranza, se stai bene de mente de core e de panza» diceva un siderale don Buro interpretato da Christian de Sica in Vacanze in America. Erano i ruggenti anni '80. E Carlo Vanzina, con la scusa della satira sociale, aveva già dettato la linea del rincoglionimento generale portato a compimento durante il dominio "berlusconian-centrosinistr-Renziano". Amen.

Marco Milioni