venerdì 29 maggio 2015

Lain: sulla BpVi chiediamo chiarezza

«Da molto tempo i nostri attivisti ricevono segnalazioni sulla Banca. E il Movimento cinque stelle collabora con le associazioni di difesa consumatori. In particolare Adusbef  già dal 2008 aveva messo in dubbio la congruità e il realismo del valore attribuito al titolo BpVi sulla base di un'espertise stilata in uno studio professionale berico». A parlare in questi termini è Giordano Lain, volto noto del M5S della città del Palladio, che recentemente in relazione al caso Popolare Vicenza ha pure presentato un esposto alla procura del capoluogo. «La nostra parlamentare Fabiana Dadone - prosegue Lain - ha recentemente presentato un'interrogazione che riguarda vicende collegate». L'attivista del M5S che è anche candidato alle regionali venete spiega che sono stati chiesti chiarimenti anche sul comportamento di Bankitalia. «Si leggeva sui media locali - precisa quest'ultimo - anche degli aumenti di capitale. Immaginavo che non fossero credibili, si sentiva puzza di bruciato lontano un miglio. E poi mi sono scandalizzato per i fatti capitati durante l'ultima assemblea dei soci».

Dunque Lain voi avete segnalato alla magistratura una serie di presunte anomalie. Ritenete che la questione banche, specie in merito alla vicenda Veneto Banca e BpVi sia stata sufficientemente trattata durante la campagna elettorale? 
«Assolutamente no. Anzi, c'è stato un silenzio assordante. E trovo scandaloso che la politica non abbia detto nulla. Segnale evidente di conflitti di interesse. Poteri forti nazionali e locali sono coinvolti.  Teniamo conto di una cosa importante: le deduzioni che abbiamo avanzato alla procura sono condotte leggendo i bilanci pubblici degli ultimi anni, soprattutto dal 2008 al 2013. Questo significa che tutti gli esperti del settore, le altre banche concorrenti e soprattutto Banca d'Italia e Consob conoscevano perfettamente la situazione. Tutti tacevano e la cosa è gravissima, è come sapere che un pozzo d'acqua è avvelenato e non dire niente alle persone che si fermano a bere. Si è complici dei danni a queste persone». 

Pensate di fermarvi o la vostra iniziativa vuole diventare un punto di riferimento per chi abbia delle lamentele verso gli istituti di credito?
«Continueremo senz'altro, a fianco dei cittadini risparmiatori e assieme alle associazioni. Iniziamo una nuova "attività" aprendo una pagina per dare istruzioni a chi vuole tutelarsi, per raccogliere informazioni e segnalazioni, e per mettere in evidenza i recapiti delle associazioni che si occupano di difendere i consumatori/utenti dei servizi bancari. Non ci sostituiamo in nessun modo alle associazioni, anzi agevoliamo il contatto tra il pubblico e le associazioni, monitorando e intervenendo politicamente quando serve. Stare dalla parte dei cittadini è la nostra missione». 

Che tipo di aiuto chiederete, se lo chiederete, ai vostri parlamentari?
«Al Parlamento, per mezzo dei nostri cittadini eletti, chiederemo di fissare misure legislative per la tutela dei risparmiatori, di varare la proposta di revisione della classe action e di garantire trasparenza delle gestioni. Chiediamo inoltre di supportarci quando è necessario e di aiutarci per consulenze tecniche, visto che per la loro prerogativa di sindacato ispettivo possono fare molto in questo senso».  

Che cosa c'è che non va nella finanza veneta?
Non occorre essere "esperti di finanza" per ritenere che il problema non sia solo veneto ma italiano e della finanza in genere. Che sottrae un sacco di risorse all'economia reale ed è da tempo fuori controllo. Andrebbero immediatamente separate nuovamente le banche d'affari da quelle di risparmio e commerciali.  Credo che lucrare senza produrre beni e servizi sia un male in senso assoluto. Persone che lavorano nel settore e che mi hanno avvicinato in questi giorni, mi spiegavano che l'80% dei soldi investiti in Veneto e a Vicenza vanno, in modo diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole, nell'industria delle armi. Questo accade perché i titoli di questo settore  offrono rendimenti leggermente più alti della media. In questa situazione come possono cessare le guerre e le ruberie su grande scala in giro per il mondo?».

mercoledì 15 aprile 2015

Spv, piovono sberle dalla Corte dei conti e dall'Anac


La Corte dei conti bacchetta il Ministero dei trasporti e la Regione Veneto perché avrebbero omesso di fornire alcuni importanti chiarimenti sulla Pedemontana veneta. Chiarimenti che erano giá stati chiesti in passato e che i due enti si sarebbero rifiutati di fornire alla magistratura erariale romana che da settimane ha aperto una istruttoria in tal senso.

L'AFFONDO. Più nel dettaglio la lettera porta la firma del dottor Antonio Mezzera, una delle toghe che si occupa del controllo sui ministeri delle attività produttive, ed è stata spedita durante la mattinata di ieri. In buona sostanza il magistrato chiede a palazzo Balbi lumi sulla sostenibilità finanziaria del progetto mentre al dicastero dei trasporti è stato interrogato circa la sua attività di monitoraggio sullo stato di avanzamento dei lavori.

LA STOCCATA. E così la partita sulla Spv quindi si fa ancora più complicata. Non solo per i nuovi addebiti della magistratura romana: non solo per quelli, pesanti, già espressi in passato. Ma anche perchè, come riferisce Renzo Mazzaro su La Nuova Venezia di oggi a pagina 13, anche l'Autoritá nazionale anti-corruzione, l'Anac, ha avviato una istruttoria sulla Pedemontana veneta. Nella quale si prefigura, se i dubbi si materializzeranno in condotte scorrette, addirittura la eventualità di pesanti irregolarità amministrative. Il motivo? Potrebbero essere stati violati, questi i dubbi dell'autoritá capitanata da Cantone, i dettami della convenzione che regola i rapporti tra enti pubblici e il privato incaricato di realizzare l'opera, il consorzio Sis-Spv. Ovvero il privato sarebbe stato sgravato dei rischi d'impresa anche in ragione dell'aumento del contributo pubblico passato da un centinaio di milioni di euro ad oltre seicento. Questi mutamenti dei rapporti tra committenti pubblici e privati incaricati dei lavori avrebbero de facto trasformato il contratto da convenzione ad appalto. Il che comporterebbe la perdita di tutti quei privilegi in materia di deregulation e altre semplificazioni garantiti dalla prima fattispecie. Si tratta di una condizione che se si verificasse potrebbe comportare anche l'abolizione di tutto o di una parte dell'iter in forza del quale si sono avviati i lavori. L'Anac in questo senso fa proprie le lamentele dei comitati che da anni si battono contro l'attuale tracciato. Doglianze delle quali Regione e governo erano stati informati a più riprese e che settimane fa erano state rilanciate, sottoforma di esposto proprio all'Anac, dal senatore vicentino Enrico Cappelletti del M55 (in foto).

LA POSSIBILE BATOSTA. E c'è di più. Da giorni nella capitale si parla di un Maurizio Cantone pronto a commissariare il commissario governativo alla Spv. Opzione che se si materializzasse sarebbe clamorosa. Sul piano politico tra l'altro starebbero sgretolandosi alcuni pilastri portanti che da anni sorreggono il sancta sanctorum del potere al ministero delle infrastrutture: ovvero l'unitá di missione retta di diritto e di fatto da quell'Ercole Incalza finito nel ciclone del caso Lupi. Ed è proprio all'unità di missione che il magistrato Mezzera ha rivolto il monito più pressante a disvelare alcuni dettagli, segno che il filone investigativo seguito dalla magistratura erariale potrebbe portare molto molto lontano.

STOP MOMENTANEO. Frattanto si registra anche uno stop al via libera per la variazione progettuale che interessa il tratto di Pedemontana tra Trissino e Montecchio Maggiore. Inizialmente previsto in galleria è stato riformulato come passaggio in superficie per evitare che la costruzione del tunnel contribuisse a spargere in falda una sacca di inquinanti a basendi fluoro frutto della lavorazione e del cumulo degli scarti della Miteni di Trissino. A bloccare l'iter autorizzativo e a chiedere un mese per studiare le carte sarebbero stati i componenti di nomina del ministero dei beni culturali in seno alla commissione speciale insediata presso la struttura commissariale governativa. Commissione che dovrebbe appunto autorizzare la modifica progettuale senza che le carte passino per i ministeri, come previsto dalla legge ordinaria. Deroga concessa al commissario dalla legge vigente. A patto che l'opera rispetti i crismi amministrativi ed economici dettati dalla normativa in tema di emergenze.

Marco Milioni

domenica 11 gennaio 2015

Blitza al «tubone» di Cologna Veneta

Gli scarichi del «tubone di Cologna Veneta», il collettore che raccoglie i reflui conciari della Valchiampo, saranno oggetto di una accurata analisi presso un laboratorio indipendente. E se i valori saranno anomali sarà chiesta la chiusura dell'impianto. Lo annunciano Michele Favaron, uno dei referenti veneti del «Gruppo d'intervento giuridico», una onlus nazionale attiva sui temi dell'ambiente e il senatore vicentino Enrico Cappelletti.

I due stamani hanno effettuato un sopralluogo a Cologna Veneta nel Veronese, dove il collettore, da anni al centro di durissime polemiche per il suo contenuto nocivo, finisce nel fiume Fratta. Da anni infatti la regione autorizza uno sversamento in deroga ai limiti di legge. Una circostanza che da anni fa temere un impatto ambientale notevole, specie sull'agricoltura.

Se al tutto si aggiunge il progetto di prolungamento del tubo sino alla frazione di Sabbion, sempre a Cologna nel Veronese, e se si aggiunge l'inquinamento della bassa Veronese, Padovana e dell'Ovest Vicentino causato dai pfas, si ottiene un quadro che lo stesso Cappelletti definisce inquietante. «Chiediamo che gli enti preposti, a partire dalla regione, comincino a fare chiarezza mettendo in campo indagini mediche ed ambientali serie. Al contempo - precisa Cappelletti - è bene che l'Ulss 5 ovest Vicentino istituisca il registro tumori e si adoperi con uno studio ad hoc, verificabile da tutti, circa la incidenza delle fattispecie cancerogene nella regione di sua pertinenza». Dal canto suo Favaron precisa che i liquidi raccolti questa mattina «saranno analizzati da un laboratorio indipendente. Poi in base alle risultanze informeremo la Forestale, i carabinieri del Noe ed eventualmente chiederemo all'amministrazione di Cologna, se del caso, di chiudere l'impianto per esigenze cautelative. Lo prevede la legge».

giovedì 4 dicembre 2014

Bratti: il mio ruolo in commissione? Trasparenza totale

Il 2 dicembre taepile.net ha pubblicato un approfondimento in cui si descrivono alcuni retroscena rispetto alla attività della commissione ecomafie. In quell'approfondimento si parla, tra le altre, di eventuali conflitti di interesse in capo al presidente Bratti nonché di possibili rimostranze da parte del M5S in tal senso. Bratti interpellato per iscritto ha risposto sollecitamente e ha spiegato così il suo punto di vista: «Sono stato direttore generale in Arpa Emilia dal 2006 al 2008 ma i fatti citati credo siano 2009. Di più, mia moglie è entrata in Acosea nel lontano '92 mentre io ero ricercatore all'università. Di seguito Acosea è stata assorbita nel gruppo Hera. Mia moglie in vita sua non si è mai occupata di rifiuti, non è un dirigente, si occupa di contratti gas e altro in Hera Comm. Non appena ho visto la puntata di Report mi sono premurato di chiedere una sessione di lavori dedicata ad Hera ed ho subito chiesto al vicepresidente, l'onorevole Roberto Vignaroli di presiederla proprio per fugare ogni dubbio anche in tema di semplice opportunità. Tutto è alla luce del sole. Tutto è trasparente». A differenza di Bratti il M5S, interpellato proprio nella persona del vicepresidente Vignaroli, per il momento è rimasto in silenzio.

martedì 2 dicembre 2014

Bratti, Hera e il conflitto di interessi

A metà novembre una inchiesta giornalistica di Report su Hera, una delle più grandi multiutility italiane, ha illuminato zone d'ombra e insinuato molti dubbi sulla gestione della stessa compagnia, anche in relazione ai numerosi collegamenti con il gotha della politica nazionale, specie di centrosinistra, ma non solo.

La trasmissione condotta da Milena Gabanelli ha puntato così i suoi riflettori sull'affaire Hera Comm Mediterranea, un filone dal quali sono emerse liason dangereuse con la galassia riferibile all'ex parlamentare del Pdl Nicola Cosentino, al centro di una serie di inchieste della magistratura per presunti rapporti con la camorra. Inchieste corredate con tanto di arresti eccellenti.

In secondo luogo, Report ha analizzato la vicenda dell'avvelenamento dei suoli su cui ha sede la Hera a Bologna a Via Berti Pichat. Alcuni passi della trasmissione sono stati impressionanti. I dipendenti per anni hanno lavorato in una sede per la quale esistevano prescrizioni in cui si fissava in due ore giornaliere massime la permanenza consentita, proprio in ragione del rischio patito dalel maestranze, a fronte di una permanenza reale in loco da parte dei dipendenti di otto ore e più. 

Sulla bomba chimica in via Berti Pichat a Bologna permangono ombre sui piani di risanamento comunali e sul loro avvio concreto; anche l'Arpa emiliana sembra avere avuto un ruolo pilatesco, così come l'ispettorato del lavoro e la Asl competente.

In questo contesto dopodomani la commissione parlamentare bicamerale sul ciclo dei rifiuti, comunemente conosciuta come commissione ecomafie, avrà all'ordine del giorno due dossier importanti. La situazione delle discariche nel Veneto ed il caso Hera. Proprio Hera tra l'altro sta lentamente penetrando in terra Veneta, anche se fra mille polemiche, come è avvenuto a Padova.

Per di più va ricordato che nel ruolo di direttore generale tra il 2006 ed il 2008 Arpa Emilia annoverava Alessandro Bratti, il quale oggi figura a capo della commissione ecomafie in quota Pd. Un dettaglio che non sarebbe andato giù molto volentieri all'ala civatiana dei democratici, anche perché Bratti è sposato con una top manager del gruppo Hera, la dottoressa Rita Rubinucci, della cui liason sentimentale col marito parla diffusamente La Nuova Ferrara. O che la si veda come semplice inopportunità, o che la si veda come potenziale conflitto di interessi, giacché Bratti è pure membro della commissione ambiente, la circostanza starebbe mandando in fibrillazione una parte dei democratici che siedono in commissione ecomafie, a partire da Laura Puppato; alcuni di questi deputati infatti temono il possibile imbarazzo generato da una situazione del genere in cui di riffa o di raffa Bratti finirebbe o potrebbe finire per indagare anche sul suo operato nonché su quello della consorte.

Tutta da decifrare rimane poi, in questa cornice, la posizione del M5S. Tra Emilia, Veneto e Roma gli spifferi e le voci si inseguono da giorni. Alcuni attivisti ferraresi chiederebbero a gran voce di sollevare il caso Bratti, investendo della cosa il vicepresidente grillino della commissione ecomafie, il romano stefano Vignaroli. A quest'ultimo però sarebbero arrivati anche suggerimenti di natura diversa: ovvero "barattare" la battaglia sulla inopportunità della presenza di Bratti nelle due commissioni, con la assunzione, seppur saltuaria, della presidenza pro tempore della Ecomafie proprio da parte di Vignaroli. Il motivo? Evitare di mettere in imbarazzo i componenti di quest'ultima commissione col rischio di paralizzarne i lavori.

lunedì 24 novembre 2014

La Brebemi si squaglia. E la Spv? Si vedrà

«Poco traffico, Brebemi pensa di restituire la concessione pubblica nelle mani dello Stato». È questo uno dei passaggi salienti di un breve servizio pubblicato il 25 ottobre su Libero a pagina 21. Lo stesso approfondisce così la materia del rapporto tra investimento pubblico e privato: «Inaugurata il 23 luglio scorso, la prima autostrada italiana costruita (sulla carta) con capitale “privato” si è rivelata un flop e chi l'ha costruita ora corre ai ripari. Sono ore frenetiche e Brebemi, come spiega a Libero una fonte vicina al dossier, sta valutando diverse possibilità. Il ventaglio è ampio e una delle carte prevede, come accennato, l'uscita dal casello. Un'uscita dagli effetti complessi. Il progetto è stato finanziato dalle banche e anche con denaro pubblico, visto che 830 milioni di euro sono stati messi sul piatto dalla Cassa depositi e prestiti, il fondo sovrano italiano controllato dal Tesoro. Quando la Cdp si è seduta al tavolo, ha portato in dote pure una garanzia pubblica, dunque più ampia del suo investimento. Senza dimenticare che attraverso la sua controllata Sace, la stessa Cassa copre con un'assicurazione i 700 milioni di finanziamento Bei (Banca europea degli investimenti)».

Il pezzo termina con una chiusa che lascia sul tappetto molti interrogativi: «Paga pantalone, insomma. Quanto? I conti non sono facili. Sta di fatto che, nell'ipotesi di addio di Brebemi, le banche finanziatrici si rifarebbero sulla galassia pubblica per circa 2 miliardi. La questione, raccontano i ben informati, non è sfuggita al premier Matteo Renzi. Il quale avrebbe mostrato un certo disappunto: non tanto per i quattrini in ballo, quanto per ragioni di «immagine» verso l'estero. Renzi, infatti, teme che il flop dell'operazione Brebemi e Cdp possa rappresentare un deterrente per gli investimenti stranieri sui quali il governo punta per rilanciare l'economia».

Ora la domande nasce spontanea. Si tratta dello stesso futuro che attende la Pedemontana Veneta? In merito il commissario alla Spv Silvano Vernizzi ha sempre fornito ampie rassicurazioni, ma sul versante opposto non possono essere sottaciute le critiche alla partita finanziaria in capo alla Spresiano Montecchio Maggiore espresse a più riprese dai comitati che si battono contro l'autostrada.

mercoledì 19 novembre 2014

Una giornata pesante

I media di oggi, sia veneti sia nazionali, pubblicano alcuni articoli niente male che occorrerà ricordare con cura. Il primo è una analisi di Giannantonio Stella sul fallimento del premier democratico Matteo Renzi. Oggetto del contendere? Lo strapotere dei superburocrati. Ne parla il Corsera in prima pagina. Il secondo (Corriere del Veneto, edizione di Vicenza in pagina 2) riguarda il risiko autostradale che è in pieno svolgimento nel Veneto e che ha al centro la Brescia Padova. Il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, sbraita contro l'ipotesi che la società autostradale finisca in mano agli spagnoli. Nel suo esternare si dichiara in piena sintonia con Confindustria, la quale sulle grandi opere è in piena sintonia col Pd (così sostiene il suo segretario regionale Roger De Menech). Tosi per caso ha paura che qualche appalto finisca in mani diverse dalle solite? E la politica che dice? Lega, Fi, Pd, Ncd, M5S capiscono la posta in gioco? Alessandra Moretti, candidata in pectore alla primarie del Pd come prossimo governatore, ne sa qualcosa o lei preferisce parlare del fatto che va dall'estetista? Il terzo articolo riguarda il caso licenziamenti in una fabbrica di Sarego, nel Vicentino. La fabbrica del gruppo Salvagnini ha i bilanci in ordine, ma vuole lo stesso procedere coi licenziamenti. I sindacati protestano e annunciano uno sciopero (Corriere del Veneto, edizione di Vicenza, pagina 13). Roberto Castiglion, sindaco di Sarego in quota M5S, perché non si pronuncia pubblicamente a favore dei lavoratori azzannando alla gola la dirigenza della società e auspicando iniziative del M5S a livello parlamentare? Sempre oggi Il Fatto rende nota una vicenda massonica potenzialmente esplosiva. Quella del libro pubblicato da Chiarelettere (domani in libreria) in cui si punta l'indice su una serie di potentissime logge internazionali di cui farebbero parte politici, uomini d'affari e industriali. Nel pezzo de Il Fatto (pagina 2) si leggono nomi del calibro di Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi (aspirante fratello), Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan, Massimo D’Alema, Gianfelice Rocca, Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi, Marta Dassù, Corrado Passera, Ignazio Visco, Enrico Tommaso Cucchiani, Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe, Vittorio Grilli, Giampaolo Di Paola, Federica Guidi, Silvio Berlusconi. Mi aspetterei un bombardamento da parte di un certo mondo antagonista. E invece nulla. In ultimo va segnalato un post pubblicato ieri l'altro su Beppegrillo.it. Il leader del M5S fa bene a sollevare una questione, già nota per altro, sulle relazioni pericolose tra giornalisti europei, gotha politico tedesco e servizi americani. Ma perché non chiede ai suoi di andare a fare casino davanti l'Ordine dei giornalisti, per esempio? O perché non investe della cosa il Copasir visto che di interessenze tra servizi e stampa noi italiani (ve lo ricordate il caso Betulla) non ce la caviamo male? In ultimo mi viene una considerazione più generale? Quanti cosiddetti teorici del complotto hanno accusato Il Fatto di trascurare il tema dei grandi legami internazionali occulti. Adesso che il cuore del problema viene centrato come mai nessuno aveva fatto che diranno? Che è comunque una operazione orchestrata da qualcuno che sta ancora più in alto e magari per fini cattivi e inconoscibili?

Marco Milioni