martedì 4 gennaio 2011

Onore all'ingrasso

Provo grande tristezza e molta rabbia per la fine violenta di Matteo Miotto. Un ragazzo di 25 anni è morto, ucciso in una guerra non sua. Una guerra che vede noi occidentali esportare la nostra democrazia (ovvero a proteggere i nostri interessi geostrategici e soprattutto quegli degli Usa) a suon di bombe teleguidate e attacchi mordi e fuggi. In un Paese governato da un presidente Karzai corrotto, ammanicato con il mondo della droga e spalleggiato dagli americani. Un presidente che senza i pretoriani di Nato & friends sarebbe tirato giù dalle spese in pochi minuti da una popolazione che lo detesta. Chissà se l'indignazione vera, ostentata o professata dalle nostre parti, a Zané come a Thiene, come a Vicenza è pari solo ad un granello di quella provata dai familiari di quella ragazzina cui è stata staccata la testa da una pattuglia italiana durante un tragico, diciamo così, incidente, nel settembre del 2009.

Lo scrittore Massimo Fini allora bollò come «cinismo ributtante» la spiegazione di Marco Bertolini all'epoca dei fatti capo di stato maggiore della missione Isaf. Queste le parole che da un soldato vero non dovrebbero mai uscire: «Gli afghani sono abituati a questi incidenti, purtroppo. Qui le armi fanno parte del paesaggio. Un incidente provocato dalle armi è come da noi un incidente stradale». Si capisce che non ci crede nemmeno lui, lui che per primo sa bene che le guerre di oggi non hanno nulla di quella tremenda e per certi versi sublime connotazione che potevano avere prima della rivoluzione industriale, priva cioè che il fatto bellico divenisse per sempre una spa della morte con profitti dividendi. E con fallimenti caricati sulle spalle dei civili. Ancora Fini in un suo memorabile articolo del maggio 2009 scriveva: «L’altro ieri i bombardieri dei nostri alleati americani hanno raso al suolo due villaggi facendo 150 morti, in maggioranza vecchi, donne e bambini. La vicenda afgana è puntellata, quasi quotidianamente, da stragi del genere, solo che in questo caso la Croce rossa internazionale ha potuto documentarla e denunciarla. La giustificazione degli americani è sempre la stessa: in quei villaggi si erano rifugiati dei guerriglieri talebani facendosi scudo della popolazione. Due osservazioni. I guerriglieri (manipoli di tre, quattro persone al massimo) non potrebbero rifugiarsi nei villaggi se non avessero l’appoggio della gente che vi abita, altrimenti sarebbe questa, per prima, a farli fuori sapendo i rischi che corre. Seconda. Se si vogliono prendere dei guerriglieri rifugiatisi in un villaggio si mandano fuori delle truppe di terra a rastrellarlo. Ma gli americani (come gli italiani nel caso della Toyota) non vogliono correre nessun rischio. Ma il combattente che non combatte perde ogni legittimità. In guerra l’eccezionale legittimità ad uccidere deriva dalla possibilità di essere, altrettanto legittimamente, uccisi. In Afghanistan questa reciprocità non c’è. Gli eserciti della Nato stanno asseragliati nelle loro basi e bombardano, possibilmente con aerei fantasma, i Dardo e i Predator, senza pilota, telecomandati da Nellis nel Nevada. Si esce così dall’ambito della guerra e si entra in quello dell’assassinio, non solo quando si uccidono civili ma anche guerriglieri».

Ad ogni buon conto in questi giorni si ammassano nella mia casella di posta elettronica le polluzioni patriottarde dei nostri politicanti. Ecco due esempi di miseria e ipocrisia nelle quali gli italioti, arrivati alla 150esima portata, riuscono a primeggiare egregiamente: «... Un giovane che aveva veri valori di riferimento: prima di tutto la patria, il senso del dovere, e il senso dell'onore per la nostra bandiera. Matteo era impegnato per portare solidarietà al popolo afghano e soprattutto per porre le basi affinché quella nazione possa vivere pienamente in democrazia. Non ha arretrato di fronte alla possibilità di morire e per questo ci onora, onora la nostra Nazione, e noi lo consideriamo un nostro eroe». Nicola Ceretta, consigliere provinciale del Pdl e leader di "gippe.it". «Esprimo il profondo cordoglio del capoluogo per questo figlio di Vicenza caduto sul fronte. Un’altra vita, troppo giovane, si è spezzata sul fronte della guerra al di là delle valutazioni più alte e urgenti, che non spettano a un sindaco ma alla politica nazionale, voglio solo consegnare ai familiari di Matteo Miotto, e a tutto il corpo degli alpini che tanto è caro a questa terra, l’abbraccio e il pensiero di tutti i vicentini in questo momento doloroso». Achille Variati del Pd, sindaco di Vicenza. Pur da schieramenti diversi i due dicono la stessa cosa. Ma quando la pallottola partita della squadra italiana ha staccato la testa ad una bimba afghana loro non hanno scritto una riga. Allertare il loro ufficio stampa non aveva senso, anzi costava troppo. A tutti i Variati e a tutti i Ceretta di turno, siano essi amici di Gasparri, Veltroni o Di Pietro ricordo se ce ve ne fosse bisogno che noi italiani abbiamo ben poco da alzare la cresta visto che due sono state le ultime guerre e in tutti i due casi abbiamo cominciato da una parte e finito dall'altra. Che sia Franza che sia Spagna... basta che se magna.

Marco Milioni
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