lunedì 28 giugno 2010

Concia, i tentacoli della cricca veneta

Che cosa è successo durante gli ultimi giorni a Vicenza e provincia? Come vanno valutati gli ultimi sviluppi delle inchieste Dirty Leather e Reset? Come vanno valutate le ultime rivelazioni uscite sulla stampa locale? Si può parlare di un livello politico lambito dall'inchiesta della procura berica? I primi riscontri pubblicati dai media ovviamente dovranno affrontare un percorso giudiziario lungo. Ma una cosa è la verità secondo i dettami del codice penale, altra è invece la verità storica descritta anche dai comportamenti sociali.

IL RITORNELLO. Da settimane in un pezzo dell'opinione pubblica (anche per le continue prese di posizione di politici come Giorgio Gentilin sindaco di Arzignano in quota Pdl) si è diffusa la sensazione, ed è un vero ritornello, che gli imprenditori fossero finiti in una sorta di vortice perverso. Il quale li obbligava in qualche maniera a pagare mazzette, pena una serie di controlli approfonditi che avrebbero messo nei guai la ditta finita nel mirino degli agenti tributari. «Mi sentii ricattato» fa sapere infatti urbi et orbi il numero uno della concia arzignanese Bruno Mastrotto.

PARADIGMA MASTROTTO. La sua visione di fondo però è contestata in primis dagli inquirenti; è chiaro infatti che se uno teme come la morte di essere controllato dal fisco è assai probabile che non abbia le carte in regola. Almeno il buon senso dice questo. Ma quali sono i rapporti numerici in ballo? Un esempio eclatante è appunto quello di Bruno Mastrotto. Al posto di chiudere con lo stato una partita fiscale da sette milioni se la sarebbe cavata con una «supertangente di 200 mila euro... Una pacca sulla spalla che sarebbe stata accompagnata dal pagamento all’Erario di 700 mila euro a titolo di accertamento con adesione». Così spiega le cose Il Corveneto del 18 giugno. Una ricostruzione che compare similmente su una mezza dozzina di testate, nazionali e non, tra i silenzi dei big della politica berica (sinistra radicale esclusa) e quelli dei vertici dell'Assindustria locale.

IL J'ACCUSE DELLA PROCURA. Ivano Nelson Salvarani, suo l'ufficio di procuratore della repubblica di Vicenza, non è però rimasto in silenzio; anzi mette i puntini sulle “i” e rammenta a tutti che la gran parte dei bènefìci di una pratica scorretta erano e sono appannaggio degli imprenditori che non pagano le tasse. «Dovevano denunciare» gli agenti del fisco infedeli, ripete il procuratore. L'evasione infatti è il presupposto non solo di arricchimenti illeciti, ma pure di una concorrenza sleale nei confronti di quegli operatori che rispettano le regole.

Se si considera che i numeri della evasione stimata sono da urlo e che ad Arzignano di riffa o di raffa una impresa conciaria su due non è ossequiosa delle norme, si capisce che il tanto decantato comparto della concia deve parte del suo successo non solo ad una gestione allegra dei rapporti col fisco, ma anche a controlli che da lustri e lustri sortiscono effetti quasi nulli. Lo scenario è quello di un sistema corrotto da almeno venti o trent'anni. A parlare così, almeno per quanto riguarda la diffusione degli illeciti fiscali, non sono pochi visionari di turno, ma i vertici della GdF vicentina; i quali nell'ambito delle indagini si sono limitati a focalizzare l'attenzione verso i comportamenti che ancora possono essere perseguiti sul piano penale o fiscale, mentre hanno per forza lasciato per strada ogni addebito già divorato dalla prescrizione.

E LA POLITICA? «I fatti di questi giorni dimostrano che i legislatori, come gli amministratori locali, in tutti questi anni non hanno voluto o saputo mettere mano ad un malaffare del quale tutti, chi più chi meno, parlavano. Ricordo bene che da semplice militante la questione "concerie" divenne subito un tabù anche dalle parti del Carroccio. Forse perché è dalle parti dei padroni del vapore che sta il potere reale? I fatti di queste settimane mi fanno rispondere affermativamente a questa domanda...».

A porre la questione in questi termini è l'ex consigliere comunale vicentino (ed ex leghista) Franca Equizi in una lettera aperta resa nota il 22 giugno. Una lettera durissima, al momento senza repliche, nella quale la Equizi racconta la sua esperienza di militante del Carroccio della prima ora.

LA UIL NEL MIRINO. Equizi però non si ferma e se la prende con la Uil. Fa adombrare in qualche maniera il dubbio che Antonio Bertacco, responsabile veneto del settore concia e chimica, abbia tirato in ballo la questione occupazionale, per lanciare un messaggio cifrato agli investigatori. Come a dire che se si dovesse indagare troppo a fondo si rischia di mettere in crisi anche il livello occupazionale. L'ennesima dimostrazione, se verificata, che gran parte del comparto non potrebbe esistere se non fosse stata perseguita la logica degli illeciti di massa.

Non a caso la Equizi prende di mira la frase di Bertacco riportata dal Corriere Veneto il 19 giugno: «Quando su un distretto di 450 aziende medio-piccole e 120 industrie si hanno 77 società coinvolte nell’evasione, vuol dire che è un fenomeno macroeconomico. Potrebbero esserci risvolti occupazionali dopo l’estate». Si tratta per giunta di un passaggio che avrebbe fatto storcere la bocca a diversi investigatori, i quali, per le pochissime notizie che filtrano da palazzo Negri, si stanno muovendo su un terreno difficile, anche per la scarsa o nulla collaborazione di chi è a conoscenza di circostanze utili all'indagine.

FONTANELLA IN SILENZIO. Per di più in questi mesi di indagine che hanno straziato l'imprenditorìa della Valchiampo c'è un politico di primissimo piano che è rimasto in silenzio. Si tratta di Giuliana Fontanella (Pdl). Quest'ultima per anni è stata la referente di spicco del suo partito proprio per la Valchiampo. Per anni è stata la potentissima presidente della commissione attività produttive in seno al consiglio regionale veneto. La Fontanella è stata anche uno dei protagonisti delle ultime elezioni regionali dove non ha ottenuto la riconferma. Ma chi da lei si aspettava parole di chiarezza rispetto alle vicende della concia è rimasto deluso.

STEFANI E BONADEO. Rimane tutta da chiarire frattanto la questione delle presunte liason parlamentari tra Vittorio Bonadeo (un passato nella GdF e nelle Ftv, tra i fiscalisti più conoscuiti in città, attualmente ai domiciliari per l'inchiesta Reset-Dirty Leather) e il deputato leghista Stefano Stefani. In una intercettazione pubblicata da Il Corriere del Veneto il 7 giugno 2010, Bonadeo fa capire al suo interlocutore, si tratta di Mario Pietrangelo (indagato come Bonadeo), che lo stesso Bonadeo si sarebbe dato da fare affinché un gruppo di deputati, tutti leghisti o quasi, redigesse una interpellanza parlamentare con lo scopo, più o meno dichiarato, di mettersi di traverso rispetto al lavoro della procura di Vicenza in relazione alla vicenda del fallimento della MyAir e in relazione al fallimento della Conceria Dal Maso.

INCARICHI CHIAVE. Ma la domanda da un milione di dollari è un'altra. L'interpellanza è un fatto a sé stante oppure è la spia del fatto che gli incarichi chiave presso l'agenzia delle entrate di Vicenza come quella di Arzignano erano assegnati con l'obiettivo di accomodare i controlli? E si può ipotizzare lo stesso dei posti chiave presso la direzione regionale della agenzia delle entrate a Venezia? Quest'ultima infatti non ha solo in capo le pratiche per le aziende con grandi fatturati, ma ha una certa voce in capitolo proprio nella definizione degli organici e dei ruoli il grosso dei quali spetta alla sede centrale a Roma; ma soprattutto Venezia riveste preminenti funzioni in materia di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo delle succursali provinciali e locali.

LA CRICCA VENETA. I giornali che hanno raccontato l'ipotesi investigativa della magistratura, hanno soprannominato questo gruppo di funzionari presunti infedeli in forza alla agenzia delle entrate “la cricca veneta”. Ne farebbero parte Angelo Fiaccabrino, il dirigente Roberto Soraci, Antonio Letizia, Claudio De Monte e Filiberto Segantini. In quest'ottica Il Corriere del Veneto del 17 giugno riporta stralci dell'interrogatorio di Vittorio Malucci.

Malucci, responsabile della agenzia delle entrate di Arzignano dal 2000 al 2005 fornisce la sua verità in modo preciso: «Non so se Fiaccabrino e altri della direzione regionale prendessero soldi ma posso presupporre di sì. In ordine a Fiaccabrino ero certissimo che prendesse soldi... Tra Fiaccabrino e Segantini c'era un'amicizia storica... reputo che Fiaccabrino prendesse soldi perché quello era l'andazzo alla Direzione Regionale di Venezia in quegli anni... Dal 2000 i responsabili degli accertamenti alla direzione regionale erano Sanfilippo, Del Greco, e Lanzafame... Il trait d'union tra Arzignano e Venezia era Fiaccabrino che aveva la forza di parlare con l’Agenzia delle Entrate...».

IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE. Così la testimonianza resa da Malucci tra la fine di febbraio e i primissimi di marzo 2010 apre una finestra, anzi una vetrata, sul sistema. Per muovere funzionari di livello e dirigenti, pianificare tabelle di servizio occorre avere referenti di altissimo livello in seno alla agenzia delle entrate. È possibile che un gruppo di consulenti fiscali (l'altra parte della cricca) capeggiati da Bonadeo avesse, da solo, il potere di influire sulle decisioni che contano in seno all'agenzia delle entrate? In questo senso infatti la direzione generale a Roma ha aperto, con l'espresso consenso del direttore generale Attilio Béfera, una indagine ispettiva interna. Di più; se il racconto di Malucci dovesse trovare riscontri, sarà la prova certa per affermare che incarichi e organigrammi siano stati taroccati su input politico e su richiesta ultima di qualche big della imprenditoria berica? E che significa poi che Fiaccabrino «aveva la forza di parlare con l’Agenzia delle Entrate», si suppone del Veneto? Significa che aveva agganci di alto livello, anche politico?

RAPPORTI MINISTERIALI. Ora gli equilibri in seno alla agenzia delle entrate non sono modificabili dal primo che passa. L'agenzia è un ente autonomo posto sotto la vigilanza e l'indirizzo politico del dicastero dell'economia capitanato dal ministro Giulio Tremonti (Pdl). Se, sul piano teorico, si vuole avere una copertura per muovere il tal direttore, piuttosto che il tal funzionario, magari per sistemarli in posti chiave da dove condurre accordi poco leciti, bisogna avere rapporti di primissimo livello presso il ministero competente. Il che significa, sempre a livello teorico, ministro, sottosegretari, capo di gabinetto, direttori di dipartimento e via dicendo. Le rivelazioni di Malucci possono portare così lontano?

IL TEAM. Ovviamente solo gli inquirenti hanno in questo momento gli elementi per dare una risposta. Il procuratore berico Ivano Nelson Salvarani, il pubblico ministero Marco Peraro (cotitolare dell'inchiesta), il comandante della guardia di finanza provinciale di Vicenza Antonio Morelli, il capo della tributaria provinciale e suo braccio destro Paolo Borrelli, il comandante della finanza di Arzignano, il tenente Angelo Aloi e i loro detective: nelle loro teste, nei loro atti e nei loro computer c'è il bandolo della matassa di una delle maggiori inchieste per evasione fiscale mai iniziata nel Veneto. Da capogiro i numeri: 1,4 miliardi la base dell'imponibile; oltre un centinaio di milioni di euro gli importi evasi. C'è però un quesito di fondo che gira tra i cronisti vicentini di giudiziaria. Ci vorrà molto prima che qualche giornale pubblichi l'elenco completo degli imprenditori finiti sotto indagine penale o fiscale? Ci sono cronisti vicentini che già sono in possesso di questo elenco che scotta? Perché sino ad oggi non è saltato fuori?

Marco Milioni
da Vicenzapiù del 26 giugno 2010; pagina 4

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