venerdì 28 febbraio 2014

I Gambino, la 'ndrangheta e la caserma Ederle di Vicenza

L'uomo di 'ndrangheta Francesco «Ursino chiede a Jimmy», un agente sotto copertura dell'Fbi di poter acquistare 500-1000 armi semiautomatiche, «frutto di un'asserita dismissione effettuata dalle autorità americane in particolare da parte dell'esercito americano di stanza nella base di Vicenza». E già che c'era «gli ricordava la sua disponibilità a riciclare 11 milioni in attività negli Stati Uniti. Ora, passi pure per i milioni a volontà da poter riciclare negli Usa, le domande vere sono: ma come fa un Ursino a sapere che la base di Vicenza vuole dismettere 1.000 armi semiautomatiche? E come fa a comprarle? Ricorrendo a chi? E per farne cosa poi? Venderle? A Chi? E per quali scopi? Immagino non di pattugliamento delle strade newyorchesi».

È questo uno dei passaggi salienti del lungo articolo pubblicato da Roberto Galullo, giornalista de Il Sole24 ore proprio sul portale del maggiore quotidiano economico del Paese. Si tratta in realtà di un approfondimento in tre puntate dedicato alla maxi operazione congiunta Usa Italia che ha portato ad identificare un sodalizio criminale che a detta degli investigatori vedeva come punti di massimo riferimento la famiglia italoamericana Gambino e la potente famiglia calabrese degli Ursino.

Ora se nella prima e nella seconda puntata dell'approfondimento Galullo accende i riflettori sulle connessioni tra il vecchio e il nuovo continente, nell'ultima puntata si preconizza addirittura un interessamento dei malavitosi italiani nei confronti di una partita di armi che l'esercito americano di stanza a Vicenza avrebbe o avrebbe voluto dismettere. Si tratta di una notizia che se confermata sarebbe gravissima e che meriterebbe non solo un approfondimento in sede giudiziaria ma in primis in sede governativa. Va da sé che a Vicenza la notizia non ha lasciato traccia. Per di più dalle autorità locali, prefettura e comando Ederle in primis, il silenzio è totale. Ma soprattutto merita o no un approfondimento da parte delle autorità americane come di quelle italiane che l'esercito Usa possa essersi in qualche modo fatto, a Vicenza, interlocutore delle 'ndrine?

Marco Milioni
www.lasberla.net
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giovedì 16 gennaio 2014

Fiera, Bulgarini e Marzotto: due pesi e tre misure

La casta è sempre la casta. Sia che si presenti con i barriti volgari della nomenclatura meridionale, sia che che tessa trame più silenziose negli ovattati corridoi settentrionali. Capita che a Vicenza il numeo uno di Assindustria Beppe Zigliotto condanni senza se e senza ma, sul piano etico si intende, il collega imprenditore bassanese finito nell’affaire aquilano. Suona strano però che lo stesso Zigliotto non abbia detto un’acca sull’appoggio che tutti i soci di Fiera di vicenza spa, compresa la sua Assindustria, hanno dato a Matteo Marzotto, divenuto presidente della Fiera berica. Dettaglio, Marzotto è alla sbarra per reati in materia fiscale. Al di là della gravità delle accuse, la questione porta con sé un risvolto grottesco. Vi immaginate buyer e operatori da tutto il mondo che arrivano in via dell’Oreficeria da tutto il mondo e sono accolti da un presidente imputato? Immaginate il ghigno sotto i baffi, i sorrisetti alle spalle e le frecciatine silenziose sulla solita Italia declinata al peggio, anche a Vicenza?

Va da sé che il liquame quando comincia a salire oltre il ginocchio non lo pui nascondere sotto il tappeto, come fa il vicesindaco vicentino Jacopo Bulgarini che senza alcun tema dichiara a Nv: «Avendo avuto modo di conoscerlo mi sono convinto che sia un galantuomo. Prima della nomina ci ha parlato della sua situazione, e abbiamo ritenuto che su di essa facciano aggio la sua storia e la sua riconoscibilità. Poi bisognerà vedere anche come finirà il processo…». Tradotto in alvarovitalese: siccome è un Marzotto e siccome fa parte dei nostri, l’uomo è intoccabile. Sempre l’immancabile Pierino però nei film era solito ricordare: invertendo le chiappe il prodotto non cambia. L’approccio con le questioni etiche che sia Pd o Pdl o Fi non cambia. Il berlusconismo ha colonizzato anche il campo avverso.

Per chi crede ovviamente che il campo avverso fosse diverso. Ma evidentemente non lo era. Rimane tra l’altro una domanda. Che diamine fanno le opposizioni inclusi i campioni della trasparenza del M5S? Col popo’ di parlamentari cui tutti i gruppi in consiglio comunale possono fare riferimento per l’affaire Marzotto sarebbe una pacchia. Interviste, interrogazioni, manifestazioni, attacchi politici e personali. La casta fieristica potrebbe essere garrotata senza se e senza ma in una tonnara infinita. Invece tutti zitti e allineati. Money talks, il denaro canta, recita un vecchio adagio anglosassone. Per inciso, mutatis mutandis, il sindaco di Roma Ignazio Marino, ha rispedito a casa con un sonoro calcio nel culo il neopresidente dell’Ama sotto indagine penale per una vicenda legata a reati ambientali. Marino e il sindaco vicentino Achille Variati sono entrambi del Pd. Ma militano nello stesso partito?

Marco Milioni
by www.lasberla.net

giovedì 9 gennaio 2014

Pededomanda da un milione di dollari

Sarà quel che sarà, ma i cantieri bassanesi della Pedemontana Veneta non erano stati temporaneamente bloccati sino al giorno 15 gennaio 2014? Giorno in cui peraltro il Tar stesso deciderà se il blocco provvisorio, cui i magistrati sarebbero giunti per alcuni presunti ed evidenti illeciti amministrativi, sarà cancellato o meno in attesa del giudizio di merito. Ciò che conta però è che oggi pomeriggio presso i cantieri a ridosso del Parco delle Rogge e del ponte sul Brenta (vedi foto) si lavorava e come: uomini e mezzi, di tutto e di più. Ma allora come stanno le cose? Siamo di fronte ad un abuso o chi era all'opera lo faceva in ossequio a qualche precisa disposizione? Bella domanda, domanda da un milione di dollari... In realtà questa è cronaca minuta. Ben altri nembi si addensano all'orizzonte. E sono quelli che riguardano i rapporti economici fra pubblico e privato nell'ambito della realizzazione e della gestione della Spv.

La querelle è arcinota da tempo. I comitati che si battono contro la Pedemontana veneta, o che ne auspicano un progetto radicalmente diverso, da anni chiedono di vedere la convenzione nonché il piano economico e finanziario che regolano appunto il rapporto tra il concedente e il concessionario: nell'ordine, la struttura commissariale governativa alla Pedemontana veneta, capitanata dall'ingegnere Silvano Vernizzi e il raggruppamento Sis-Spv, il pool di imprese che prima ha proposto e poi ha ottenuto l'incarico per la realizzazione e la gestione ultratrentennale della superstrada che connetterà Spresiano nel Trevigiano a Montecchio Maggiore nel Vicentino.

I detrattori del progetto sostengono che convenzione e piano finanziario siano  sbilanciati a favore del privato. Quei documenti però non sono mai stati resi di dominio pubblico, poiché, sostiene Vernizzi, la loro natura è di tipo privatistico. Una impostazione rigettata dai comitati e da diversi esponenti del mondo politico, ma il permanere della segretezza ha, durante le ultime settimane, ulteriormente esacerbato gli animi.

Le cose peraltro si sono complicate alla fine dello scorso anno (questa è la voce che circola a palazzo Balbi) quando il presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia, si è visto recapitare sul tavolo il testo della delibera da approvare in giunta; delibera che contiene un aggiornamento di convenzione e piano finanziario. Tale aggiornamento sarebbe ancora più sbilanciato verso il privato perché il combinato disposto di quanto sancito nella convenzione del 2009 e nella revisione del 2013 darebbe al gruppo Sis uno strumento contrattuale per fare il bello e il cattivo tempo. I documenti sono top secret, ma a palazzo Balbi e soprattutto negli uffici dell'organo tecnico regionale di valutazione, il Nuvv, hanno preso a «svolazzare» alcuni passaggi salienti che avrebbero messo sul chi vive proprio Zaia.

Tant'è che nella convenzione del 2009 starebbe scritto infatti che «...il concessionario potrà chiedere la revisione del piano economico e finanziario in dipendenza di modifiche delle condizioni di mercato, avuto riguardo ai volumi di traffico...». E la miscela deflagrerebbe definitivamente all'abbraccio di quest'ultimo passaggio al dettato di un'altra disposizione contenuta nella recente revisione. La quale sancisce che nel caso in cui «le parti non concordino in ordine al riequilibrio del piano economico-finanziario... il concessionario potrà esercitare il diritto di recesso... In tal caso saranno dovuti dal concedente» gli indennizzi fissati proprio nelle pieghe della convenzione che potrebbero rivelarsi pesantissimi. In soldoni si tratterebbe di una sorta di condizione capestro che Zaia avrebbe fatto fatica ad ingoiare, anche se poi la delibera, grazie ad un'opera di incessante "moral suasion" da parte di alcuni funzionari apicali della regione, nonché da parte di alcuni politici di altissimo rango, si sarebbe poi materializzata con un voto favorevole della giunta il 10 dicembre 2013: la delibera porterebbe il progressivo numero 2260. In questo scenario d'altronde va anche considerata una questione specifica. Ovvero quella di un eventuale ristoro garantito dalla Regione a Sis ove gli incassi da pedaggi, in una con i correlati flussi di traffico, non si materializzassero. A tal fine va acceso un faro sulla stima dei flussi stessi. Con le cifre circolate ad oggi, che gli oppositori della Spv da tempo definiscono oltremodo ottimistiche, (40mila veicoli al giorno) nell'arco quarantennale della convenzione-concessione, tali flussi di traffico dovrebbero fruttare pedaggi (il calcolo però è una mera estrapolazione empirica) per un 15-18 miliardi. Sono cifre enormi che nemmeno la cugina A4 sembra poter mettere in campo.

Queste preoccupazioni, così dicono gli spifferi di corridoio, si sono moltiplicate a palazzo Balbi. Per di più Zaia (e alcuni fedelissimi a conoscenza del dettaglio del testo, ignorato da molti assessori) sarebbe comunque preoccupato per possibili rovesci ai quali verrebbe esposto il bilancio regionale proprio nel caso in cui il mercato, sia in termini di bancabilità dell'opera, sia in termini di traffico veicolare che si rivelasse esiguo a finaziare la superstrada a mezzo pedaggio, rendesse più problematico l'investimento propugnato da Sis. Il motivo? L'enorme margine discrezionale che regione, commissario, e soprattutto Nuvv, avrebbero lasciato in mano ai privati grazie ai contratti che incamiciano convenzione e piano economico-finanziario.

Marco Milioni

venerdì 29 novembre 2013

Falchi e Colomban

(m.m.) Che le circostanze da chiarire fossero più d'una era evidente. Quando diverse settimane fa ho cercato di capire di più rispetto ai rapporti tra il M5S veneto, le sue battaglie in favore dell'ambiente e le contemporanee liason con il mondo Confapri Colomban (per diversi aspetti latore di idee antitetiche a quelle del movimento), avevo messo in conto l'attenzione dei media e pure le polemiche, alcune pure di basso livello. Ma il gioco è questo ed è bene che sia così. Frattanto il carnet di chi, tra gli operatori della stampa nazionale ha acceso i riflettori si amplia a fronte di un silenzio pressoché totale dei media locali. Un sintomo di interessi forti sullo sfondo della critica ai grandi progetti infrastrutturali? Oggi ne parla pure l'Espresso, in edicola in queste ore. Qui di seguito ho inserito un piccolo elenco per chi voglia farsi un'idea al riguardo. Tra l'altro ragionare sul tema delle grandi opere nel Veneto è una speculazione attualissima, anche in ragioni delle dichiarazioni, clamorose per un certo verso, rilasciate oggi dall'europarlamentare Sergio Berlato (Fi) al Corriere Veneto.

01- BLOG DI MARCO MILIONI
02- BLOG DI MARCO MILIONI
03- HUFFINGTON POST ITALIA
04- L'ESPRESSO
05- IL CORRIERE DEL VENETO

martedì 12 novembre 2013

Colomban, Confapri e Casaleggio: tre "C" che nel M5S pesano molto

Bassanopiu.com ieri ha pubblicato un intervento del «Gruppo di lavoro sulle grandi opere» del M5S del Veneto. Si tratta di un segnale d'allarme rispetto alle indagini dell'Antimafia di Venezia sugli appalti per la realizzazione della Valdastico sud. Inchiesta che per gli attivisti non ha trovato la dovuta eco presso la stampa regionale.

Nello stesso solco, ovvero quello delle grandi opere venete, almeno da un punto di vista generale, si inserisce anche l'approfondimento de Il Fatto Quotidiano pubblicato due giorni orsono in seconda pagina: un impietoso servizio sull'ennesimo coniglio che l'attuale governo ha tirato fuori dal grande cilindro delle commesse pubbliche. Si parla della Venezia Orte, altrimenti con una infinità di sinonimi quali Romea Commerciale Romea Commerciale bis, Venezia Orte, Venezia Roma, Romea moderna e chi più ne ha più ne metta.

Senza perdersi in smancerie, come è suo stile del resto, Il Fatto prende subito il toro per le corna e spiega che l'opera, oltre a a finire in bocca ad un vecchio arnese di Tangentopoli come Vito Bonsignore, santificato il nome di Cl e del ministro Maurizio Lupi che ne è il grande guardiano a palazzo Chigi, godrà di una serie di sgravi fiscali su Irap ed Ires pari ad un paio di miliardi. Un aiuto di Stato de facto che dovrà passare il vaglio della Corte dei Conti. Ma che è uno sputo nell'occhio alla tanto acclamata opera dei privati che dovrebbero realizzare l'infrastruttura senza pesare sui conti pubblici col solito sistema del project financing o finanza di progetto. Una prospettiva rosea che Daniele Martini, autore del servizio fa a pezzi in un minuto.

Ora tra i mille mal di pancia e reazioni sul filo del bisbiglio che quel servizio ha scatenato ce n'è un rivolo che che è finito sino al M5S del Veneto. I «grillini» sul territorio del Nordest sono storicamente contrari alle grandi opere e ai project financing definiti generatori di debito occulto. E la Mestre-Orte non fa eccezione. Ma uno sguardo più attento alle cose del M5S veneto però porta anche verso altri ed inattesi «lidi concettuali».

Venerdì a all'hotel Bhr di Treviso da una joint venture d'intelletti tra David Borrelli, un attivista storico nella Marca, e Massimo Colomban (punta di diamante del network di imprese Confapri) è venuta fuori una riuscitissima serata, si parla di oltre trecento spettatori, in cui lo stesso Colomban ha illustrato la sua ricetta agli attivisti del M5S per uscire dalla crisi. Di contro non sono mancate le voci, specie in rete dei critici, i quali non smettono di chiedere chiarimenti sulla figura di Colomban e del suo pensatoio griffato Confapri. Infatti al di là di quanto è emerso durante la serata trevigiana relativamente alla exit strategy, il punto è un altro. Che cosa pensa Colomban delle grandi opere avversate a morte dal M5S?

La domanda non è peregrina perché Colomban (in una col suo seguito), candidatosi nel 2010 alle elezioni regionali faceva parte di uno schieramento di centrodestra in buona compagnia con Lega e Pdl. Se si legge il suo programma appare chiaramente un endorsement totale alle opere in finanza di progetto pensate sotto l'era del governatore azzurro Giancarlo Galan e proseguite, più o meno in cantiere, più o meno in spiritu, sotto l'egida del presidente regionale leghista Luca Zaia, col quale Colomban nel 2010 corse con la sua piccola Alleanza di Centro fianco a fianco con i nemici giurati del M5S alias «Pd, Pdmenoelle e Lega», leggi la casta.

E sbirciando ancor più nel programma di Colomban si legge il suo appoggio alla Mestre-Orte, polverizzata proprio ieri l'altro da Il Fatto. Di più, si legge dell'appoggio alla Pedemontana Veneta, un'altra opera contestata all'arma bianca dal M5S in nome del cui scempio su ambiente e paesaggio Beppe Grillo in suo show innalzò a difensore della patria l'ex sindaco di Villaverla Egidio Bicego, fatto cadere dalla alleanza Lega Pdl che lo sosteneva proprio per il suo no alla Spv o Pedemontana veneta che dir si voglia. E ancora nel suo programma del 2010 sempre Colomban, tra le anime di un un pensatoio, o think tank collegato a Confapri, si dichiara favorevole pure alla Tav, alla Valdastico Nord (contestata a da Trento e dai comitati vicentini), alla Valdastico Sud (sulla quale indaga l'antimafia di Venezia) e al completamento del Mose a Venezia, finito nel vortice degli scandali lagunari assieme al caso Baita. In realtà per le infrastrutture, che occupano una parte importantissima del programma di Colomban, il dominus di Confapri sposa e rilancia l'eredità politca di Gianclarlo Galan e del suo mentor maximus Silvio Berlusconi. Eredità oggi in parte offuscata da scandali di varia natura. Sicche la domanda nasce spontanea. Nell'ottica grillina a Treviso Colomban ha fatto ammenda? Ha percaso descritto il sistema Galan e il project financing come generatore di debito occulto nelle casse regionali venete? Per caso nel M5S c'è qualcuno a lui vicino che pensa che le grandi opere, pur discutibili, debbano in qualche modo essere lasciate in pace per non indispettire una parte della base elettorale del M5S che nel Veneto pesca in quella piccola imprenditorìa favorevole a tali progetti e magari baciata da qualche commessa? La questione non è peregrina, perché il no ai grandi progetti pensati sotto l'era Galan e proseguiti sotto quella Zaia, il M5S trova una delle sue ragioni fondative.

Ma il ragionamento può anche essere allargato. Quali sono i rapporti tra Confapri e M5S? Quali sono i rapporti tra il numero due del movimento, Gianroberto Casaleggio e lo stesso Colomban? Come mai quest'ultimo, mai smentito, riferendo il pensiero dello stesso Casaleggio sostiene che il M5S sia a favore della Tav, mentre Beppe Grillo si reca spesso in val di Susa a sostenere le battaglie dei No Tav? Per farsi un'idea della portata della partita basta leggere le dichiarazioni che il leader di Confapri rilascia al Corriere del Veneto il 13 aprile 2013 a pagina 3: «Di questo argomento ho voluto parlare direttamente con Gianroberto Casaleggio, perché avevo il sentore che la posizione No Tav venisse travisata, traducendo la contrarietà agli sprechi con una bocciatura senza appelli dell'alta velocità. Alla fine ci siamo chiariti. Noi vogliamo le infrastrutture e anche loro».

E c'è di più perché si puntano bene i fanali sul think tank di Confapri (sul mio blog avevo già affrontato la questione) si trovano due personaggi legati a doppio filo con l'establishment regionale. Si tratta degli avvocati Bruno Barel e Massimo Malvestio, titolari dell'omonimo studio legale trevigiano ed entrambi consulenti della giunta regionale veneta. I due sono un prodotto del brodo culturale doroteo che negli anni '80 domina la Dc della Marca dove spadroneggia l'allora ras Carlo Bernini che patirà l'onta di Tangentopoli ammettendo le sue colpe e patteggiando la pena, per poi finire in disgrazia con l'affaire MyAir.

Barel e Malvestio sono due avvocati ben addentro alla intellighenzia veneta. Sono entrambi consiglieri giuridici del presidente Luca Zaia. Barel ha una delega speciale per studiare la riforma delle leggi in materia urbanistica con un obiettivo dichiarato molto ambizioso: fermare la cementificazione del territorio. Salvo poi accettare un incarico da un pool di imprenditori scagliatisi contro regione e comune di Asiago perché non hanno potuto costruire ciò che ritenevano di poter fare. «Consulente di Zaia ma fa causa a Zaia... Niente villette ad Asiago, l'avvocato Barel chiede 19 milioni di danni e diffida la Regione. Che l'ha scelto per la lotta alla cementificazione». Questo il titolo di un servizio che Renzo Mazzaro, giornalista e scrittore anti-casta tra i più conosciuti del Veneto, pubblica il 9 febbraio 2013 sul portale de Il Mattino di Padova. L'approfondimento, con la velocità d'una saetta, fa il giro dei palazzi veneziani anche alla luce di un altro aspetto.

L'avvocato e professore anti-cemento, almeno a parole, è anche in ballo con lo stesso Malvestio (pure lui a parole contro il cemento) in una colossale speculazione immobiliare ad Eraclea nel Veneziano. Si tratta del progetto di una mega marina osteggiato col coltello tra i denti da Legambiente, dagli attivisti locali del M5S e da un nutrito gruppo di comitati più piccoli. Per di più a parlare della presenza dei due legali nella operazione Laguna dei Dogi Valle Ossi voluta dalla società Numeria nella laguna veneziana sono proprio gli attivisti veneti del M5S. O meglio ciò è quanto si legge in un lungo post pubblicato sulla pagina «Gruppo Grandi Opere» dei Cinque stelle del Veneto in un post firmato «francesco P.» inserito il 26 ottobre 2013 e visibile solo agli iscritti. Il titolo parla da solo: «L'imprenditore secondo il M5S e i temi (Confapri) di cui non parlare al regionale». L'incipit è al fulmicotone: «La pubblicità della prossima iniziativa programmata a Treviso dal Movimento con Crimi, d'Incà, Borrelli e Colomban, presidente di Confapri (Grillo interverrà via web) mi fa riparlare di questa liason fra Movimento e questa nuova associazione di imprenditori che ha pure un “pensatoio” per il paese: si chiama Think Tank Group e ne fanno parte, come fondatori, Crimi, Borrelli, Grillo e Casaleggio. Ma vi è davvero corrispondenza di pensiero e di azione concludente, fra M5S e Confapri o qualcuno si è solo innamorato della pacchiana cornice di Castelbrando?». E ancora: «Facciamo un esempio… A fine settembre Massimo De Pieri ha chiesto se nel gruppo Grandi Opere... non vi fosse qualcuno in grado di aiutare il Meetup Basso Piave a presentare delle osservazioni sul progetto di porto turistico denominato “Valle Ossi”. Un'area di bonifica alla foce del Piave, lato Eraclea che una società di nome Numeria si appresta a realizzare secondo previsione del piano di assetto del territorio. Visti i tempi ristretti concessi risposi a De Pieri che, essendo Numeria, società di proprietà degli avvocati Barel e Malvestio, soci fondatori del Think Tank Group di Confapri, nonché legali di riferimento della Regione Veneto, forse non c'era poi molto da osservare e che forse la questione poteva semmai essere rimessa a quei 12 parlamentari che andarono in festosa gita a Castelbrando nell'agosto scorso. Una risposta forse un poco troppo cattiva ma che qui propongo a tutti perché è fondamentale sapere con chi si accompagna il Movimento». Sarà il caso, sarà una coincidenza, ma a fronte di un Gruppo Grandi Opere che assieme alla base del M5S cerca di mettere il naso sull'affare Laguna dei Dogi, salta fuori la necessità, da vari attivisti polemicamente avversata, di azzerare lo stesso gruppo «Grandi Opere». I cui membri, durante una tesa assemblea del M5S veneto tenuta il 27 ottobre a Martellago nel Veneziano presso il ristorante "Il mattone", hanno difeso a spada tratta il loro lavoro evitando così la cancellazione de facto di un gruppo considerato tra i più scomodi per un pezzo dell'establishment veneto. Le cose stanno così? Stanno diversamente? Al momento gli attivisti non parlano troppo apertamente della cosa. Ma i malumori di una certa «normalizzazione strisciante» che starebbe prendendo corpo in precisi ambienti del movimento hanno preso la forma di un corso d'acqua carsico che riaffiora ogni volta in cui gli attivisti si trovano ad affrontare le questioni più spinose, dalla gestione della sanità alle grandi infrastrutture.

C'è poi un altro aspetto rimasto un po' sullo sfondo. Dopo l'esplosione del datagate made in Usa, pur con le dovute eccezioni il M5S non si è espresso in maniera significativa contro l'intelligence d'oltreoceano. Cosa che non ha fatto nemmeno il governo. Cosa che invece hanno fatto due giornalisti molto considerati dal movimento, vale a dire Giulietto Chiesa e Massimo Fini. La domanda ora nasce spontanea, perché i parlamentari del M5S hanno deciso di non azzannare alla giugulare gli Usa chiedendo all'Italia di uscire dalla Nato? Sarà pure un'altra coincidenza, ma se si osserva con attenzione il programma di Colomban per le regionali del 2010 l'alleanza con gli Usa è messa in bell'evidenza. Di più, l'imprenditore nel maggio 2009 è pure stato nominato «Comandante onorario USAF Aviano». Come avrà commentato Colomban le uscite di Beppe Grillo contro le servitù militari americane specie quelle di Vicenza e quelle di Niscemi in Sicilia? E Casaleggio, in un M5S che lotta contro gli F35, per caso sa di questa apertura di credito dell'establishment militare a stelle e strisce verso Colomban? Questi dubbi David Borelli li ha fatti suoi chiedendone conto a Colomban e Casaleggio?

Marco Milioni

sabato 19 ottobre 2013

Grandi opere, tensioni interne al M5S del Veneto

Il possibile azzeramento del «gruppo grandi opere» in seno ai Cinque stelle del Veneto sta mandando in fibrillazione il movimento che il 27 di questo mese ha in calendario una importante riunione su base regionale in cui si dovrebbe discutere di questioni organizzative. Almeno queste sono le indiscrezioni che filtrano da una parte degli attivisti che nel Trevigiano, nel Bassanese e nel Veneziano non hanno preso bene la cosa; tanto che sono cominciati a volare gli stracci. Anzi la cosa viene considerata una manovra intesa in qualche modo a mettere la sordina ad uno dei pochi ambiti in cui il M5S è riuscito ad essere spina nel fianco nei confronti dell'establishment politico ed imprenditoriale, accusato di usare le grandi infrastrutture come occasione di cattiva gestione del territorio condita da appetiti affaristici.

Più nel dettaglio a scatenare l'ira di parecchi attivisti è stata una e-mail datata 18 ottobre 2013 indirizzata ai supporter veneti nella quale si parla di «sciogliemnto del gruppo grandi opere». Tale scelta si renderebbe necessaria, si legge nel documento per «per dare al gruppo una connotazione più attinente alle esigenze operative presenti e future, anche in ottica "regionale" e non più focalizzata puntualmente su singole tematiche, ma analizzando il quadro nel dettaglio della sua complessità e delle sue interrelazioni». Ora nel documento si parla di ripensamento e riorganizzazione del gruppo e non di cancellazione tout court. I dissenzienti però, paventano la volontà più o meno sottaciuta di inertizzare in qualche modo gli strali che dal gruppo grandi opere in passato erano partiti all'indirizzo di commesse molto chiacchierate come la Valsugana bis, la Pedemontana, i progetti di finanza nella sanità. Il che ha mandato in escandescenza gli attivisti più impegnati sul campo, i quali addirittura temono una manovra concepita dagli aficionados di David Borelli (vicinissimo a Gianroberto Casaleggio, de facto il numero due del M5S dopo Beppe Grillo) tesa a mettere le mani sul gruppo di lavoro che in questi mesi ha portato gli attacchi più duri al cosiddetto sistema veneto nel quale figurano Pdl, Pd e Lega: alla grossa una manovra tesa a centralizzare la gestione del dissenso accolta malissimo da chi invece da anni si batte sul territorio.

Al contempo alcune prossimità di Casaleggio con l'entourage del governatore leghista Luca Zaia non sono passate inosservate alla base dei Cinque Stelle. Come non mancano le critiche allo stesso Borelli che «dopo l'esperienza fallimentare come consigliere a Treviso» visto il pessimo risultato alle comunali di primavera, terminata l'esperienza in comune sarebbe stato chiamato come uomo di fiducia di Casaleggio per le questioni del Veneto. Un imprimatur che non sarebbe stato ben digerito dalla base. Per di più le stesse tensioni, anche se di intensità minore, si starebbero creando per le nomine di alcuni soggetti incaricati dai parlamentari a seguire tematiche specifiche. Non sono pochi gli attivisti che contestano scelte considerate in qualche modo calate dall'alto e non discusse nei gruppi territoriali. Soprattutto ci si chiede se ci siano emolumenti di sorta e se questi siano stati discussi in rete. E non mancano nemmeno i dissapori per il mancato avvio della piattaforma elettronica che avrebbe dovuto mettere in contatto attivisti ed eletti in seno al M5s sia a livello nazionale che veneto. Alcune indiscrezioni parlano di un gruppo di informatici veneziani che avrebbero già pronta una piattaforma realizzata autonomamente. Una opzione mal vista dagli aficionados di Casaleggio.

Marco Milioni
fonte: www.lasberla.net
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giovedì 22 agosto 2013

Equizi: contro Casale gesto di stampo mafioso

«Che il Vicentino, da anni, fosse terra di affari loschi lo si sapeva. Che certe condotte tipiche dell'Italia meridionale siano da tempo divenute stabilmente adottate nel Settentrione dove il crimine organizzato ricicla, troppo spesso in santa pace, ingenti capitali illeciti è altrettanto risaputo». Usa queste parole Franca Equizi del comitato Sos Legalità che oggi ha diramato una dura nota in riferimento ai recenti fatti di Castelgomberto. «Il vile gesto di stampo mafioso di cui è stato suo malgrado protagonista Antonino Casale e di cui dà notizia Vicenzapiu.com, è la ennesima conferma di timori già espressi in passato e che vengono ipocritamente lasciati al margine dalla politica dei maggiori partiti. Nell'esprimere all'amico Antonino, veneto e siciliano al contempo, la nostra solidarietà, ribadiamo la necessità che le istituzioni non volgano lo sguardo altrove. Una condotta che se si materializzasse sarebbe ancor più colpevole di quei farabutti che hanno appiccato le fiamme alle piante della famiglia Casale.