martedì 28 febbraio 2017

Libia connection: dalla camorra alla mafia veneta passando per il Copasir... e per l'Iran

L'affaire Libia connection, sul quale indaga la magistratura napoletana, non solo ha investito il Copasir, ma da qualche giorno è sbarcato anche su alcuni media internazionali come China.org e Thedailybeastcom: una girandola di intrighi dalla quale spunta pure una propaggine veneta mentre a fare da contorno rimane un traffico d'armi che avrebbe avuto in Iran uno dei punti della triangolazione. Per quanto riguarda il Copasir da giorni diverse forze politiche chiedono al deputato M5S Angelo Tofalo, che siede appunto nel Copasir, ovvero l'organismo bicamerale di vigilanza sull'intelligence, di chiarire la sua posizione dopo, che il suo nome è stato tirato in ballo proprio in una storiaccia di traffico internazionali di armi. 

La situazione nel Paese nordafricano è tesissima anche in ragione dei rilevanti interessi energetici e geostrategici di contorno. L'Italia ha deciso da alcuni mesi di appoggiare un governo riconosciuto dall'Onu. Ma in realtà in quella che fu l'ex colonia italiana i governi autoproclamati sono almeno un paio in una nazione dominata ancora da divisioni di tipo tribale, riesplose dopo la morte del dittatore Mu'ammar Gheddafi. Ad interessare i media in modo particolare sono i contatti che Tofalo avrebbe avuto con l'ex premier libico l'ex premier libico Khalifa Ghwell, che ad inizio gennaio annunciò alla stampa locale una sorta di golpe soft del quale non si è ancora capita l'entità. Ed è in questo frangente che si cerca di capire quale sia stato il ruolo di Tofalo. Tra alcuni deputati del Copasir il timore, tutto ipotetico e tutto da provare, circola a mezza bocca; un timore per cui lo stesso Tofalo abbia potuto fungere da ufficiale di collegamento col crisma del parlamento, di un traffico d'armi da collocare in qualche modo in uno scacchiere più ampio, magari con la complicità di pezzi deviati degli apparati italiani. In questo caleidoscopio non vanno dimenticati tra l'altro i rimbrotti di Ghwell, che accusa l'Italia di interferire in modo inaccettabile nella politica interna libica. Accuse che riprendono paro paro gli addebiti di Khalifa Haftar, il generale a capo di una delle entità governative, quella di Bengasi, che al momento si dividono lo scacchiere libico. Haftar non viene ben visto da una parte delle cancellerie europee perché avrebbe seguito una politica troppo filo russa e poco attenta ai desiderata della Nato, che con l'Europa ha uno stretto legame. Ma al contempo però da quegli stessi ambienti diplomatici viene riconosciuto ad Haftar un più convinto e sincero impegno contro l'Isis rispetto a quello messo in campo dal governo libico riconosciuto dall'Onu, ovvero quello capitanato da Fayez Sarraj.

Lo stesso generale fra l'altro intervistato dal Corsera spiega o da ad intendere di godere di ottime relazioni in seno alla diplomazia e alla intelligence occidentale, anche Italiana. Ed è in questo gioco di specchi che riflettono all'infinito una situazione tanto fragile tanto mutevole che si inserisce la vicenda Tofalo. Il sodalizio che sarebbe stato vicino a Tofalo avrebbe agito per conto di chi? Per conto di qualche entità libica? Oppure avrebbe agito in proprio solo con fini di profitto legati alla vendita di armamenti? E chi in qualche modo avrebbe messo in collegamento Tofalo col sodalizio che è accusato dalla procura di Napoli di trafficare armi oltre il Mediterraneo? Al momento il ginepraio pare inestricabile. Ma alcuni effetti si sarebbero già avvertiti: da ambienti vicini ai servizi sarebbe filtrato fino al Copasir un avvertimento preciso. Senza le dimissioni di Tofalo non ci saranno più notizie sensibili che arrivano sui banchi dello stesso Copasir per il timore che finiscano poi nelle mani sbagliate.

C'è poi un aspetto singolare da tenere in considerazione. L'inchiesta di Napoli è la prosecuzione diretta, così scrive Repubblica.it, di un altro filone sempre partito dal capluogo campano, che aveva indagato ambienti della Camorra che sarebbero stati interpellati da soggetti legati alla mafia veneta o mala del Brenta, proprio con lo scopo di fornire ai veneti il materiale per il traffico. Una parte di quella inchiesta era stata raccontata in un memorabile documetario di Report curato da Sigfrido Ranucci. Durante il quale erano emersi legami internazionali, transazioni finanziarie spericolate e rapporti con le imprese italiane dell'orbita governativa che si occupano di sicurezza. Uomo chiave di quel reportage (riandato in onda di recente quasi a furor di popolo) è Andrea Pardi. Quest'ultimo dopo le rivelazioni di Report è stato arrestato alla fine di gennaio dalla Guardia di finanza di Venezia su ordine della procura di Napoli proprio nell'ambito dell'inchiesta sul traffico internazionale di armi. La notizia dell'arresto di Pardi aveva fatto il giro dei media nazionali che parlano di affari con Iran e Libia.

martedì 21 febbraio 2017

Padova, le primarie non si fanno più: Giordani resta con i centristi e Coalizione vota Lorenzoni

Le possibilità che Pd e Coalizione Civica trovino un accordo per scrivere assieme il programma e scegliere un candidato sindaco unitario sono infatti ormai ridotte al lumicino. E così, se non ci sarà un repentino cambio di rotta entro la fine di questa settimana, Sergio Giordani e Arturo Lorenzoni correranno da avversari alle amministrative in calendario tra la metà di maggio e quella di giugno, regalando in questo modo un innegabile vantaggio non solo all'ex primo cittadino leghista Massimo Bitonci, ma anche a quello che sarà (il suo nome dovrebbe essere svelato tra una decina di giorni) il portabandiera del M5S. Quella di ieri, peraltro all'indomani del netto successo del professor Lorenzoni alle primarie interne di Coalizione Civica, in cui il docente universitario di Economia Applicata ha sbaragliato la concorrenza del filosofo Umberto Curi e della segretaria provinciale dell'Anpi Floriana Rizzetto (820 persone al seggio del ristorante Ca' Sana di via Santi Fabiano e Sebastiano, 581 voti per Lorenzoni, 184 per Curi e 52 per Rizzetto), è stata una giornata a dir poco tesa e frenetica.

In particolare dalle parti di via Beato Pellegrino, quartier generale dei democratici, dove a tarda sera il segretario cittadino Antonio Bressa ha riunito la direzione del partito e posto in discussione un documento che, in parole povere, suonava più o meno così: «Siamo sempre stati aperti al dialogo nei confronti degli amici di Coalizione Civica, tanto che abbiamo aspettato che concludessero il loro lungo percorso con le primarie interne di domenica. Da loro però - ha sottolineato Bressa, al cui fianco paiono rimasti soltanto il suo vice Nereo Tiso, il segretario provinciale Massimo Bettin, l'ex vicepresidente del consiglio di Palazzo Moroni Andrea Micalizzi, i senatori Giorgio Santini e Gianpiero Dalla Zuanna e il consigliere regionale Claudio Sinigaglia - sono arrivati dei veti inaccettabili verso alcune figure che hanno contribuito con noi alla caduta anticipata di Bitonci». Nel dispositivo messo in votazione da Bressa,è chiaro il riferimento al cosiddetto fronte moderato di centrodestra che, guidato dal sottosegretario di Ncd Barbara Degani e dal capogruppo uscente di Rifare Padova Antonio Foresta, ha già conferito il suo appoggio a Giordani. «Bitonci è in campagna elettorale da tre mesi, dato che sta battendo la città bar dopo bar - ha evidenziato il segretario democratico - E noi non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

Traduzione: la data delle elezioni è sempre più vicina ed è ormai troppo tardi per fare le primarie. E quindi l'unica offerta avanzata dal Pd a Coalizione Civica è quella di un ticket Giordani-Lorenzoni: «Se Sergio, come tutti ci auguriamo, diventerà sindaco della nostra città - questo il senso delle parole di Bressa - Arturo sarà il suo vice». L'ipotesi, nel vano tentativo di evitare la frattura del centrosinistra che ha già condannato le elezioni del 2014, è però stata maldigerita non solo da tanti democratici presenti alla direzione (in primis dal capogruppo uscente Umberto Zampieri, dagli ex consiglieri Enrico Beda e Jacopo Silva e da parecchi coordinatori di circolo). Ma pure (e soprattutto) dal movimento lanciato da Padova 2020 che non a caso, nel pomeriggio, ha diffuso una nota indirizzata al Pd domandando «formalmente di concordare data, ora e luogo al fine di realizzare un incontro per confrontarsi in via ufficiale e con spirito costruttivo sul percorso in vista delle prossime amministrative». Una richiesta esplicitata così dallo stesso Lorenzoni: «È stato Giordani, non più tardi di un mese fa, a dirsi disponibile alle primarie di centrosinistra tra Pd e Coalizione Civica. Dunque incontriamoci - l'appello del professore - e stabiliamone data e regole: l'unità fra noi è infatti la strada maestra per non far rivincere Bitonci. Altri tipi di accordi, fatti a freddo, fra pochi e senza consultare la base, avrebbero invece soltanto l'esito di allontanare da noi il nostro elettorato. Le primarie, in cui lo sconfitto sosterrà lealmente il vincitore, sono l'unico percorso virtuoso e trasparente per arrivare assieme al governo di Padova». Un richiamo, quello di Lorenzoni e di tutta Coalizione civica, destinato quasi certamente a cadere nel vuoto. 

Davide D'Attino
da Il Corriere del Veneto del 21 febbraio 2017, edizione di Padova; pagina 14

mercoledì 15 febbraio 2017

«Pfas, non c’è solo Miteni... E il cromo esavalente?»

«Si monitora solo la Miteni o vengono monitorate anche le altre realtà inquinanti? Vengono controllati anche altri inquinanti come il cromo esavalente?». A domandarlo, con un’interrogazione a risposta scritta presentata oggi alla Giunta Regionale, sono i consiglieri tosiani Giovanna Negro, Stefano Casali, Andrea Bassi e Maurizio Conte.

«Da mesi la problematica dell'inquinamento derivante dai Pfas è all'attenzione della pubblica amministrazione - scrivono i tosiani - e preoccupa i veneti, dal momento che ad oggi ancora non ci sono precise indicazioni sulle conseguenze per la salute derivanti da questa forma di inquinamento. Documenti pubblicati da Arpav, ma anche da soggetti terzi, indicano che non c’è solo la Miteni spa con lo scarico del collettore Arca al depuratore di Trissino ad aver negli anni scaricato Pfas, ma “contributi minori” vengono dagli scarichi dei depuratori di Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo, più in generale del Bacino del Brenta».

«Da analisi fatte su vari siti del territorio nazionale, risulterebbe che, dove ci sono le produzioni Pfas, sia presente il cromo esavalente, d'uso anche nelle industrie galvaniche, chimiche e conciario-tessili: il cromo VI è un composto tossico e pericoloso per la salute umana - aggiungono i tosiani - e per questo motivo chiediamo alla giunta regionale di conoscere se le verifiche e i monitoraggi vengano effettuati solo sulla Miteni spa o anche sulle realtà e nei territori dove ci sia una seppur minima presenza di Pfas e per conoscere se la regione contestualmente agli scarichi Pfas verifichi e monitori la presenza di altri inquinanti come il cromo esavalente».

fonte: Vvox.it del 15 febbraio 2017; link sorgente

giovedì 9 febbraio 2017

Pedemontana, ora la Regione deve cambiare il bilancio

Sul suo tavolo, ha fatto capire ieri il governatore Luca Zaia, ci sono da tempo le carte che indicano la nuova soluzione per garantire che i lavori della superstrada Pedemontana Veneta e la sua realizzazione. Per ora, però, devono restare segrete. Perché la quadratura del nastro d'asfalto ancora non c'è. Intanto però il quadro è radicalmente cambiato. Il dialogo con il Governo e con il costruttore c'è. Ma quello su cui occorre lavorare, fa capire Zaia nel dopo-giunta, è il bilancio della Regione.

«ACCORDO ENTRO FINE FEBBRAIO». «Stiamo lavorando ancora - spiega Zaia - sul fronte della Pedemontana, che non è una partita facile: si sta accelerando, cercando di trovare un equilibrio per il closing finanziario». Ed ecco il primo cambio di quadro: non c'è più tensione con Roma. «Devo dire che la partita oggi rischia di essere più facile sul fronte del rapporto con l'impresa e con le istituzioni nazionali. E un po' più difficoltoso, diciamo, per far girare i numeri rispetto al bilancio della Regione. Tempistiche? Si andrà a un "vedo" a fine febbraio, da quello che mi dicono i tecnici. Devo riconoscere che la collaborazione a livello nazionale è comunque eccezionale: sto parlando di Ministeri delle infrastrutture e delle finanze, di palazzo Chigi, e di tutti i tecnici: non ultimi quelli di Cassa depositi e prestiti con cui ci confrontiamo su molti dati che abbiamo, ad esempio quelli sul traffico. Per noi l'infrastruttura è strategica: 95 chilometri, 35 Comuni e 16 caselli, ci costerà più o meno 2,5 miliardi. Se riusciamo ad arrivare al closing finanziario velocemente, si completerà in tre anni, ed è la più grande oggi in cantiere in Italia. Il lavoro è impegnativo», rimarca Zaia. Che conta sulla nuova squadra creata: il segretario generale Ilaria Bramezza, il responsabile di procedimento Giuseppe Fasiol, la dirigente Elisabetta Pellegrini, Marco Corsini (Avvocatura di Stato) come autorità vigilante: la Regione ha chiuso da poco anche un bando per cercare un dirigente di supporto tecnico e amministrativo-contabile per la Pedemontana.

NUOVO PIANO: SERVE UNA "GARANZIA". Un'indicazione emerge dalle poche parole di Zaia. C'è "qualcosa" da inserire nel bilancio della Regione: una cifra che possa fare da garanzia di fondo perché tutto il meccanismo di finanziamento si possa mettere in moto. Una garanzia tale - ma siamo a supposizioni - che renda forse diversa la stessa strada del finanziamento rispetto ai tanto annunciati project bond. Queste le parole di Zaia, da cui si intravede il nuovo quadro: «C'è un contratto che prevede impegni, siamo il concedente e il punto di incontro con il concessionario è sul flusso di traffico. Se il flusso è più basso, il concessionario non riesce a chiudere il suo closing finanziario. La base dell'appalto 2009 è che la Pedemontana vedrà passare tot veicoli (30mila al giorno nel primo periodo di apertura, ndr): il consorzio Sis è disponibile e stiamo ragionando su nuovi flussi di traffico, le cifre della nuova rilevazione le avremo tra 7-10 giorni. I numeri stanno cambiando tutti e dobbiamo chiudere il cerchio rispetto a impegni reciproci. Ci sono più cose da modificare: abbiamo un progetto che stiamo seguendo, che non è più quello originario che conoscete. Affronteremo l'accordo per farlo girare all'interno del bilancio della Regione. Che l'intesa non debba essere massacrante per la Regione, è poco ma sicuro. Al nostro fianco comunque su questi ragionamenti c'è il Governo, perché c'è l'interesse pubblico. Non posso anticipare di più».

«GLI ESPROPRIATI? UNA PRIORITÀ». E gli espropriati che attendono i soldi? «Se arriva l'accordo - risponde Zaia - lo facciamo a partire da loro: oltre 3mila aziende con 340 milioni di euro in espropri. Sono risorse destinate al territorio». Intanto Il sen. Antonio De Poli (Udc-Ap)ribadisce che «l'unico modo per sostenere i livelli di traffico è andare oltre la Pedemontana: è fondamentale inserire nel nuovo progetto le cosiddette opere complementari, senza cui vengono meno le connessioni con le arterie già esistenti». E Alessandra Moretti (Pd) rinnova l'appello a Zaia a non toccare le esenzioni per i residenti dei Comuni attraversati dall'opera «come previsto dall'attuale progetto».

Piero Erle
fonte Il Giornale di Vicenza del giorno 8 febbraio 2017; pagina 11

martedì 7 febbraio 2017

Pfas e chimica, i nodi vengono al pettine


«Finalmente ci siamo: dopo mesi e mesi di lavoro, domani sarà pubblicata la relazione della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti sui Pfas. Sostanze dal nome cacofonico che sono interferenti endocrini, in particolare del metabolismo dei grassi, e possibili cancerogeni. Hanno contaminato l'acqua potabile in un'area di almeno 180 km quadri abitata da oltre 300mila persone. E stanno causando una strage silenziosa, di cui ora ci sono le prove ma che continua imperterrita, nonostante le denunce e i dossier rimpallati tra le procure». È questo uno dei passaggi più importanti che il senatore del M5S ha affidato al blog del movimento. Una riflessione che descrive lo stato d'animo di quanti in questi mesi hanno seguito da vicino una vicenda la quale è tutt'altro che esaurita. Le parole di Cappelletti peraltro giungono in un momento in cui sul tema dei temutissimi derivati del fluoro, i Pfas appunto, hanno alzato i toni gli attivisti di Legambiente che tre giorni fa a Cologna, hanno puntato l'indice contro la Regione Veneto soprattutto in ragione del duro attacco di Piergiorgio Boscagin (in foto) responsabile del circolo locale della associazione ecologista.

LE PREOCCUPAZIONI DEL SENATORE
Cappelletti senza mezzi mette sulla graticola la Miteni, l'industria di Trissino nel Vicentino, che secondo Arpav è responsabile di una contaminazione da fluoruri ultradecennale: la linea di produzione dei Pfas «deve choudere» attacca l'inquilino di palazzo Madama che al contempo aggiunge: «I lavoratori attuali e pregressi della Miteni devono essere sottoposti a screening sanitario indipendente ed eventualmente a trasfusioni di plasma se i dati dei verosimili studi in corso saranno positivi».

IL J'ACCUSE COLORATO
Non meno preoccupata è Legambiente, la quale non più tardi di sabato a Cologna Veneta aveva organizzato un flash mob coordinato dal presidente regionale Luigi Lazzaro, durante il quale erano stati lanciati strali durissimi nei confronti della Regione Veneto: in uno striscione che mescolava goliardia e critica politica il centrodestra del governatore Luca Zaia, dell'assessore all'ambiente Gianpaolo Bottacin, dell'assessore alla sanità Luca Coletto nonché di quello all'agricoltura Giuseppe Pan. Ma a finire nel mirino degli ambientalisti è Domenico Mantoan, potentissimo segretario regionale della sanità, il più alto dirigente in materia. Luigi Lazzaro, presidente regionale di Legambiente Veneto ha attaccato ad alzo zero: «Da quando il fenomeno tre anni fa è stato ufficializzato poco si è fatto: è stato un carnevale lungo 36 mesi. È stato un susseguirsi di dichiarazioni imprecise che ci hanno spinto a suggerire, goliardicamente, l'abito ufficiale del carnevale della terra dei Pfas: il famoso e amatissimo costume da Pinocchio».

L'AFFONDO DI BOSCAGIN
Ancor più duro è stato Piergiorgio Boscagin (in foto), presidente del circolo di Legambiente di Cologna Veneta: «Abbiamo scelto Cologna Veneta come luogo simbolo perché è in queste campagne che il maxi tubo del consorzio di depurazione del comprensorio Agno Chiampo scarica il suo contenuto di Pfas, ma anche di reflui della concia nel sistema del Fratta-Gorzone. I Pfas sia chiaro - aggiunge ancora Boscagin - non solo che la punta dell'iceberg. Ed è ora giunto il momento che si cominci a fare davvero chiarezza anche perché Cologna e il suo hinterland patiscono questa situazione ormai da quarant'anni. Abbiamo diritto ad avere acqua pulita e non filtrata. Sono ormai quasi quattro anni che la Regione non dà risposte adeguate. I lavori per un nuovo approvvigionamento degli acquedotti non sono nemmeno iniziati. C'è poi il problema immane della contaminazione da più sostanze dell'acqua destinata all'agricoltura, problema su cui c'è ancora bui pesto. È giunto il tempo che chi ha inquinato paghi le sofferenze e i danni economici cagionati al nostro comprensorio». Il referente del circolo colognese poi infilza anche la Coldiretti: «Appena lo scandalo è deflagrato abbiamo cercato le associazioni degli agricoltori. Ma invano perché questi signori non hanno fatto nulla. È vergognoso».

L'ANTEFATTO
Ad ogni modo la presa di posizione di Legambiente sulla concia va letta in un contesto più ampio. Da mesi infatti si parla di imprese che nel distretto conciario opererebbero fuori norma per comprimere i costi. La questione è complessa e controversa perché non mancano coloro che negli anni hanno accusato la politica e le autorità di avere distillato norme che, specie in tema di diluizione dei reflui conciari veicolati dal maxi tubo del consorzio Arica, contravvenivano non solo ai princìpi di cautela ma anche ai dettami della disciplina nazionale. La crisi e un mercato sempre più concorrenziale avrebbero quindi spinto alcune società ad allentare ulteriormente la presa tanto che il 21 gennaio il portale de Il Giornale di Vicenza aveva dato la notizia di due super multe per l'ammontare complessivo di un milione e mezzo di euro per la conceria Riviera srl di Zermeghedo e la Cumar srl di Montebello Vicentino. Sanzioni amministrative che sono state elevate dal Consorzio Medio Chiampo il quale avrebbe rilevato che negli scarichi delle ditte «ci sarebbero state delle pesanti difformità tra i valori delle sostanze dichiarati al momento di scaricare e quanto invece riscontrato dai controlli dei reflui una volta entrati nella rete. Le analisi avrebbero dimostrato il superamento dei livelli massimi consentiti anche del triplo per quanto riguarda i composti azotati e l'ammoniaca mentre per i solfuri, che dovrebbero stare al di sotto dei 5 milligrammi per litro, si sarebbe arrivati in certi casi addirittura ai 500 milligrammi su litro e cioè cento volte tanto». Non è dato sapere al momento se il Consorzio abbia irrogato altre sanzioni amministrative, anche perché al momento il portale che per legge deve contenere i provvedimenti non funziona. Ma non è da escludere che altri provvedimenti consimili siano stati adottati dall'ente presieduto dal leghista Giuseppe Castaman.

LA PRESA DI POSIZIONE
«È inutile nascondercelo - aggiunge Antonella Zarantonello, uno dei volti più noti del Coordinamento acqua libera dai Pfas - noi viviamo in un territorio che paga da anni in modo pesante l'industria chimica di tutto l'Ovest Vicentino. Ovviamente noi non molliamo. Siamo sul territorio e terremo le antenne bene alzate. Ma tutti quanti, a partire dalla classe dirigente, hanno il dovere di cominciare a ragionare seriamente sul destino dell'area e sulla sostenibilità del cosiddetto modello di sviluppo. In questo senso anche l'informazione dovrebbe fare meglio la sua parte».