giovedì 21 aprile 2011

Festa della Liberazione? No, per la Liberazione

A 66 anni dalla fine della guerra, l’Italia è ancora militarmente e politicamente occupata. Tutti i Governi che si sono succeduti, di centro, di destra, di centrodestra e centrosinistra hanno pagato miliardi di lire e poi di euro per sostenere il mantenimento delle basi e dei depositi nucleari americani in Italia e per fare tutte le guerre da loro volute. Tali basi furono inizialmente collocate in Italia, Germania e Giappone perché gli USA ci considerarono nazioni sconfitte e conquistate; poi, con la guerra fredda contro l’Unione Sovietica, il loro numero crebbe sempre di più. Tuttora, nonostante l’attuale crisi stia producendo milioni di disoccupati, sottoccupati e precari; nonostante tutti i servizi sociali, pubblici, a cominciare dalla sanità e dalla scuola, siano lasciati senza mezzi, cresce l’accumulo di nuovi debiti per acquistare sempre nuove armi. Solo per dotare l’Italia dei nuovi caccia bombardieri F35 si stanno spendendo 13 miliardi di euro. Come non bastasse l’Italia ha ceduto di fronte alla richiesta di ampliare le sue servitù militari costruendo una nuova base americana a Vicenza.

Dopo la partecipazione italiana alla guerra contro l’Afghanistan e contro l’Irak, ecco l’ultima imposizione subita dal nostro paese: la partecipazione alla guerra contro la Libia. L’Italia continua ad essere la portaerei americana nel Mediterraneo, punto di partenza e di rifornimento di aerei che vanno a bombardare e punire altri stati in violazione delle leggi internazionali. Siamo ridotti a complici della violenza e della sopraffazione. Noi siamo amici del popolo americano, e di tutti i popoli. Ma non vogliamo essere amici dei banchieri americani e mondiali che cercano di governare il mondo con le armi, le guerre e il terrore.

Noi, come recita la nostra Costituzione, e come era nello spirito di quel lontano 25 Aprile, vogliamo essere un popolo sovrano e indipendente, in pace con il resto del mondo. Per tutta questa serie di motivi, il prossimo 25 aprile, alle ore 14.30, contemporaneamente a Cagliari, Napoli e Vicenza, diverse associazioni culturali e politiche, fra cui Movimento Zero e “Uniti e Diversi”, organizzano la “Festa Per la Liberazione” per ricordare che, il giorno in cui si festeggia la Festa della Liberazione, la liberazione deve ancora arrivare. Intellettuali provenienti da differenti aree politiche e culturali saranno riuniti contemporaneamente in tre città diverse per analizzare e dibattere la questione dell’influenza politica, economica, finanziaria e militare degli Stati Uniti d’America nel nostro Paese, e più in generale nel nostro continente.

www.movimentozero.org
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Unicredit mette otto vicentini in cda territoriale

Ieri a Verona si è riunito il rinnovato Consiglio di territorio Veneto Ovest, l'organo consultivo che ha l'obiettivo di rafforzare ulteriormente il rapporto di Unicredit con la comunità locale. Presidente del Consiglio Veneto Ovest è il veronese Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola.

Il Consiglio è composto da membri individuati tra gli esponenti di spicco della realtà economica e sociale delle province di Vicenza, Verona e Rovigo. I membri del Consiglio Veneto Ovest sono 20, otto dei quali appartengono al mondo economico-imprenditoriale dell'area vicentina. Si tratta di Flavio Albanese, presidente Asa Studio Albanese, Giovanni Bonotto, direttore creativo Bonotto di Molvena, Giuseppe De Paoli, delegato per i rapporti associativi territoriali di Confindustria Vicenza, Diego Meggiolaro, presidente Coldiretti Vicenza, Andrea Rigoni, ad della Rigoni di Asiago, Cristiano Seganfreddo, direttore e ideatore Innovetion Valley e Fuoribiennale Vicenza, Gaetano Stella, presidente Confprofessioni, Guido Xoccato, presidente mandamento di Schio di Confcommercio Vicenza.

Per la Banca ne fa parte inoltre, in qualità di vicepresidente, Claudio Aldo Rigo, responsabile di territorio Nord Est di UniCredit. «La prima riunione del rinnovato consiglio è stata proficua e ricca di contributi - ha spiegato il presidenteBoscaini - siamo impegnati in una lettura attenta delle dinamiche di trasformazione del territorio per individuarne le opportunità di crescita e favorire concretamente l'avvio di iniziative che siano finalizzate al suo ulteriore sviluppo. Il Consiglio di territorio contribuirà a rafforzare il già positivo rapporto di Unicredit con le comunità a Vicenza, Verona e Rovigo. Nella riunione odierna ho proposto di dare continuità ad alcuni progetti avviati dal precedente Comitato in particolare sul versante dell'innovazione, del rapporto tra Università e imprese, nonché del fare rete per aumentare l'attrattività territoriale. Concretamente, dovremo favorire le imprese dei nostri territori nell'agganciare la ripresa internazionale, facendo leva soprattutto sull'export».
«Si è trattato di un incontro volto ad individuare le priorità e a impostare progetti da realizzare già nei prossimi mesi - ha dichiarato Rigo - Questo organismo è un importante tavolo che rende più forte il rapporto con la comunità, porta un contributo al dialogo con i diversi soggetti territoriali e permette un confronto su tematiche di interesse generale cui far convergere interventi d'interesse comune».

da Il Giornale di Vicenza del 15 aprile 2011; pagina 11

sabato 16 aprile 2011

La cementificazione di Laghetto

Quando l’amministrazione Huellweck approvò il cosiddetto PP10 molti esponenti dell’attuale maggioranza, in primis Rolando e Dalla Pozza appoggiati dai comitati cittadini coordinati da Giancarlo Albera, sollevarono un putiferio, giustamente denunciarono il sacco urbanistico della città, volantinarono il quartiere, parteciparono ad assemblee pubbliche, appoggiarono contestazioni in consiglio comunale.

Variati ad inizio mandato annullò il provvedimento. Sostenne che la zona, penalizzata dalla Ederle 2 (500.000 mq di terreno cementificato) e in futuro dalla tangenziale, non poteva sopportare altre colate di cemento. In campagna elettorale disse: «Troppe decisioni sono state prese nell’ombra: decisioni gravi, e a volte gravissime, senza che la città sapesse. E non c’è solo il Dal Molin, a mostrarci cosa succede quando una città viene tenuta all’oscuro, quando le decisioni vengono prese passando sopra la testa dei cittadini» e ancora «basta cemento voglio una città più verde».

Ora scopriamo che il prode Achille, spudoratamente in gran segreto in barba alle promesse elettorali, si appresta a firmare un accordo con i privati per la realizzazione a Laghetto della Green Way, di fatto, in nome pomposo nasconde il vecchio PP10. Chissà se l’amministrazione ha scelto questo nome per dimostrare, come ce ne fosse bisogno, la propria sudditanza verso gli statunitensi?

La nuova lottizzazione, ben 225.000 metri quadri di terreno, prevedrebbe, oltre alla realizzazione di 600 appartamenti, un nuovo centro commerciale in sostituzione del piccolo supermercato esistente della famiglia Cestaro. Che strano... Durante la passata amministrazione il signor Marcello Cestaro patron di Unicomm venne in commissione, insieme ad altri proprietari con il tecnico di parte l’ex assessore Sergio Carta, a sostenere l’approvazione del vecchio piano cosa che poi avvenne. A questo punto molte domande vengono spontanee.

È vero che l’amministrazione Variati ha firmato o sta per firmare accordi con i privati? Se si perché di nascosto senza prima consultare i cittadini che tanto si erano mobilitati in passato e che lo hanno votato vista la promessa di bloccare il PP10? Sta subendo pressioni? O peggio il PP10, come il nuovo stadio con annessa mega lottizzazione, rientra nell’accordo, di cui si vocifera da tempo, per ottenere l’appoggio dell’ala sartoriana del Pdl alle prossime elezioni comunali?

Che fine ha fatto la contrarietà al PP10 di Gianni Rolando Rolando e Toni Dalla Pozza e altri esponenti come loro del PD o del centrosinistra? Si è miseramente annullata con la conquista della tanto agognata sedia? Dove sono finiti i contrari al PP10? Strano che Giancarlo Albéra, a quanto ci risulta politicamente molto vicino a Variati, non abbia ancora indetto un’assemblea pubblica? E Bottene e presidianti del No Dal Molin cioè i centri sociali perché tacciono? Temono di perdere la sede del nuovo Ya Basta all’ex bocciodromo comunale?

Il nostro comitato denunciò, già nel febbraio 2010, che dietro le intenzioni di Variati e soci di non ricostruire la pista aeroportuale del Dal Molin si nascondevano appetiti inconfessabili. In un nostra conferenza stampa dicemmo: «Palazzinari e cittadini, alcuni legati anche al presidio e alla Bottene, chiesero, sfruttando il bando interessi diffusi, la modifica dei vicoli aeroportuali e nuove lottizzazioni. Siamo proprio sicuri che il PP10 sia stato accantonato definitivamente? Il nostro timore è che dietro l’ottenimento della concessione in uso dell’area ad est della base al Comune di Vicenza si nasconda l’ennesi presa in giro, infatti, la proprietà dell’area, a quanto ci risulta, rimarrà statale e quindi lo Stato potrà riappropriarsene in qualsiasi momento magari per ampliare la Ederle 2. Alla fine della corsa possiamo scommettere che, fregandosene anche dei sostenitori del Parco della Pace, tutta l’area nord di Vicenza sarà interamente edificata per la gioia dei poteri forti».

Enrico Huellweck del Pdl fu sopranominato il sindaco muratore per le cementificazione avvenuta durante il suo mandato; a quanto pare, visto l’impegno profuso finora, Variati vuole conquistare quello di grande architetto dell’universo.

Franca Equizi
per il Comitato Salviamo l’Aeroporto
tel.: 338-4644442; e-mail: francaequizi@libero.it

venerdì 8 aprile 2011

Un 25 aprile diverso: sì al parco

«A 66 anni dalla fine della guerra, l’Italia è ancora militarmente e politicamente occupata. Tutti i Governi che si sono succeduti, di centro, di destra, di centrodestra e centrosinistra hanno pagato miliardi di lire e poi di euro per sostenere il mantenimento delle basi e dei depositi nucleari americani in Italia e per fare tutte le guerre da loro volute». Questo l'assunto su cui si fonda la manifestazione nazionale che avrà uno dei suoi luoghi di raduno a Vicenza, indetta dal movimento "Per il Bene Comune" (a cui partecipano, fra gli altri, Alternativa di Giulietto Chiesa e Movimento Zero di Massimo Fini legati nell'associazione Uniti&Diversi), nella giornata simbolica del 25 Aprile.

L'appuntamento è all'Alfa Fiera Hotel (Viale dell'Oreficeria 50) dalle 14.30 in poi. Per i vicentini parlerà Cinzia Bottene, consigliere comunale di Vicenza Libera (ma dopo le 18.30 ci sarà la possibilità per tutti di intervenire). Il titolo è indicativo: non sarà la tradizionale, ormai stantìa Festa "della" Liberazione, ma sarà una Festa "per" la Liberazione. Per la liberazione dal dogma dell'alleanza-sudditanza agli Usa. Pariamo subito la prevedibile accusa di anti-americanismo: nessuno ce l'ha col popolo americano. Personalmente, per fare un esempio trovo che pur nel loro modo tipicamente yankee ("fuori dalla mia proprietà") gli anti-statalisti e isolazionisti della bible belt siano di gran lunga preferibili ai colti e supponenti ultra-democratici, di destra e di sinistra, che sia con Bush che con Obama impongono con la forza il vangelo della democrazia universale al mondo intero. Il punto è infatti che l'egemonia mondiale americana non si accontenta più, secondo l'imperialismo classico, di assoggettare terre per colonizzarne le materie prime e per farne mercati per i propri prodotti, ma pretende di "conquistare le menti e i cuori" dei popoli che ahiloro non si sono ancora convertiti al modello di vita occidentale.

Vicenza, con il raddoppio della base militare statunitense, è uno degli epicentri della strategia di dominio globale di Washington. L'anno scorso polemizzai duramente coi No Dal Molin per l'ingiustificato trionfalismo con cui avevano dipinto e dipingono la promessa del sindaco Variati di fare del lato lasciato libero dagli Americani un "Parco della Pace". Fallito l'obbiettivo della protesta - impedire la costruzione della Ederle 2 - mi pareva indecorosamente consolatorio far passare una sconfitta come una vittoria. Oggi, però, c'è chi vorrebbe stendere un'ennesima colata di cemento su quell'area verde strumentalizzando un evento doloroso come l'alluvione vicentino dell'primo novembre scorso, che renderebbe necessaria una mega-sede di protezione civile proprio lì. Tranne Chiara Garbin che è in buona fede, i promotori sono la solita trasversale banda del mattone che imperversa in città: la leghista Dal Lago, Alifuoco (Pd) e il loro giro (a cui si è accodato anche un Germano Raniero ex Presidio: deve avercela proprio a morte, con i suoi ex-compagni). Ecco, piuttosto che darla vinta alle lobby di cui siamo arcistufi, divento all'istante pro-parco.

Alessio Mannino
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giovedì 7 aprile 2011

Voto segreto sul destino del “Cis”

Il caso Cis spacca la maggioranza di Schneck. In quattro ore di accesa discussione sul Ptcp (piano territoriale di coordinamento) sono volate parole pesanti e minacce (o ritenute tali) alla volta del presidente del Consiglio, Valter Gasparotto, da parte del presidente della Provincia, e dal capogruppo della Lega, Massimo Zerbo. Solo alla fine della seduta (la quarta in dieci giorni) andata in scena ieri, il blitz: ok al voto segreto al prossimo consiglio sul Cis. Questo grazie alle minoranze, a tre leghisti (Massimo Sbicego, Renato Roman, e Fernando Zanini), e a 5 del Pdl (Arrigo Abalti, Tonino Assirelli, Ornella Galleazzo, Aida Selvaggi e Valter Gasparotto). L'obiettivo, raggiunto, era quello di stanare i leghisti che, non seguendo le direttive del partito, vogliono bloccare l'affaire Cis. Ora le minoranze si aspettano un'ampia adesione al voto finale e top secret.

EMENDAMENTO. Voto segreto per il voto segreto? O voto palese per il voto segreto? Sembra un gioco di parole, ma alla fine, la discussione in Consiglio verteva su questo concetto e la grande distribuzione nel corridoio Vicenza-Gambellara. L'emendamento della discordia è firmato da Mario Dal Monte (Udc) che, nonostante il «no» della Giunta, ha chiesto che il documento fosse votato in modo segreto «per evitare condizionamenti di bandiera e in assoluta libertà».

REAZIONI. Schneck boccia: «La proposta è irricevibile. I consiglieri devono votare palesemente su questi temi per rendersi riconoscibili nei confronti della Corte dei Conti». Ma se si tratta di questioni eccezionali e personali, sostengono dalla minoranza, si può. Gasparotto incalza: «Demandiamo il Consiglio, tramite voto segreto, a decidere se votare l'emendamento in modo segreto o meno. Il mio compito è di permettere a tutti di votare serenamente. Poi la documentazione verrà inviata in Procura». Interrompe Schneck: «Voi avete paura del voto segreto». Pietro Collareda, Pd, attacca il direttore generale Macchia, reo a suo dire, di essere fin troppo di parte. Ma Macchia richiama statuto e regolamento: «La votazione palese è l'unica che consente di individuare le eventuali responsabilità dei singoli votanti». Collareda non ci sta: «Il voto lo pretendiamo o ce ne andiamo». Applausi. Zerbo propone: «Mi sembra di capire che alcuni consiglieri non si sentano a loro agio nel votare. Chiedo che si facciano avanti e chiedo che il Consiglio venga fatto a porte chiuse». Francesco Gattolin, Ppe, cita sentenze che confermano la possibilità del voto segreto in questi casi. Alla fine Matteo Quero, Pd, va al nocciolo: «Af99, con terreni vicino al Cis, è detenuta da un senatore della Lega. Ritengo che per dare il via libera a un centro commerciale che potrebbe finire sul terreno di un politico sia giusto votare in modo segreto per evitare pressioni».

PRESSIONI. Poi volano le dichiarazioni pesanti, o ritenute tali, al presidente del Consiglio, Valter Gasparotto prima di Zerbo, poi di Schneck. La tensione sale. Sul tavolo, come vorrebbe Schneck, l'ipotesi di votare in modo palese sul voto segreto all'emendamento. E l'ipotesi Abalti che chiede di ottenere ulteriori spiegazioni legali. Si decide per una pausa. Poi si torna in aula e Gasparotto non si smuove: «Il Consiglio voterà in modo segreto sul voto segreto. Solo così posso garantire tutti». Ma i capigruppo di Pdl, Eleutherios Prezalis, e Zerbo, Lega, attaccano: «E noi usciamo dall'aula». Zerbo chiede di uscire a Sbicego, che rifiuta, mentre accompagna fuori Roman e Zanini. Anche l'opposizione esce, perché manca il numero legale. Si attende mezz'ora e molti se ne vanno. È tempo del blitz. In aula c'è il numero legale grazie a 3 componenti della Lega e 5 del Pdl. Voto unanime: «Sì». Alla prossima seduta, sul Cis il voto sarà top secret.

Cristina Giacomuzzo
da Il Giornale di Vicenza del 6 aprile 2011; pagina 19

mercoledì 6 aprile 2011

«Sul Cis voto segreto» e Schneck si arrabbia

Maggioranza spaccata e votazione rimandata sul nodo del Cis e dei terreni della famiglia del senatore Alberto Filippi. E’ il risultato della seduta fiume del consiglio provinciale sul Ptcp, il piano di assetto territoriale provinciale. Sette consiglieri di maggioranza votano con l’opposizione, dopo tre ore e mezza di attacco frontale di una parte di Lega Pdl contro il presidente del consiglio provinciale Valter Gasparotto (Pdl).

«Lei deve operare secondo coscienza, se avesse una coscienza» arriva a dire il capogruppo del Carroccio Massimo Zerbo. Se alla prossima seduta si ripeterà lo schema, il voto a scrutinio segreto boccerà l’uso commerciale dei terreni. Il casus belli è un emendamento al Ptcp presentato da Massimo Dal Monte (Udc), che accoglie un’osservazione della Confcommercio: «Non è previsto l’insediamento di nuove grandi strutture di vendita e di nuovi parchi commerciali nei comuni che si attestano sulla Sr 11 fra Vicenza e Gambellara» .

Due righe che, se approvate, significherebbero un clamoroso strappo interno a Lega e Pdl sul caso degli 80 mila metri quadri di terreni agricoli a Montebello di proprietà dei Filippi. In origine erano destinati al centro intermodale Cis, ma il nuovo Pati dei comuni vicini prevede si possa costruire un insediamento commerciale. «Chiedo che la votazione avvenga in forma segreta -dice Dal Monte -affinché possiate esprimere il vostro voto secondo coscienza e al di là della bandiera» . Scoppia la bagarre: il presidente Schneck bolla come «irricevibile» la richiesta, sottolineando la necessità di conoscere nomi e cognomi dei votanti per stabilire le responsabilità del consiglio in caso intervenisse la Corte dei Conti (la provincia, infatti, attraverso la società Cis coprirebbe parte del suo passivo se l’operazione centro commerciale andasse in porto). «Non giriamoci intorno, quel terreno è di un senatore leghista -attacca Matteo Quero del Pd -Per evitare pressioni di ogni genere si voti segretamente» .

Per Emilio Franzina di Vicenza Libera «sui giornali si è parlato di un affare da 50 milioni di euro per Filippi, mi metto nei panni di chi, nella maggioranza, vorrebbe votare contro ma teme una possibile ritorsione politica» . Un parere del segretario Angelo Macchia, contrario allo scrutinio segreto, provoca la reazione di Franzina: «Sono solo sofismi, avete paura di votare» grida prima di lasciare l’aula. Alla fine il presidente Valter Gasparotto -attaccato da Zerbo (Lega) e Prezalis (Pdl) e difeso da Abalti (Pdl) -indice una doppia votazione segreta: la prima per decidere se votare a scrutinio segreto l’emendamento, la seconda nel merito dell’emendamento stesso. Qui accade il colpo di scena: mentre la maggioranza esce per far mancare il numero legale, rimangono in aula Abalti, Assirelli, Galleazzo e Selvaggi (del Pdl in quota Berlato) e i tre leghisti Roman, Sbicego e Zanini (della corrente Dal Lago).

Salvato il numero legale, il risultato è di 20 voti a favore del voto a scrutinio segreto sull’emendamento Dal Monte. Lo sgambetto è fatto, ma non arriva alle estreme conseguenze: all’appello sul voto nel merito, i sette «ribelli» escono dall’aula facendo mancare il numero legale. Alla prossima seduta, forse martedì prossimo, si voterà sull’emendamento a scrutinio segreto. E si vedrà quanto è profonda la spaccatura nella maggioranza di Attilio Schneck.

Giulio Todescan
da Il Corriere del Veneto del 6 aprile 2011; pagina 10, edizione di Vicenza

martedì 5 aprile 2011

Propaganda d'emergenza

Ipocriti, o cialtroni. Comunque incapaci di dare una risposta seria al problema degli sbarchi. Mettiamo in fila qualche dato, per capirci. Arrivi massicci, Lampedusa in testa, avvengono da anni: per non andare tanto indietro, furono 37 mila nel 2008; poi l'accordo con Gheddafi li fece diminuire drasticamente. Ora che quell'intesa è stata stracciata, nei primi due mesi sono giunte 6.200 persone. Se anche si mantenesse questa media per tutto l'anno (ipotesi non verosimile), si arriverebbe poco sopra l'identica cifra di tre anni fa: numero alto in assoluto, ma irrisorio rispetto agli irregolari presenti nel nostro Paese, stimati in 200 mila nuove unità ogni dodici mesi. Niente comunque, di fronte all'esperienza di una Germania che nella prima metà degli anni Novanta, durante la guerra in Bosnia, pur impegnata nell'integrazione dei lander dell'ex Ddr, accolse 500 mila rifugiati.

La situazione estrema creatasi a Lampedusa è tutt'altro che una sorpresa: il ministro dell'Interno in persona l'aveva preannunciata da un paio di mesi, nulla è stato fatto per attrezzarsi. Le promesse del Cavalier GPM (Ghe Pensi Mi) sono ancora tutte da verificare: serviranno al massimo a svuotare l'isola fino alla prossima emergenza. Perché dietro le dichiarazioni roboanti una cosa è chiarissima: le tendopoli saranno una soluzione di facciata, lasciandole prive di ogni controllo in modo che i loro ospiti possano squagliarsela alla chetichella. Anzi, a frotte, come accaduto a Manduria. Insomma, la classica soluzione all'italiana: facciamo la faccia feroce, ma strizzando l'occhio con il tacito invito a fare i furbi. E che dire dei solenni proclami? Ma quali rimpatri di massa, se i questori spiegano che nelle condizioni attuali si riuscirebbe a eseguirne bene che vada cinque al giorno? Intanto, a proposito di rimpatri, mentre accusiamo l'Europa accumuliamo l'ennesima inadempienza: non abbiamo ancora ratificato la direttiva UE in materia.

Non sappiamo, o fingiamo di non sapere, che le migliaia di immigrati in arrivo non vengono solo dalla Tunisia o dalla Libia, tanto meno per fare i furbi: è una legione di disperati provenienti dai Paesi dell'Africa sub sahariana, devastati da guerre e repressioni scatenate da regimi dittatoriali e corrotti, finanziati per il proprio tornaconto dal civilissimo Occidente. Mandiamo aiuti concreti perché restino a casa loro, è il ritornello reiterato giorni fa dal ministro Tremonti; ma poteva risparmiarsela, visto che negli anni della sua gestione i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo sono scesi da 600 a 170 milioni di euro: meno di un settimo dell'obiettivo dello 0,7% del Pil solennemente sottoscritto dall'Italia negli ultimi G8, L'Aquila compresa. Tutte queste cose la Lega le sa bene, visto che sta al governo: il che le impone di gestire il problema per quello che è, non per i dividendi elettorali che le può portare. Senza giocare sui termini, profughi o clandestini: chiamandoli, e considerandoli, semplicemente persone.

Francesco Jori
da Il Giornale di Vicenza del giorno 4 aprile 2011; pagina prima